Questo documentario è una sorta di tributo al “choro”, un vecchio modo di suonare che sta alla base di tutte le composizioni brasiliane, comprese la samba e la bossa nova.
La storia di Benny, un ragazzo appassionato di film violenti. Quando Benny si trova a guardare il video dell’uccisione di un maiale perde la testa, uccide una ragazza e filma il tutto con la sua videocamera. I genitori tentano di coprirlo e di occultare il cadavere, ma Benny non sembra essere più la stessa persona che era un tempo.
Viorel è un ingegnere metallurgico di 42 anni, padre di due figlie, divorziato da due anni. Il film segue il suo vagabondaggio per Bucarest, solo apparentemente senza meta, nel corso del quale Viorel si dota presto di un fucile da caccia, destinato a sparare i suoi colpi. Appassionato fin da ragazzino di film noirs ma convinto che la missione del cinema sia quella di scandagliare la realtà, Cristi Puiu trova un terreno d’intersezione possibile tra le due idee nella fotografia in movimento del lato nero della vita e delle persone. L’approccio rigorosamente documentaristico fa sì che gli elementi narrativi non vengano mai dati come premesse ma affiorino quando è il loro momento, alimentando il mistero e il senso di incertezza.
Investire una pecora con la loro auto è per Anna e Nick il punto di partenza per una serie di eventi strani e sinistri che si concluderanno con uno spaesamento allucinatorio per entrambi: nessuno dei due riuscirà più a distinguere il luogo in cui si trovano. Vivono la realtà, o sono tutte fantasie e situazioni immaginarie?
Nina, intorno ai trentacinque, sposata, senza figli, un lavoro come “voce” in un centro commerciale (annuncia cioè all’altoparlante le varie promozioni), una sera come tante torna dal lavoro e trova il marito Claudio con le valigie pronte in procinto di andarsene. E le crolla il mondo addosso. Per Nina inizia il periodo del dolore, della solitudine, dell’inadeguatezza ad affrontare la vita solo con le proprie forze. Finché, il giorno del suo compleanno, Nina dice basta, fa pulizia del passato e della donna che è stata e inizia una nuova vita. Incontra Drazen, una presenza enigmatica, costante ma marginale, la cosa più vicina a un amore vero che Nina abbia vissuto in questo suo nuovo percorso nell’universo maschile. Già visto e sentito.
Potrà mai qualcuno raggiungere la terra promessa? Questo l’interrogativo che il film si pone narrando la storia di una famiglia turca, che, ridotta in povertà, è costretta ad emigrare illegalmente in Svizzera. Sono i racconti di guadagni sicuri a convincere Haydar che occorre partire. Convinta sua moglie Meryem e venduto il suo pezzo di terra, l’uomo prende però una decisione: quella di lasciare in patria, alle cure dei suoi genitori, i suoi sette figli. Suo padre lo convince però a portare con sé almeno uno dei suoi figli. I tre partono, così, in cerca di fortuna
Eddy e Osman sono amici e poveri in canna nella Svizzera di fine anni Settanta. Legati per la vita da un debito d’amore, condividono un cortile e l’affanno del futuro. Eddy, uscito da poche ore di prigione, e Osman, separato da troppo tempo dalla moglie, ricoverata in ospedale, progettano allora il colpo della vita. L’affaire con cui risolversi e risolvere la loro sventura. Morto Charlie Chaplin e seppellito a pochi chilometri dalla loro città, pensano di trafugarne la salma e di chiedere il riscatto alla facoltosa famiglia inglese.
Gerda Zangger, Sandra Utzinger, Brigitta Weber, Katalin Liptak, Sarah Bühlmann
Un uomo, una donna e le loro 5 figlie vivono in una baita in un villaggio su una montagna bloccata dalla neve. Una forte fede cattolica e una grande superstizione pervadono la loro vita quotidiana. Alla morte del padre in un incidente, la donna e le figlie ormai adulte sono abbandonate al loro lutto. In un’atmosfera da sogno, compaiono degli uomini-cervo, figure che determinano la durata del lutto.
Scritta dal regista e ambientata a Genova, è una commedia italiana anomala per molti motivi di contenuto e di forma, con una sceneggiatura firmata anche da Doriana Leondeff e Marco Pettenello. Ogni tanto Soldini filma dall’alto, all’altezza delle statue di Garibaldi, Leopardi, Verdi, Da Vinci e altri padri della patria che commentano la vicenda con le voci di Pierfrancesco Favino, Neri Marcorè, Gigio Alberti. Commedia poetica, surreale, con la capacità di riflettere sul nostro tempo: dietro a situazioni che fanno ridere o sorridere, si nascondono verità, spesso spiacevoli. Nello studio di un avvocato dedito al Milan e a manie di grandezza, pieno di clienti e assessori da galera, si trovano e si animano un idraulico con figli e moglie sempre in giro drogata di caffè, e un’artista che non sa come pagare l’affitto. “E poi c’è la cicogna, è lei la leggerezza simbolica, il simbolo positivo di qualcosa che deve nascere” (M. Porro). Soldini mescola con leggerezza i toni dall’amarezza al grottesco e dirige gli attori/complici con brio. Musiche: Banda Osiris. Distribuisce Warner.
