Cosimo e Leo sono due poliziotti completamente deficienti (con il “ci” sillabato) mandati a sorvegliare un boss della camorra proprio in virtù della loro manifesta idiozia dal loro capo corrotto. Ciò nonostante riescono a fotografare il boss, che dunque si vede costretto a rifarsi letteralmente la faccia, e si rivolge a due chirurghi plastici, Alex e Dino, che si mettono all’opera per esaudire la sua richiesta (in punta di pistola): assomigliare come una goccia d’acqua a Leonardo DiCaprio. Peccato che i chirurghi, anch’essi piuttosto deficienti, capiscano Peppino Di Capri e rendano il criminale identico al cantante campano.
Un’americana sposata trascorre qualche settimana di vacanza a Roma. Qui si innamora di un professore e ne diventa l’amante. Un giorno, dopo una telefonata da casa, la donna decide di partire. A nulla valgono i tentativi dell’uomo per trattenerla: la paura dello scandalo è più forte di lei, benché giuri allo spasimante che lo amerà per sempre.
Un giovane garibaldino, che è stato ferito, si rifugia in un collegio dove viene assistito da due allieve. Una di esse, figlia di nobili, è la sua fidanzata che non vedeva da tempo.
Gli sciuscià sono i ragazzini lustrascarpe (dall’americano “shoe-shine” che significa, lustrare le scarpe). Si guadagnano qualche spicciolo sulle scarpe dei soldati americani a Napoli, siamo nel 1945. Pasquale e Giuseppe vogliono comprarsi un cavallo. Raccogliere i soldi necessari solo lustrando sarebbe impossibile così si fanno invischiare in una faccenda di mercato nero e finiscono in riformatorio, dove incontrano una realtà orrenda che li mette a dura prova, compromettendo la loro stessa amicizia. Durante un tentativo di fuga uno dei ragazzi muore cadendo da un ponte, l’amico, prima di essere ripreso dalle guardie, lo tiene, disperato, fra le braccia. Il primo capolavoro di De Sica divenuto successo oltre confine, premiato con un Oscar. Lo sguardo è per i ragazzi, un tema carissimo al regista che aveva già firmato I bambini ci guardano. Nel ’48, con Ladri di biciclette, De Sica finiva la sua trilogia dei bambini. Registriamo la magnifica performance di Franco Interlenghi che sarebbe diventato un volto indispensabile di quel cinema. Sciuscià è uno dei titoli che hanno costruito la leggenda del cinema italiano di quella stagione, leggenda per il mondo. Apriva una strada che sarebbe rimasta solo nostra.
Proprio come nelle favole, Totò nasce sotto un cavolo e viene adottato da una buona vecchina che purtroppo muore troppo presto. Però il suo spirito non abbandona mai il buon Totò e gli viene in aiuto nei momenti più difficili. Soprattutto quando un ricco commendatore tenta di scacciare Totò e i suoi amici dal terreno sul quale vivono perché vi ha trovato il petrolio. Per merito della colomba magica che gli ha donato lo spirito della madrina, Totò compie molti miracoli e chiude in bellezza organizzando un esodo di tutti i poveri e gli sfrattati che partono alla ricerca di un mondo più giusto a cavallo delle scope.
Due maestri elementari, che non riescono ad avere un figlio, si rivolgono a un luminare della scienza che prescrive uno speciale regime di vita. Il marito si presta obbedientemente, ma non si arriva che a una gravidanza isterica. Consultano una chiromante che prescrive un rimedio specifico e ordina di fare all’amore nel plenilunio.
Filumena Marturano è una giovanissima prostituta e Don Domenico Soriano è un signorotto benestante. I due si incontrano durante un bombardamento in una casa di tolleranza e l’uomo, intenerito e affascinato, fa di lei la sua amante per anni. Ma Filumena non si accontenta e, un giorno, finge la morte per farsi sposare in extremis. Scoperta la beffa, stupisce nuovamente il consorte informandolo di essere la madre di tre ragazzi, uno dei quali è figlio suo, ma si guarda bene dal rivelargli quale. Mentre cerca di scoprirlo, Domenico si accorge di essere, in verità, padre felice di tutti e tre i figli.
