I protagonisti sono una coppia di violinisti, Marta (Nilsson) e Stig (Stig Olin) la cui relazione è nata nei ranghi dell’orchestra filarmonica di Helsingborg diretta da Sönderby (Victor Sjöström). Il film è essenzialmente basato sul contrasto tra la sublimità della musica apportatrice di gioia (l'”Inno alla gioia” di Beethoven ne è la colona sonora) e la pochezza delle vicenda umana apportatrice di dolore e miseria.
Nell’ottobre del 1925, all’interno dell’ospedale psichaitrico di Uppsala in Svezia, lo zio Carl (figura nota nella filmografia di Bergman) si propone di girare il primo film sonoro nella storia del cinema dedicato agli ultimi giorni della vita di Schubert e intitolato «La gioia della ragazza gioiosa». Carl è im manicomio perché accusato di aver tentato di uccidere la moglie. Il progetto piace al Professor Vogler, anch’egli internato, che decide di investirci. Si inizia così, tra le mura del manicomio, a girare il film. Tra un ciak e l’altro, si fa notare la presenza di un enigmatico clown vestito di bianco, una donna di nome Rigmor. Penultimo film di Bergman è come sospeso tra realtà e finzione/allucinazione con passaggi repentinei dall’una all’altra.
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Regia di Ingmar Bergman. Un film con Harriet Andersson, Lars Ekborg, Dagmar Ebbesen, Åke Fridell. Titolo originale: Sommaren med Monika. Genere: Drammatico, Romantico. Paese: Svezia. Anno: 1953. Durata: 96 min. Consigliato a: Per amanti del cinema d’autore, da 16 anni. Valutazione IMDb: 7.4/10.
Harry, un giovane impiegato in un’azienda di stoviglie, si innamora di Monika, una ragazza ribelle e spensierata che lavora in un negozio di verdure. Entrambi insoddisfatti delle loro vite monotone e delle loro famiglie opprimenti, decidono di fuggire insieme a bordo della barca del padre di Harry per trascorrere un’estate idilliaca su un’isola isolata dell’arcipelago di Stoccolma. La loro fuga d’amore li porta a vivere un periodo di libertà e passione, lontano dalle convenzioni sociali. Tuttavia, l’arrivo dell’autunno e la realtà delle responsabilità imminenti li costringeranno a confrontarsi con le dure verità della vita adulta.
“Una vampata d’amore” di Ingmar Bergman è un’opera giovanile ma già profondamente rivelatrice del genio del regista svedese, che qui esplora con una crudezza e un realismo sorprendenti le illusioni e le disillusione della giovinezza. Harriet Andersson, nel ruolo di Monika, offre una performance indimenticabile, incarnando una figura femminile complessa e sfrontata, ben oltre i cliché dell’epoca. La sua interazione diretta con la macchina da presa in alcune sequenze è rivoluzionaria e di forte impatto. Bergman non addolcisce la pillola, mostrando le conseguenze inevitabili di scelte impulsive e la difficoltà di mantenere intatta la purezza di un sogno di fronte alla quotidianità. Questo film non è solo una storia d’amore, ma un ritratto amaro della fine dell’innocenza e delle difficoltà intrinseche nella costruzione di una relazione, un’opera pregevole che segna un passo importante nella filmografia del maestro.
Regia di Ingmar Bergman. Un film con Eva Dahlbeck, Gunnar Björnstrand, Yvonne Lombard, Harriet Andersson. Titolo originale: En lektion i kärlek. Genere: Commedia. Paese: Svezia. Anno: 1954. Durata: 96 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.2.
Il ginecologo David Erneman e sua moglie Marianne vivono una crisi matrimoniale dopo quindici anni di matrimonio. David, stanco della routine, ha una relazione con una sua paziente, Suzanne, mentre Marianne, decisa a riconquistare il marito, decide di recarsi a Copenaghen dove anche David si sta recando per incontrare la sua amante. Tra malintesi, gelosie e confronti esilaranti, i due coniugi si ritrovano a fare i conti con i loro sentimenti, in un tentativo di riscoprire il significato dell’amore e del matrimonio.
“Una lezione d’amore” è una delle rare incursioni di Ingmar Bergman nel genere della commedia, e si rivela un’opera sorprendentemente leggera e divertente, pur non rinunciando alla profondità psicologica che caratterizza il suo cinema. Il film è un’analisi arguta e a tratti cinica delle dinamiche di coppia, dei tradimenti e delle riconciliazioni, il tutto condito da dialoghi brillanti e situazioni comiche che alleggeriscono la tematica. Le interpretazioni di Eva Dahlbeck e Gunnar Björnstrand sono eccezionali, capaci di rendere con grande maestria le sfumature di personaggi complessi e credibili. Un Bergman insolito ma altrettanto affascinante, che dimostra la sua versatilità nel trattare il tema dell’amore con intelligenza e umorismo.
