La scelta di Sophie, ebrea ex internata in un campo di sterminio nazista, fu quella di abbandonare al suo destino la figlioletta per salvare se stessa e l’altro figlio, divenendo collaboratrice del comandante del lager di Auschwitz. Una scelta che ha segnato angosciosamente la sua vita, e che racconta, dopo la guerra, a Stingo, uno scrittore coinquilino nella casa in cui abita a New York, che è diventato amico suo e del marito, un geniale ma nevrotico intellettuale. Lo strano ménage a tre continua finché Sophie, dopo essersi concessa allo scrittore innamoratosi di lei, si suicida insieme al marito.
Una facoltosa vedova, che una triste esperienza matrimoniale ha portato a detestare gli uomini, è in Africa con la segretaria Anna con la quale ha una relazione particolare. Poi, però, l’inquieta signora ritroverà la “normalità” tra le braccia di un rude avventuriero.
Ateo e anticonformista, Pino s’innamora di Maria Teresa, timorata di Dio, ma uno zio della ragazza mette fine alla relazione. Crisi di Pino che, incaricato di un attentato, butta la bomba-carta contro zio e nipote, sorpresi in atteggiamenti intimi. La povertà della regia e la banalità della storia impoveriscono qualsiasi ambizione di satira.
Ulisse torna ad Itaca e trova una situazione in bilico: la residenza del re è circondata dai proci che vorrebbero sposare la regina per impossessarsi del trono, e Penelope prende tempo tessendo di giorno una tela che di notte disfa. Suo figlio Telemaco, convinto che il padre non tornerà ad Itaca e che abbia altrove un’altra donna e un’altra famiglia, vorrebbe che la madre scegliesse un pretendente e ponesse fine all’assedio dei proci. Ma Penelope è devota al marito, anche se le attenzioni di Antinoo, l’unico pretendente che sembra davvero innamorato di lei, non le sono del tutto indifferenti. Ulisse si traveste da mendicante per entrare nel palazzo reale e viene deriso dai proci e osteggiato dal figlio. Ma sarà lui a dire l’ultima parola, ristabilendo l’ordine non solo nel regno, ma anche nella propria famiglia.
In una domenica a Roma negli anni Cinquanta, in un grande condominio, si intrecciano le vicende di alcune domestiche. È mattina. Le ragazze, affacciate alle finestre, si scambiano confidenze pregustando le ore di libertà che le attendono quel giorno. Caterina è in servizio presso una signora che la crede bugiarda nonostante lei si sforzi di raccontarle la verità. Angela aspetta da tempo notizie dal fidanzato e lavora per una donna le cui uniche attenzioni sono rivolte ai suoi cani. La provocante e ingenua Giulietta rende i suoi servigi alla famiglia Tanzi, e al pomeriggio ha un appuntamento con Luciano. Antonietta, matura servente che si vede con Bepi, finto cleptomane, ha organizzato un pomeriggio molto culturale per lei e il suo impenitente ladruncolo. Queste e altre storie si snodano nello stabile sotto gli occhi attentissimi di Antonio, portiere a sua volta guardato a vista da una vecchia moglie gelosa. Commedia semplice, basata su un’ottima sceneggiatura, la pellicola di Bruno Paolinelli ritrae piccole storie di donne immerse in una quotidianità dolce e a tratti amara. Divertente spaccato dell’Italia prima del boom, il film si struttura attraverso dialoghi serrati, situazioni spiritose, macchiette variopinte e vitalizzate dalla recitazione di grandi attori.
Un ladro incurabile che ruba i bottoni dalla giacca del portiere, le macchinine dei bambini e le targhette sulle porte con la stessa noncuranza; il dottor Tanzi che approfitta della giovane Giulietta e inscena uno scambio di battute esilarante e senza respiro con il portiere che non vuole andarsene (irresistibili Alberto Sordi e Aldo Fabrizi); la domestica Caterina che vede involontariamente le parole sulla sua bocca trasformarsi sempre in bugie tanto che, alla fine dovrà paradossalmente mentire prima di essere creduta. E poi Angelina, disperata per amore, che viene salvata dopo aver tentato in casa il suicidio. Come l’incantevole Shirley MacLaine, qualche anno più tardi, in L’Appartamento di Billy Wilder.
Un uomo che vive in un piccolo appartamento insieme a tre gatti ha un malore. Viene soccorso da un’infermiera che decide di portarlo in ospedale. Sul percorso però una serie infinita di imprevisti sembra trasformare un piccolo incidente di percorso in un vero incubo.