Teo è un creativo che lavora presso un’importante agenzia di pubblicità. Ha una relazione con Greta ma non disdegna attenzioni anche nei confronti di un’altra donna. Il suo incontro con Emma, che ha perso la vista in giovane età, ha un matrimonio alle spalle e lavora come osteopata, cambia il suo modo di rapportarsi con l’altro sesso. Allo slancio iniziale debbono però far seguito scelte che non sempre è facile adottare.
Sposati da vent’anni, Michele e Elsa vivono a Genova nel benessere economico e affettivo, appena turbato dai rapporti tesi con la figlia Alice. Lui, imprenditore di brutto carattere, rimane senza lavoro. Aspetta due mesi a dirlo a Elsa per non rovinarle la festa per la laurea in storia dell’arte finalmente raggiunta. Tra un avvio di eccitata esultanza e un finale aperto c’è il doloroso logorio che la vita di coppia subisce in un alternarsi di liti, rabbie, angosce, rinunce, mortificazioni. L’8° lungometraggio di Soldini affronta due temi: l’amore coniugale, arduo da raccontare anche in letteratura, e la perdita del lavoro in un sistema socioeconomico imperniato sul precariato. Scritto con Doriana Leondeff, Francesco Piccolo, Federica Pontremoli, è stilisticamente diverso dai suoi precedenti. La cinepresa sta addosso ai due protagonisti, seguiti con funzionali piani-sequenza (fotografia: Ramiro Civita), accompagnati con ammirevole discrezione dalla musica di Giovanni Venosta. Soldini evita le ripetizioni con la leggerezza dei soprassalti umoristici, le uscite a piedi o in motoretta per la fotogenica Genova, le aperture panoramiche sul golfo. La Buy e Albanese sono eccellenti nel recitare con gli occhi e tutto il corpo. Insolita cura nel disegno dei ruoli minori.
L’8° lungometraggio del milanese Soldini – e il 4° prodotto da Lumière & Co. di Lionello Cerri – ha molti meriti e un problema. È la storia di un adulterio passionale tra Anna, impiegata, e Domenico, cuoco. La relazione si regge su un equilibrio precario. Lui ha moglie e 2 figli piccoli; lei vive col compagno, col mutuo da pagare, è più libera. A un titolo preso da Lucio Battisti si oppone, nel finale, “Que sera sera”. Scritto con Doriana Leondeff e il giovane Angelo Carbone, conferma il coerente talento di Soldini: ritmo narrativo sciolto, attenzione ai particolari, cinepresa addosso agli attori, disegno preciso dei personaggi secondari. C’è anche una Milano come raramente si vede al cinema. Musiche rockeggianti e originali di Giovanni Venosta. E il problema? È il tema dell’adulterio: limitato se non banale. Per esporlo “in modo naturale”, senza ipocrisie si ricorre a 2 scene di sesso in cerca dell’immedesimazione più che dell’erotismo (assente).
Dal romanzo Hier ( Ieri , 1995) di Àgota Kristóf, sceneggiato da Doriana Leondeff col regista. Figlio della prostituta di un villaggio dell’Est europeo, ucciso il padre (così crede), il piccolo Tobias fugge all’Ovest. 20 anni dopo lavora da operaio in una fabbrica di orologi della Svizzera francese, consolato, nella sua grigia routine, dalla scrittura e dall’attesa di Line, la donna che amerà e che cerca in tutte le donne che incontra finché arriva davvero: è la sua sorellastra. È il 6° lungometraggio narrativo di S. Soldini, il primo incentrato su un personaggio maschile, forse il più intenso e lirico, certamente il più ambizioso a livello stilistico, ma irrisolto e diseguale sul piano drammaturgico. Le componenti psicanalitiche della storia sono trascurate o rimosse come nel finale “psicologicamente verosimile, ma concettualmente indifendibile” (V. Buccheri). Si affaccia sul melodramma, ma poi frena e non si abbandona. L’atout del film è la scelta del ceco I. Franek che dà al protagonista un febbricitante tormento. Al suo fascino, anche nelle incursioni oniriche, contribuiscono la fotografia in formato largo di Luca Bigazzi e la musica di Giovanni Venosta ben mixata col suono di François Musy. Girato a La-Chaux-de-Fonds. Le voci italiane dei due protagonisti sono di Fabrizio Gifuni e Licia Maglietta.
Estate in un camping sulle coste del grossetano. Nic, dodici anni, ha un fratello più piccolo, un padre volgare e manesco e una madre sempre sul punto di giungere a una separazione definitiva ma apparentemente incapace di volerla veramente. Marie, coetanea di Nic che vive a Ginevra ma parla bene l’italiano, ha una madre che si ostina a volerle negare tutta la verità sulle sorti di un padre che lei non ha mai conosciuto. I due si incontrano e danno vita a una piccola banda dedita a giochi che spesso riproducono le loro insicurezze. Rolando Colla con questo film sembra essere in ricerca così come i suoi personaggi. Realizza infatti un’opera che prende respiro in progress sia per quanto riguarda la scrittura (anche se alcune battute suonano come poco verosimili) sia per quanto concerne la direzione degli attori. In questo finisce con l’aderire a una vicenda in cui i più giovani si trovano in balia di un mondo adulto incapace di offrire loro certezze.
