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Regia di Tsui Hark. Un film con Kenny Bee, Sylvia Chang, Sally Yeh, Hsin-kuo Han, Mei-le Ku. Titolo originale: Shanghai zhi yue. Genere: Commedia, Romantico, Musicale, Drammatico. Paese: Hong Kong. Anno: 1984. Durata: 102 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.2/10.

Shanghai, 1937, subito dopo l’occupazione giapponese. Due giovani sconosciuti si incontrano brevemente e per caso, sotto un ponte bombardato, durante una notte di blackout: uno è Tung, un aspirante musicista di campagna, e l’altra è Siu-jeun, una corista affascinata dalla vita di città. I due fanno una promessa romantica: incontrarsi nuovamente sullo stesso ponte al chiaro di luna, ma a causa del caos della guerra e di un’incomprensione, la promessa non viene mantenuta e si perdono di vista. Dieci anni dopo, i tre protagonisti si ritrovano involontariamente a vivere nello stesso appartamento, senza sapere delle loro precedenti connessioni. Tung è ora un compositore di successo, Siu-jeun è una ballerina professionista e si unisce a loro Stinky, una donna eccentrica che vive in un sotterraneo, scatenando una serie di equivoci e triangolazioni sentimentali.

Questo film, diretto dal maestro Tsui Hark, è un’opera atipica e affascinante nel suo corpus filmico, essendo un omaggio nostalgico e stilizzato al musical classico e al romanticismo dell’epoca d’oro di Shanghai. La trama, costruita su coincidenze e malintesi, attinge direttamente alla tradizione della commedia sentimentale, ma viene eseguita con l’energia e la vivacità tipiche del cinema di Hong Kong. La regia è caratterizzata da un uso vivido dei colori e da movimenti di macchina frenetici, specialmente nelle sequenze musicali e nei passaggi di commedia slapstick. Le interpretazioni di Kenny Bee e Sylvia Chang catturano l’innocenza e la frustrazione del romanticismo perduto. Il film è tematicamente incentrato sulla malinconia del tempo che passa, sulla perdita di innocenza causata dalla guerra e sul potere curativo della musica. È considerato un piccolo classico nel suo genere, lodato per la sua abilità nel fondere efficacemente la leggerezza della commedia romantica con un sottotesto drammatico e storico, offrendo un ritratto agrodolce di un’epoca irrimediabilmente perduta.

Locandina Post Mortem

Regia di Pablo Larraín. Un film con Alfredo Castro, Antonia Zegers, Jaime Vadell, Amparo Noguera, Marcelo Alonso. Titolo originale: Post Mortem. Genere: Drammatico, Storico, Thriller, Noir. Paese: Cile, Messico, Germania. Anno: 2010. Durata: 98 min. Consigliato a: da 16 anni. Valutazione IMDb: 6.5/10.

Santiago del Cile, 1973. Mario Cornejo è un dattilografo di mezza età che lavora presso l’Istituto di Medicina Legale, un uomo anonimo e metodico la cui vita è segnata da una profonda solitudine e da un’ossessiva e non corrisposta infatuazione per la sua vicina di casa, Nancy Puelmas, una soubrette di un locale notturno. Mentre le tensioni politiche sfociano nel violento colpo di stato militare guidato da Pinochet contro il governo di Salvador Allende, l’esistenza grigia di Mario viene travolta dagli eventi storici. L’obitorio si riempie in modo drammatico di corpi anonimi e vittime della repressione, e parallelamente Nancy scompare misteriosamente, spingendo Mario in una ricerca disperata che si intreccia con l’orrore politico che dilania il paese.

Il film è la seconda parte della trilogia cilena di Pablo Larraín sulla dittatura, e si distingue per un approccio stilistico glaciale e potentissimo. Larraín adotta un tono quasi clinico e distaccato per raccontare l’indicibile orrore, utilizzando lo sguardo apatico e mediocre di Mario come filtro attraverso cui si manifesta la “banalità del male”. La regia è caratterizzata da una fotografia spenta e granulosa e da inquadrature claustrofobiche in formato panoramico (2.66:1), che accentuano il senso di isolamento e il clima opprimente e paranoico. Alfredo Castro offre un’interpretazione magistrale del protagonista, incarnando un individuo privo di iniziativa morale e di coscienza civica, che assiste passivamente alla catastrofe. Il film non è una narrazione sulla politica in sé, ma un’analisi cruda e disturbante della paura, della collusione silenziosa e di come l’amore e l’ossessione possano corrompersi e deformarsi in un contesto di violenza di Stato. È un’opera audace, lodata per la sua forza d’impatto e il suo ritratto psicologico di un uomo che è un vero e proprio “morto vivente” in un paese che sta morendo.

