Jimmy Doyle “Popeye” è un poliziotto della squadra narcotici di New York dai metodi brutali e assai poco ortodossi. Messosi in cattiva luce con i suoi superiori, a causa di alcuni fallimenti professionali, Doyle è convinto di avere finalmente ricevuto la soffiata giusta, quella capace di imprimere una svolta a un’intera carriera. Un infiltrato è venuto a sapere di una grossa partita di eroina in arrivo dalla Francia. Pur senza mandato, il detective si lancia sulla pista indicatagli, che lo conduce alla mafia italoamericana locale. Con il collega Lo Russo, suo partner professionale fisso, avvierà un’indagine tutta pedinamenti e intercettazioni.Diventato un classico del nuovo poliziesco americano anni Settanta, Il braccio violento della legge ha rivoluzionato le regole allora in voga nel noir investigativo a stelle e strisce, influenzando molto cinema d’azione successivo.
Killer Joe è il poliziotto con l’hobby dell’omicidio a pagamento, assoldato da una famiglia di redneck del Texas per uccidere l’ex moglie ed ex-mamma, da tempo scappata con un altro uomo. Hanno scoperto che la sua morte frutterà 50.000 dollari di assicurazione, soldi con i quali verrà pagato il killer e la famiglia si tirerà fuori da diversi guai. Ma non è mai così semplice uccidere ed incassare e Joe non è il tipo che ammette ritardi o intoppi nel suo lavoro. Dopo aver firmato almeno una pietra miliare per ogni decennio di attività, William Friedkin arriva alle porte del secondo decennio del nuovo millennio con un film in pieno stile pulp, che lui (e non solo) sembra considerare l’aggiornamento del noir (la doppia indennità della trama fa subito pensare a La fiamma del peccato).Prendendo le mosse dall’omonima opera teatrale di Tracy Letts (riscritta per lo schermo da lui stesso), Killer Joe si assesta dalle parti dello stile tarantiniano, per quanto riguarda l’appeal, l’umorismo e la spiazzante stravaganza dei personaggi, e a quello dei fratelli Coen sul versante dei risvolti di trama e di una più generale visione nichilista del mondo. Sotto una superficie aliena però batte forte il cuore del regista di Vivere e morire a Los Angeles, che calza i panni di un genere nuovo (per lui) non come un travestimento ma come un buon abito. Lo si vede nel rigore dello stile (estraneo ai registi precedentemente citati), nella sapida asciuttezza dei momenti più determinanti, nella ferma chiarezza d’intenti di un film che corre come un treno verso i suoi cinque minuti finali e soprattutto nel modo in cui, ancora una volta, Friedkin lavora con i suoi attori. Matthew McCounaghey in un ruolo tra il comico e il terrificante, bello, rassicurante e pronto a diventare disturbante in un attimo, è il capolavoro del regista. Con l’abilità che gli è riconosciuta nel caratterizzare scene e personaggi attraverso i movimenti e l’uso di tutto il loro corpo, spesso con inquadrature a figura intera, spesso con lunghi piani sequenza, Friedkin riesce a trasformare uno degli attori finora meno malleabili. La sorpresa dei protagonisti nel trovarsi preda di quello che doveva essere un loro dipendente è la stessa che lo spettatore prova nel vedere il lento mutamento di un attore che ha la commedia romantica marchiata sui pettorali. Da quel corpo pulito da bravo ragazzo Friedkin parte e attorno a lui fa ruotare Emile Hirsch, Thomas Haden Church, Juno Temple e Gina Gershon, i quali, di volta in volta, sembrano guadagnarsi il ruolo da protagonisti. Eppure alla fine sarà McCounaghey a incarnare il senso ultimo di un viaggio nell’America violenta e spietata, una piccola parte di un mondo dominato dal caos.
Dal romanzo (1971) di William Peter Blatty: a Georgetown Regan MacNeil, figlia dodicenne di un’attrice divorziata, è posseduta dal demonio. Il giovane padre Karras e un anziano sacerdote esperto in esorcismi tentano di salvarla. Potente, discusso film dell’orrore per adulti che ebbe, oltre a un immenso successo, grande influenza sugli sviluppi del genere. La critica ne denunciò generalmente la dimensione truculenta, l’uso e l’abuso degli effetti speciali (di Dick Smith e Rick Baker: efficaci e innovatori), la frequente stupidità della sceneggiatura (peraltro premiata con 1 Oscar a W.P. Blatty e un altro per il suono), ma c’è un punto indiscutibile: è un film che mette paura. E un fenomeno interessante: non si rimane soltanto spaventati dalle mostruose metamorfosi della bambina, ma si simpatizza, quasi ci si identifica con lei. La voce italiana di L. Blair è di Laura Betti.
