Mark Lewis (Carl Boehm) è un operatore-regista ossessionato dall’idea di filmare l’infilmabile: l’espressione intensa che le persone assumono prima di morire sapendo di morire. Per realizzare questa sua ossessione, Mark ha aggiunto un accessorio alla sua cinepresa, dotandola di una sorta di baionetta in una delle gambe del cavalletto. In questo modo, filma e uccide, potendo poi rivedere l’esito delle sue imprese. Introverso e tranquillo nella vita normale, Mark intreccia una relazione – o piuttosto la subisce – con Helen (Anna Massey), colpita dalla sua sensibilità, e cerca diapprofondirne la conoscenza.
Una bambina (assomiglia drammaticamente a Enzo Stajola, il bambino di Ladri di biciclette) vuole un pesciolino rosso. La mamma le dà i soldi per comprarlo, lei li perde, li cerca e incontra i personaggi variopinti: incantatori di serpenti, vecchiette casalinghe, passanti, un ragazzo afghano che vende palloncini. Mondo minimale e poetico descritto da questo regista esordiente che ha raccolto premi dovunque. È bello esplorare queste realtà autoctone, da parte di noi occidentali. Certo, sono cose che un tempo ha descritto anche il nostro cinema. Adesso le ritroviamo nei film del terzo mondo. Ma non beatifichiamo.
Dal romanzo di Thomas Berger, sceneggiato da Calder Willingham: all’età di 121 anni Jack Crabb racconta la sua vita avventurosa nel West; come nel 1859, decenne, fu rapito dai pellerossa con la sorellina e, ritornato giovanotto tra i “visi pallidi”, imparò i principi religiosi da un pastore e il sesso da sua moglie, fino alla sua partecipazione alla battaglia di Little Bighorn. Western anomalo e, in un certo senso, unico, ha qualcosa del racconto filosofico francese del Settecento (non lontano dal Candide di Voltaire) e del romanzo picaresco spagnolo. La smitizzazione del West e dei suoi miti (bianchi) è radicale nella sua continua (e un po’ prolissa) mistura tragicomica; la simpatia per i pellerossa, il rispetto per la loro cultura, la denuncia del loro genocidio non scadono quasi mai nel (melo)dramma didattico. Hoffman allo zenith del suo fregolismo istrionico.
Nel ridurre drammaturgicamente – con Sergio Citti e Pupi Avati – Le 120 giornate di Sodoma (1782-85) del marchese De Sade, P.P. Pasolini ricorre alla ripetizione del numero 4. Durante la Repubblica di Salò 4 signori (il Duca/Bonacelli, il Monsignore/Cataldi, S.E. il presidente della Corte d’Appello/Quintavalle, il presidente Durcet/Valletti, che rappresentano i 4 poteri) si riuniscono insieme a 4 Megere, ex meretrici, e a una schiera di ragazzi e ragazze, partigiani o figli di partigiani in una villa isolata e protetta dai soldati repubblichini e dalle SS. Per 120 giorni sarà in vigore un regolamento che permette ai Signori di disporre a piacere delle loro vittime. Lo schema temporale corrisponde a 4 gironi danteschi: l’Antinferno, il girone delle Manie, il girone della Merda, il girone del Sangue. Dopo il massacro, l’epilogo è in sospeso, con un barlume di residua speranza (Pasolini ne aveva girati altri due). In tutto il cinema pasoliniano il sesso è uno strumento per parlare di “qualcosa d’altro”. Qui ha un significato direttamente politico: il rapporto sessuale sadico è una delle tante forme dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. È anche una denuncia, per via di metafora, dell’attuale società dei consumi in cui il sesso è un allegro aspetto della mercificazione dell’uomo nella società capitalistica. Film estremo, è attraversato da due costanti che ne scandiscono il ritmo: la ripetizione ossessiva dei cerimoniali e l’accompagnamento musicale della pianista (S. Saviange). Nel suo cinema all’insegna della congiunzione Marx-Freud il tema della morte – e dei suoi legami con l’Eros – è dominante. Qui trova, attraverso l’accumulazione di fatti sadici, la sua ultima espressione con la maniacale e furiosa tetraggine di un quaresimalista, anche se venata, in contraddizione con Sade, da un pietoso intenerimento per le vittime e gli innocenti. Presentato a Parigi il 22 novembre 1975, 3 settimane dopo la morte di Pasolini, uscì sul mercato italiano nel gennaio 1976 e venne subito sequestrato. Le sue traversie giudiziarie – dall’imputazione di oscenità a quella di corruzione di minori – durarono con fasi alterne sino al 1978. La versione circolante del film è priva di 589 metri (21′) rispetto all’originale.
