Category: Ungheria


Regia di Péter Bergendy. Un film con Viktor Klem, Fruzsina Hais, Judit Schell, Andrea Ladányi, Zsolt Anger. Titolo originale: Post Mortem. Genere: Horror, Thriller, Mistero. Paese: Ungheria. Anno: 2020. Durata: 115 min. Consigliato a: da 16 anni. Valutazione IMDb: 5.9/10.

Tomás è un giovane soldato ungherese che, durante le fasi finali della Prima Guerra Mondiale, viene creduto morto dopo essere stato gravemente ferito da un’esplosione. Si risveglia in una fossa comune e, dopo aver scampato la morte, si dedica alla professione di fotografo post-mortem, un mestiere che fiorì in Ungheria all’inizio del ‘900, consistente nell’immortalare i defunti con i loro cari per l’ultima volta. Arriva in un piccolo e remoto villaggio rurale nel gelido inverno del 1918, un luogo funestato dalla recente epidemia di influenza spagnola, dove la popolazione è in gran parte decimata. Qui, Tomás fa amicizia con Anna, una piccola orfana che lo aiuta nel suo lavoro, ma presto si rende conto che il villaggio è infestato da presenze spettrali che si manifestano e interagiscono con l’ambiente, intrappolando le anime dei morti nel limbo.

Questo horror gotico ungherese si distingue per l’ambientazione storica originale e la suggestiva fotografia, che sfrutta la desolazione della campagna e l’epoca post-bellica e pandemica per creare un’atmosfera cupa e opprimente. Il regista Péter Bergendy utilizza l’insolita professione di fotografo post-mortem come veicolo per esplorare il tema del lutto irrisolto e del contatto tra il mondo dei vivi e quello dei morti, proponendo una “ghost-story” visivamente ambiziosa. Sebbene la pellicola sia lodevole per il suo stile e per gli sforzi di utilizzare tecniche visive pratiche per la rappresentazione dei fantasmi, il ritmo narrativo è spesso discontinuo e la trama, pur intrigante, a volte fatica a sviluppare appieno il potenziale mistero iniziale, ricadendo in espedienti e convenzioni del genere. Nonostante alcuni difetti nella sceneggiatura, il film rimane un affascinante esempio di cinema di genere dell’Europa orientale, selezionato per rappresentare l’Ungheria agli Oscar, offrendo momenti di vero terrore e una profonda riflessione sulla persistenza degli spiriti.

Regia di Benedek Fliegauf. Un film con Felicián Keresztes, Barbara Thurzó, Lajos Szakács, Anikó Szigeti, Edina Balogh. Titolo originale: Dealer. Genere: Drammatico. Paese: Ungheria. Anno: 2004. Durata: 130 min. Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 6.9/10.

Il film segue l’ultima, sfibrante giornata di vita di un anonimo spacciatore di stupefacenti nella periferia di una città ungherese, presentata come un desolante paesaggio industriale. Il protagonista attraversa in bicicletta un ambiente spoglio e quasi fantasma per incontrare i suoi clienti, una galleria di umanità disperata che rappresenta tutti gli strati della società. Tra i suoi appuntamenti, vi sono un anziano, il guru di una setta religiosa, un prete e una madre con un bambino, ognuno incatenato in modo diverso alla dipendenza. È un viaggio cupo e silenzioso attraverso il vuoto esistenziale e la solitudine che accomuna spacciatore e consumatori.

Il secondo lungometraggio di Benedek Fliegauf si configura come un’opera radicale, intensa e formalmente rigorosa. Il tema dominante è l’alienazione e la dipendenza in senso lato, non solo chimica, ma come condizione metafisica dell’uomo contemporaneo che cerca un surrogato per colmare il vuoto. La regia è audace e volutamente “faticosa”, caratterizzata da lunghi piani sequenza, un uso claustrofobico della macchina da presa che indugia sui volti e da una fotografia fredda e desaturata che amplifica il senso di decadenza urbana. L’assenza di musica e l’attenzione ai rumori ambientali contribuiscono a creare un’atmosfera di estremo realismo documentaristico. Le interpretazioni sono misurate e intense, con Felicián Keresztes che incarna con austerità il silenzioso protagonista. Nonostante la sua natura ostica e la lentezza meditativa, “Dealer” è un’importante opera d’arte cinematografica che, superando i cliché del “drug movie”, offre una profonda e disperata riflessione sulla condizione umana e sull’arido vero dell’esistenza.

Regia di Benedek Fliegauf. Un film con Rita Braun, Barbara Csonka, Gábor Dióssy, Bálint Kenyeres, Edit Lipcsei. Titolo originale: Rengeteg. Genere: Drammatico. Paese: Ungheria. Anno: 2003. Durata: 90 min. Consigliato a: Per un pubblico maturo. Valutazione IMDb: 6.8.

