Un paesino è dominato da una banda di furfanti che eleggono come sceriffo un vecchio ubriacone. Questi, in un risveglio di dignità, chiama in aiuto il figlio d’un famoso pistolero pensando che sia degna progenie del padre, ma invece il giovane ostenta d’odiare le pistole. Disperazione degli onesti. Il ragazzo, però, è estremamente astuto e riuscirà a trovare le prove per incastrare i banditi. Inoltre, quando i fuorilegge uccideranno l’ubriacone, farà vedere di essere in gamba anche coi pugni e con le armi.
Eve Gill (Wyman), studentessa della Royal Academy Dramatic Arts, cerca di scagionare l’amico Jonathan (Todd) che pretende di essere ingiustamente sospettato di avere ucciso il marito della sua amante Charlotte (Dietrich), diva del music-hall. Oltre a innamorarsi dell’ispettore (Wilding) che indaga sul caso, scopre alla fine chi è il vero colpevole. Noto per un lungo flashback menzognero che gli fu rimproverato come una sleale trasgressione alle regole del poliziesco, è uno dei 2 film americani di A. Hitchcock girati a Londra. Tratto da 2 racconti di Selwyn Jepson (Man Running, Outrun the Constable), sceneggiato da Whitfield Cook, è un poliziesco di routine, ma vale più della sua fama. Ha il torto di raccontare una storia in cui sono i cattivi che hanno paura e di avere in J. Wyman un’attrice fuori parte, ma l’ambientazione londinese e teatrale è deliziosa; la prima mezz’ora (con la festa di beneficienza in giardino) e il finale sono notevoli e, in bilico tra ambiguità e volgarità, M. Dietrich lascia il segno.
Alla ricerca dell’uccisore della sua fidanzata, cowboy capita al “Mulino d’oro”, quartier generale di una banda capeggiata da un giocatore di professione e dalla cantante Ambra. Girato a basso costo, fondali ed esterni di cartapesta esibiti nella loro falsità, rozzo Technicolor RKO, è uno dei più fascinosi film del Lang americano, impregnato di un romanticismo struggente sui temi della ruota, del destino, della colpa, intorno alla figura mitica di Marlene. Western barocco da mettere vicino a Johnny Guitar (1953). Scritto da Daniel Taradash.
“Angel” è il soprannome che un ricco gaudente USA dà a una signora misteriosa che incontra a Parigi in una lussuosa casa d’appuntamenti. Per lui è amore a prima vista. Dopo una serata intima, lei scompare. Rincasata, scopre che è un amico del marito. Equivoci e complicazioni. È la più drammatica e cattiva delle commedie sofisticate di Lubitsch (o la più malinconica?). Dalla pièce Angyal del magiaro Melchior Lengyel, adattata da Samuel Raphaelson e Frederick Lonsdale, sostenuta “da una geometria rigorosa e al tempo stesso reticente” (Guido Fink), merito soprattutto della regia. È interpretata da una Dietrich in gran forma per doppiezza, giuoco a nascondino, implacabile logica prefemminista. Fotografia: Charles Lang. Sottovalutato dai critici anglofoni.
Leonard Vole è accusato dell’omicidio di una ricca vedova ma la moglie Christine rifiuta di testimoniare in sua difesa. Leonard si rivolge allora ad un celebre e anziano avvocato, Wilfrid Robarts, le cui intuizioni sembreranno poter scagionare l’uomo. Le schermaglie legali durante le udienze del processo condurranno lo spettatore a ritmo serrato fino a un clamoroso colpo di scena finale. Un film in cui la suspence la fa da padrona, un meccanismo a orologeria tratto da una pièce teatrale di Agatha Christie, insuperata regina del genere. Un legal thriller ante litteram, che abbina tensione e colpi di scena, inganni ed equivoci. Strepitosa la prova di tutti gli attori, da Charles Laughton, ansimante e graffiante avvocato inglese, alla misteriosa Marlene Dietrich, a Tyrone Power a suo agio pur in un ruolo ambiguo per lui inconsueto. Con questo film Billy Wilder lascia la commedia sofisticata ma non rinuncia alle tematiche da lui predilette, come l’inganno e la maschera. Negli anni ’80 ne è stato realizzato un remake, diretto da Alan Gibson, decisamente non all’altezza dell’originale.
