Da un romanzo di P. Benchley. Uno squalo semina il panico sulle spiagge di una cittadina americana dove ha divorato due bagnanti. Uno scienziato, un pescatore, lo sceriffo locale si impegnano a fondo per eliminare il mostro.
Cile, Vina del Mar. Sara, tredici anni, vive con la sorella minore Catalina, con sua madre Paula e con Lia, la compagna della madre. La loro è una quotidianità serena e spensierata, fino a quando l’adolescenza di Sara non solleva in lei dei problemi. Il confronto con i compagni, l’ansia di farsi accettare dai ragazzi, la paura di venir giudicata, alimentano in Sara un’inquietudine crescente. Le cose si complicano quando il padre tenta, allora, di ottenere la custodia delle figlie. L’inquietudine della protagonista è il motore del film, come racconta il primo lungo piano sequenza all’interno della scuola, ma viene pian piano messo in prospettiva dalla battaglia legale tra il padre e la madre: qualcosa di molto più grande della ragazzina, che la supera e la esclude, ma nasce sul terreno fertile del suo smarrimento.
David Marcus, avvocato ed ex colonnello degli Stati Uniti, va in Palestina per aiutare i suoi correligionari nelle lotte contro gli arabi che vogliono impedire la costituzione dello Stato di Israele. Il suo apporto sarà determinante.
New Orleans, 1820: un avventuriero cerca il successo con tutti i mezzi, anche mandando a monte il proprio matrimonio. Fervido catalogo degli stereotipi hollywoodiani sul profondo Sud degli Stati Uniti. Materiale di seconda mano, confezione discreta.
Diviso in quattro capitoli (“La bellezza”, “L’arte”, “L’azione”, “L’armonia della penna e della spada”), comincia nel giorno del suicidio dello scrittore giapponese Yukio Mishima (1925-70) al culmine della sua fama letteraria; con una serie di ritorni all’indietro rievoca le tappe della sua vita, intersecandola con i raffinati compendi di tre romanzi, quelli che, secondo il regista e suo fratello Leonard sceneggiatore, si prestano meglio a visualizzare i problemi psicologici, le ossessioni erotiche, il narcisismo, la schizofrenia, l’ideologia dello scrittore: Il padiglione d’oro (1956), La casa di Kyoko (1959) e Cavalli fuggiti (1969). Film ambizioso riuscito a metà. Algido su una materia incandescente, ben costruito ma senza energia, raffinato senza vera eleganza, bello ma senza cuore, poco americano ma non abbastanza giapponese.
La vita e la psiche del reverendo Toller sono irrimediabilmente segnate dalla morte del figlio in Iraq: una tragedia per la quale si ritiene responsabile, avendolo lui stesso spinto ad arruolarsi quand’era cappellano militare. Ritiratosi in una piccola chiesa cristiana riformata, Toller viene messo in crisi dalla richiesta di aiuto di una coppia di giovani, militanti ambientalisti. Michael, il ragazzo, sta infatti per diventare padre ma non sopporta il peso di mettere al mondo una nuova vita su un pianeta distrutto dalle logiche corrotte del potere e delle multinazionali. La depressione del giovane s’innesta sui tormenti del prete e lo spinge a progettare una soluzione simbolica e radicale.
Già noto attore e clown ebreo nella Berlino prebellica, Adam Stein è ricoverato in una clinica israeliana dove si curano i superstiti dei lager nazisti di sterminio. Scampato grazie a Klein, sadico comandante di un campo, che l’aveva costretto a fare il suo cane, camminando a quattro zampe, Adam è tormentato dai sensi di colpa perché sopravvissuto alla morte della moglie e della figlia. Attraverso un nuovo paziente della clinica rinchiuso in una cella separata, riesce faticosamente a riprendersi. Tratto dal romanzo omonimo (1968) di Yoram Kaniuk, adattato da Noah Stollman, ambientato in una clinica la cui architettura è ispirata allo stile della Bauhaus e girato in una fotografia altrettanto stilizzata, in un BN dominato dal bianco, è una storia di salvazione che ha il suo contrappunto in quella di David, un bambino convinto di essere un cane che impara a camminare grazie ad Adam, costretto a esserlo. È uno dei più originali, visionari – e dei più impervi – film sulla tematica della Shoah, così insolito che fu distribuito debolmente anche negli USA da chi lo riteneva inadatto a trovare un qualsiasi pubblico. Straordinaria interpretazione di Goldblum.
Troy, Mad Dog e Diesel si sono conosciuti in carcere e hanno formato un sodalizio che dura anche fuori dalle sbarre. La loro quotidianità è fatta di violenza efferata e sopraffazione, perpetrata e subìta. Un boss affida loro l’incarico di rapire un bambino ma le cose si complicano e il trio si trova a sfuggire a tutori della legge e malviventi in egual misura.
Julian Kay è uno squillo di lusso, lo stallone più pregiato di un’agenzia che procura compagnie maschili a ricche signore sole. Coinvolto in un omicidio di cui è ingiustamente sospettato, è salvato da una spregiudicata signora che si è innamorata. Ottimo a livello descrittivo, specialmente nella 1ª parte, s’ingolfa quando Schrader vuol mettere a fuoco i personaggi. Donatore d’amore come donatore di sangue? A pagamento, comunque. Finale ridicolo. Ha, comunque, molti estimatori tra la critica.