I subita in Dominion sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Dalla commedia di Mart Crowely, adattata dall’autore: otto giovani gay della borghesia intellettuale di New York e un ospite casuale, che si dichiara eterosessuale, partecipano a una festa di compleanno che si trasforma in una velenosa seduta di analisi terapeutica collettiva e in un feroce gioco al massacro. Interpretato dagli stessi attori che portarono la commedia al successo di Broadway, fu il 1° film di Hollywood sull’omosessualità. Girato da Friedkin con una mobilità della cinepresa che sfiora il virtuosismo, tributario di un certo sperimentalismo di marca europea con risvolti di un surrealismo che rasenta talvolta la truculenza, il film ebbe un limitato successo di scandalo, non privo di polemiche contro la sua presunta ottica troppo negativa sugli omosessuali e la loro infelicità.
Duello in tribunale per stabilire se un assassino per il quale si chiede la pena di morte sia o no un malato mentale. In bilico tra dramma giudiziario e thriller, è un esempio inquietante e insolito di cinema civile. Friedkin conduce un coraggioso discorso sul dovere di difendere i valori della convivenza civile anche di fronte all’orrore di una violenza insostenibile. Travolto dal fallimento della DEG (la società americana di Dino De Laurentiis), il film fu distribuito senza successo con 5 anni di ritardo. Sulla TV italiana passò col titolo Ritratto di un serial killer.
Quattro disperati accettano di trasportare un carico di nitroglicerina lungo una pista infernale che attraversa il Sudamerica. Uno solo sopravvive. Remake ad alto costo di Vite vendute (1953, da un romanzo di Georges Arnaud), di H.-G. Clouzot, di cui ricalca con puntigliosa fedeltà le orme. Fu un fiasco commerciale, ma è stato sottovalutato anche dalla critica. La parte sonora è notevole. Strambe musiche dei Tangerine Dream, ma anche Keith Jarrett e Charlie Parker.
Le prove sembrano incastrare un uomo e vengono chiamati dodici giurati a deliberare. Alla prima votazione il voto è quasi unanime, tranne per un giurato che analizza tutte le prove e si convince dell’innocenza dell’imputato. Piano piano altri giurati passano dalla sua parte ma rimangono vive due fazioni. I giurati arriveranno anche allo scontro fisico pur di dimostrare l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato.
In una Los Angeles, una volta tanto non da copertina, si combatte la lotta senza esclusioni di colpi tra un falsario assassino (Dafoe) e due poliziotti decisi a eliminarlo a ogni costo.Ma il confine tra il bene e il male appare sempre più sfumato. Ancora una volta Friedkin confeziona un film di grande successo e di azione travolgente, avvincente e violento quanto basta.
Dodici giurati devono giudicare un ragazzo accusato di parricidio. Uno solo di loro ha qualche dubbio sulla condanna dell’imputato e, con una finezza psicologica pari alla sagacia dialettica, riesce a convincere gli altri a votare per la non colpevolezza. Tratto da un teledramma (1954) di Reginald Rose (diretto da F. Schaffner), è il 1°, eccellente film di S. Lumet, fino a quel momento attivo in TV. Serrato, intelligente, acuto, senza cadute né passaggi artificiosi sebbene l’azione si svolga interamente a porte chiuse. Fu prodotto da H. Fonda e R. Rose con l’Orion e contribuì ad aprire le porte di Hollywood a una nuova generazione di sceneggiatori e registi televisivi. Rifatto per la TV nel 1997 da William Friedkin.
Sesso, politica e perversione sono gli ingredienti di questo ottimo thriller diretto da uno specialista del genere ( Il braccio violento della legge, Vivere o morire a Los Angeles), ambientato nei quartieri alti di San Francisco, tra atmosfere torbide e sensuali. Il vice procuratore distrettuale David Corelli indaga sull’orrendo delitto di un collezionista di peli pubici affettato a colpi d’ascia. Al centro della storia vi è Jade (Giada), una misteriosa e sensuale prostituta d’alto bordo, che tutti cercano e amano e ancora una bella psicologa, di cui Corelli è da sempre innamorato, moglie di un potente avvocato. Con la nuovadark lady Linda Fiorentino, con il rosso David Caruso ( NYPD) e con l’emergente Chazz Palmintieri ( Bronx, Pallottole su Broadway).
Incaricato di travestirsi da omosessuale masochista per individuare uno psicopatico che batte il mondo dei sadomasochisti gay del West Greenwich Village di New York, un poliziotto finirà per domandarsi se sia ancora eterosessuale come all’inizio. Tratto liberamente da un romanzo di Gerald Walker, è un film che sostanzialmente non funziona. Il difetto sta in A. Pacino, che voleva ripetere il colpo di Serpico ma ha avuto paura di distruggere la sua immagine di star con un personaggio troppo negativo, e nella sceneggiatura che, dopo mezz’ora di indubbio impatto descrittivo, si avvita su sé stessa e diventa ripetitiva. Scatenò le ire delle associazioni gay degli USA.
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