Due criminali funestano Gotham City: “Due Facce”, magistrato deturpato e impazzito, e l’Enigmista, scienziato folle e geniale con l’ossessione degli indovinelli. Bruce Wayne, alias Batman, rivive i propri traumi infantili quando la famiglia del giovane trapezista Dick Grayson viene decimata da “Due Facce”, ma per fortuna interviene l’incandescente psicanalista Chase Meridian. Alla fine Dick diventerà Robin per affiancare Batman nella resa dei conti.
Australia, 1939. Sarah Ashley, un’aristocratica inglese, lascia Londra alla volta di Darwin, decisa a ricondurre a casa e al talamo coniugale il proprio consorte. Scortata da un mandriano brusco e attaccabrighe alla tenuta di Faraway Downs, Sarah scopre con sgomento la morte di Lord Ashley e la crisi in cui versa il ranch. L’incontro con una terra orgogliosa e selvaggia e l’affetto per Nullah, un orfano nato da madre aborigena e padre inglese, la convincono a restare e a risollevare le sorti della proprietà.
Steven è un cardiologo: ha una bellissima moglie, Anna, e due figli, Kim e Bob. All’insaputa di costoro, tuttavia, si incontra frequentemente con un ragazzo di nome Martin, come se tra i due ci fosse un legame, di natura ignota a chiunque altro. Quando Bob comincia a presentare degli strani sintomi psicosomatici, la verità su Steven e Martin sale a galla. Come per la versione originaria di 2001 – Odissea nello spazio, è un minuto di buio a introdurre The Killing of a Sacred Deer, sulle note dello Stabat Mater di Schubert. L’immagine immediatamente successiva è quella di un intervento a cuore aperto, inquadrato senza veli dalla macchina da presa.
Lyra (Dakota Blue Richards) è una ragazzina orfana che vive con il suo daimon (rappresentazione fisica in forma animale di un individuo), che si fida del suo tutore Lord Asriel (Daniel Craig) ma che viene concupita dalla bella affascinante Mrs. Coulter (Nicole Kidman). Quando alcuni dei suoi amici vengono rapiti dagli ingoiatori Lyra cercherà insieme ai Gyziani di recarsi nella terra degli orsi polari per salvare chi realmente conta per lei.
Non c’era un marito buono per Gertrude Bell in tutta l’Inghilterra. Troppo sveglia, curiosa, acculturata, intelligente e troppo poco disposta a nascondere queste qualità per accasarsi. Solo fuori dai confini del suo paese, nei deserti dell’impero Ottomano in disfacimento, ha cominciato a vivere. Non solo popoli, persone, immensità e luoghi da conoscere ma anche esseri umani che ne apprezzassero la forza intellettuale. Tra un amore civile e uno selvaggio nella sabbia, Bell, cavalcando con tre cammelli e due aiutanti, ha conosciuto, esplorato e preso contatto con luoghi e popoli a cui nemmeno l’intelligence britannica aveva accesso, diventando, di fatto, il loro braccio e la loro spia principale. Tanto che nel 1920 fu lei a dividere l’impero Ottomano, segnando i confini dei nuovi stati e assegnandone il comando. Ancora una volta nel cinema di Werner Herzog il teatro di tutta l’azione, nonchè lo specchio della portata epica delle intenzioni dei personaggi, è un’immensità riempita da una natura incontaminata, nella quale la vita ha il medesimo sapore della morte e in cui l’uomo sembra un ospite indesiderato della fauna. Al centro dell’epopea di Gertrude Bell secondo Herzog (che, come sempre, quando può, scarta volentieri dai fatti veri) c’è, per l’appunto, il deserto. La definizione delle imprese di questa donna, che il regista guarda con la precisa volontà di scalzare Lawrence d’Arabia dal suo trono (Pattinson è così fuori parte che sembra quasi fatto apposta), si misura con l’immensità che attraversa ed esplora. Di luogo inaccessibile in luogo inaccessibile la sua Bell sfida se stessa attraverso la natura (come tutti gli eroi herzoghiani), in imprese che gli altri ritengono impossibili. Nonostante non sia un uomo quindi, la Gertrud Bell di Nicole Kidman si presenta come una delle migliori personificazioni dello spirito dell’eroe per Werner Herzog: una persona dalla tenacia fisica alimentata dalla forza morale (tanto da resistere ad uno sparo nel braccio) e la cui audacia è sostenuta da un desiderio profondissimo, che per Bell è conoscere e vedere, per poi fare da mediatrice politica.
