La nuova segretaria di Peter Derns non solo è molto sexy ma è anche efficiente, precisa e parecchio ambiziosa, tanto da riuscire in una rapida carriera nell’azienda. Anche troppo rapida (e forse troppo fortunata). Peter, infatti, comincia a sospettare degli “incidenti” che hanno eliminato uno alla volta i vari concorrenti della ragazza.
Howard è un commentatore televisivo con un larghissimo seguito. Il suo indice di gradimento però scende e i capi decidono di licenziarlo. Howard allora dichiara davanti alle telecamere che si ucciderà. Da quel momento ha un successo strepitoso (specie da quando, credendosi direttamente in contatto con Dio, diventa una sorta di profeta trascinatore).Quando il suo indice riprende a scendere, Howard viene ucciso nello studio da un terrorista nero (tutto è organizzato, naturalmente). Nelle pieghe dell’intreccio si muovono i tradizionali personaggi di una grande organizzazione: l’amministratore arrivista, la “creativa” fanatica (fa l’amore bisbigliando indici di gradimento) e il direttore di buon senso. Il tutto in un’atmosfera supernevrotica. Il film ha preso lo spunto da un fatto vero: una donna si era suicidata davanti alla telecamera prima che i tecnici potessero fermarla. Peter Finch e Faye Dunaway hanno ottenuto l’Oscar nel 1977.
Dal romanzo di Thomas Berger, sceneggiato da Calder Willingham: all’età di 121 anni Jack Crabb racconta la sua vita avventurosa nel West; come nel 1859, decenne, fu rapito dai pellerossa con la sorellina e, ritornato giovanotto tra i “visi pallidi”, imparò i principi religiosi da un pastore e il sesso da sua moglie, fino alla sua partecipazione alla battaglia di Little Bighorn. Western anomalo e, in un certo senso, unico, ha qualcosa del racconto filosofico francese del Settecento (non lontano dal Candide di Voltaire) e del romanzo picaresco spagnolo. La smitizzazione del West e dei suoi miti (bianchi) è radicale nella sua continua (e un po’ prolissa) mistura tragicomica; la simpatia per i pellerossa, il rispetto per la loro cultura, la denuncia del loro genocidio non scadono quasi mai nel (melo)dramma didattico. Hoffman allo zenith del suo fregolismo istrionico.
Un ricercatore della CIA è l’unico superstite di una sezione di New York dell’organizzazione, sterminata da un gruppo di sicari. Con l’aiuto di Kathie sfugge agli assassini che lo braccano e scopre che dietro al complotto si nasconde la CIA stessa, un suo settore deviato. Dal romanzo di James Grady I sei giorni del Condor, sceneggiato con brio da Lorenzo Semple Jr. e David Rayfield, è un ottimo film d’azione, sostenuto da una suspense di timbro hitchcockiano, da dialoghi ficcanti e soprattutto da una scrittura registica di ammirevole vigore e rigore che fa passare le inverosimiglianze e i passaggi enigmatici dell’aggrovigliata vicenda. Troppo programmatica la denuncia delle storture della CIA? Dipende dai punti di vista.
Midlothian, Texas, 1931. Bonnie Parker è una cameriera, Clyde Barrow rapina banche. È amore a prima vista ed è l’inizio di una “carriera” criminale che li rende il terrore della polizia e i beniamini della povera gente del Sud degli States.
Los Angeles, 1937: investigatore privato scopre un omicidio collegato a un caso di corruzione pubblica e una terribile e scandalosa vicenda privata. È un film profondamente chandleriano senza Chandler, dunque foscamente romantico. Chandleriano è anche l’umorismo che ne sorregge il pathos nella descrizione di un mondo corrotto non solo politicamente in cui la presenza del male _ incarnato dalvegliardo capitalista J. Huston _ è ossessiva e sinuosa, mostruosamente ambigua. Pur senza abbandonarsi a esercizi di nostalgica archeologia, fece scuola nel campo della rivisitazione del cinema nero. 11 nomination (tra cui J. Nicholson e F. Dunaway) e Oscar per la sceneggiatura di Robert Towne. Seguito da Il grande inganno (1990) di J. Nicholson.