Rosemary Woodhouse (Farrow) sospetta una congiura demoniaca contro la creatura che porta in grembo, organizzata con la complicità del marito attore (Cassavetes) dagli arzilli Castevet (Gordon e Blackmer), coinquilini-stregoni mimetizzati negli abiti della borghesia di New York. Realtà o psicosi? Il polacco R. Polanski – al suo 1° film made in USA dopo 3 britannici – affascinato dal senso di mistero che serpeggia nel romanzo di Ira Levin, ne cava un memorabile esempio di cinema della minaccia e ripropone il tema dell’ambiguità fino a farne la struttura portante della narrazione. È “un incubo cinematografico dove la possibilità di orientarsi tra fantastico e reale è persa sempre, mentre resta a dominare la scena la sensazione di angoscia ridotta al grado zero e perciò ancor più inquietante” (S. Rulli). Oscar per R. Gordon. Prodotto da William Castle per la Paramount, nel 1976 ebbe un seguito TV di nessun interesse.
Un modesto avvocato di provincia difende con successo un ufficiale dell’esercito accusato di aver ucciso il proprietario di un bar che gli ha violentato la moglie. Sorpresa finale. Nonostante la lunghezza, è uno dei più avvincenti drammi giudiziari mai usciti da Hollywood. Il suo nocciolo è nell’ambiguità dei personaggi e dei fatti. Grande compagnia di attori. 7 nomine agli Oscar.
Due ladruncoli scalcagnati, con tre amici e due ragazze organizzano un grosso colpo. Per difficoltà tecniche affidano il furto a un professionista che dovrebbe poi essere derubato da loro. Ma non tutto va come dovrebbe. È un film a risvolti caricatural-umoristici di gusto francese, di spirito sottile e intelligente, pieno di trovate. L’ottimo cast di caratteristi contribuisce al divertimento.
Dal romanzo di Arthur Laurents: l’itinerario di una coppia attraverso la storia americana dal 1937 ai primi anni ’50: guerra di Spagna, Pearl Harbor, la morte di Roosevelt, la “caccia alle streghe” anticomunista e, nel breve epilogo, la campagna contro le armi nucleari. 1° film americano che ha per protagonista una comunista e dove si parla esplicitamente dei Dieci di Hollywood. Non sempre le intenzioni della sceneggiatura (dello stesso A. Laurents) coincidono con quelle del regista: squilibri, prolissità, stridori. Caso raro di un film hollywoodiano dove i problemi di una coppia hanno una radice politica. 2 Oscar: musiche di Marvin Hamlisch e canzone (del titolo). Difficile alchimia tra R. Redford e B. Streisand: lui sembra che non reciti, lei recita troppo. Ebbe molti problemi di censura e di autocensura che gli costarono diversi tagli. È uno di quei film che sono vivi anche per merito dei suoi scompensi.
Da un episodio del romanzo Jean le bleu (1932) di Jean Giono. In un paese della Provenza arriva il nuovo fornaio, Aimable Castanier (Raimu), che si fa presto apprezzare da tutti per la bontà dei suoi prodotti. Quando la sua giovane moglie Aurélie (Leclerc) scappa col pastore del marchese di Venelles, il fornaio, disperato, smette di fare il pane. Tutto il paese partecipa alla ricerca della fuggitiva. “Maestro dell’uno e del multiplo”, Pagnol tocca qui uno dei vertici della sua carriera col ritratto di Aimable (uno straordinario Raimu) e con la piccola folla di personaggi che gli fanno corona: la loro solidarietà nascosta è, come le disavventure del fornaio, l’asse portante del racconto. Bellissimo film agreste che fa macchia nel cinema francese dell’epoca per il suo solare calore mediterraneo, l’ammirevole fusione di ironia e compassione, precisione realistica e folclore pittoresco. Inosservato in Italia dove fu distribuito soltanto nel 1943 col divieto ai minori di 16 anni, ebbe un grande successo sui mercati di lingua inglese.