Un giovane studente senegalese dopo la morte del padre emigra in Italia. Riesce a trovare un lavoro precario a Villa Literno, si trasferisce a Firenze da una cugina che fa l’indossatrice per poi giungere a Torino. Qui, grazie anche a un’insegnante di italiano, trova una situazione stabile. Ma un’aggressione razzista lo spinge a riconsiderare tutto.
1943. Cesira ha una figlia adolescente, Rosetta, ed è vedova. In seguito ai bombardamenti decide di lasciare la città per tornare al paese d’origine in Ciociaria. Qui conosce Michele, un giovane intellettuale che si innamora di lei. Dopo l’8 settembre gli alleati risalgono la penisola e sia lei che la figlia vengono violentate da un plotone di soldati marocchini. Tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia il film ebbe iniziali vicissitudini produttive che De Sica riassume così: “Ponti e Girosi in un primo momento pensavano di affidare il personaggio della madre ad Anna Magnani e quello della figlia a Sophia Loren. Ma non poterono concludere questo accordo per gli impegni assunti dalla Magnani. Fui io a prospettare a Ponti la possibilità di affidare la parte della madre a Sophia Loren e di ricorrere a una bambina di dodici anni per quello della figlia. In Ciociaria le ragazze si sviluppano in fretta e si sposano a quindici anni; bastava ‘appioppare’ due anni in più a Sophia e il conto sarebbe tornato.” Una versione più ‘maligna’ vuole che la Magnani avesse rifiutato la Loren come figlia anche per problemi di reciproche altezze. Sta di fatto che questo elemento contingente (quale che ne fosse la causa) costituisce la forza del film. Perché, come ricorda Enrico Lucherini, “Tra De Sica e la Loren c’era una lunghezza d’onda comune, c’era una identica capacità di calore, di entusiasmo e di immediatezza”. Tutto ciò emerge con forza in un film che valse all’attrice un meritato Oscar perché il suo essere popolare e di origini popolane viene qui a misurarsi con un personaggio complesso, capace di grandi slanci, dotato di una irrefrenabile vitalità ma anche portatore di una rabbia interiore nei confronti di una situazione bellica che la turba più di quanto non accada ad altri con cui deve condividere la situazione di sfollata.
Un uomo rinchiuso in una clinica per malattie nervose ripensa alla sua vita: l’autoritarismo della madre e l’egoismo del fratello l’hanno portato a una nevrosi che gli rende difficile ogni rapporto con le donne.
Una roboante voce misteriosa annuncia a Napoli l’imminente giudizio universale. Ciascuno reagisce nella maniera più impensata dimostrando di volersi pentire dei propri peccati.
Una donna tradisce il marito e ne provoca il suicidio. Lo sviluppo della tragedia è osservato e sofferto dal loro figlio, il piccolo Pricò. È uno dei primi esempi, assieme a Ossessione, del nuovo cinema italiano che avrebbe dato vita al neorealismo. L’attore Emilio Cigoli, qui nella parte del marito, avrebbe dato la voce a tantissimi attori (Gary Cooper, Gregory Peck, John Wayne, Jean Gabin). Il soggetto è tratto dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola.
Il film è suddiviso in tre episodi ognuno intitolato con il nome della protagonista. “Adelina” è una venditrice di sigarette di contrabbando nelle vie del quartiere Forcella a Napoli che, non avendo pagato una multa, rischia il carcere. Se però rimarrà incinta l’ordine di carcerazione verrà sospeso. Il marito Carmine viene quindi sottoposto a un tour de force sessuale senza fine. “Anna” è una ricca donna milanese sposata che ha un amante, Renzo, di condizioni economiche decisamente inferiori. Anna sembra trovare in lui ciò che la ricchezza non le offre. Ma è solo apparenza. “Mara” si prostituisce a domicilio in un appartamento le cui finestre danno su piazza Navona. Ha un cliente bolognese, particolarmente affezionato ma lo deve trascurare perché il giovane seminarista che abita dai nonni nell’appartamento accanto si è innamorato di lei.