Regia di James Marshall, Brad Turner, Jesse Warn. Una serie con Austin Butler, Poppy Drayton, Ivana Baquero, Manu Bennett, Aaron Jakubenko. Titolo originale: The Shannara Chronicles. Genere: Fantasy, Avventura, Drammatico, Azione. Paese: Stati Uniti. Anno: 2016-2017. Durata: 42 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7,2/10.

La serie TV è ambientata nelle Quattro Terre, un mondo post-apocalittico in cui la civiltà moderna è stata distrutta dalle Grandi Guerre e la magia è tornata a fiorire, dando origine a Elfi, Gnomi, Troll e Umani. La narrazione prende il via quando l’Eterea, un albero magico che sigilla l’esercito dei demoni, comincia a morire. Il giovane mezzelfo Wil Ohmsford, ultimo discendente della stirpe di Shannara, viene reclutato dal Druido Allanon e affiancato dalla Principessa Elfa Amberle Elessedil, l’unica in grado di piantare un nuovo Eterea, e da Eretria, una nomade con abilità nel combattimento. Insieme, i tre intraprendono una pericolosa missione per salvare il mondo dall’invasione demoniaca.

La serie affronta i temi classici della lotta tra bene e male, del destino, dell’identità e dell’importanza di accettare le proprie responsabilità. L’adattamento, pur discostandosi in parte dal materiale originale di Terry Brooks, è riuscito a creare un mondo visivamente suggestivo, grazie anche alle splendide location neozelandesi. La regia è dinamica e curata, con una notevole attenzione agli effetti speciali e alle scene d’azione, mirando a un pubblico giovane. Tuttavia, la serie a volte scade in cliché da teen drama, alleggerendo la profondità epica del romanzo a favore di intrecci relazionali più giovanili. Nonostante le critiche sulla gestione della trama e un finale prematuro dopo sole due stagioni, The Shannara Chronicles rappresenta uno dei pochi tentativi di portare il high fantasy su MTV, distinguendosi per l’estetica che fonde rovine tecnologiche e ambientazioni medievaleggianti.

Regia di Costa-Gavras. Un film con Yves Montand, Jacques Perrin, Catherine Allégret, Simone Signoret, Michel Piccoli. Titolo originale: Compartiment tueurs. Genere: Poliziesco, Drammatico, Thriller. Paese: Francia. Anno: 1965. Durata: 95 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2.

Sei passeggeri condividono un vagone letto sul treno notturno che collega Marsiglia a Parigi. All’arrivo nella capitale, una donna viene trovata strangolata nel compartimento. L’ispettore Grazziani e il suo assistente iniziano immediatamente a rintracciare gli altri cinque occupanti per interrogarli in qualità di testimoni o possibili sospettati. Tuttavia, la loro indagine è ostacolata da un dettaglio inquietante: uno dopo l’altro, i passeggeri superstiti del compartimento vengono assassinati da un killer misterioso, che sembra muoversi molto più rapidamente della polizia per eliminare ogni potenziale testimone.

Opera prima di Costa-Gavras, noto in seguito per i suoi film politici, questo thriller poliziesco si distingue per un tono agile e un ritmo serrato che si allontana dal tradizionale noir francese dell’epoca. Il film affronta i temi della casualità del crimine e della paranoia crescente in un contesto urbano, ma il suo punto di forza risiede soprattutto nella messa in scena. Costa-Gavras utilizza uno stile visivo notevolmente moderno per il 1965, con un montaggio virtuoso, riprese in esterni che sfruttano la Parigi popolare e sequenze d’azione innovative per l’epoca, che per la loro stilizzazione vengono talvolta accostate al nascente cinema thriller americano. L’interpretazione è sostenuta da un cast corale eccezionale, che mescola grandi star come Yves Montand e Simone Signoret con giovani attori emergenti della Nouvelle Vague, conferendo profondità e carattere anche ai ruoli minori. Il film è un giallo ludico e pieno di suspense che, pur rimanendo nell’ambito del genere, dimostra già il rigore e la competenza tecnica che caratterizzeranno la successiva e più impegnata carriera del regista.

