Cina, IX secolo. Sotto la dinastia Tang il Paese vive e prospera. A minacciare la sua età d’oro si adoperano gli ambiziosi e corrotti governatori della provincia. L'”ordine degli assassini” è incaricato di eliminarli. Nelle sue fila serve e combatte Nie Yinniang, abile con la spada e sotto la chioma nera di inchiostro lucente. Rientrata nella sua città e nella sua provincia, dopo l’apprendistato marziale e un esilio lungo tredici anni, Nie Yinniang deve uccidere Tian Ji’an, governatore dissidente della provincia di Weibo. Cugino e sposo a cui fu promessa e poi negata.
In vacanza dal nonno[1] (冬冬的假期S, Dōng dōng de jiàqīP) è un film del 1984 diretto dal regista Hou Hsiao-Hsien.
Mentre la mamma è in ospedale, la giovane Dongdong e il fratellino passano un’estate dal nonno, osservando l’incomprensibile mondo degli adulti e le malefatte di un cugino che mette incinta una ragazza ed è amico di due rapinatori. Dopo I ragazzi di Feng Kuei, Hou prosegue il suo scavo nella memoria, affidandosi a un romanzo della sceneggiatrice Chu Tien-wen.
A time to live, a time to die (童年往事S, Tóngnián wǎngshìP) è un film del 1985 diretto dal regista Hou Hsiao-Hsien.
Taiwan, anni ’50 e ’60 del Novecento; Ah Hsiao, detto Ah Ha, cresce con i tre fratelli e la sorella nell’isola dove il padre (Tien) si è trasferito dalla Cina. La nonna sogna sempre di tornare in patria, il padre muore presto, poi toccherà anche alla madre e alla stessa nonna. Attingendo dichiaratamente all’autobiografia (il regista firma la sceneggiatura con Chu Tien-wen), Hou racconta un’infanzia e un’adolescenza come tante altre, in cui la storia di Taiwan scorre in modo solo apparentemente indolore. Una giovinezza punteggiata da bravate, lotte tra bande, innamoramenti platonici e momenti di tenerezza, segnata irrimediabilmente da tre morti che appaiono man mano più inaspettate, ma anche accettate sempre più fatalisticamente.
Dust in the wind (戀戀風塵S, Liàn liàn fēng chénP) è un film taiwanese del 1986 del regista Hou Hsiao-hsien .Il film è co-sceneggiato da Wu Nien-jen, ispirato dalla sua stessa esperienza. È la parte finale della prima trilogia che contiene In vacanza dal nonno (1984) e A Time to Live, a Time to Die (1985).
Amici d’infanzia e fidanzati, i giovani A-Yuan e A-Yun lasciano la campagna per cercare lavoro a Taipei. Ma la grande città li separa, e quando A-Yuan parte per il servizio militare, A-Yun sposa un altro. Storia semplice sul passaggio dall’adolescenza alla maturità, ma costruita con attenzione attorno ad alcuni temi: il cibo, il consumo di immagini( frequenti le scene nei cinema di Taipei e in quelle all’aperto del paese), la separazione (A-Yuan che prima dona ad alcuni profughi cinesi l’accendino regalatogli da suo padre, e poi perde la fidanzata). Ritratto di personaggi ingenui e complessi, troppo giovani ma gia adulti, interpretati da attori non professionisti.
Un vero capolavoro. Sottovalutato in parte dai critici italiani e salutato dalla critica internazionale come uno dei migliori film dell’ultimo decennio. Vinse il Leone d’Oro accompagnato da ingiuste polemiche. Hsiao-Hsien, il regista, ha avuto anche il merito di produrre Lanterne rosse. Con uno stile complesso e in sottrazione, si narrano le vicende dei taiwanesi alla fine della seconda guerra mondiale. Il Giappone cedeva alla Cina l’isola di Taiwan e la situazione diventava drammatica. Pieno di personaggi e di momenti lirici e poetici.
Nella Shanghai di fine ‘800 i bordelli più rinomati erano chiamati le Case dei Fiori. Per ogni Casa una diversa tenutaria e una diversa “insegnante”. Ognuna con i suoi segreti, ognuna con le sue ambizioni, intenta a tessere trame pur di arrivare a soddisfare i propri desideri. Con Flowers of Shanghai Hou Hsiao-hsien porta il suo linguaggio e la sua idea di cinema a un livello di splendore difficilmente eguagliabile persino da se stesso. Non esiste montaggio e la macchina da presa resta più o meno immota, attendendo che i personaggi entrino ed escano dal suo campo visivo; ma se questa è la cifra stilistica di Hou Hsiao-hsien anche in Città dolente e Il maestro burattinaio, in Flowers la narrazione si piega ulteriormente alle esigenze dell’inquadratura. Le sequenze si susseguono con una somiglianza straniante, aperte e chiuse da dissolvenze in nero che paiono nuvole di fumo, come fossero emanazioni dirette dell’oppio che le cortigiane e i loro clienti fumano in continuazione, mentre si scambiano promesse d’amore o menzogne delittuose. Ancor più radicale la scelta di Hou sulla luce, con gli interni kubrickianamente illuminati solo dalla luce delle lampade a olio: si diffonde così un’aura giallastra che esalta i lineamenti delle splendide cortigiane e le immerge in un’atmosfera onirica che ben si può sussumere nelle note dei solenni archi di Yoshihiro Hanno. E nonostante si susseguano drammi e tragedie interiori ed esteriori, risoluzioni di quesiti a metà strada tra Eros e Thanatos, Hou sceglie la solennità e il non detto, mantenendo violenze, punizioni e sesso fuori schermo, quasi a non voler rovinare la reiterazione potenzialmente infinita del ménage delle Case dei Fiori. Tony Leung al solito strepitoso, a suo agio tanto nell’action adrenalinico che nella lentezza del cinema d’essai, ma non sono da meno le cortigiane, interpretate da volti più o meno noti del cinema cinese e di Hong Kong, come la star Carina Lau (Ashes of Time, 2046) e la bellissima Michelle Reis (Angeli perduti), ambedue muse predilette – spesso in compagnia di Leung – da Wong Kar-wai.
