Un film di Jan Kadar, Elmar Klos. Con Ida Kaminska, Josef Kroner Titolo originale Obchod na korze. Drammatico, b/n durata 128 min. – Cecoslovacchia 1965. MYMONETRO Il negozio al corso valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dramma della paura. Siamo nella Praga occupata dai nazisti e un uomo timoroso di tutto è pagato per gestire un negozio sulla strada principale e custodire la proprietaria, una vecchia ebrea malandata in salute. Per un caso disgraziato la vecchia muore e il protagonista quasi impazzisce nel timore di venire accusato della sua dipartita.
Di questo bio-pic-mélo su Edith Piaf anche i critici più severi hanno dovuto elogiare l’interpretazione della Cotillard, anzi la sua immedesimazione in un personaggio che passa dalla giovinezza alla maturità sino allo sfacelo fisico (artrosi, alcol, morfina) dei suoi 48 anni, e il modo con cui irradia la sua voce, cavata dalle incisioni originali della cantante. È ingeneroso, però, negare altri meriti al film di Dahan. Anzitutto la costruzione narrativa (montaggio: Richard Marizy che in parte modifica la sceneggiatura di Dahan e Isabelle Sobelman), che ne fa un esemplare racconto della memoria. Non mancano le cadute nell’apologia e nell’aneddotica cronachistica, ma la compresenza dei temi è la cifra di una vita eccessiva, spesa senza risparmio o di un destino che “se riletto alla luce di un testo come ‘Je ne regrette rien’ (diventa) un inno tragico alla vita in ogni sua epoca” (C. Pardi Vasic). 2 Oscar: attrice (Cotillard) e trucco (D. Lavargue, J. Archibald).
Danimarca, seconda metà del XVIII secolo. Il re 17enne Christian VII sposa la cugina Carolina Matilde, sorella di Giorgio III. Il giovane monarca ha problemi di ordine psicologico (e sessuale) e il vero potere è appannaggio dei conservatori del Consiglio di corte. Arriva Johann Friedrich Struensee, medico personale del re e convinto assertore dei valori dell’Illuminismo, lassù assolutamente invisi. Da un lato aiuta il re a trovare maggiore equilibrio ma dall’altro lo influenza, diventando il reggente e intrecciando una relazione con la trascurata regina. Ritratto storicamente accurato e spettacolarmente avvincente che non riesce a catturare l’attenzione del pubblico italiano. Racconta un momento della storia danese conosciuto solo in patria. Nominato miglior film straniero agli Oscar e al Golden Globe, premiato al Festival di Berlino per la miglior sceneggiatura e il miglior attore (Følsgaard). Distribuito da Academy 2.
A Parigi, durante i festeggiamenti per l’esposizione universale del 1889, cinque ragazzini si impadroniscono del favoloso vascello volante costruito dal professor Findeis e dopo aver sorvolato l’Europa atterrano su un’isola sconosciuta la cui strana geografia ricorda la forma di una farfalla. Inseguiti da alcune spie che vogliono rubare l’avveniristico dirigibile per usarlo come arma da guerra. Zeman costruisce una nuova piacevolissima avventura per ragazzi ispirandosi liberamente alle pagine di Jules Verne. Gli attori in carne ed ossa si muovono su sfondi dipinti con lo stile delle incisioni di fine ‘800. Il racconto del viaggio sullo straordinario dirigibile suggerisce un elementare itinerario dei piccoli protagonisti verso una nuova consapevolezza: un percorso che inizia dalle meraviglie e dai sogni spensierati dell’infanzia e che si conclude con una raggiunta maturità, tracciato con impareggiabile gusto da un mago della cinematografia cecoslovacca. Conosciuto negli USA con i titoli: The Stolen Airship, The Stolen Balloon, Two Years Vacation, Two Year’s Holiday.In Italia ha come titolo alternativo Il dirigibile rubato.