Dal pistoiese, Adriana arriva a Roma armata di bellezza, ingenuità, tenera ignoranza, desideri trasparenti e capacità di slanci affettivi. Passa da un mestiere e da un uomo all’altro, finché il “male oscuro” dell’inutilità lievita in lei. Scritto con Ruggero Maccari ed Ettore Scola, è uno dei migliori film di Pietrangeli, specialista in storie di donne umiliate, notevole anche per la frantumata struttura narrativa, fuori dagli schemi della commedia italiana e influenzata dalla francese “scuola dello sguardo”. 3 Nastri d’argento (film, sceneggiatura e attore non protagonista: un Tognazzi memorabile) e molti premi all’estero. La ventenne Sandrelli si conferma animale cinematografico di razza.
La bella Laura Hunt è trovata assassinata nel suo appartamento di New York con una revolverata che le ha sfigurato il viso. Il tenente McPherson indaga, appassionandosi al caso in modo ossessivo. Da un romanzo di Vera Caspary, sceneggiato da Jay Dratler, Samuel Hoffenstein e Betty Reinhardt. Film di culto per gli amanti del cinema nero: eleganza, decadenza, perversione, crudeltà, umorismo e una forte vena di necrofilia ne fanno un cocktail unico. Il motivo di David Raksin (“Laura”) incanta ancora oggi. Uno di quei film felici dove tutto concorre al risultato finale: regia, sceneggiatura, fotografia (J. LaShelle, premio Oscar), scenografia, musica. Alcune scene furono dirette da Mamoulian, poi sostituito dal produttore D.F. Zanuck con Preminger. 3 minuti tagliati poco dopo l’uscita del film sono stati reintrodotti in certe versioni video
Un ricercatore della CIA è l’unico superstite di una sezione di New York dell’organizzazione, sterminata da un gruppo di sicari. Con l’aiuto di Kathie sfugge agli assassini che lo braccano e scopre che dietro al complotto si nasconde la CIA stessa, un suo settore deviato. Dal romanzo di James Grady I sei giorni del Condor, sceneggiato con brio da Lorenzo Semple Jr. e David Rayfield, è un ottimo film d’azione, sostenuto da una suspense di timbro hitchcockiano, da dialoghi ficcanti e soprattutto da una scrittura registica di ammirevole vigore e rigore che fa passare le inverosimiglianze e i passaggi enigmatici dell’aggrovigliata vicenda. Troppo programmatica la denuncia delle storture della CIA? Dipende dai punti di vista.
Minacciata da un maniaco sessuale, una prostituta conosce detective che, per conto di un industriale, indaga sulla scomparsa di un uomo. Una eccellente J. Fonda (premiata con l’Oscar) in un thriller con finale a sorpresa, trasfigurato dall’ammirevole tenuta stilistica della regia di A.J. Pakula. Sceneggiato da Andy K. Lewis e Dave Lewis.
Gennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell’École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell’esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Al disonore segue l’esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Il caso sembra archiviato. Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato. Da uomo d’onore quale è si pone la giusta domanda: Dreyfus è davvero colpevole?