Margot ha un figlio, Claude, e un marito, Jim. È una scrittrice famosa e ha un amante, Dick , che ha una figlia adolescente, Maisy. Margot decide di raggiungere con Claude la sorella Pauline che sta per sposarsi con Malcolm riprendendo fiducia nella coppia dopo un matrimonio fallito che le ha lasciato una figlia, Ingrid. Le due sorelle non hanno mai avuto un buon rapporto e le cose non migliorano dopo che Margot ha conosciuto Malcolm che ritiene del tutto inadatto alla sorella. Per di più è la prima a cui Pauline confida di essere incinta. Margot non terrà per sé il segreto.
Fratello degenere di Ridley, Tony, pur con il suo manierismo inossidabile, ha sempre la risposta del pubblico, che ha ciò che vuole. In questo caso un Tom Cruise tutto sorrisi. Di trovata in trovata si arriva all’amore e alla vittoria in una corsa automobilistica. Ma Tom Cruise non è Steve McQueen e Tony Scott non è un regista d’attori. Successo di pubblico.
Nuovo thriller politico per Pollack in odore dell’Hitchcock dell’ Uomo che sapeva troppo , anche se qui si tratta di una donna: Silvia Broome, bionda, algida e un po’ misteriosa interprete alle Nazioni Unite, ascolta per caso una conversazione in cui si parla dell’uccisione di un leader africano. Denuncia la cosa e le affibbiano un agente FBI per proteggerla. Passato e presente s’incrociano fino alla non banale soluzione finale. Per la prima volta l’ONU ha autorizzato riprese nel vero Palazzo di vetro (gli esterni africani sono stati girati in Sudafrica) e la scena finale – con il Palazzo delle Nazioni Unite da una parte e il vuoto del World Trade Center dall’altra – è l’emblematica, efficace chiusa di un thriller elegante e ben costruito, dove la suspense politica funziona, la tensione psicologica dei personaggi è resa mirabilmente da un cast di star liberal (Kidman bella e brava, ottimo Penn, Keener perfetta), il “messaggio” ideologico arriva, semplice e cristallino, e la componente spettacolo è salvaguardata. Inspiegabilmente snobbato in USA, accoglienza tiepida anche in Italia.
Dal libro di Michael Cunningham, emergentissimo autore americano già insignito di Pulizter. Storia di tre donne legate dal romanzo “Mrs Dalloway” scritto da Virginia Woolf e letto dalle altre due con risultati devastanti. Prima storia: della stessa Woolf (Kidman, deturpata per assomigliare all’originale), fine anni venti, Inghilterra, quando la scrittrice non riesce ormai più a controllare il suo mortale esaurimento (infatti si annegherà riempiendosi le tasche di sassi). La seconda è quella di Laura (Moore) a Los Angeles 1949, che ha, fra le altre angosce, un marito dolciastro e convenzionale che le fa odiare la vita e il figlio: li abbandonerà per trovare se stessa.