Un film di Karel Zeman. Con Lubor Takos, Arnost Navratil, Miloslav Holub, Miroslav Holub, Jana Zatloukalovai, Lubor Tokos, Frantisek Cerny Titolo originale Vynález Skázy.Fantastico, b/n durata 85 min. – Cecoslovacchia 1957. MYMONETRO La diabolica invenzione valutazione media: 3,53 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari
La vicenda narrati svolge alla fine del diciannovesimo secolo: l’inventore Roch e il suo assistente Hart sviluppano un esplosivo così potente da sostituire l’energia ottenuta da petrolio e carbone. Il conte Artigas cerca di impadronirsi del materiale e rapisce i due rinchiudendoli all’interno di un’isola vulcanica. Karel Zeman, regista cecoslovacco e massimo esponente del genere d’animazione europeo negli anni Quaranta e Cinquanta, crea un film visionario ispirato a un romanzo di Jules Verne, “Face au Drapeau” scritto nel 1896. La diabolica invenzione costituisce una prova di grande tecnica cinematografica, nella quale attori in carne e ossa si muovono all’interno di scenografie ispirate alle incisioni di Rion e Benett, illustratori delle prime edizioni dell’autore francese. Retini e filtri sono adoperati per rendere le immagini granulate e per suggerire l’impressione di zincografie. L’effetto è quello di una patina antica e preziosa che va a stendersi su uomini, oggetti e ambienti, restituendo l’aspetto favolistico del racconto. I personaggi sono tratteggiati con tocchi essenziali: un mite scienziato che paradossalmente realizza un’arma distruttiva, un cattivo mascherato da buone intenzioni, un giovane eroe idealista e romantico. Protagonisti, che si ritrovano coinvolti all’improvviso in un avventuroso viaggio all’interno di un piccolo regno. La stessa esperienza per certi versi, onirica e sensoriale, che cattura piacevolmente lo spettatore.
A Praga, durante l’occupazione tedesca, l’impiegato del crematorio cittadino Kopfrkingl diventa un sostenitore così entusiasta dell’ideologia nazista che, tenero dispensiere di eutanasia, uccide la moglie e i figli in quanto portatori di sangue ebreo e poi accetta la direzione dei forni crematori del lager. Dal romanzo Il bruciacadaveri (1967) di Ladislav Fuks, che l’ha adattato con Herz. Chi è il signor Kopfrkingl? “Un benpensante e ipocrita cerimoniere, uno schizoide impigliato nelle consuetudini di un macabro rituale, un saccente becchino-filantropo…” (A.M. Ripellino). Non è un paranoico, un caso isolato. Il discorso del film è che il fascismo fa parte della cultura e dei valori della borghesia cui appartiene. Herz lo espone con un distacco impregnato di umorismo sottile, con una drammaturgia orizzontale che non produce un crescendo emotivo, ma una continua tensione intellettuale.
Si tratta di un film sull’amore tra ciechi. L’amore può essere dolce, addirittura “cieco”. Trovare il proprio posto nel mondo non è facile per chi ci vede bene, ma è molto più difficile per chi non vede affatto. La percezione del mondo delle persone non vedenti è spesso più essenziale ed intuitiva. Tuttavia, proprio questa percezione, può far scoprire una nuova dimensione della felicità.
In Cecoslovacchia durante la guerra, un adolescente viene assunto come vice aiuto-capostazione. Nonostante i terribili avvenimenti, il ragazzo pensa più che altro all’amore. L’iniziazione sessuale avviene con una bella partigiana che sta preparando un sabotaggio. Trascinato dall’entusiasmo, il giovane partecipa all’azione. E muore nell’impresa.
L’adolescente Valérie è orfana e vive con la nonna. Ha un unico amico, Orlik: quando non è con lui, passa il tempo a fantasticare. Ha anche i primi turbamenti sessuali, le prime curiosità: nei suoi sogni si vede aggredita da maniaci ed è in costante pericolo.