Ron Kovic, nato il 4 luglio 1946, si arruola nei Marines e torna dal Vietnam, nel 1968, paralizzato nella parte inferiore del corpo e impotente. Attraverso varie esperienze arriva a una presa di coscienza pacifista e porta la sua testimonianza alla Convenzione Democratica del 1976. Tratto dal libro autobiografico di Kovic, è un esercizio di alta retorica antimilitarista contro l’intervento USA in Vietnam, il fanatismo nazionalista, la mistica patriottica, il culto del successo. Ne esce un diseguale film epico con ambizioni di tragedia storica, sequenze corali di forte suggestione spettacolare e pagine di irritante enfasi o didascalica pesantezza. Fino a quel momento idolo delle ragazzine americane, Cruise esce dal suo status di sex symbol, calandosi nel personaggio con ammirevole impegno. Oscar per la regia e il montaggio.
Tra le fabbriche della periferia pratese è rinvenuto il corpo senza vita di un bambino di dieci anni, precedentemente scomparso. Il giorno successivo, in un ufficio di Vaiano, un impiegato di cinquanta anni, Massimo Gori, viene rapito da un gruppo di ragazzi. L’ispettore Brozzi, vicino alla pensione, è incaricato di seguire il caso, assieme al giovane e inesperto Vannini. I sospetti cadono sulla “banda del Brasiliano”, che ha precedentemente tentato – goffamente – di rapire altri soggetti. I rapitori sono quattro ragazzi sulla trentina: il Biondo, il Mutolo, il Randagio e il Brasiliano. Il movente del rapimento è in realtà decisamente insolito. Soltanto le indagini dell’ispettore Brozzi, perseguitato dai ricordi del passato, e di Vannini potranno far luce sul caso..
Un film di M. Night Shyamalan. Con Paul Giamatti, Bryce Dallas Howard, Bob Balaban, Jeffrey Wright, Sarita Choudhury.Thriller, durata 110 min. – USA 2006. uscita venerdì 29settembre 2006. MYMONETRO Lady in the Water valutazione media: 2,86 su 115 recensioni di critica, pubblico e dizionari. The Cove è un residence di Philadelphia costruito intorno a una piscina. Cleveland Heep ne è il custode tutto fare. Una notte dalle acque della piscina emerge una fanciulla dai capelli rossi, una narf, una creatura acquatica del mondo azzurro. Story, il suo nome, ha una storia da raccontare a uno scrittore. Dopo aver annunciato agli uomini un futuro migliore deve fare ritorno nel regno azzurro, ma uno Scrunt, una creatura malvagia coperta di fili d’erba, vuole impedirglielo. Cleveland e i suoi coinquilini, come cavalieri medievali, serviranno la causa di Story e della salvezza del mondo.
Nel primo episodio, un trentenne cassaintegrato sceglie di avviare, su consiglio di un collega anarchico, le pratiche per “sbattezzarsi”, decisione che crea immediato scandalo all’interno della religiosissima famiglia degli zii presso cui vive. Nel secondo, invece, uno studente cinese verrà iniziato al gioco delle carte da Maurino, un uomo anziano che si prenderà cura di lui in modo particolare. Un torneo cui parteciperà anche un vecchio rivale di Maurino rappresenterà la resa dei conti per ogni giocatore.
Shane, solitario giramondo, arriva in una fattoria e si trattiene a proteggere una coppia di contadini dai soprusi dei prepotenti, idoleggiato dal loro figlioletto. Dopo il duello finale il salvatore Shane se ne va a cavallo, verso l’orizzonte. Prodotto da Stevens per la Paramount, unico suo western, fu esaltato negli anni ’50 dalla critica europea, nonostante la lentezza e l’ottica dal basso, quella del 10enne Joey. Giudicato poi troppo accademico, segna l’incontro tra il mito del West e i temi della letteratura epica bretone. Scritto Da A. B. Guthrie Jr. da un romanzo di Jack Schaefer, ebbe 6 candidature agli Oscar, ma ne vinse solo 1 la fotografia di Loyal Griggs, notevole per l’incanto dei paesaggi.
Orfano di padre, morto nella solfatara, Rosso Malpelo diventa l’unico sostentamento della famiglia. Deriso dai minatori adulti, lo scontroso adolescente si affeziona solo a Ranocchio, piccolo caruso che, malato ai polmoni, muore. Sempre più solo e disperato, Rosso Malpelo scende volontario in una galleria ad alto rischio. Dalla novella di Giovanni Verga, sceneggiata con N. Bonaiuto. Ambientato in un tempo quasi astratto, parlato in dialetto siciliano che rende indispensabili i sottotitoli, asciutto nella forma, rigoroso nell’etica, distribuito da Arbash quasi solo nelle scuole, è un lucido e antiretorico atto d’accusa verso un mondo dominato dallo sfruttamento a tutti i livelli, su un immobile panorama di dolore individuale, sociale e naturale con pochi momenti lucidi, radicati nell’antico folclore regionale, in cui l’infelice Malpelo sorride. Fotografia Duccio Cimatti. Musica: Miriam Meghnagi.
Come e perché Placido Rizzotto, segretario socialista della Camera del Lavoro di Corleone (PA), scomparve la sera del 10 marzo 1948, ultima tappa di una lunga serie di omicidi politici commessi in Sicilia dal 1944 in poi. 1° film sulla mafia, ideato e diretto da un siciliano. P. Scimeca ha come punti di riferimento Ciccio Busacca e Danilo Dolci, un cantastorie impegnato e un educatore poeta e utopista, ma anche Salvatore Giuliano di Rosi come esempio della necessità di reinventare i modi di raccontare il Sud, pur essendone, nel suo antinaturalismo, stilisticamente lontano. Nonostante qualche slabbratura (l’enfasi musicale degli Agricantus), l’intreccio tra mito (la cadenza da ballata di un cantastorie), storia, antropologia culturale, tecniche da romanzo giallo (gli ultimi 20 minuti), ha un forte spessore narrativo che gli dà una dimensione tragica. Il finale con Dalla Chiesa e Pio La Torre, future vittime della mafia, che si danno la mano non è una trovata retorica: rivela che è “un film di morti che parlano di morti e che a loro volta verranno rimpiazzati da ulteriori morituri” (A.G. Mancino). Grolla d’oro per la sceneggiatura.
A inizio anni Novanta Biagio Conte vende tutto quello che ha e lascia la famiglia benestante a Palermo per incamminarsi alla ricerca del senso dell’esistere. Il suo è un percorso iniziatico che passa dalle montagne al mare, in totale povertà, ed è costellato di incontri in cui Biagio “smonta” e inverte di segno la diffidenza e l’ostilità dei suoi “fratelli”, trasformando ogni contatto umano in un’occasione di speranza. Ad accompagnarlo ci sono le parole e l’esempio di San Francesco, e dunque il viaggio di Biagio non può che culminare ad Assisi dove, sdraiato sul pavimento della chiesa, l’uomo troverà la sua pace interiore. Ma avrà veramente trovato Dio?
Geremia de’ Geremei ha settant’anni. Vive in una cittadina dell’Agro Pontino ed è proprietario di una piccola sartoria. Brutto e sgraziato vive in una casa buia con la madre paralizzata. La sua vera fonte di guadagno (rigorosamente depositato in cassette di sicurezza) è però l’usura. Paolo Sorrentino torna a visitare gli abissi della coscienza. Lo fa questa volta con la collaborazione di un cast totalmente all’altezza, a partire dalla intensa interpretazione offerta dal protagonista Giacomo Rizzo. Il suo non è un film di denuncia di un fenomeno più che mai diffuso in Italia. È invece un atto di accusa molto più deciso nei confronti dell’atteggiamento di uomini e donne del nostro tempo. Se Geremia è quasi ributtante per il modo in cui attrae e trattiene nella sua tela fatta di continui ricatti le proprie vittime, coloro che lo circondano non sono da meno. Solo che, a differenza di lui, non hanno le phisique du role e risultano quindi molto più difficili da individuare. È una società corrotta nel profondo quella che Sorrentino porta alla luce con mano ferma sia dal punto di vista della sceneggiatura che da quello della regia. Ci offre squarci di luciferina crudeltà, ci lascia scaricare la nostra buona coscienza addosso al protagonista ma poi…
Ritratto in piedi del divo Giulio Andreotti (1919) all’epilogo paludoso della prima Repubblica, dal 1993, inizio del suo 7° e ultimo governo, al 1996, quando comincia il processo di Palermo. È un grottesco il 4° film di Sorrentino? In parte. Non è neanche satirico, se non verso i fedeli della sua corrente. È un dramma, questo ritratto di un personaggio blindato in cui il volto e la maschera sono inscindibili. Di un politico che si assume la responsabilità di praticare il Male per difendere e promuovere il Bene in favore dei cittadini – sudditi? – ignari. Di qualcuno che chiude in sé la forza simbolica del potere, quella reale di chi ha segnato 50 anni di storia italiana e una complessità psicologica tale da renderlo enigmatico e inquietante. Con qualche forzatura espressionista Servillo lo impersona in questa direzione in bilico tra realtà e mito, tra l’immaginario popolare e il giudizio impietoso che ne dà il Moro in disparte di Graziosi. Persino le ciniche battute che snocciola a ripetizione sono enigmatiche: frutto d’intelligenza, ma non di pensiero. Escluso Aldo Moro, non a caso solo due personaggi sono rispettati in quanto umani, la moglie (Bonaiuto) e la segretaria (Degli Esposti). È un dramma dissonante: diverte in superficie, ma in profondità impaurisce. Premio Speciale della giuria a Cannes 2008. 4 Nastri d’argento: regia, sceneggiatura (Sorrentino), attore protagonista e produzione; 7 David di Donatello: attore protagonista, attrice non protagonista (Degli Esposti), fotografia, musica, trucco, acconciatore, effetti visivi.