Uno sguardo crudo ed essenziale sulle classi meno abbienti di Taiwan, fatte di gente senza morale, senza speranza né punti di riferimento.E’ un film complesso sul piano linguistico . Racconta una non storia che obbliga lo spettatore a creare dei percorsi personali all’interno dei piani sequenza che il maestro taiwanese costruisce con la consueta abilità.
Taiwan, 15 Agosto 1945: L’Imperatore nipponico Hirohito annuncia la resa incondizionata alle forze alleate, e i giapponesi lasciano l’isola di Formosa, sotto il loro dominio dal 1894. Taiwan, 10 Dicembre 1949: Chiang Kai-shek e i vertici del Kuomintang si rifugiano a Taipei, fondando la Repubblica Cinese, di cui Chiang fu il primo presidente. City of Sadness svolge il suo corso tra questi due estremi temporali, attraverso le vite della famiglia Lin, nella cittadina rurale di Chiu-fen. Hou Hsiao Hsien dipinge con il suo stile elegante ed ellittico una saga familiare che condensa e dilata insieme l’eco di quel tumultuoso periodo della storia di Taiwan.
Finita la scuola, Ah-Ching e i suoi amici passano il loro tempo a bere e a combattere nell’isoletta di pescatori in cui vivono. Stanchi di quella routine, tre di loro decidono di recarsi nella città portuale di Kaohsiung per cercare lavoro. Grazie ad alcuni parenti trovano un appartamento. Ma non appena si insediano, Ah-Ching si innamora della fidanzata di un vicino di casa. Da quel momento, i tre si trovano ad affrontare la dura realtà della grande città.
A Taipei nel 2000 si svolge con strazio il rapporto tra due giovani infelici e apparentemente nullafacenti che vivono di notte e dormono di giorno. Lei è bella, irrequieta, dedita a Bacco e al tabacco, e mantiene lui che in più si droga e la tormenta con una gelosia sadica. A questo ingrato rapporto alla “né con te né senza di te” assiste in disparte il maturo e savio gestore di un night-club losco che la protegge e forse l’ama come un padre. Accompagnato da una voce over, l’azione è raccontata nel 2010 il che aggiunge un tanto di enigmatico a un film già criptico per sé stesso, ellittico eppur affascinante. Il cinese Hsiao-hsien fa un cinema in cui la vocazione figurativa prevale su quella narrativa. L’intreccio e persino i personaggi interessano poco: conta il modo in cui sono raccontati. Contano le immagini – e i suoni, la musica – attraverso le quali avviene una sconsolata ricognizione del dolore e del malessere del tempo. Brevi, innevate, bellissime sequenze girate a Hokkaido, la più nordica isola del Giappone, dove la luce si oppone agli acidi e notturni colori metropolitani e all’atonia claustrofobica del resto. Premiate a Cannes 2001 le musiche (techno) di Lim Giong e Yoshihiro Hanno.
1966 Kaohsiung: Un tempo per l’amore. Chen incontra May che lavora nella sala del biliardo. I due fanno una partita insieme prima che lui parta per il servizio militare. Ottenuto un permesso torna per cercarla ma sembra essere scomparsa. 1911 Dadaocheng: Un tempo per la libertà. Il proprietario di una piantagione di tè vuole rilevare il contratto di una cortigiana. Ma il figlio la mette incinta e i rapporti con il padre si complicano. Ne conseguirà una partenza per il Giappone dove si trova un rivoluzionario cinese in esilio. 2005 Taipai: Un tempo per la giovinezza. Jing è una giovane cantante epilettica e con un difetto alla vista. Vive con la madre e la nonna e una giovane amante. Zhen lavora presso un fotografo e ha una compagna, Blue. Quando questa scopre che Zhen la tradisce con Jing, la situazione precipita. Hou Hsiao Sien è un grande maestro del cinema orientale che sa di realizzare film destinati a un pubblico ristretto. È però dotato di un assoluto controllo dell’inquadratura, tale da far sì che ogni suo film si avvicini sempre più a un’opera d’arte più visiva che narrativa. Questa volta si è mosso su un territorio inusuale per lui: una narrazione divisa in tre storie diverse che vedono però in scena la stessa coppia di attori che sono due star a Taiwan. Ne nasce un film dolente sulla im-possibilità dell’amore indipendentemente dalle epoche, con una riflessione sul potere di condizionamento, anche in questo campo apparantemente così privato, delle convenzioni sociali. La conclusione sembra essere che la libertà dei costumi non è neanch’essa la soluzione di tutti i problemi. Ne porta con sè solo di nuovi e forse ancor più complessi.
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