Sottoposta a una ferrea disciplina da Lermontov (Walbrook), direttore di una celebre compagnia di balletto classico, Vicky Page (Shearer) arriva a un successo trionfale con il balletto Scarpette rosse , ispirato alla favola di Hans Christian Andersen, ma è dilaniata tra l’amore per la danza (e la dedizione a Lermontov) e l’amore ricambiato per il compositore Julian Craster (Goring). Ormai identificata con il personaggio, danzerà sino alla morte. È il più grande successo della coppia Powell-Pressburger anche se forse non la loro opera maggiore. Considerato il miglior ballet film della storia del cinema, ma anche la più esemplare espressione del melodramma cinematografico, è diventato un vero cult movie , amato da spettatori e spettatrici commossi di mezzo mondo, ma anche da celebri registi (Scorsese, Coppola, De Palma) e raffinati cinéphiles . “Ammantandolo con i colori smaglianti del melodramma, [i registi] fanno digerire al pubblico un assunto incredibile: il fatto che l’arte sia qualcosa per cui si può morire” (E. Martini). È nello stesso tempo romantico ed espressionista, una fantasticheria e un incubo, un dramma psicologico e una favola, un’anomala miscela di narrativa popolare, cattivo gusto, abuso di stereotipi e sperimentazione visiva, ribaltamento delle convenzioni, vertiginosa reinvenzione della realtà. Fotografia di Jack Cardiff. Ebbe 2 premi Oscar: musica di Brian Easdale, scene di Hein Heckroth. Restaurato nel 2010.
ATeheran, due amici sopravvivono come possono, circondati da una lussuria che non possono avvicinare. Per Hussein diviene una vera ossessione, finché non decide di rapinare una gioielleria. Vincitore della sezione Un certain regard di Cannes, è un film che ricorda la semplicità di Rossellini: inizia con un piano-sequenza a macchina fissa con l’inquadratura della porta della gioielleria per poi continuare, in un lungo flaschback, a spiegare le motivazioni del gesto del protagonista. Si vede che l’opera è stata scritta da Kiarostami: stilizzata nei tratti essenziali e centralità nella descrizione del degrado sociale. Ma importante è anche Hussein, con la sua corporeità così ingombrante, la sua timidezza, il suo sguardo perso: solo ed emarginato, Hussein sa di non potersi spingere oltre il suo piccolo mondo di povertà e tristezza; proverà a farlo, ma il prezzo da pagare sarà veramente alto.
A differenza degli ufficiali che si battono per motivi di casta e per le medaglie, un sergentaccio della Wehrmacht e i suoi accoliti cercano di salvare la ghirba sul fronte russo durante la ritirata. Delirante ballo in maschera dove il bravo S. Peckinpah mette in campo tutte le risorse del suo talento visionario e allucinato per smitizzare la guerra e il cinema bellico con i suoi stereotipi. Tratto dal romanzo di Willi Heinrich La carne paziente . Seguito da Specchio per allodole .
John May è un funzionario comunale dedicato alla ricerca dei parenti di persone morte in solitudine. Diligente e sensibile, John scrive discorsi celebrativi, seleziona la musica appropriata all’orientamento religioso del defunto, presenzia ai funerali e raccoglie le fotografie di uomini e donne che non hanno più nessuno che li pianga e ricordi. La sua vita ordinata e tranquilla, costruita intorno a un lavoro che ama e svolge con devozione, riceve una battuta d’arresto per il ridimensionamento del suo ufficio e il conseguente licenziamento. Confuso ma null’affatto rassegnato, John chiede al suo superiore di concedergli pochi giorni per chiudere una ‘pratica’ che gli sta a cuore e che ha il volto di Billy Stoke, un vecchio uomo alcolizzato che aveva conosciuto un passato felice. Di quel passato fa parte Kelly, la figlia perduta per orgoglio molti anni prima. Lasciata Londra per informarla della dipartita del genitore, John si muove tra i vivi e assapora la vita che ha il volto di una donna e il sapore di una cioccolata calda.
Intelligente, romantico film che ripercorre la vita di Karen Blixen (una superlativa Meryl Streep). Sposata per convenienza con un nobile rozzo e fatuo, nel 1913 lascia la natia Danimarca alla volta di Nairobi, dove si innamora di un avventuriero inglese (Robert Redford). Ma l’Africa le offrirà alterne fortune e drammi profondi. Pollack ci offre l’immagine di un’Africa patinata e affascinante, pervasa da atmosfere d’epoca perfettamente ricostruite e splendidamente fotografata. Qualche lungaggine qua e là ma soprattutto una splendida prova di recitazione e ben cinque premi Oscar: al film, al regista e a sceneggiatura, fotografia e colonna sonora.
Tutti i link Easybytez sono andati persi, con calma cercherò di ricaricare più materiale possibile.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo