La storia vera di Dieter Dengler, pilota della U.S Air Force, americano di origini tedesche, abbattuto e catturato in Laos durante la guerra del Vietnam. Dengler riesce ad ornizzare la sua fuga e quella di un gruppo di prigionieri. Diretto da Werner Herzog, si basa su un suo documentario del 1977, Flucht aos Laos (Little Dieter Needs to Fly).
Nel 1994 una coppia di giovani gemelle viene brutalmente assassinata in un cottage estivo. Le indagini portano a sospettare degli studenti di un vicino college fino a quando un uomo si dichiara colpevole e viene condannato. Venti anni dopo, il caso finisce sulla scrivania del detective Carl Mørck, che si rende subito conto che qualcosa non quadra. Insieme al collega ed amico Assad, Carl inizia ad indagare nuovamente sulla vicenda e, trovando una vecchia chiamata d’emergenza di una ragazza disperata, si rende conto che questa sembri sapere cosa sia accaduto allora. Carl e Assad si mettono così sulle tracce della giovane, scomparsa dai tempi dell’omicidio, ma a tentare di rintracciarla è anche un gruppo di uomini influenti, che faranno di tutto per farla restare in silenzio.
Teheran, 1978: Marjane, otto anni, sogna di essere un profeta che salverà il mondo. Educata da genitori molto moderni e particolarmente legata a sua nonna, segue con trepidazione gli avvenimenti che porteranno alla Rivoluzione e provocheranno la caduta dello Scià. Con l’instaurazione della Repubblica islamica inizia il periodo dei “pasdaran” che controllano i comportamenti e i costumi dei cittadini. Marjane, che deve portare il velo, diventa rivoluzionaria. La guerra contro l’Iraq provoca bombardamenti, privazioni e la sparizione di parenti. La repressione interna diventa ogni giorno più dura e i genitori di Marjane decidono di mandarla a studiare in Austria per proteggerla. A Vienna, Marjane vive a 14 anni la sua seconda “rivoluzione”: l’adolescenza, la libertà, l’amore ma anche l’esilio, la solitudine, la diversità. Sono rari i film di animazione in grado di far percepire al pubblico le difficoltà dell’esistenza di chi li ha ideati. Spesso impegno in difesa dei diritti e qualità grafica non convivono. In questo caso il connubio è perfettamente riuscito. Marjane Satrapi è riuscita a trasformare i quattro volumi di fumetti in cui raccontava, con dolore e ironia, la propria crescita come donna in un Iran in repentina trasformazione e in un’Europa incapace di accogliere veramente il diverso, in un lungometraggio di animazione di qualità.
Michele Apicella, un giovane professore di matematica, si stabilisce nella nuova casa romana, dove fa la conoscenza del vicinato, una coppia alle prese con la routine quotidiana ed un simpatico e maturo amante della vita. Solitario, igienista, ossessivo, la sua passione nel tempo libero è l’osservazione dei comportamenti dei propri amici, in particolare delle coppie, di cui analizza e raccoglie meticolosamente i risultati in uno schedario. Nel frattempo nel nuovo istituto dove va ad insegnare, fa la conoscenza di Bianca, professoressa di francese, con cui tenta una relazione sentimentale.
Un industriale milanese quarantenne, mentre sta recandosi a visitare il figlio in collegio, si imbatte in un gruppo di studenti diretti al mare. L’industriale accetta di accompagnarli e di trascorrere con loro il week-end. Messo alla berlina con una serie di scherzi, si invaghisce di una ragazzina che per qualche momento lo fa illudere di essere di nuovo ventenne. Ma, terminata la giornata festiva, la ragazzina se ne va coi suoi compagni e l’industriale deve rendersi conto che indietro non si torna.
Ne ha viste di cose nella sua vita Bad Blake, cantante country dal passato illustre e il presente affumicato da sigarette e annegato negli alcolici scadenti dei locali di provincia dove si esibisce per pochi spiccioli. Ha visto 4 matrimoni, un pupillo che suonava nella sua band e ora è ricco e famoso ma al quale non intende aprire i concerti, infiniti paesaggi delle praterie texane e un numero impressionante di motel. A 56 anni suonatissimi la sua vita potrebbe finire da un momento all’altro, se non lo stronca prima la salute saranno i debiti, e a lui del resto non sembra importare molto. Almeno finchè non incontra Jean e Buddy.