A Manhattan (ricostruita in studio a Pinewood, GB) alla fine del ‘900, la quieta vita di una giovane e agiata coppia – un medico e una gallerista con una bambina – entra in crisi quando cominciano a incrociarsi desideri, fantasie sessuali, adulteri sognati o mancati. L’epilogo è pragmatico, non consolatorio. Pur nella sua sostanziale fedeltà, il 13° e ultimo film di Kubrick, sceneggiato con Frederic Raphael, reinventa il romanzo breve Traumnovelle ( Doppio sogno , 1926) di A. Schnitzler. Opera imperfetta, un po’ ripetitiva e incompiuta (nel montaggio) che a livello stilistico rifiuta ogni pathos, è leggibile in chiave ironica, psicanalitica, politica, persino filosofica come suggerisce il titolo: per vedere meglio – per accedere a un'”altra” visione – bisogna tenere gli occhi ben chiusi. Fondato sul numero 2 (la coppia, lo specchio, il doppio, ecc.), è un film che trasuda denaro nella sua impietosa descrizione dei rapporti di classe, di censo, di potere, soprattutto sui poveri e sulle donne e sui loro corpi. È forse il film più politico di Kubrick, sostenuto da quel moralismo laico, materialista, settecentesco che l’ha sempre guidato nell’esplorare territori di una frontiera “che separa, ma per ciò stesso, connette” (U. Curi). Qui la frontiera è tra realtà e sogno nel senso che la vita è strutturalmente anche sogno, non contenuto ma forma della Traumnovelle .
1986, bimbo indiano di 5 anni si addormenta in una stazione e poi, cercando il fratello maggiore che sta lavorando, sale su un treno che percorre 1600 km prima di fermarsi a Calcutta. Il piccolo non sa dove viveva, non parla bengalese e non sa dare indicazioni sulla sua famiglia. Dopo vane ricerche, è adottato da una coppia australiana. 25 anni dopo, sulla base di vaghi ricordi, si mette in cerca della sua famiglia. Sembra incredibile, ma è una storia vera e Davis la racconta con emozione e senza facili stratagemmi strappalacrime, coinvolgendo lo spettatore, portandolo a riflettere sulle problematiche dell’adozione (e a conoscere meglio come funziona) e sull’incontro di 2 culture tanto diverse.
Grace e Jonathan Fraser sono una ricca coppia di Manhattan: vivono in un duplex sulla Quinta strada, hanno lavori qualificati (lei è psicoterapeuta, lui oncologo infantile), un figlio adolescenteche frequenta una prestigiosa scuola privata. Durante un incontro del comitato genitori della scuola, Grace rimane colpita da Elena, giovane donna d’estrazione popolare che si comporta in maniera poco consona all’alta società. Al termine di una serata di beneficienza, durante la quale Elena ha rivelato a Grace il proprio disagio esistenziale, la donna viene trovata morta, selvaggiamente uccisa a martellate.
Hrafnsey, X secolo d.C. In un regno del Nord Europa Amleth, figlio del re Aurvandil, assiste all’agguato in cui muore il padre per mano di suo fratello Fjölnir. L’usurpatore del trono prende in sposa Gudrun, la madre di Amleth, mentre il ragazzo riesce a fuggire e mettersi in salvo. Anni dopo, Amleth è cresciuto: diventato un berserker, guerriero implacabile e animalesco, conosce solo uno scopo per la sua vita: vendicare il padre, salvare la madre, uccidere lo zio.
Terzo remake (conclamato) del film di Don Siegel L’invasione degli ultracorpi , dal romanzo (1956) di Jack Finney. Questa volta l’epidemia che trasforma gli umani in una via di mezzo tra zombie e robot sembra arrivare dallo spazio e gli unici a cercare di fermarla sono l’algida Kidman e il sanguigno Craig. La regia è stata affidata al tedesco Hirschbiegel che poi ha lasciato insoddisfatta la produzione (J. Silver) che ha provveduto con i fratelli Wachowski e il regista J. McTeigue a rimontare il film e a far aggiungere azione, adrenalina, lieta fine. Parte benino, il film, con un blando tentativo di critica di costume all’indifferenza dell’uomo moderno, ma s’impantana poi nel ridicolo involontario quando prevalgono inseguimenti, sparatorie, bombe molotov (!). La sontuosa confezione non dà contenuto a un film che perde per strada la metafora e resta solo irrimediabilmente prevedibile.