Tormentato a seguito dell’improvvisa morte della madre, Jean Berlot è un uomo solo, continuamente perseguitato dalle allucinazioni e profondamente disturbato. Durante i preparativi per il funerale della cara defunta, Jean fa amicizia con un marchese che lo esorta a trascorrere un po’ di tempo nella sua tenuta per superare le sue frequenti crisi. Qui però verrà involontariamente coinvolto in una messa nera e nelle abitudini dissolute del marchese. Portato in un sanatorio gestito dal Dr. Murlloppe che lo invita a provare una terapia preventiva, Jean s’innamorerà di una bella infermiera di nome Charlota che gli rivelerà di lavorare presso l’ospedale contro la sua volontà e che il vero direttore e il personale sono rinchiusi in un seminterrato…
I coniugi Horak sono dolorosamente rassegnati a non avere figli naturali. Un giorno il signor Horak decide di estirpare un tronco d’albero che sembra avere la forma di un bimbo. Dopo averlo lavorato, la somiglianza diviene ancora più perfetta e grazie all’amore della signora Horak il pezzo di legno finalmente prende vita: il suo appetito è molto maggiore di quello di un bambino normale.
Questa versione del Faust (il racconto popolare tedesco divenuto celebre nell’opera omonima di Goethe) è sviluppato in chiave moderna e surrealista (corrente a cui Švankmajer dichiaramente aderisce) risulta sublime nella sua realizzazione. Sfruttando le tecniche della stop-motion e della clay-motion, ed alternandole a riprese ordinarie in 4:3, il regista e sceneggiatore ceco costruisce una narrazione non lineare in cui si racconta, in chiave moderna e con le dovute variazioni sul tema, la storia di un Doktor Faust dei giorni nostri, ossessionato da una conoscenza che non sa più spingere oltre, e che arriva ad un patto con Mefistofele per tentare di soddisfare.
Alice è una bambina che immagina di lanciare sassi sulla riva di un fiume ma che, in realtà, vive in vecchio condominio circondata da bambole decrepite, cianfrusaglie scrostate ed animali imbalsamati. Quando un coniglio impagliato, all’improvviso, si anima fuggendo dalla teca di vetro nella quale era rinchiuso, Alice lo insegue a perdifiato, non esitando ad infilarsi all’interno del cassetto di una scrivania pur di raggiungerlo. Comincia così quest’opera monumentale del maestro Jan Svankmajer, forse l’ultimo vero surrealista ancora vivente in Europa, purtroppo ancora troppo poco conosciuto dal grande pubblico.
In un piccolo pub le sedie sono alzate sopra i tavoli. Il locale è chiuso, non ci sono clienti ma sei attori dilettanti che si sono incontrati per provare “The Insect Play”, un’opera dei fratelli ?apek. Mentre le prove procedono, avvengono alcune inquietanti trasformazioni.
Un film di Gustav Machaty. Con Hedy Lamarr, Zvonimìr Rogoz, Aribert Mog Titolo originale Extase. Drammatico, b/n durata 85 min. – Cecoslovacchia 1933. MYMONETRO Estasi valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
E’ la semplice storia d’amore, con risvolti freudiani, di una giovane sposa il cui desiderio d’amore inappagato porterà lei al tradimento e il marito impotente al suicidio. Il principale ruolo femminile fu affidato all’allora giovane Hedy Lamarr, che fece grande scalpore girando nuda una lunga sequenza.