Scritto da Abby Mann che adattò un suo teledramma, il film ricostruisce in chiave romanzesca il processo di Norimberga del 1948 contro i criminali di guerra nazisti. Questa verbosa maratona giudiziaria è, forse, il più compatto e armonioso film del produttore-regista Kramer, e un tipico frutto culturale della presidenza di J.F. Kennedy. Saggio di oratoria democratica ad alto livello, è affidato a un all star cast nel quale bisogna segnalare i brevi e intensi interventi di J. Garland e M. Clift. 8 nomination ai premi Oscar e 2 statuette, una per lo sceneggiatore Abby Mann e l’altra a M. Schell
Il film è del 1930. È il grande momento della Germania, della Repubblica di Weimar che rappresenta la più alta manifestazione culturale del nostro secolo. Un vero fenomeno, una sorta di Rinascimento del diciannovesimo secolo. Letteratura, teatro, pittura, design, scienze, cinema: Weimar detta nuove regole al mondo. Sono invenzioni fondamentali i cui segni rimangono vivi e attivi anche nel nostro tempo. Una delle parole chiave è “espressionismo”. Un gruppo di autori di lingua tedesca come Lang, Murnau e von Sternberg trova questa nuova forma, mediata dalle arti figurative, importantissima, decisiva. Molti di questi autori, dopo il 1933, con l’avvento di Hitler, abbandoneranno il loro paese portando la corrente in tutto il mondo civile, soprattutto in America. Marlene Dietrich arrivava nel momento più opportuno, a rappresentare qualcosa di ben più vasto di una parte in un film. Catalizzava fisicamente quella tendenza. Ne era, forse inconsapevolmente, una sorta di sintesi. Veniva da ruoli insignificanti e si trovò titolare di un personaggio, Lola Lola, che avrebbe costruito un precedente imprescindibile tramandato per decenni dalla stessa Dietrich e imitato con assoluta trasparenza. I grandi segni erano: cappello a cilindro, calze e giarrettiere nere, boa di piume. Di suo l’attrice ci mise una voce roca e profonda, una carnagione bianchissima di contrasto e due gambe notevoli. L’Angelo azzurro era tratto dal romanzo di Heinrich Mann Il professor Unrath. Protagonista il grande attore tedesco Emil Jannings. Il professore si innamora della cantante e diventa letteralmente suo schiavo. Perde, insieme al lavoro, la stima dei suoi allievi e quella di se stesso. Si rende grottesco e ridicolo. Alla fine muore nell’aula in cui, anni prima, insegnava. Fra le tante imitazioni di Lola Lola una in particolare si fa ricordare: quella di Liza Minnelli in Cabaret. Emigrata in America, insieme al suo scopritore Sternberg, Marlene divenne (come la Garbo e la Bergman) una delle grandi conquistatrici europee di Hollywood, partner dei massimi divi dell’epoca. Quasi sessantenne, mostrava ancore quelle gambe.
Un poliziotto messicano, Vargas, affianca un ispettore americano, Quinlan, nelle indagini sull’uccisione di un ricco proprietario terriero. Ben presto Vargas scopre che Quinlan ha un’idea tutta sua della giustizia e che non esita a falsificare le prove pur di far combaciare la realtà con le sue convinzioni. La verità alla fine trionfa, ma non senza difficoltà. Da un “giallo” di Whit Masterson. Questo titolo è diventato, nel tempo, un vero culto per gli appassionati. Pur non essendo considerato una delle opere fondamentali del regista, contiene alcune soluzioni di linguaggio richiamate anche nelle scuole di cinema. Molto citato è il piano sequenza di dodici minuti dell’inizio. E anche le acrobazie di Charlton Heston nel finale quando pedina Quinlan cercando di registrare la sua voce per incastrarlo. L’aneddotica racconta di Marlene Dietrich, che non era prevista nella sceneggiatura, in visita casuale sul set, inserita estemporaneamente nella parte della zingara. La produzione impose al regista alcune scelte non gradite. Welles disse: “mi hanno dato Heston, biondo di un metro e novanta, per fare un poliziotto messicano”. Nel 2001 il film è stato rimasterizzato e ricomposto nella colonna sonora. È stato distribuito nel grande circuito in edizione originale sottotitolato. Il pubblico, soprattutto giovane, ha risposto bene.
Il personaggio della protagonista, Concha, è tratto dal romanzo di Pierre Louÿs La femme et le pantin: gli uomini sono burattini nelle mani di questa affascinante sigaraia sivigliana. Prima il maturo Don Pasquale, poi il giovane amico di questo, Antonio, vanno in rovina per i suoi capricci e si battono a duello.
A Vienna durante la guerra 1914-18 la vedova di un ufficiale, divenuta prostituta, è assunta dai servizi segreti austro-ungarici con nome di codice X-27, scopre la spia russa H-14, lo fa arrestare; scopre di amarlo, lo fa fuggire: è condannata a morte per tradimento. 2° film americano della coppia Sternberg-Dietrich, straordinario e incompreso, miniera inesauribile di sorprese del Kitsch più sfrenato dove il ridicolo va a braccetto del sublime, trasgredendone le regole della narrazione, della verosimiglianza, del buon gusto con una anarchica follia che culmina nella sequenza finale. “È un’opera che ha in sé la propria parodia, intera” (G. Buttafava).