Una ballerina dell’Opera di Stoccolma, rievoca tredici anni dopo un’estate felice al mare con uno studente che morì tragicamente. Il suo blocco emotivo si scioglie quando decide di accettare un nuovo amore. 10° film di Bergman, il più risolto del primo periodo: gli aprì la via al successo internazionale. Malinconia struggente nel mito di un’estate irripetibile, caducità dell’adolescenza, erotismo lirico, polemici accenti contro la divinità: il giovane Bergman mette il suo cuore a nudo. Scritto con Herbert Grevenius. Splendido bianconero di Gunnar Fischer, musiche di Chopin e &8 iajkovskij. Titolo originale: Giochi d’estate.
Film a episodi della Svensk che reclutò 9 registi. Tema fisso: quali sono le cose più stimolanti per vincere la noia esistenziale? Chi sceglie lo sport, il sesso, l’emozione artistica. Per Bergman è il bambino, stimolo a vivere e presenza d’amore: in Daniel _ girato tra il ’63 e il ’65 _ si dedica a Daniel Sebastian, nato nel 1962 dalla pianista Käbi Laretei, 4ª moglie e sua collaboratrice per anni, anche dopo il 4° divorzio. Come gli altri registi, compare di persona sullo schermo, dicendo che, mentre gira un film, pensa al modo con cui il figlio lo vedrà e lo capirà. L’episodio (11 minuti) consiste in frammenti di filmetti familiari in Super8 da lui girati. Dà l’impressione di voler fare qualcosa di diverso dai film dei colleghi, realizzati con attori professionisti (in quello di Abramson recita Ingrid Bergman). Distribuito anche in Italia nel 1967.
Un professore di latino (Järrel), detto Caligola, terrorizza gli studenti e, anche pervertito, ossessiona un’allieva (Zetterling) provocandone la morte per crisi cardiaca. Un compagno della ragazza (Kjellin) lo affronta. Scritto dal venticinquenne Ingmar Bergman, è un cupo e soffocante dramma psicologico in un linguaggio di taglio espressionista. Fece conoscere in Europa A. Sjöberg, rinomato regista teatrale che al cinema diede il meglio di sé nel dopoguerra. Nel 1946 a Cannes il film ebbe il premio internazionale della giuria.
Fredrik Engeman, avvocato, ha una sposa molto giovane, Anne, ed è geloso del nipote che si chiama come lui. Va a cercare consiglio dall’attrice Desirée che è stata una sua vecchia passione e in qualche misura lo è ancora.Viene sorpreso di notte a casa della donna dal suo amante, il dragone conte Malcom la cui moglie, consapevole del tradimento, andrà a riferire tutto ad Anne. Ancora una volta Bergman ci conferma la propria convinzione che l’universo femminile sia molti passi più avanti rispetto a quello degli uomini che sono invece convinti di avere in mano le sorti dell’universo. È infatti Desirèe (non a caso un’attrice) che conduce le danze in una vicenda a cui si possono attribuire innumerevoli paternità illustri. Perché in questa occasione il piacere della scrittura è rinvenibile nella tessitura di rimandi colti da cui far emergere un simbolismo che lo stesso Bergman non riteneva rigidamente decodificabile. Il gioco delle coppie e delle disillusioni resta però intatto anche se declinato diversamente. Desirèe, mentre è impegnata sul palcoscenico, ci ricorda che: “L’amore è come un giocoliere con tre clave: cuore, parole, sesso. È molto facile giocare con le tre clave ma è anche molto facile farne cadere una per terra.” Il tono lieve e un bianco e nero di grande effetto alleggeriscono anche l’impianto teatrale del film ma non intendono affatto nascondere il desiderio di riflettere sulla fragilità dei sentimenti amorosi e sulla solitudine che spesso ne deriva. Con la morte che continua ad essere presente, magari anche solo nell’immagine di un orologio con carillon.
Una fotografa, accompagnata da una modella, parte per una città dove risiede un uomo sposato di cui si è innamorata. I due amanti s’incontrano, ma, dopo che la donna ha avuto un colloquio con la moglie di lui, troncheranno la loro relazione. La modella, intanto, ha conosciuto un distinto signore di una certa età; però anche lei l’abbandonerà dopo aver parlato con l’avida figlia di costui.
Dopo aver sacrificato la famiglia alla carriera, una celebre pianista torna a casa e si misura con la maggiore delle due figlie che è afflitta dal complesso di Elettra. Sonata non sinfonica, ma incompiuta. Nonostante la bravura delle due interpreti (lode speciale per L. Ullmann), intorno allo straziante nucleo centrale il contesto è approssimativo e lacunoso. C’è, forse, più astuzia drammatica che vera ispirazione con il sospetto di un manierismo di alta scuola. “Un critico francese scrisse con acutezza che Bergman ha fatto un film alla Bergman. È ben formulato, ma seccante. E penso che corrisponda al vero” (I. Bergman). È il solo film in cui Ingrid lavorò con Ingmar.