Il film è una raccolta di sette frammenti narrativi distinti e autonomi, brevi incontri e dialoghi che si svolgono principalmente in luoghi isolati o interni claustrofobici, senza un’apparente connessione diretta tra i personaggi, se non per una sequenza iniziale e finale girate in uno spazio pubblico affollato. Ogni episodio presenta coppie di persone – amici, amanti, familiari – impegnate in conversazioni intense e spesso sgradevoli che rivelano tensioni nascoste, traumi, incomprensioni e dinamiche relazionali disfunzionali. La premessa è un’esplorazione cruda e senza filtri della solitudine, della violenza verbale e dell’alienazione nella società ungherese contemporanea.

Rengeteg (tradotto letteralmente come “Foresta” o “Moltitudine”) è un’opera prima di notevole impatto che si concentra sui temi dell’incomunicabilità, della crudeltà emotiva e della fragilità umana. La regia di Benedek Fliegauf è estremamente stilizzata e radicale: girato in digitale con un’estetica volutamente sporca e granulosa, adotta un approccio quasi da Dogma 95 ungherese. La maggior parte del film è composta da lunghi piani sequenza e inquadrature molto strette, spesso in primissimo piano, con la macchina da presa che compie panoramiche brusche tra i volti dei personaggi, intensificando la tensione e l’intimità soffocante dei dialoghi. Le interpretazioni, affidate per lo più ad attori non professionisti, risultano straordinariamente naturali e realistiche. L’innovazione stilistica e l’uso intensivo di una tessitura sonora minacciosa e ambientale hanno conferito al film un’immediata importanza storica nel panorama del cinema ungherese, vincendo il Premio Wolfgang Staudte al Festival di Berlino come miglior opera prima, lodato per la sua audacia formale e la sua profonda, seppur deprimente, analisi sociale.

Regia di Raúl de la Fuente e Damian Nenow. Un film con Luis Alberto García, Tchéky Karyo, Ryszard Ronczewski, Carlos V. López, Jorge Luis Puerta. Titolo originale: Another Day of Life. Genere: Animazione, Biografico, Guerra, Documentario. Paese: Polonia, Spagna, Germania, Belgio, Ungheria. Anno: 2018. Durata: 85 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2.

Il film segue Ryszard Kapuściński, un giornalista polacco idealista che si reca in Angola nel 1975, durante l’inizio della guerra civile. Mentre il suo Paese si prepara a evacuare, Kapuściński decide di non partire, volendo testimoniare il conflitto da vicino. Il suo viaggio lo porterà nel cuore del caos, tra ribelli, soldati e civili in fuga, alla ricerca della verità su una guerra dimenticata.

“Ancora un giorno” si distingue per la sua audace fusione di stili, combinando l’animazione rotoscopica per le sequenze di guerra più intense e drammatiche con inserti documentaristici che mostrano interviste ai veri personaggi incontrati da Kapuściński. Questa scelta stilistica rafforza l’impatto emotivo e la veridicità della narrazione, creando un’esperienza visiva unica. Il film esplora temi complessi come la natura del giornalismo in tempo di guerra, il ruolo dell’osservatore e la ricerca della verità in un contesto di propaganda e disinformazione. La regia è impeccabile nel bilanciare la tensione narrativa con momenti di profonda riflessione, e il film si configura come un’opera di grande valore storico e umano, un toccante omaggio a uno dei più grandi reporter del Novecento e un monito sui costi umani della guerra.

Regia di Federico Brugia. Un film con Sebastiano FilocamoBenn NorthoverOrsi TóthMalika AyaneMimmo CraigCast completo Genere Thriller, – ItaliaUngheria2012durata 95 minuti. Uscita cinema venerdì 24 agosto 2012 distribuito da Maremosso. – MYmonetro 2,63 su 2 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Dialoghi ridotti al minimo, ma con un’assidua voce narrante, parlato in inglese e ungherese con sottotitoli, distribuito in DVD, è il LM di fiction di esordio di Brugia, autoriale, astruso, complicato e ambizioso. Fa capo a un uomo misterioso che vive molte vite con diversi passaporti, ma ha perduto la sua identità come se il suo scopo fosse quello di non esistere, ma di esserci là dove occorre. È al servizio di una società criminale ungherese che lavora sul mercato europeo della prostituzione. Gli affidano, da portare in Italia, Nora, biondina un po’ androgina e infantile, prelevata da un orfanotrofio, ma poi lo incaricano di eliminarla. Scritto dal regista con Giovanni Robbiano, è filmato in un originale colore denaturato sino al bianconero. È montato in modi allusivi, giocando sulla sottrazione, contraddetta dalla macchinosa parte criminale che pur non manca almeno di un personaggio riuscito, il potente sull’orlo del fallimento. Aspettiamo Brugia al suo 2° film.

