4 storie s’intrecciano in questo affresco sull’America del primo Novecento. Prevale quella di un pianista nero che, per vendicarsi di un torto, si trasforma in guerrigliero con alcuni compagni. Da un polifonico romanzo (1975) di E.L. Doctorow, ebreo di origine russa che mescola figure d’invenzione con personaggi storici, un colorito ed elegante affresco al ritmo sincopato del ragtime, in altalena tra critica e nostalgia. Ultimo film per il cinema di J. Cagney dopo vent’anni di assenza. 5 nomination agli Oscar.
Nel 1823 al manicomio di Vienna Antonio Salieri, acclamato musicista di Corte, confessa un tremendo segreto: ha consumato la vita nel tentativo di distruggere Mozart, volgare e libertino, indegno, secondo lui, dei doni divini. Sotto il segno del più scatenato gusto del gioco, è una riflessione sul contrasto tra genio e mediocrità e sull’invidia. Scritto dall’inglese Peter Shaffer, da una sua pièce (1979). Omaggio a Praga. Splendide immagini (Miroslav Ondricek), due grandi interpreti. 8 Oscar: film, regia, sceneggiatura, attore (F.M. Abraham), costumi (Theodor Pistek), suono (M. Berger, T. Scott, T. Boekelheide), trucco (Paul Le Blanc, Dick Smith), scenografia (Patrizia von Brandenstein, Karel Czerny). Non tenendo conto che, in fondo, è un Mozart visto da Salieri i molti mozartiani di stretta osservanza hanno eccepito sulla fedeltà storica, specialmente sulle libertà prese per la genesi del Requiem, ma avrebbero da lamentarsi di più i pochi ammiratori di Salieri. Al Festival di Berlino 2002 fu presentata una edizione restaurata (Director’s Cut) e allungata di oltre 20′. Nuova edizione del capolavoro di Milos Forman del 1984 con l’aggiunta di un nuovo sonoro e di un nuovo doppiaggio in italiano. Le scene aggiunte si integrano perfettamente con l’originale.
Da un romanzo (1962) di Ken Kesey: pregiudicato, trasferito in clinica psichiatrica, smaschera il carattere repressivo e carcerario dell’istituzione. La rivolta dura poco, ma lascia qualche segno. Premiato con 5 Oscar (film, regia, Nicholson e Fletcher, sceneggiatura di Bo Goldman e Laurence Hauben) _ come non succedeva da Accadde una notte (1934) _ è un film efficacemente e astutamente polemico sul potere che emargina i diversi e sul fondo razzistico della psichiatria. La sostanza del romanzo onirico di Kesey, scritto in prima persona, è depurata e trasformata in allegoria nell’adattamento scenico che ne fece Dale Wasserman e che forma la base della sceneggiatura. (Fu portato in scena nel 1963 da Kirk Douglas che spinse il figlio Michael a produrre il film.) Ottima squadra di attori che comprende anche il pellerossa W. Sampson.
La storia di Andy Kaufman, una sorta di comico di rottura, forse geniale, forse idiota, forse dotato, forse cialtrone. Passava dall’imitazione di Elvis alla lettura integrale, davanti a un pubblico letteralmente addormentato, de Il Grande Gatsby di Fitzerald. Morì di cancro dopo aver inutilmente visitato quei guaritori orientali cialtroni come lui. Davvero bravo Carrey, che non sarà simpatico a tutti, ma è ormai un attore vero. Forman ci sa sempre fare, anche se è lontano dalla qualità dei suoi copolavori: Il cuculo, Amadeus.
Claude va a New York per arruolarsi nei Marines che vanno in Vietnam. Nel Central Park fa amicizia con una combriccola di ragazzi e trascorre con loro i due giorni che lo separano dalla partenza. Tra di essi c’è Sheila, della quale Claude s’innamora. Per consentire a Claude di rivederla, George organizza un’incursione a casa di certa gente, dove appunto si trova la ragazza. Finiscono tutti in gattabuia, ma per poco. Poi Claude parte per il campo-addestramento. George lo raggiunge al campo con la ragazza e si sostituisce all’amico per permettergli di stare con la fanciulla. Andrà a finire che sarà George a partire per il Vietnam. Trasposizione cinematografica della nota commedia musicale messa in scena per la prima volta nel 1967.