È il miglior film di Polanski nella sua vecchiaia. Robert Harris riconosce che, almeno per la struttura, il film è superiore al suo romanzo (2007), da lui adattato col regista. Adam Lang, ex premier britannico, ha scritto un libro di memorie che, giudicandolo noioso, l’editore ha affidato a un “negro” che muore annegato: incidente? suicidio? Gli subentra un altro ghost writer (senza nome) che diventa subito un sopravvissuto con la morte alle calcagna, coinvolto in un inconoscibile complotto alla Hitchcock. L’azione del film si svolge in un’isola sulla costa orientale degli USA, dove l’ex premier risiede con la moglie, la segretaria-amante e un agguerrito servizio di sicurezza. In un thriller politico intessuto di inganni e tradimenti a ogni livello emergono 3 temi polanskiani: la diffidenza per ogni potere pubblico, l’isolamento e l’acqua, da lui associata alla minaccia, alla morte, al male. Ritornano la sua predilezione per i perdenti, il gusto per le atmosfere psicologiche, la capacità di far scaturire dalla realtà l’ambiguità inquietante, l’infallibile direzione degli attori: McGregor e Brosnan non hanno mai avuto personaggi così “importanti”. E la Williams non è mai stata così espressiva. Fotografia: il polacco P. Edelman. Orso d’argento a Berlino 2010 per la regia.
Una banconota da centomila lire falsa, rifilata a un tenente dei carabinieri da una bella ragazza; un famoso falsario che ricompare dal nulla e altrettanto misteriosamente viene trovato morto ammazzato; un attentato che fa saltare in aria la villetta del tenente, precipitando nella più cupa disperazione la prosperosa signora di lui. Questi gli elementi di una commediola all’italiana con un buon cast ma senza idee.
Un soldato è di guardia su un’isola deserta. Al risveglio da un sonnellino vede paracadutare un’urna per le elezioni. Di lì a poco giunge via mare una giovane donna incaricata di farle svolgere in modo regolare. A lui toccherà accompagnarla con la sua jeep per consentirle di far votare i pochi abitanti. Attraverso un deserto in cui sorge un inutile semaforo e le strade polverose dei villaggi si sviluppa un rapporto di stima reciproca tra l’uomo e la donna e, forse, anche qualcosa di più. Film dai lentissimi ritmi iniziali superati i quali si può scoprire la delicatezza di una narrazione che non dimentica mai che la società, con le sue regole di convivenza, è composta da uomini e donne capaci di un sentire che nessuna regola di separazioni tra i sessi può elidere. Non solo il voto è segreto, a volte lo sono anche i sentimenti. Ma qualcosa può trasparire e allora la diffidenza iniziale si trasforma in apertura all’altro.
Andrea Artusi (Tognazzi), dopo aver sperimentato con un’amante la facilità con cui una moglie può tradire il marito, comincia ad essere assillato dal fatto che anche sua moglie Maria Grazia (Cardinale) possa essergli infedele. La sua ossessione esaspera la donna a tal punto che, pur essendo fedele, rivela al marito il nome del presunto amante. Andrea, furioso, si precipita alla ricerca dell’adultero e rimane ferito in un incidente d’auto. Ricondotto a casa, l’uomo avrà superato la sua ossessione, ma proprio allora la moglie inizierà a tradirlo, intrecciando una relazione con il medico.