Il fiume Inguri segna il confine naturale tra la Georgia e la Repubblica di Abkhazia. I secessionisti hanno reclamato questa porzione del paese, cacciando brutalmente i georgiani che la abitavano. Proprio lungo questa tormentata frontiera, in primavera, lo scioglimento del ghiaccio dà vita a piccole isole itineranti, che si fanno e si disfano a seconda delle stagioni e dei capricci della natura. Un vecchio contadino e sua nipote adolescente si installano in questa terra di nessuno, costruendo una precaria baracca di legno, per coltivarvi il necessario per sopravvivere al rigido inverno. Quando sull’isola compare un ribelle ferito, il già fragile equilibrio di questa insolita coppia si spezza pericolosamente. Quello diretto dal georgiano George Ovashvili è un film che indaga tra le pieghe dei conflitti. In primo luogo, il difficile rapporto tra uomo e natura, cristallizzato nel tentativo ancestrale di dominare, a mani nude, un ambiente riottoso, pronto a sottrarre con violenza ciò che un attimo prima aveva dato. In seconda battuta, c’è la lotta fratricida tra due popoli, che si manifesta nella presenza dei soldati georgiani che pattugliano il confine con le loro barchette, alla ricerca dei ribelli. Sopraggiungono molesti, così come il rumore degli spari nella notte, a turbare la quiete della vita del contadino, scandita solo dai ritmi di un lavoro paziente, in balia della natura. Il terzo contrasto, non meno importante, è quello tra la prudente saggezza dell’uomo anziano e l’incosciente desiderio di emozioni della nipote sulla soglia dell’adolescenza. La routine lenta e faticosa che li unisce, al contempo li divide, determinando il sentore strisciante di una deflagrazione che non si consuma mai veramente. Almeno non a parole, in un’opera dove gli sguardi, le inquadrature – carrellate o movimenti di macchina a mano – e la fotografia in 35 mm – contano molto più dei dialoghi, ridotti all’osso per l’intera durata del film. Un film da festival, in cui la sceneggiatura è scarna, al pari delle battute, e il ritmo è dilatato. Un film dove l’immagine ha la meglio sulla parola, esibendoci, in tutto il suo crudele splendore, una natura tanto generosa quanto capricciosa. Il regista ce la mostra con estremo realismo, ai limiti del documentario. I due attori protagonisti contribuiscono a rafforzare questa poetica del reale, agendo davanti alla macchina da presa con grande naturalezza, parlando solo con gli occhi: solcato, lui, dalla fatica dell’età e dalle intemperie della vita – ma nonostante tutto determinato e teneramente preoccupato per la nipote – e animata, lei, da un bisogno di vita che la spaventa e la incoraggia al contempo. In questo deserto di comunicazione, non è tanto la parola a mancare, quanto le risposte alle domande che questa storia incompiuta di uomini suscita. Curiosità e desiderio di emozioni più forti che il regista non soddisfa, interessato più ai capricci della natura che a quelli degli uomini.
Duszejko è un’anziana signora che insegna l’inglese ai bambini di un villaggio situato al confine tra Polonia e Repubblica Ceca, nei Sudeti. Un giorno le sue due cagne, a cui è affezionatissima, scompaiono. Alcuni mesi dopo è lei a scoprire il cadavere di un vicino, un bracconiere. Le uniche tracce che conducono a questa morte misteriosa, che non sarà l’unica, sono quelle degli zoccoli di un capriolo.
Laura non può sopportare di essere toccata. Prova anche con un giovane che si prostituisce ma non riesce a superare il suo problema. Christian soffre di una disabilità grave e parla con grande sincerità dei propri desideri in campo sessuale e dell’amore per la sua compagna. I due partecipano a un workshop in cui sono presenti persone di varia età e a cui é presente anche Tudor che appare molto vulnerabile ma accetterà di condividere le proprie sensazioni.
Un film di Milos Forman. Con Jana Brejchova, Vlamidir Pucholt Titolo originale Lásky jedné plavovlávsky. Commedia, b/n durata 82 min. – Cecoslovacchia 1965. MYMONETRO Gli amori di una bionda valutazione media: 3,71 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Durante una festa in una cittadina di provincia una ragazza, operaia in una fabbrica, conosce un giovanotto, pianista, originario di Praga. Fanno l’amore. Poi lui se ne va. Lei lo segue a Praga ma viene accolta tiepidamente dal pianista e freddamente addirittura dalla famiglia di lui. La bionda ritorna alla fabbrica, favoleggiando con le amiche delle sue avventure nella capitale.