Un film di Milos Forman. Con Jana Brejchova, Vlamidir Pucholt Titolo originale Lásky jedné plavovlávsky. Commedia, b/n durata 82 min. – Cecoslovacchia 1965. MYMONETRO Gli amori di una bionda valutazione media: 3,71 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Durante una festa in una cittadina di provincia una ragazza, operaia in una fabbrica, conosce un giovanotto, pianista, originario di Praga. Fanno l’amore. Poi lui se ne va. Lei lo segue a Praga ma viene accolta tiepidamente dal pianista e freddamente addirittura dalla famiglia di lui. La bionda ritorna alla fabbrica, favoleggiando con le amiche delle sue avventure nella capitale.
Un film di Milos Forman. Con Ladislav Jakim, Pavla Martinkova Titolo originale Cerný Petr. Commedia, b/n durata 80′ min. – Cecoslovacchia 1963. MYMONETRO L’asso di picche valutazione media: 4,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Pieno di aspettative nei confronti del figlio, lo fa assumere in un supermercato promettendogli un roseo futuro. Il ragazzo, però, è insoddisfatto e pieno di problemi. Esordio di Forman nel lungometraggio. È un’acuta, amara, realistica analisi delle giovani generazioni e dei loro problemi in una grigia e soffocante realtà socialista sul filo di un linguaggio leggero e decontratto, fatto di simpatia e lucidità, ironia e tenerezza, invenzioni gaie e notazioni amarognole. Il 30enne regista/sceneggiatore (con Jaroslav Papoušek) ricorre quasi sempre ai “lunghi fuochi”, cioè piazza la cinepresa lontana dagli attori che così agiscono e sono ripresi in libertà con ammirevoli effetti di autenticità. Gran Premio e premio della Giovane Critica a Locarno 1963; premio della FICC e della rivista “Cinema” a Venezia; premio dei critici cecoslovacchi.
Nella Parigi del 1870 la marchesa di Merteuil (Bening) e il visconte di Valmont (Firth) congiurano per indurre all’adulterio Madame de Tourvel (Tilly) e far perdere la verginità all’ingenua Cécile (Balk). Dal romanzo epistolare in 175 lettere Les liaisons dangereuses (1782) di Choderlos de Laclos che ispirò Relazioni pericolose (1960) di Vadim e Le relazioni pericolose (1988) di Frears, il cecoslovacco Forman, attivo a Hollywood dal 1971, ha tratto un film elegante, sinuoso, persino romantico che guadagna in grazia e finezza quel che perde in crudeltà e dissolutezza. Ha abbassato l’età dei personaggi, attenuato la divisione manichea tra carnefici e vittime, messo la sordina alla perversità della marchesa e al cinismo di Valmont. Su sceneggiatura di Jean-Claude Carrière, il film sceglie come cuore della storia i rapporti tra Merteuil e Valmont che, come si evince anche da Laclos, si sono appassionatamente amati prima che l’azione cominci. Fu lui probabilmente a tradire per primo il loro amore. In questa chiave Valmont, ucciso in duello, paga con la vita il male che le ha fatto con un suicidio per interposta persona. I più tra i critici hanno condannato il film, preferendo quello di Frears, e il pubblico l’ha ignorato. Ci si augura che il tempo dia ragione ai meno.
È la storia vera di Larry Flynt, ancora vivente (fa un’apparizione nei panni di un giudice di Cincinnati) che, uscito da un’infanzia contadina povera, diventa gestore di locali di spogliarello e negli anni ’70 direttore ed editore di Hustler , pornorivista di grande successo. Inattivo da Valmont (1989), Forman ha fatto un film bifronte, ambiguo, paradossale che gli assomiglia. Il ritratto di un pornografo miliardario con una vita privata per lo meno discutibile, ma non priva di una sua dimensione nobilmente tragica, si risolve in una difesa della libertà di parola e di stampa, cardine di ogni democrazia. Si chiude con una sentenza della Corte Suprema che nel 1988 sancì che il cattivo gusto non è un problema che riguardi la legge. Scritto da Scott Alexander e Larry Karaszewski ( Ed Wood ) e prodotto da Oliver Stone (che avrebbe voluto dirigerlo), è un film che ha avuto un successo di scandalo, ma che scandaloso non è: di grande eleganza, divertente, commovente, spesso retoricamente efficace, sempre accorto, talvolta furbo. Orso d’oro a Berlino 1997.