Nella Roma degli anni ’70, nell’ambito della piccola borghesia di sinistra, due giovanissimi militanti (F. Bianchi e C. Mancinelli Scotti, figlia di Elsa Martinelli) fanno più l’amore che l’impegno politico. Pur seguendo piuttosto fedelmente la vicenda del romanzo best seller (1976) di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice, l’opera prima del cantautore P. Pietrangeli cerca di: 1) mettersi dalla parte di “loro” (i giovani, gli “orfani del PCI”), raccontandone sbandamento, malessere, confusione vitalistica in modi riduttivi e superficiali; 2) mettersi dalla parte degli “altri” (adulti, padri), auspicando tra le righe l’incontro, la riconciliazione, il superamento delle contraddizioni. L’equivoco ibridismo ideologico si ripropone a livello stilistico, in altalena tra un Godard orecchiato e un Lizzani ricalcato. I due autori del romanzo si dissociarono. Il film non ebbe nemmeno una piccola parte del successo di scandalo goduto dal libro (firmato con lo pseudonimo di Rocco e Antonia) anche perché, vietato ai minori di 18 anni, fu sequestrato. Canzoni di Giovanna Marini
Dopo la chiusura delle case di tolleranza (Legge Merlin: 20-09-1958) 4 prostitute si associano per aprire una trattoria in campagna. Ma l’ex cliente borghese che le ha aiutate le ricatta, obbligandole a riprendere il vecchio mestiere. Scritto con Ruggero Maccari, Ettore Scola e Tullio Pinelli, il 5° film di Pietrangeli ha 3 componenti che non sono ben fuse, lo rendono turgido e, insieme, fragile: il verismo della 1ª parte, la commedia di costume, l’istanza sociale e moralistica. Le parti più deboli sono la 1ª e la 3ª in cui si accavallano più finali per ribadire lo stesso concetto. Le doti del regista/sceneggiatore risaltano nella parte centrale col graduale trapasso psicologico delle 4 donne. Con una sorpresa nella recitazione: la Milo e la Rovere sono meno brave delle due francesi, ma più vere.
Il ragioniere Anselmi (Alberto Sordi) è uno scapolo impenitente. Quando il suo amico Armando si sposa, è costretto a far da testimone ma disprezza l’idea del matrimonio. Avendo lasciato all’amico e alla moglie l’appartamento, va a vivere in una pensione dove conosce Gabriella, una giovane hostess con cui intreccia una relazione. La ragazza ben presto si innamora, ma lui si defila e lei si fa trasferire a Milano. Riconquistata la libertà, dà sfogo alla sua vocazione da “don giovanni”, ma ben presto la solitudine lo attanaglia. Consigliato anche dalla madre, decide di trovare una compagna di vita. Ma l’obiettivo si rivela arduo. Capirà alla fine che è la signorina Carla, con la quale ha avuto furiosi litigi, a fargli battere il cuore. Sarà lei a portarlo all’altare.
Vediamo Orlando nel 1600, giovane bellissimo e glabro che suscita l’interesse della regina d’Inghilterra, che gli lascia in eredità un titolo. Poco dopo Orlando si innamora di una bella, giovane e nobile russa, ma non è ricambiato. Diventa ambasciatore in Oriente. Passano i decenni e i secoli, e una mattina, dopo grande sofferenza e spossatezza, si sveglia donna. Si innamora di un bellissimo giovane romantico che le fa scoprire il sesso (quello maschile). Continua a passare il tempo ed eccoci ai giorni nostri. Orlando è stata privata dei suoi beni e delle sue eredità regali (perché non è identificabile come essere umano, non è uomo, non è donna, non è sposato o sposata). Ha un bambino e deve affrontare la vita da sola. Nell’ultima scena Orlando, che riposa sotto le fronde di un albero, chiama il figlio e gli dice di guardare il cielo. E dall’alto scende una sorta di angelo, naturalmente senza sesso, che canta la morale finale del film: non c’è differenza fra le cose, fra la vita e la morte, fra il tempo e il non tempo, fra i sessi. Un film importante, che prende spunto da un romanzo di Virginia Woolf.
Le vie del vino sono infinite, ma anche profumate, gustose, limpide come il cristallo di un balloon. Il gusto di queste emozioni, hanno dato vita a un film, un road movie, dove l’amicizia fra due uomini di mezza età, è la dolceamara riflessione sul continuare a essere dei “novelli” giovani o apprezzare i piaceri della maturità, dell’invecchiamento. Jack (Thomas Haden Church) è un attore di soap opera in procinto di sposarsi. Il suo migliore amico Miles (Paul Giamatti), bruttino, dolorosamente divorziato da due anni, e scrittore non proprio di successo, decide di fargli un regalo speciale. Una settimana sulle strade del vino della California, per un piacevole e intenso addio al celibato fra calici di nettare e campi da golf. Incontreranno anche l’amore, e Miles conoscerà Maya (Virginia Madsen), che, come lui, vive per la gioia di una buona bottiglia. Ironico e riflessivo, il film di Alexander Payne, delinea i personaggi, le loro forze, le loro debolezze, e le mette in parallelo al vino, alle modalità dell’invecchiamento, di conservazione, di degustazione. I sette giorni che Miles e Jack trascorrono insieme sono il percorso di crescita di due uomini, profondamente diversi fra loro, ma legati da un’amicizia ventennale. La cultura di Miles, espressa da un irresistibile Paul Giamatti (le sue battute scandiscono il film), si scontra con l’istinto animale e grezzo di Jack. E le donne per loro vanno di pari passo con il vino. Per lo scrittore devono essere rare e uniche (come la ex-moglie), da apprezzare e da sorseggiare nella loro maturità; per il belloccio divo da soap opera, devono avere l’immediata esplosività di un “frizzantino”. Sideways,lento nell’apertura, ironico nel suo incedere, prende vita attimo dopo attimo (verrebbe da dire, sorso dopo sorso), quando le vineyards californiane e le cantine illuminano la scena. E’ la sottile magia di un film, che realmente va lasciato decantare, per apprezzarne le qualità. Come dice Maya, in uno dei momenti più intensi del film, il vino è vivo, come ognuno di noi. Nasce, cresce e raggiunge la maturità. In quel momento, ha un gusto fantastico.