Locandina Assassinio sul Nilo

Regia di John Guillermin. Un film con Peter Ustinov, Jane Birkin, Lois Chiles, Bette Davis, Mia Farrow. Titolo originale: Death on the Nile. Genere: Giallo, Drammatico, Mistero. Paese: Regno Unito, USA. Anno: 1978. Durata: 140 min. Consigliato a: da 12 anni. Valutazione IMDb: 7.3.

L’acclamato investigatore Hercule Poirot, in Egitto per una vacanza, si ritrova coinvolto in un’indagine complicata a bordo del lussuoso piroscafo Karnak, in navigazione sul Nilo. Tra i passeggeri c’è Linnet Ridgeway, un’ereditiera fresca di matrimonio, perseguitata dalla furiosa ex fidanzata del marito, Jacqueline de Bellefort. La tensione raggiunge l’apice quando Linnet viene trovata assassinata. Circondato da un eterogeneo gruppo di sospettati, tutti con potenziali moventi legati a invidia, denaro o passione, Poirot deve usare il suo acume per svelare la verità celata dietro la facciata di eleganza e mistero egiziano.

Questa trasposizione del romanzo di Agatha Christie è considerata una delle migliori, in gran parte grazie alla memorabile interpretazione di Peter Ustinov, al suo debutto nel ruolo di Hercule Poirot, che bilancia perfettamente l’eccentricità del personaggio con la sua acutezza intellettuale. Il film eccelle nell’ambientazione, sfruttando le vere location egiziane (come Abu Simbel e Karnak) che non solo forniscono uno sfondo sontuoso, ma aggiungono autenticità e grandezza all’intrigo. La regia di John Guillermin gestisce con maestria un cast corale di star internazionali, mantenendo un ritmo misurato e attento al dialogo, come si addice al giallo classico. Temi come l’avidità, il potere del denaro e la natura distruttiva della passione sono tessuti abilmente nella trama complessa. Vincitore di un Oscar per i costumi, il film è un esempio impeccabile di cinema d’epoca che ha definito lo standard per le successive produzioni basate sull’opera della Christie.

Regia di James Kent, Charles Sturridge. Una miniserie con Richard Gere, Helen McCrory, Billy Howle, Elena Anaya, Sinéad Cusack. Titolo originale: MotherFatherSon. Genere: Drammatico, Thriller. Paese: Regno Unito. Anno: 2019. Durata: 8 episodi (circa 57 min. cad.). Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2/10.

Max Finch è un potente magnate americano dei media, proprietario di un vasto impero editoriale nel Regno Unito, capace di influenzare la politica nazionale. Suo figlio, Caden Finch, è l’editore del quotidiano di punta del padre, ma vive sotto la schiacciante ombra paterna, manifestando un comportamento autodistruttivo. Kathryn Villiers, la madre di Caden ed ex moglie di Max, è un’ereditiera britannica impegnata nel volontariato, ormai estranea alla vita del marito. La fragile e disfunzionale dinamica familiare viene drammaticamente alterata quando Caden viene colpito da un ictus cerebrale che lo lascia incapace di parlare, rendendolo vulnerabile e portando alla difficile riunione dei tre membri della famiglia.

La miniserie, creata da Tom Rob Smith, è un intenso family drama che si sviluppa con le tinte del thriller psicologico e politico. Al centro della narrazione c’è l’analisi del potere e della sua influenza corrosiva sulle relazioni umane e sulla moralità, con il magnate Max Finch come perfetta incarnazione dell’ambizione sfrenata. La qualità della regia è elevata, sostenuta da una sceneggiatura che sa bilanciare il dramma intimo e le macchinazioni politiche. Le interpretazioni sono eccezionali: Richard Gere offre una performance complessa e sfaccettata, mentre la compianta Helen McCrory brilla nel ruolo dell’ex moglie. Billy Howle è notevole nell’incarnare la fragilità emotiva del figlio. MotherFatherSon si distingue per la sua capacità di utilizzare il contesto politico e mediatico come sfondo per esplorare le dinamiche disfunzionali della famiglia moderna e l’impatto del trauma, risultando un prodotto di grande impatto emotivo e di acuta rilevanza tematica.