Ivan, un botanico, attende su una piccola isola della Sicilia l’arrivo di Chiara, una costumista. Lui è il fratello di Richard, lei la migliore amica di Francesca e debbono organizzare il matrimonio dei due. I due sposi sono entrambi ex tossicodipendenti e quel luogo è molto importante per Richard. I problemi non sono pochi perché l’isola ha pochi abitanti e l’albergo e il faro (dove lo sposo vuole trascorrere la prima notte di nozze) non sono nelle migliori condizioni. Ivan e Chiara decidono di impegnarsi perché tutto riesca al meglio mentre tra loro sta nascendo un sentimento da cui è difficile sottrarsi.
Su un treno per Vienna giovane giornalista americano di ritorno a casa incontra studentessa francese che va a Parigi. Le propone di scendere con lui a Vienna e di passare l’ultima notte insieme. Lei accetta. Finale aperto. Un film di parole sullo sfondo di una città: una Vienna che, nonostante le intenzioni, non diventa il terzo personaggio. È, ovviamente, un film di attori: grazioso, ma senza la grazia. A Berlino vinse il 3° premio, quello della regia.
Napoli ai giorni nostri. Giovanna è una donna che lavora nel sociale e che si deve confrontare quotidianamente con le problematiche sociali della città. Il centro che dirige offre un luogo protetto in cui crescere e giocare dopo le ore di attività scolastica a bambini che potrebbero finire precocemente a far parte della manovalanza camorristica. Un giorno Maria, madre di due bambini, chiede e trova rifugio, con il consenso di Giovanna, in un monolocale che appartiene al centro. La quale però non sa che si tratta della giovane moglie di un boss della camorra ricercato per un efferato omicidio.
Secondo film della trilogia di Fontainhas (il terzo è Juventude em marcha) e primo passo verso un cinema sempre meno estetizzante, che qui si immerge – camera e cuore – nelle pieghe dolorose della desolazione delle vite di Vanda e dei suoi vicini.
Disposta su 4 piani temporali – il Medioevo in Georgia; gli anni della rivoluzione bolscevica; quelli dello stalinismo in Russia; il presente a Parigi e in Georgia – dove, in un fitto e fluido intersecarsi, ritornano gli stessi attori-personaggi in panni diversi, questa ilare e nerissima tragicommedia ha per protagonisti gli uomini del potere (re, boiardi, rivoluzionari, uomini della nomenclatura comunista) che oggi si sono trasformati in mafiosi, fanatici nazionalisti, uomini d’affari, insomma briganti che saccheggiano legalmente le ricchezze del Paese. Iosseliani torna in patria, senza staccarsi da Parigi, per regolare i conti con il socialismo reale e, più in generale, con il tempo sporco della Storia. Nelle cadenze dolorose eppure piane e lievi di una parabola che attinge linfa dal realismo fantastico della letteratura russa (Bulgakov più che Gogol), questo suo 7° film è anche il 1° esplicitamente politico, dunque il suo 1° film violento. Il tema centrale è la crudeltà e l’insensatezza del potere, di qualsiasi potere. Cara da sempre al regista, l’idea della ripetitività o della circolarità regge la storia degli uomini (delle crudeltà umane), e lo stesso film. Passano i secoli, gli uomini non cambiano. In questa lezione di storia che è anche una lezione di cinema, conta il mondo, cioè lo stile di Iosseliani: leggerezza, calma, ironia tragica. Conta il suo sguardo. Non più di 200 inquadrature, piane e calcolatissime, senza primi piani, con pochi dialoghi e semplici, grande attenzione ai rumori, alla musica, ai canti. “La vera commedia è sempre fondata sul dolore” (O. Iosseliani). Gran Premio Speciale della giuria a Venezia 1996.
Viavai tra Parigi e un castello dei dintorni dove un nobile ubriacone (O. Iosseliani) passa il tempo a guardare trenini elettrici, mentre la moglie (L. Lavina) fa affari e il figlio Nicolas (N. Tarielashvili), travestito da povero, frequenta a Parigi ladruncoli e vagabondi, impegnato in lavoretti precari. Sotto le apparenze di affollata commedia giocosa in cadenze divertite di balletto (o di giostra?), raccontata con lo sguardo ironico da filosofo stoico e antropologo un po’ svagato, il regista georgiano continua il suo imperterrito discorso sull’assurdità, i meccanismi e i vizi (la cupidigia innanzi tutto) della vita sociale. Film da guardare e da ascoltare (più che cercarne segni, significati, morale), per cavare tutto il piacere di una sapienza combinatoria in cui sfociano varie influenze, da Buñuel a Ophüls. Per Iosseliani spirito (inteso come alcol), spiritoso e spirituale hanno la stessa radice.