L’arrivo sull’isola di Boni-Komba nel Pacifico di un giovane ufficiale di marina, Bruce Witney, desta l’interesse della scandalosa cantante Bijou (Marlene Dietrich), che dopo una vita turbolenta tra bettole e taverne, intravvede nell’incontro la possibilità di costruirsi un’esistenza diversa, libera finalmente dal suo losco protettore (Broderick Crawford). Una colossale zuffa che vede coinvolti tutti i personaggi . Il dramma esotico di Garnett riprende il tema, caro al regista, del rapporto tra il crescere delle passioni e la furia degli elementi naturali, grazie all’ambiguità sensuale della Dietrich – in un ruolo molto vicino alla Amy Jolly interpretata in Marocco – e al crescente talento di un giovanissimo John Wayne, destinato di lì a poco a diventare uno dei miti immortali del cinema. Oltre a una delle più celebri scazzottature cinematografiche, il film si segnala anche per due indimenticabili canzoni affidate al carisma della Dietrich, I’ve Been in Love before e The Man’s in the Nav
Alla dogana di frontiera tra Francia e Spagna ladra internazionale di gioielli nasconde il bottino che scotta nell’auto di un insospettabile turista americano che poi cerca di circuire per riaverlo, ma non è escluso che se ne sia innamorata, come sospettano i suoi complici. Commedia romantica che _ dall’inizio scintillante di brio sino all’ultima parte dove il motore perde più di un colpo anche per la necessità di arrivare alla lieta fine _ è segnata dallo stile inconfondibile di E. Lubitsch che ne fu produttore e supervisore. Secondo G. Fink fa parte _ con Angelo, L’ottava moglie di Barbablù e Ninotchka _ di un piccolo trattato di economia politica che illustra la logica del capitale. Ridistribuito come Canaglie di lusso. La Dietrich canta “Awake in a Dream”. Deriva dalla pièce Die schönen Tage in Aranjuez di Hans Székely e Robert A. Stemmle, già filmato in Germania.
Un film di Josef Von Sternberg. Con Marlene Dietrich, John Lodge Titolo originale The Scarlet Empress. Drammatico, b/n durata 110 min. – USA 1934. MYMONETRO L’imperatrice Caterina valutazione media: 3,67 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Sposa infelice di uomo fisicamente e spiritualmente malato, Sofia, la futura imperatrice Caterina di Russia, cerca consolazione tra sudditi e dignitari corrotti. Ciononostante, alla morte della sovrana Elisabetta, viene incoronata regina.
Arrivata nel 1840 a La Nouvelle-Orléans da San Pietroburgo, una donna dal dubbio passato si fa passare per contessa allo scopo di fare un ricco matrimonio. Ci riesce, ma riappare un bel marinaio. Il 1° e il più fiacco dei 4 film diretti a Hollywood dal regista francese. Non più di due o tre trovate intelligenti, molte citazioni, una Dietrich impacciata. Rifatto con Scarlett Angel (1952), ancor più moscio.
Nella lussuosa prima classe del treno Pechino-Shanghai, in una Cina sconvolta dalla guerra civile, prendono posto vari viaggiatori all’apparenza rispettabili, e due prostitute d’alto bordo, Hui Fei (Anna May Wong) e Shanghai Lily (Marlene Dietrich). L’ufficiale inglese Donald Harvey (Clive Brook) riconosce in Lily una donna che ha amato alcuni anni prima e che ama ancora, Magdalen. Lungo il viaggio, il treno viene preso d’assalto e sequestrato dai rivoluzionari, che pretendono l’immediato rilascio di un loro uomo in cambio di Harvey, preso come ostaggio.
La cantante di cabaret Amy Jolly (Marlene Dietrich), amante di un ricco pittore, arriva in una città del Marocco spagnolo dove è di stanza la Legione Straniera, riscuotendo grande successo in un frequentato cabaret. Da tutti corteggiata, la donna si innamora invece di un semplice legionario, Tom Brown (Gary Cooper), amante della moglie del comandante della guarnigione. Il melodramma esotico tratto da un romanzo di Benno Vigny è il primo film americano della coppia von Sternberg-Dietrich, e con i suoi tratti onirici divenne il prototipo del cinema hollywoodiano barocco e antirealistico, grazie all’inverosimiglianza dell’ambientazione (un Sahara palesemente ricostruito in studio) che assume connotati marcatamente simbolici. Il mito di “femme fatale” della Dietrich (per questo ruolo candidata all’Oscar) viene controbilanciato dal mito maschile dell’uomo desiderato ma inafferrabile qui impersonato da Gary Cooper.
Un film di Billy Wilder. Con John Lund, Marlene Dietrich, Jean Arthur, Millard Mitchell Titolo originale A Foreign Affair. Commedia, Ratings: Kids+16, b/n durata 116′ min. – USA 1948. MYMONETRO Scandalo internazionale valutazione media: 3,54 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Nel 1946 una commissione del Parlamento di Washington arriva a Berlino per un’inchiesta sulla fraternizzazione tra americani vincitori e tedeschi sconfitti. Irridente e amara commedia all’acido prussico in cui B. Wilder mette alla berlina il puritanesimo USA alle prese con la Germania sconfitta in rovina. Bisogna ascoltare Marlene che canta “Black Market”. View full article »
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