Tutti i rumori del mare (2012) on IMDb
La Settima Stanza: Amazon.it: Stein,Morgenstern, Stein,Morgenstern: Film e  TV

Regia di Márta Mészáros. Un film con Adriana AstiJan NowickiElide MelliMaia MorgensternJerzy Radziwilowicz. Genere Biografico – ItaliaFranciaPoloniaUngheria1995durata 110 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro 3,17 su 1 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Vita tormentata e fine tragica di Edith Stein (1891-1942), filosofa ebrea, in gioventù atea poi convertita al cattolicesimo, assistente del filosofo Edmund Husserl di cui riordinò i manoscritti ( Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica , 1913). Entrò nel Carmelo di Colonia nel 1933 col nome di Benedicta a Cruce. Prelevata dai nazisti nell’agosto del 1942 a Echt (Olanda) e portata a Auschwitz dove morì il giorno dopo il suo arrivo. Scritto con Roberta Mazzoni ed Eva Pataki, punta sul versante privato di quest’intellettuale ruvida e fiera, beatificata dalla Chiesa di Roma: i difficili rapporti con la madre, che la considera una rinnegata, e gli innamorati, quelli con la sorella Rosa che condivide la sua sorte. Date le premesse (anche produttive), i toni edificanti prevalgono su quelli espressivi, soprattutto nella parte centrale. M. Morgenstern, attrice teatrale rumena, è comunque all’altezza del personaggio. Il titolo si riferisce alle sette stanze o tappe dell’ascesi carmelitana, secondo la spagnola Teresa d’Avila. La settima è la camera a gas.

The Seventh Room (1995) on IMDb

Un film di Béla Tarr. Con Gábor Balogh, János Balogh, Péter Breznyik Berg, Imre Chmelik, György Cserhalmi Drammatico, durata 120 min. – Ungheria 1988. MYMONETRO Perdizione * * * 1/2 -valutazione media: 3,50 su 1 recensione.

Karrer vive già da anni come tagliato fuori dal mondo, lontano da tutto. Passa il suo tempo osservando le benne della teleferica che si allontanano all’orizzonte, o vagabondando senza meta, sotto una pioggia incessante, per chiudere invariabilmente le sue giornate, qualunque sia la direzione presa la mattina, nella medesima taverna. Un giorno decide di coinvolgere nei suoi loschi affari il marito della cantante del Bar Titanic, per poter così avvicinare la giovane donna. Riesce ad allontanare l’uomo per qualche giorno, con la complicità di Willarsky, suo amico e proprietario del bar. Gli slanci affettivi mutevoli che caratterizzano i rapporti tra questi quattro personaggi indissolubilmente legati gli uni agli altri dai loro interessi e sentimenti, provocano tra di essi conflitti e ravvicinamenti disperati. Sarà Karrer a uscirne sconfitto; a lui non resterà che l’odio e il desiderio di vendetta. Le tappe del suo calvario lo porteranno non alla redenzione, ma a ciò che rappresenta il peggio per l’uomo europeo: la morte che precede la morte, la solitudine totale, il naufragio nella perdizione.

Damnation (1988) on IMDb
Locandina Nido familiare

Un film di Béla Tarr. Con Laszlone HorvathLaszlo HorvathGábor Kun Drammaticodurata 108 min. – Ungheria 1979MYMONETRO Nido familiare * * * - - valutazione media:3,00 su 1 recensione

