Nell’ottobre 1957, mentre i paracadutisti del colonnello Mathieu rastrellano la Casbah, Ali La Pointe, uno dei capi della guerriglia algerina, rievoca il passato, l’organizzazione dell’FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), gli attentati, gli scioperi, le delazioni. Ali La Pointe è ucciso, ma tre anni dopo, in dicembre, il popolo algerino scende in piazza, proclamando la propria volontà di indipendenza. Sobria rievocazione di taglio documentaristico sulla base di una solida sceneggiatura di Franco Solinas che, con forte coralità e qualche dilatazione nelle fasi degli attentati, mostra una guerra di popolo, spiegando anche le ragioni del “nemico”, i francesi. Leone d’oro a Venezia, il film ebbe vasta risonanza internazionale, soprattutto sui mercati di lingua inglese, diventando, fra l’altro, un film di studio per le Black Panthers. Musica di E. Morricone e splendido bianconero scope di Marcello Gatti.
È un bozzetto della vita in un paese del Meridione disegnato attraverso la figura di due ragazzi, uno studente svogliato e un ragioniere. I due trascorrono le giornate negli stessi luoghi, facendo i medesimi discorsi, preferendo la monotonia quotidiana a qualunque altro possibile sbocco. Primo lungometraggio della brava regista televisiva che dimostra mano sicura e approfondisce l’indagine psicologica e sociale della realtà meridionale. La Wertmüller era partita bene, piena di rigore e di propensione alla verità. Non ha poi mantenuto le promesse, anche lei catturata dalla tentazione del cinema dai grandissimi mezzi.
Nel 1750 il capitano Mendoza, mercenario e mercante di schiavi, dopo aver ucciso il fratello in duello si fa gesuita, va in una missione del Sudamerica, riprende la spada per difenderla da una spedizione militare. Cinema spettacolare ad alto livello che ha tutte le carte per piacere a pubblico e critica: nobili temi e forti conflitti drammatici, una star (De Niro), un ottimo attore (Irons), bravi caratteristi, musiche di Ennio Morricone. Scritto da Robert Bolt, prodotto dall’italiano Fernando Ghia, costato 22 milioni di dollari. Qua e là irritante per il suo tragicismo programmatico. Oscar alla fotografia di Chris Menges. Palma d’oro a Cannes.
Ogni inizio ha una fine. Stavolta si comincia dalle parti di John Ford, con un esplicito omaggio a Sentieri Selvaggi e si prosegue, con salti spazio temporali e metacinematografici per la via del noir anni ’50 e dell’actionmovie orientale dei mitici seventies fino a giungere (eh già) dalle parti di Fist of the North Star. Paura&panico. Ma Tarantino conosce la scuola di Okuto? Pare di sì. E non ce ne sorprendiamo. Formalmente Kill Bill vol.2 si mantiene sugli altissimi standard del primo tempo/episodio e alterna sapientemente fasi prettamente comiche, come l’allenamento di Uma Thurman con il maestro di arti marziali cantonese, durante il quale il regista delizia la platea con le famose carrellate avanti e indietro della telecamera, tipiche delle produzioni Shaw Brothers anni 70′, a momenti squisitamente drammatici come i ricordi, adagiati su un fondale bianco/nero/seppia della sposa promessa e oppressa dalla tragedia che l’ha colpita. Tutti coloro che avevano lamentato la mancanza di dialoghi brillanti nella prima parte del film saranno felici di sapere che lo “stile Tarantino” è stavolta pienamente soddisfatto e la lunga e delirante filippica che Bill fa alla sua killer preferita al termine della pellicola, va a mettersi a pieno merito sul podio occupato dal monologo di Samuel L. Jackson (qui presente in un cameo) in Pulp Fiction e della disquisizione del gruppo di iene sul significato di “Like a Virgin” in Reservoir Dogs. Indubbiamente uno dei valori aggiunti di Kill Bill 2 è proprio Bill ovvero quel David Carradine, per il quale il tempo sembra essersi fermato. Al suo posto volevano mettere Warren Beatty e ogni amante del cinema di qualità non può che ringraziare San Quentin per la scelta del bolso attore/regista (Beatty non Quentin eh!) di lasciare il posto al mito delle arti marziali, qui in forma smagliante, capace di rubare la scena alla sempre eccellente ed attraente Thurman. La sceneggiatura, specie nelle originalissime forme con le quali elimina i personaggi dalla storia, si attesta come una delle migliori mai scritte da Tarantino che si autocita in almeno una mezza dozzina di occasioni. L’amore per il cinema in tutte le sue forme è però il vero segno che qualunque spettatore può cogliere ad ogni inquadratura, in ogni fotogramma, un amore che permette a Quentin di firmare almeno due scene memorabili e commoventi che resteranno per sempre nella storia della settima arte: la “resurrezione” dalla sposa dalla sua tomba, con lo struggente sottofondo de “L’Arena” di Morricone ed il confronto, feroce e spietato, di quest’ultima con la risoluta e abbacinante Darryl Hannah che riscatta, in mezz’ora, dieci anni di performance dimenticabili. Kill Bill 2 è esagerato, sopra le righe, verboso ma mai noioso e andrebbe rivisto più e più volte per apprezzarne ogni dettaglio e sfumatura. L’opera di Tarantino, presa nella sua globalità, è monumentale e straordinaria. Qualcuno, non a torto, l’ha definita la prima grande epopea del nuovo secolo e noi non possiamo che essere d’accordo. Grazie Quentin, non ci hai deluso.