Un lavoro senza grande spreco di talento né per De Sica né per i suoi attori; solo professionismo. Si racconta l’incontro di July, un’americana condannata da una malattia incurabile, e Valerio. I due trascorrono una breve vacanza in montagna. L’uomo viene a conoscenza del male che minaccia la sua compagna e decide di restarle vicino.
Roma primi anni Sessanta. Giovanni Alberti cerca di fare l’imprenditore edile senza avere capitali, e si trova in grandi difficoltà. I suoi amici sono tutti costruttori e hanno un tenore di vita che Giovanni non può sostenere. Quando chiede prestiti gli altri fanno orecchie da mercante. Giovanni deve ridimensionarsi e la moglie, abituata all’agiatezza, non capisce, in sostanza lo lascia. Giovanni incontra la moglie, non giovane, di un grande costruttore. Questa, ammiccante, gli dà un appuntamento. Ma la ragione non è quella che Giovanni immaginava: la donna gli chiede se sarebbe disposto a vendere un occhio al marito, che lo aveva perso in un incidente. Giovanni dapprima è furioso, ma poi capisce di non aver altra scelta. Con l’anticipo dei duecento milioni pattuiti dà una grande festa, per l’invidia di tutti, e sana i suoi debiti. La moglie torna a casa e tutto va a posto. Adesso però c’è da vendere l’occhio. In clinica Giovanni è terrorizzato, cerca di scappare ma viene ripreso. Non potrà proprio sottrarsi. Il film ebbe allora critiche pessime. Bastava che una storia dispensasse qualche sorriso perché venisse ritenuta di serie B. Era il dramma del povero Totò. Il Boom è del 1963, che fu proprio l’anno fondamentale del miracolo economico italiano (del “boom” appunto), e De Sica fece un ritratto che risulta geniale soprattutto a posteriori, quando sappiamo che quella stagione era soprattutto una speranza se non un abbaglio. La vicenda individuale di Alberto Sordi era come sempre la storia della speranza di un italiano. Del resto è proprio con ruoli come questo che l’attore è diventato l'”Albertone nazionale”, l'”Italiano medio”, il “più italiano degli italiani”. Noi riteniamo che nessun film come questo rappresenti quei sentimenti e quella confusione. Tutto questo con in più l’effetto De Sica, maestro assoluto, conoscitore della gente come nessuno e con l’effetto Sordi, nel momento migliore della sua carriera.
Al fine di evitare la partenza per il fronte africano, Antonio, un soldato settentrionale, sposa la napoletana Giovanna, cui si sente subito legato da grande passione. Quando si fingerà pazzo per non doversi più separare da lei, scoperto, dovrà partire per la campagna di Russia. Dopo la ritirata del 1943, i soldati italiani ritornano a casa, ma non Antonio, che figura nelle liste dei dispersi. Decisa a non mollare e convinta com’è che sia ancora vivo, la risoluta Giovanna partirà per cercarlo fino in Russia e in Ucraina.
Al Cairo sparisce un carico d’oro. Deve riuscire a introdurlo in Italia Aldo Vanucci, detto “la volpe” per la furberia con la quale riesce sempre a evadere. Ma proprio mentre appronta la scena dello sbarco dell’oro rubato, interviene l’Interpol. Tutti arrestati. Naturalmente in primavera “la volpe” evaderà di nuovo. Film decisamente minore del De Sica post-neorealista.
Èun’ennesima versione del romanzo di Tolstoj sceneggiato oltre che dallo stesso Duvivier anche dal celebre commediografo Jean Anouilh. L’interpretazione di Vivien Leigh, diversissima da quella della Garbo, è efficacissima.
La vita difficile in un piccolo paese calabrese nel 1959, tra la durezza della vita quotidiana, la gioia di un’antichissima festa rituale della primavera, l’arrivo della notte. Le immagini di De Seta colgono gesti ormai scomparsi e la dimensione collettiva di un mondo ormai perduto, facendo del cinema uno straordinario strumento di scoperta di una cultura attraverso i volti, i sorrisi, i gesti più antichi.