Attorno a una borsa Louis Vuitton piena di denaro, scoperta casualmente dall’impiegato di un hotel gravato dai debiti, ruota l’interesse di una serie di personaggi: una tenutaria seduttiva e letale, un assassino, un detective con una linea di condotta singolare e altri ancora. Tra doppiogiochismi e inganni a ripetizione, il sangue scorrerà copioso.
Provincia di Piacenza, anni Sessanta. Aldo Braibanti è un intellettuale con un gran seguito tra i giovani, che frequentano la sua “factory” dove si recita, si creano installazioni artistiche, si scrivono poesie. Fra i suoi adepti c’è Riccardo, che sogna di essere apprezzato dal suo maestro ma che da lui riceve solo critiche. Un giorno Riccardo porta con sé il fratello Ettore, che ha scovato una di quelle formiche che Braibanti, anche mirmecologo, colleziona in una teca. E l’intellettuale dimostra subito gratitudine e stima verso quel ragazzo intelligente e gentile. Ma anche un’attrazione, presto reciprocata dal ragazzo, che gli costerà lalibertà e la carriera: perché Braibanti è anche un omosessuale dichiarato.
Nel 1934 un operaio italiano comunista, fuoriuscito in Francia, viene inviato dal Partito _ da cui era stato radiato per deviazionismo _ nell’Italia fascista per prendere contatti con i compagni e, in realtà, usato come esca per stanare un infiltrato. È l’8°, il migliore, il più maturo film di F. Maselli. Raffinata ricostruzione d’epoca, sapiente tensione narrativa (sceneggiatura di Franco Solinas), personaggi credibili. Volonté straordinario con una recitazione ridotta all’osso. Musiche di Giovanna Marini. L’anomalo titolo fu imposto con arroganza padronale dalla RKO americana che pretendeva diritti d’esclusiva su Il sospetto di Hitchcock.
A. (Keitel), regista greco, torna in patria per la prima di un suo film e per cercare tre bobine di un negativo ( Le tessitrici ) impressionato nel 1905 dai fratelli Maniakas, pionieri del cinema, girovaghi nei Balcani. Il suo viaggio di ricerca attraversa Albania, Macedonia, Bulgaria, Romania e approda alla straziata Sarajevo dove l’attende un anziano cinetecario (Josephson). (La parte era destinata a Gian Maria Volonté, morto dopo pochi giorni di riprese.) Capolavoro imperfetto? Nella malinconica liturgia solenne del suo cinema di riflessione sulla Storia le pagine opache non mancano, ma le pagine riuscite sono di alto livello, e più numerose. Scritto con Tonino Guerra e Petros Markartis, il 10° film di T. Anghelopulos conferma che questo regista isolato, peculiare e inimitabile è uno dei pochi cui si può attribuire la qualifica di “europeo”: il suo è “un invito alla ragione (non alla ragion di Stato), di cui abbiamo bisogno perché il relativo sonno non generi altri goyeschi mostri” (L. Pellizzari). Non c’è ritorno a Itaca per il suo Ulisse: l’epica sfocia in tragedia. Lo sguardo innocente dei pionieri del cinema è perduto per sempre. Gran Premio della Giuria a Cannes 1995 quando la Palma d’oro toccò a Underground di Kusturica, come dire l’Odissea e l’Iliade di questa fine di secolo.
Momoko fila su un motorino per le campagne giapponesi quando è travolta e sbalzata a un incrocio. Rivive così a flashback tutta la sua vita. L’incontro con Ichigo, una coetanea motociclista dai modi rozzi, segna in modo significativo la sua esistenza. Le 2 ragazze, diametralmente opposte per carattere e stili di vita, si ritrovano coinvolte a piccoli passi in un’amicizia che rivela la loro forza o fragilità interiore a dispetto delle apparenze: delle vere e proprie kamikaze dei sentimenti, come suggerito dal titolo internazionale. La semplicità della trama si contrappone a uno stile pop colorato e ricco di riferimenti al background iconico giapponese. Inserti manga e scritte da videoclip non sminuiscono l’attenzione di Tetsuya per i sentimenti.