Da una pièce teatrale di David Lindsay-Abbaire che l’ha adattata, è un dramma familiare – in cadenze di un mélo doloroso tenuto a freno – in cui, 8 mesi dopo aver perduto un figlio di 4 anni, Becca e Howie non hanno superato il trauma e non riescono ad avere rapporti sessuali. La regia di Mitchell è al servizio della Kidman nei rapporti con la madre e con la sorella, con sé stessa in attesa di una seconda maternità e soprattutto col ragazzo che causò il mortale incidente, rapporto morboso che forse le darà una via d’uscita. È una regia fondata sulla sottrazione, la cura dei dettagli e delle sfumature (da elogiare anche lo spontaneo Eckhart come marito), le inutili e astratte consolazioni degli amici, la faticosa ricerca di una nuova stabilità, i silenzi tra i coniugi, isolati l’uno dall’altro. Distribuzione Videa Cde. Rabbit Hole = la tana del coniglio.
Parigi 1899-1900. Il giovane scrittore Christian è assunto per scrivere il nuovo spettacolo del Moulin Rouge, diretto da Harold Zidler. S’innamora della primadonna Satine di cui il duca di Worcester, finanziatore dello show, pretende il corpo e il cuore. Christian è minacciato di morte; Satine, malata di tbc, muore dopo la prima trionfale. Musical pop australiano che chiude un’ideale trilogia dello spettacolo ( Ballroom , Romeo e Giulietta ), è un film di traboccante esagerazione audiovisiva, Kitsch svergognato, vertiginoso sincretismo che tende alla leggerezza e cerca “volontariamente l’imperfezione” (S. Emiliani). Appoggiato a una storia d’amore, è un prorompente pastiche che apre il XXI secolo, raccontando la fine del XIX e riassumendo il XX. Superfluo far l’elenco di miti, citazioni, rimandi, riciclaggi, contaminazioni, anacronismi (da Méliès a Ophüls, dal can-can e Satie ai Beatles e David Bowie), scatole cinesi scenografiche, superfici, fibrillazioni. Tutto calcolatissimo, molto sembra improvvisato. Scritto dal regista produttore con Craig Pearce; fotografia: Donald M. McAlpine; scene di Catherine Martin e Brigitte Broch, costumi della stessa Martin con Angus Strathie, entrambi premiate con l’Oscar. Kidman in stato di grazia.
A Cold Mountain (North Carolina) nasce l’amore tra Ada Monroe (Kidman), agiata figlia di un predicatore, e W.P. Inman (Law), taciturno carpentiere. La guerra di Secessione li divide. Arruolato nelle file sudiste, Inman scampa al massacro di Petersburg (1864), diserta e si mette in cammino per raggiungere Ada che, intanto, si fa aiutare dall’indomita Ruby (Zellweger) per rimettere in sesto la fattoria paterna. Il 5° lungometraggio del britannico A. Minghella – che ha sceneggiato un romanzo di Charles Frazier – è un melodramma d’amore fondato sul montaggio parallelo di due blocchi narrativi: le drammatiche vicende dei due amanti lontani, separati prima dalle differenze di classe, poi dalla guerra. Dopo la battaglia di Petersburg – una larga sequenza di forte impatto spettacolare – il blocco mobile e avventuroso di Inman, scandito in varie tappe come si addice a un racconto di viaggio, risulta meno coinvolgente di quello stabile di Ada e del suo duetto con Ruby in un personaggio di maschietta che è valso a R. Zellweger l’Oscar per l’attrice non protagonista. Esterni girati in Romania. Scenografie di Dante Ferretti. Altre 5 nomination: J. Law (attore), John Seale (fotografia), Walter Murch (montaggio), Gabriel Yared (musica con brani folk e bluegrass ), canzone originale.