Ciò che l’occhio non vede è una sorta di documentazione d’autore firmata da otto registi durante le Olimpiadi di Monaco del 1972. Il critico Tullio Kezich scrive a proposito di questo documento: «Ciò che l’occhio non vede lo vede l’obiettivo della macchina da presa. Questa tesi, che si direbbe di ispirazione antonioniana, mosse quattro anni fa l’iniziativa del produttore americano David L. Wolper che in occasione dei giochi di Monaco ha invitato alcuni autori cinematografici a illustrare ciascuno un aspetto della manifestazione.
Non è una biografia di Francisco Goya y Lucientes (1746-1828), come Amadeus non è un bio-pic di Mozart. Il titolo italiano sposta l’accento sull’antagonista, frate Lorenzo, uomo di fede che divide il mondo tra il Bene e il Male e che, prima al servizio della Chiesa (di Dio) e poi della Rivoluzione Francese (della ragione), tormenta e uccide i corpi per salvare le anime. Non è nemmeno un film sull’Inquisizione che, tra l’altro, fu più di una. Nelle acqueforti e nei disegni dell’agnostico Goya Lorenzo non vede il Male, ma il suo riflesso. “Non è lui che dobbiamo colpire, ma i corpi nei quali quei fantasmi vivono. Ed è certo di averne il diritto e il dovere” (R. Escobar). Lo spostamento del titolo è giustificato. Nel film Goya è soltanto un testimone del suo tempo, aperto ai compromessi con i potenti cui, però, non sacrifica il suo mestiere, l’arte. Chi agisce, chi giudica e condanna è l’integralista e fanatico Lorenzo, personaggio inventato. È lui il vero protagonista, e non soltanto per l’interpretazione che ne dà l’eccellente Bardem. Per Forman e il suo cosceneggiatore Jean-Claude Carrière (6 film per Buñuel) l’Inquisizione esiste ancora oggi sebbene, come nella realtà dei regimi socialisti del ‘900, abbia cambiato nome. È ingiusto sottolineare l’eleganza sfarzosa della messinscena e i risvolti melodrammatici (Ines, modella di Goya, stritolata dal sistema, incarnata dall’eclettica Portman), se non si tiene conto anche degli agganci, suggeriti con perfida leggerezza, tra passato e presente. Tra loro c’è la resa dei conti con le truppe francesi che, al comando di Napoleone (1808-09) occupano la Spagna, comportandosi da feroci invasori.
Narra la storia di una famiglia borghese per bene che vive il cambiamento generazionale: la figlia Jenny viene creduta scappata di casa da parte dei genitori, ormai più interessati alle apparenze che alla felicità della figlia, quando in realtà la giovane si è solo recata a delle audizioni artistiche-musicali (nella carrellata di giovani notiamo delle giovanissime Kathy Bates e Frances McDormand). Quando la giovane torna a casa, i genitori non si accorgono nemmeno del suo rientro: ormai convinti che lei sia scappata di casa e che non tornerà, si sono iscritti a una società per i genitori dei figli scomparsi dove avviene il vero degrado del borghesismo con una “lezione” di spinelli (tenuta da Vincent Schiavelli) e in seguito lo strip poker.
Non funziona niente nel ballo, organizzato dai pompieri di una cittadina boema: i premi della lotteria sono rubati, il concorso di bellezza fa fiasco, l’incendio di una casa vicina interrompe la festa. Ultimo film cecoslovacco di M. Forman, fu proibito dalla censura e suscitò le ire dei vigili del fuoco. Attraverso la satira corale dei costumi di provincia, anche se apparentemente amabile, Forman e Co. miravano più in alto. E in alto se ne accorsero. Il produttore italiano è Carlo Ponti.
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