Tornato dal servizio nel corpo militare di stato, Laci è costretto a vivere con la moglie operaia Irén e la figlioletta nell’angusto appartamento dei suoi genitori, in attesa che il piano alloggi gliene fornisca uno. Il padre di Laci mal sopporta la nuora, imputandole l’incapacità tanto di educare la bambina quanto di mettere da parti soldi per far fronte alle spese comuni. Le incomprensioni crescenti porteranno all’inevitabile frattura del nucleo famigliare.
Prodotto dai Béla Balázs Studio, l’esordio nel lungometraggio del giovane Béla Tarr affronta una problematica di stretto carattere politico-sociale, com’è la carenza di case nel sistema comunista ungherese, mediante il linguaggio di un cinéma-vérité aggressivamente polifonico. A conferma dell’interesse pubblico di quanto si vedrà sullo schermo, ad aprire è una didascalia inequivocabile nella sua chiarezza: «È una storia vera, non è accaduta ai personaggi del nostro film, ma sarebbe potuta accadere anche a loro». L’effervescenza dell’impianto di un lavoro tanto fisico sta nell’impiego di attori non professionisti, nel suono in presa diretta, nella macchina a spalla orientata – come la lente di un microscopio – a focalizzare stralci di frasi, dialoghi sovrapposti, reazioni mimiche, spostamenti improvvisi dei corpi. Affine alle sperimentazioni di altre cinematografie, il primo metodo di Béla Tarr costituisce, invero, il punto d’incontro tra il vivo desiderio di ancorarsi alla realtà e la pochezza dei mezzi a disposizione, in un’intercambiabilità tra programma estetico e politico dove è già possibile scorgere quella deriva della condizione umana che sarà tema prediletto dei titoli maturi.
Al di là del filtro di un “cassavetismo incolpevole”, allora Tarr non conosceva l’opera del cineasta americano, il dramma personale e ugualmente pubblico di Laci e Irén acquista sottigliezza psicologica caricandosi di credibilità ad ogni nuovo scontro-dialogo, fino alla resa dei conti delle due, splendide, confessioni finali in cui è palese il sapore schiacciante della sconfitta.
Con un titolo che rimarca, per antifrasi, l’inferno della convivenza, Nido familiare costituisce, insieme a The OutsiderRapporti prefabbricati e, in parte, Almanacco d’autunno, il periodo realista del regista prima della svolta stilistica segnata da Perdizione.

Family Nest (1979) on IMDb
Locandina Mephisto

Un film di István Szabó. Con Klaus Maria BrandauerIldiko BansagiKrystyna JandaKarin BoydRolf Hoppe. continua» DrammaticoRatings: Kids+16, durata 138 min. – Germania, Ungheria 1981

Dal romanzo di Klaus Mann. È la storia (con i nomi cambiati) di Gustav Grundgens, attore di teatro famoso per la parte di Mefistofele, nelle rappresentazioni del Faust. Pur essendo di sentimenti antinazisti, si assoggetta a ogni compromesso pur di continuare ad essere una stella del palcoscenico (denuncia colleghi, fa pubbliche dichiarazioni di stima a Hitler). Ma la via del compromesso sembra non avere mai fine. Maiuscola prova di Brandauer che con questo film s’affermò a livello internazionale.

Mephisto (1981) on IMDb
Risultato immagini per Il Cavallo di Torino

Un film di Béla Tarr, Ágnes Hranitzky. Con Volker Spengler, Erika Bok, János Derzsi, Mihály Kormos Titolo originale A Torinói ló. Drammatico, durata 150 min. – Ungheria, Francia, Germania, Svizzera 2011. MYMONETRO The Turin Horse * * * 1/2 - valutazione media: 3,67 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Il film è liberamente ispirato a un episodio che ha segnato la fine della carriera del filosofo Friedrich Nietzsche. Il 3 gennaio 1889, in piazza Alberto a Torino, Nietzsche si gettò, piangendo, al collo di un cavallo brutalizzato dal suo cocchiere, poi perse conoscenza. Dopo questo episodio, che costituisce il prologo del film, il filosofo non scrisse più e sprofondò nella follia e nel mutismo. Su queste basi, The Turin Horse racconta la storia del cocchiere, di sua figlia e del cavallo, in un’atmosfera di grande e simbolica povertà.
Il regista afferma: ‘Il film segue questa domanda: cosa accadde al cavallo? Il cocchiere Ohlsdorfer e sua figlia vivono in campagna. Sopravvivono grazie a un duro lavoro. Il loro unico mezzo di sussistenza è il cavallo con il carro. Il padre va a lavorare, la figlia si occupa delle faccende domestiche. È una vita misera e infinitamente monotona. I loro abituali movimenti e i cambi di stagione e di momento del giorno dettano il ritmo e la routine che viene loro crudelmente inflitta. Il ritrae la mortalità, con quel dolore profondo che noi tutti che siamo condannati a morte, proviamo.’
Il regista ungherese prosegue con estrema determinazione il suo percorso di ricerca stilistica che privilegia l’analisi della quotidianità trasferita sullo schermo con ritmi che si avvicinano quando non addirittura riproducono il tempo reale. Rende così quasi tangibile la marcia cadenzata dei suoi personaggi verso la morte con la scansione dei gesti quotidiani in una terra spazzata da un vento che percuote gli spiriti. Non è cinema per tutti il suo e, soprattutto, è cinema che non può essere trasferito dal grande schermo altrove se non per studi analitici. È lì sul telone bianco che lo sguardo dello spettatore può perdersi nella lentezza quasi ipnotica di un fluire funebre del tempo dettato dall’occhio di un maestro dello stile di un rigore assoluto.

The Turin Horse (2011) on IMDb

Due versioni: una 720p presa da rai hd a cui credo manchino pochi secondi all’inizio. L’altra 1080p rippata da me a cui ho aggiunto i subita (tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni).

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