C’è una spia fra i prigionieri di guerra americani in un campo di internamento tedesco. I sospetti si concentrano sul sergente Sefton che viene malmenato. Forse il più bel film su un campo di prigionieri di guerra in Germania. Brillantemente diretto da B. Wilder che ha saputo dosare con abilità suspense, drammaticità e comicità, facendo dimenticare l’origine teatrale del copione (una pièce del 1951 di Donald Bevan ed Edmund Trzinski sceneggiata da Wilder con Edwin Blun). È un’amara e qua e là sgradevole lezione sulla tolleranza, quella che si deve anche verso chi è, per intelligenza e furbizia, superiore a noi. Oscar per W. Holden.
Come due giovani cronisti del quotidiano Washington Post _ Carl Bernstein e Bob Woodward (autori del libro sul quale si basa la sceneggiatura di William Goldman) _ scoprirono il collegamento tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando nel 1974 le dimissioni del presidente Nixon. Piatto come un tavolo di biliardo (ma esiste anche un fascino dell’orizzontalità) nello scrupolo quasi maniacale della ricostruzione dei fatti senza invenzioni romanzesche né indugi psicologici, racconta un’altra volta la vecchia storia di Davide che sconfigge Golia ed è un eccellente rapporto sul giornalismo americano e, forse, l’omaggio più esplicito che il cinema abbia mai reso al “quarto potere”. Incassò negli USA 30 milioni di dollari. 4 Oscar: sceneggiatura, scenografia, suono e Robards attore non protagonista.
Michael Dorsey, attore di Broadway bravo ma disoccupato perché rompiscatole, raggiunge il successo quando si traveste da donna: Dorothy Michaels, poi detta Tootsie. Comincia in farsa, si trasforma in commedia e finisce quasi come un dramma. Riflessione sul mestiere dell’attore: descrizione critica, non priva di veleni satirici, dell’ambiente televisivo: storia di un uomo che, costretto a fare i conti con la componente femminile della propria natura e a vivere in prima persona la condizione di una donna, migliora. Hoffman, piccola grande donna, è perfetto. Messo sotto come regista, Pollack s’è preso una piccola rivincita come attore. 6 candidature agli Oscar (tra cui quella per la sceneggiatura di Larry Gelbart e Murray Shisgal sotto il controllo di Hoffman), ma una sola statuetta per la Lange. 1° film di G. Davis.
Esordio alla regia di Pietrangeli, il film racconta la storia di Celestina, figlia di contadini giunta a Roma per fare la domestica. Innamoratasi di Fernando, giovane operaio idraulico, la ragazza trova servizio in una casa signorile. Ma ben presto viene licenziata perché sorprese a baciare Fernando. Dopo esserne diventata l’amante, Celestina scopre di essere incinta di Fernando. Il ragazzo scompare e quando la ragazza viene a sapere che si è sposato, tenta il suicidio. Deciderà di affrontare la vita per amore del bimbo che sta per nascere.
Dora (Catherine Spaak), una ragazza di Parma che abita con lo zio prete in una canonica, seduce un seminarista in vacanza e poi lo segue a Riccione. Inizia così una peregrinazione attraverso l’Italia che la conduce tra le braccia di diversi uomini. Quando deciderà di tornare da quello per cui in fondo prova qualcosa, scoprirà che questi è mantenuto da una donna più anziana di lui. Finirà per scegliere la strada della prostituzione. Tratto dal romanzo omonimo di Bruna Piatti.
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