Risultato immagini per L'Estate di Davide mazzacurati

Regia di Carlo Mazzacurati. Un film con Stefano Campi, Patrizia Piccinini, Semsudin Mujic, Toni Bertorelli, Silvana De Santis. Genere: Drammatico. Paese: Italia. Anno: 1998. Durata: 95 min. Consigliato a: Da 13 anni. Valutazione IMDb: 7.3.

Davide è un diciannovenne neodiplomato di Torino che, dopo un litigio in famiglia e una vita che gli sta stretta, decide di trascorrere l’estate inaspettatamente dagli zii in Polesine. Lontano dal caos cittadino e dai primi, precari lavoretti, si ritrova in un ambiente provinciale e austero. Qui conosce Patrizia, una donna più grande di lui, sposata, con una vita nascosta e complessa, e Alem, un giovane immigrato bosniaco. L’amicizia con Alem e l’infatuazione per Patrizia lo spingono verso scelte audaci e moralmente ambigue, inclusa una rischiosa operazione legata al traffico di droga, che trasformerà la sua vacanza in un inatteso e amaro percorso di iniziazione.

Il film è un malinconico e dolente racconto di formazione, capace di catturare l’incertezza e la rabbia giovanile sullo sfondo di una provincia apparentemente placida ma in realtà piena di marginalità e compromessi. Mazzacurati dirige con tocco sensibile, utilizzando i paesaggi del Nord-Est, in particolare il Polesine, non come semplice sfondo ma come vero e proprio stato d’animo, quasi pittorico nella sua desolazione. L’interpretazione di Stefano Campi nei panni del protagonista è misurata e credibile, così come quella di Patrizia Piccinini, che tratteggia una figura femminile affascinante e sfuggente. Nonostante l’impianto narrativo classico, il film eccelle nella capacità di fondere il dramma personale con una critica sociale sottile, legata ai temi dell’immigrazione e della piccola criminalità, elementi che ne garantiscono un duraturo valore storico-culturale come opera che indaga le inquietudini della fine del millennio.

Regia di Philippe Garrel. Un film con Louis Garrel, Clotilde Hesme, Julien Lucas, Éric Rulliat. Titolo originale: Les Amants réguliers. Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico. Paese: Francia. Anno: 2005. Durata: 178 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2.

Parigi, 1968-1969. François è un giovane poeta ventenne, parte di un gruppo di amici artisti e intellettuali che vive in una sorta di comune post-sessantottina, discutendo di arte, politica e facendo uso di oppio per evadere dalla disillusione seguita al fallimento degli ideali di Maggio. In questo contesto, François incontra Lilie, una scultrice con un forte impegno politico e operaia, e tra i due nasce una intensa e totalizzante storia d’amore, ambientata in un periodo di transizione tra l’euforia rivoluzionaria e la necessità di affrontare una realtà meno utopica.

Il film affronta con sensibilità e rigore i temi della gioventù perduta, della disillusione politica post-sessantotto e dell’amore come estrema forma di resistenza e rifugio. La regia di Philippe Garrel è essenziale e contemplativa, restituendo con coerenza il clima emotivo dell’epoca. L’uso di un bianco e nero ricercato, a tratti documentaristico, non è solo una scelta stilistica, ma contribuisce a conferire un senso di atemporalità e malinconia poetica, quasi a fissare in un ricordo epico un momento storico e generazionale. La fotografia, premiata a Venezia, è di altissimo livello. Louis Garrel e Clotilde Hesme offrono interpretazioni intense e misurate che incarnano perfettamente lo spirito romantico e ribelle dei loro personaggi. Il film, pur non avendo un impatto commerciale massivo, è un’opera fondamentale per comprendere la poetica di Garrel e come essa si rapporti alla Nouvelle Vague, imponendosi come un lucido e personale bilancio su una stagione della storia francese.

Regia di Mohamed Diab, Justin Benson, Aaron Moorhead. Una serie TV con Oscar Isaac, Ethan Hawke, May Calamawy, Gaspard Ulliel, F. Murray Abraham (voce). Titolo originale: Moon Knight. Genere: Azione, Avventura, Drammatico, Fantastico. Paese: USA. Anno: 2022. Durata: 40-50 min (per episodio). Consigliato a: Da 16 anni. Valutazione IMDb: 7.3.