Dal romanzo Build My Gallows High di Geoffrey Homes. Il passato ritorna nella vita di un detective privato, ritiratosi in provincia, quando il suo losco ex datore di lavoro e la sua ex amante gli fanno un’offerta che non può rifiutare, coinvolgendolo in una trappola mortale. Uno dei vertici del cinema noir: fatalismo tragico, impotenza dell’individuo, rapporto avvelenato tra passato e presente, la figura della dark lady (J. Greer). Scritto da Daniel Mainwaring, il labirintico intrigo è messo in immagini da J. Tourneur con stringata intensità. 1° film di R. Mitchum come protagonista, funzionale fotografia di Nicolas Musuraca. La RAI ha restaurato l’edizione distribuita sul mercato italiano, lasciando in inglese le scene tagliate. Esiste anche in versione colorizzata. Insignificante remake diretto da Taylor Hackford: Due vite in gioco (1984). Altro titolo italiano: La banda degli implacabili .
The Fall arriva con un titolo pre-credito che afferma che è presentato da David Fincher e Spike Jonze, presumibilmente compagni del regista e co-sceneggiatore Tarsem Singh (accreditato solo come Tarsem) dal mondo degli spot pubblicitari e dei video musicali. Laddove i suoi mecenati hanno entrambi sviluppato una comprensione flessibile e sfumata della narrativa, Tarsem sembra essere rimasto interessato solo alla creazione di immagini per i propri fini. Non c’è mai la sensazione che “The Fall” esista per nessun motivo oltre a essere semplicemente qualcosa di carino da guardare. Eppure, non importa quanto possa essere bello un film, se induce il sonno come questo, semplicemente non ha senso. Nella Los Angeles del 1915, uno stuntman (Lee Pace) è paralizzato e passa il tempo in ospedale raccontando una storia improvvisata a una ragazzina immigrata (Catinca Untaru) con un braccio rotto. Quindi c’è una storia, e una storia nella storia, mentre spingono e tirano tra fantasia e realtà. O qualcosa di simile. Il retroscena di “The Fall” sembra molto più interessante e ha un peso più drammatico di quello che ci resta da guardare. Il film è stato girato nell’arco di quattro anni in 18 paesi e in effetti include una serie piuttosto unica di straordinarie architetture esistenti, set prefabbricati che probabilmente non potrebbero mai essere immaginati, figuriamoci costruiti con qualsiasi tipo di budget ragionevole. Tarsem sottolinea il film con livelli di pretenziosità davvero odiosi che insistono sul fatto che le belle immagini abbiano un significato con la M maiuscola, il che mette solo in netto rilievo quanto sia davvero un esercizio vuoto. Come De Chirico su MTV negli anni ’80, le sue idee su ciò che costituisce “artistico” – per lo più composto da slo-mo, tableau framing, strani costumi ed esotismo romanzato – sembrano nel migliore dei casi racchiuse nell’ambra e nel peggiore dei casi completamente regressive. Per essere un film che vuole presentarsi come stravagantemente abbagliante, c’è qualcosa di incredibilmente familiare e blando nella sua visione.
Sagacemente romanzata da Franco Solinas, è la storia vera di Anthony Mitrione (Philip M. Santore nel film), agente della CIA con copertura umanitaria, sequestrato dai Tupamaros nell’Uruguay del 1970. Spettacolare, efficace, ma con un certo rigore ideologico. Dopo la Grecia dei colonnelli e le purghe staliniane in Cecoslovacchia, Costa-Gavras mette sotto accusa le ingerenze degli Stati Uniti nella politica sudamericana. C’è un Montand intenso, nonostante sia impiegato in un ruolo negativo. Girato in Cile (di Allende). Palma d’oro a Cannes ex aequo con Yol di Güney.
A metà degli anni ’30 a New York, durante la veglia funebre, i fratelli Ray e Chez Tempio decidono di vendicare l’assassinio del più giovane Johnny. Più che un mafia movie, è una tragedia morale mimetizzata da film gangsteristico che fa irrompere il “sacro” (l’esistenza di Dio e quella del Male, l’etica cristiana, il libero arbitrio, la vendetta, il perdono, la carità) nei codici di un genere cinematografico. Scritto dal geniale Nicholas St. John, abituale collaboratore di Ferrara, e fotografato da Ken Kelsh su due tonalità dominanti (nero, verde), si conclude con una strage che l’avvicina ai massacri del teatro elisabettiano. Una delle novità del film che ha poco da spartire con quelli analoghi di Coppola e Scorsese, è il ruolo positivo, antagonistico e rivelatorio delle mogli. Passa attraverso loro la critica laica (o protestante?) al familismo amorale di fondo cattolico/mediterraneo che è alla radice del costume e della mentalità mafiosa. Straordinaria compagnia di attori. Coppa Volpi a Venezia per C. Penn.