Lo spregiudicato banchiere Thomas Crown, che ha fatto un grosso colpo nella sua stessa banca, viene scoperto da una bella e intelligente detective, con la quale instaura una relazione. La donna vuole però denunciarlo e quando lui, lanciandole una sfida, la informa del luogo dove ha progettato un nuovo colpo, lei avverte la polizia. Ma al posto della refurtiva viene trovato un biglietto con cui Crown…
Vita dura di un emigrato italiano negli anni Venti in Usa. Bandini, muratore, lavora solo nella bella stagione. D’inverno fa fatica a tirare avanti con la sua numerosa famiglia. Una calorosa vedova gli offre lavoro. Ma anche il suo letto.
Dopo il fallimento di una rapina, tre piccoli malviventi sono costretti a nascondersi in un bar di New Orleans, prendendo in ostaggio i clienti. Circondati dalla polizia locale e da quella federale, i gangsters dovranno fare ricorso alla violenza. Esordio alla regia dell’attore Kevin Spacey ( I soliti sospetti, Seven), che si avvale di un cast di prim’ordine.
Un lavoro senza grande spreco di talento né per De Sica né per i suoi attori; solo professionismo. Si racconta l’incontro di July, un’americana condannata da una malattia incurabile, e Valerio. I due trascorrono una breve vacanza in montagna. L’uomo viene a conoscenza del male che minaccia la sua compagna e decide di restarle vicino.
Un ricercatore della CIA è l’unico superstite di una sezione di New York dell’organizzazione, sterminata da un gruppo di sicari. Con l’aiuto di Kathie sfugge agli assassini che lo braccano e scopre che dietro al complotto si nasconde la CIA stessa, un suo settore deviato. Dal romanzo di James Grady I sei giorni del Condor , sceneggiato con brio da Lorenzo Semple Jr. e David Rayfield, è un ottimo film d’azione, sostenuto da una suspense di timbro hitchcockiano, da dialoghi ficcanti e soprattutto da una scrittura registica di ammirevole vigore e rigore che fa passare le inverosimiglianze e i passaggi enigmatici dell’aggrovigliata vicenda. Troppo programmatica la denuncia delle storture della CIA? Dipende dai punti di vista.
La sera dell’inaugurazione, scoppia un incendio in un grattacielo di 138 piani. C’è sotto una squallida speculazione. La tensione dello spettacolo è attutita dalle storie private dei vari protagonisti, un folto cast di buoni attori. Nel filone catastrofico degli anni ’70 è uno dei migliori. Combina le ambizioni (e i costi) spettacolari della serie A con una galleria di personaggi di film della serie B. Oscar per la fotografia (Fred Koenekamp, Joe Biroc) e la canzone. Prodotto dalla Fox e dalla Warner e tratto _ caso raro _ da due romanzi, di Richard Martin Stern, uno, e di Thomas M. Scortia e Frank M. Robinson, l’altro. Sceneggiato da Stirling Stilliphant.
Un giovanotto (J. Depp) di New York è chiamato in Arizona dallo zio Leo (J. Lewis) che vuole insegnargli la fede nei pilastri del modo americano di vivere. Axel, invece, s’innamora di una bizzarra donna matura (F. Dunaway) che potrebbe essere sua madre e di cui condivide il sogno di volare su un velivolo senza motore, e fa amicizia con altri irregolari. Gli hanno rimproverato di essere autoindulgente, prolisso, tedioso, troppo stravagante, troppo originale, ondivago, impervio nel suo onirico surrealismo. L’hanno elogiato quasi per gli stessi motivi, e inoltre per la splendida direzione degli attori (i sorprendenti L. Taylor e V. Gallo, ma anche una Dunaway in gran forma e un Lewis insolito). Morale: se volete vedere qualcosa di diverso, è il film per voi. In un primo tempo distribuito in Italia come Il valzer del pesce freccia senza successo. Rimesso in circolazione nel 1998 col titolo originale.
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