La miniserie introduce Steven Grant, un mite e impacciato impiegato di un negozio di souvenir londinese con una profonda passione per l’egittologia, afflitto da sonnambulismo e inspiegabili perdite di memoria. Presto scopre di soffrire di disturbo dissociativo dell’identità (DID) e di condividere il proprio corpo con Marc Spector, un cinico ex mercenario che funge da avatar terrestre per Khonshu, il dio egizio della Luna. Quando una minaccia mistica legata al culto della dea Ammit e al suo zelante seguace, Arthur Harrow, emerge, Steven e Marc sono costretti a collaborare e a destreggiarsi tra la realtà e la follia, affrontando una letale battaglia tra potenti divinità egizie.

Moon Knight si distingue all’interno del Marvel Cinematic Universe (MCU) per il suo tono decisamente più cupo e per l’audacia con cui affronta temi psicologici complessi. Il fulcro narrativo risiede nel disturbo dissociativo dell’identità, trattato non come un mero espediente narrativo ma come un elemento centrale che definisce la lotta interiore e l’evoluzione del protagonista. La regia, in particolare negli episodi diretti da Mohamed Diab, si concentra sull’ambientazione e sulle dinamiche culturali egiziane, conferendo alla serie un’estetica unica e un notevole respiro da film d’avventura alla Indiana Jones. L’innovazione principale è l’interpretazione magistrale di Oscar Isaac, che riesce a differenziare in modo convincente le sue molteplici personalità, affiancato da un altrettanto convincente Ethan Hawke nei panni dell’antagonista. Nonostante le convenzioni narrative tipiche dell’MCU nel finale, la serie è stata lodata per il suo coraggio tematico e per aver introdotto un personaggio complesso, spostando l’attenzione dall’azione spettacolare al dramma psicologico.

Regia di Bahman Ghobadi. Un film con Ayoub Ahmadi, Nezhad Ekhtiar-Dini, Amaneh Ekhtiar-Dini, Madi Ekhtiar-Dini, Rojin Younessi. Titolo originale: Zamani barayé masti asbha. Genere: Drammatico. Paese: Iran, Francia. Anno: 2000. Durata: 80 min. Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.3/10.

Nel Kurdistan iraniano, al confine con l’Iraq, una famiglia di cinque fratelli curdi orfani lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile e invernale. Il dodicenne Ayoub, il fratello maggiore, è costretto a diventare il capofamiglia e si cimenta nel rischioso contrabbando attraverso le montagne. Il suo obiettivo primario è quello di racimolare il denaro necessario per una costosa e urgente operazione chirurgica per il fratello minore Madi, affetto da una grave malformazione congenita. La loro esistenza è una quotidiana battaglia contro il gelo, la povertà e il cinismo degli adulti, in un’area dilaniata dai conflitti e dalle difficoltà economiche.

Opera prima del regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi, vincitrice della Caméra d’Or al Festival di Cannes, “Il tempo dei cavalli ubriachi” è un caposaldo del neorealismo contemporaneo. Il film affronta senza filtri il tema della sopravvivenza infantile in un contesto di estrema marginalità e il peso insostenibile delle responsabilità adulte gravanti sulle spalle dei bambini, oltre alla tenace forza dei legami familiari. La regia di Ghobadi è caratterizzata da uno stile crudo, quasi documentaristico, che utilizza attori non professionisti e i luoghi reali del Kurdistan per conferire alla narrazione un’autenticità dolorosa. L’innovazione stilistica risiede proprio in questo rigore formale e nella capacità di evitare ogni compiacimento melodrammatico, mostrando la fatica fisica ed emotiva dei personaggi con una lucidità implacabile. La fotografia, dominata da paesaggi nevosi e desolati, amplifica il senso di isolamento. Il titolo stesso allude all’uso di alcol per spingere i muli e i cavalli a sopportare il gelo e i carichi onerosi, una potente metafora della disperazione che permea la vita in quelle terre. Per la sua intensità, il suo coraggio e il suo impatto umanitario, il film è considerato un’opera fondamentale per comprendere la condizione del popolo curdo e il cinema iraniano di denuncia.

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