Julien e Sophie sono amici dall’età di 8 anni. Crescono, volendosi bene e cimentandosi in giochi e sfide continue al mondo degli adulti. Passano gli anni. Julien ha moglie e due figli; Sophie è sposata a un calciatore. Finale a sorpresa con cemento. Insolita commedia romantica, con venature di allegro cinismo e uno spolvero fiabesco. Rivela nella regia di Y. Samuell (anche sceneggiatore con Jackie Cuckier ed Equinoxe) “un gusto particolare per le forzature antirealistiche e per l’esasperazione dei colori” (M. Calderale). A sorpresa, per un film a basso costo, successo di pubblico in Francia e Belgio. felici e, pagando il giusto debito al sempiterno Amelie, arricchisce una trama altrimenti banale con una lunga serie di visioni, effetti speciali e follie digitali che permettono alla pellicola di non adagiarsi.
Per aggiudicarsi il titolo di Lord, simpatico mascalzone deve sbarazzarsi di otto consanguinei concorrenti. Ottenuto lo scopo e vicino a un ricco matrimonio, è condannato a morte per un delitto che non ha commesso. Graziato, commette un errore fatale. Dal romanzo di Roy Horniman, un classico della commedia britannica postbellica e un gioiello satirico di umor nero. Un po’ datato, ma come un mobile antico. A. Guinness in 8 parti.
Come S. Frears e il suo sceneggiatore Peter Morgan hanno salvato la regina Elisabetta II (e un po’ anche Tony Blair) quando, nell’agosto 1997, la famiglia reale attraversò un grave momento nella settimana seguente alla morte della principessa Diana. Erano così imbalsamati nella tradizione da non voler rompere con il protocollo nemmeno in quella situazione di lutto popolare. Sostenuto da una maniacale attenzione ai dettagli e da un puntiglioso lavoro di documentazione, convincente negli inevitabili passaggi inventati sui retroscena, il film riesce a essere divertente, persino commovente, ma anche puntuto e perfido con intelligenza, con azzeccati inserti di filmati di repertorio. Frears lavora con la maestria di un grande direttore d’orchestra. Attrice versatile che recita di fino – specialista in regine (Cleopatra a 18 anni in teatro; Queen Charlotte in La pazzia di re Giorgio con premio a Cannes; Elisabetta I nel 2004 in una miniserie TV HBO con un premio Emmy) – H. Mirren vinse con merito l’Oscar e la Coppa Volpi a Venezia 2006 dove fu premiata anche la sceneggiatura. Nel 2003 M. Sheen interpretò Tony Blair nel film TV The Deal della coppia Morgan/Frears.
Bizzarro film, tratto da un dramma (1925) di Noël Coward da cui Hitchcock fu costretto a cavare Fragile virtù (1927), uno dei suoi film muti peggiori. Tornato al lavoro 10 anni dopo un incidente sciatorio che quasi gli costò la vita, l’australiano Elliott l’ha sceneggiato con Sheridan Robbins, riscrivendo Coward da capo a piedi. Agli inizi degli anni ’30 John Whittaker, unico figlio maschio di una nobile e dissestata famiglia molto british, sposa a Parigi l’americana Larita. Rientra a casa con lei e Larita deve fare i conti con la suocera che la odia, ma conquista le simpatie del suocero, di una giovane cognata e del maggiordomo. Da un dramma dai risvolti leggeri, Elliott ha tratto una commedia dalle pieghe dolenti. “Lo humour è una spezia, ma non una salsa”, è la sua parola d’ordine. Definisce lo stile del film, più complesso e grave nella tematica di quel che sembra, ma condotto con una leggerezza energica che comprende persino parentesi musicali. Fotografia, scene, costumi, musiche di prim’ordine, ben recitato, soprattutto da Firth, reduce dalla Grande Guerra di cui è vittima come gli altri familiari, compresa l’odiosa consorte, ma il più disperato. Sua nuora lo riporta alla vita.