Grace è una vedova di guerra con due figli, Anne e Nicholas. Un giorno arrivano tre domestici e la donna mostra loro la casa ricordando che una porta non va mai aperta prima che sia chiusa l’altra. Ma i domestici conoscono l’abitazione, ci hanno già lavorato tre anni prima. C’è un segreto familiare: Anne e Nicholas dicono che da qualche tempo la mamma è diventata matta. Grace manifesta una personalità molto rigida, mentre Anne afferma che in casa, oltre al fratello, c’è un bambino. Nicole Kidman è ormai un’attrice per tutte le stagioni. Non c’è ruolo, non c’è film che non la vedano protagonista efficace e versatile, capace di reggere sceneggiature d’autore così come film commerciali. È il caso di quest’opera che vuole consolidare il suo status di Grace Kelly degli anni Novanta, tenendo presente il bisogno di non far adagiare troppo a lungo il pubblico in poltrona. Brividi e colpo di scena non mancano
Un film di Gus Van Sant. Con Matt Dillon, Nicole Kidman, Illeana Douglas, Joaquin Phoenix, Casey Affleck. Titolo originale To Die for. Commedia, Ratings: Kids+16, durata 110 min. – USA 1995. MYMONETRO Da morire valutazione media: 3,36 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Suzanne Stone è una bionda e bella ragazza di Little Hope con un sogno nel cassetto: sfondare in televisione. Sposatasi all’adorante Larry Maretto, figlio di un ristoratore italo-americano in odore di mafia, si risolve a farlo fuori nel momento in cui l’uomo avanza la richiesta di un figlio e di una vita borghese e provinciale, inconcepibile ostacolo sulla strada di Suzanne per il successo. Sfruttando il suo potere di seduzione su tre adolescenti complessati, la Barbie killer mette a segno il suo colpo, ma non tutto va secondo i piani.
Tratto da un romanzo di Joyce Maynard e sceneggiato da Buck Henry, il primo lavoro di Gus Van Sant su commissione di una major non rinuncia a riflettere sulla forma, all’interno di un contesto narrativo sardonico ma non troppo originale.
Inaugurato da una straordinaria sequenza di titoli di testa, il racconto si costruisce come una serie di interviste ai congiunti di Suzanne, ripresi nei luoghi del lavoro e durante un talk show, alle quali si aggiunge un’autointervista della stessa signora Maretto, estremo e folle tentativo di ottenere l’ultima parola. View full article »
Un film di Chan-wook Park. Con Mia Wasikowska, Matthew Goode, Nicole Kidman, Jacki Weaver, Alden Ehrenreich.Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 100 min. – USA, Gran Bretagna 2013. – 20th Century Fox uscita giovedì 20giugno 2013. MYMONETRO Stoker valutazione media: 3,48 su 23 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
India Stoker è una ragazza sensibile e introversa, che vive con la famiglia in una bella villa isolata nella campagna americana. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, l’amato padre muore in un incidente e, a casa Stoker, si presenta lo zio Charlie, fratello più giovane del padre, della cui esistenza India è sempre stata tenuta misteriosamente all’oscuro.
Il sudcoreano Park Chan Wook debutta in lingua inglese con un cast e un copione che sembrano di sua diretta emanazione, tanto rispondono alle caratteristiche di eleganza, claustrofobia sociale e confidenza con l’inquietudine che fanno da sempre il suo cinema.
Come già in Thirst non c’è scandalo alcuno nel vampirismo secondo Park. Il morso è quello del desiderio, al quale i personaggi del film non possono resistere, anche se ognuno di loro imparerà a suo modo a gestirlo. E non c’è sangue, in scena: l’arma rappresentata dalla cintura ha, anzi, la funzione del laccio emostatico, che trattiene, rigonfia, prepara. View full article »