Gli intoccabili sono quattro (un funzionario governativo, due poliziotti e un contabile) che nei ruggenti anni ’20 del Proibizionismo dichiarano guerra al gangster Al Capone e la vincono. Sono giusti e incorruttibili. Scritto da David Mamet, è un gangster-film nelle cadenze di un western urbano che procede per grandi stereotipi e senza mezze tinte. Da ricordare: Al Capone di De Niro, un grande Connery e la sequenza finale in stazione. Elliott Ness (Costner) è realmente esistito. Il suo libro di memorie ha fornito il materiale a una popolare serie di telefilm (1959-62) dove era impersonato da Robert Stack. Scene: Hal Gausman. Fotografia: S.H. Burum. Musica: E. Morricone. Costumi: Marilyn Vance-Straker (abiti di Giorgio Armani). Oscar per Connery (non protagonista). Innumerevoli citazioni filmiche da Ejzenštejn a Welles, da Kurosawa a Peckinpah.
Liberamente tratto dal racconto di Alessandro Baricco Novecento. Novecento è il nome che viene dato ad un trovatello abbandonato su una nave il primo mese del primo anno del secolo. Il bambino cresce sulla nave, non conosce altro. Finché scopre di avere un inverosimile talento per il piano. Cresce suonando e senza mai scendere a terra. La sua storia si propaga, diventa leggenda.
Benché non fosse nelle intenzioni di Sergio Leone i tre film vennero considerati parte di una trilogia grazie al successo della figura enigmatica dell’Uomo senza nome (Clint Eastwood, che indossa gli stessi abiti e recita con la stessa mimica in tutti e tre i film). Il buono, il brutto, il cattivo viene considerato da molti un prequel, poiché il personaggio di Eastwood trova gradualmente gli abiti che indossa negli altri due film. Inoltre, nell’ultimo film la Guerra di secessione americana è in pieno svolgimento, mentre nel secondo probabilmente è già conclusa. In realtà Sergio Leone non ha mai dato ulteriori informazioni sull’argomento. Leone, probabilmente, non rinuncia a scherzare e la questione dell’antefatto non va presa alla lettera: è uno dei tanti modi che il regista usa per giocare con i personaggi e con il pubblico. Secondo i ricordi di Carlo Verdone, che nel 2009condusse uno speciale su Sky dedicato alla carriera di Sergio Leone dal titolo Verdone racconta Leone, il regista aveva chiesto alla produzione americana attori di spicco come Charles Bronson ed Henry Fonda. Essi, non conoscendo Leone, chiesero molti soldi pur di non fare i film. Al regista fu allora suggerito un giovane Clint Eastwood, reduce del successo della serie televisiva Rawhide.
All’interno della trilogia si sviluppa anche il personaggio caratteristico dell’Uomo senza nome: il protagonista è sempre lo stesso uomo, con gli stessi atteggiamenti e vestito sempre dello stesso sarape e dello stesso cappello. Occasionalmente il personaggio ha un nome. Per esempio, nella sceneggiatura de Il buono, il brutto, il cattivo viene chiamato Joe, anche se nel film quel nome non viene mai pronunciato. Gli altri personaggi lo chiamano semplicemente “il biondo”. Nel primo dei tre film viene chiamato Joe per tre volte, mentre nel secondo è conosciuto come “il monco”, per via dell’utilizzo della mano destra unicamente per sparare. Nella trilogia del dollaro la voce italiana di Clint Eastwood era di Enrico Maria Salerno.
In un’agiata casa borghese di Bobbio (PC) una madre cieca vive di ricordi con 4 figli, uno dei quali, epilettico ed esaltato, la elimina e uccide anche un fratello deficiente. Colpito da una crisi mentre ascolta La Traviata di Verdi, è lasciato morire dalla sorella Giulia. Dopo Ossessione di Visconti non c’era mai stato nel cinema italiano un esordio così clamoroso e autorevole. Non c’è più stato nemmeno nei 20 anni seguenti. Bellocchio sfida il grottesco senza cadervi. Duro, crudele, angoscioso.
Salvatore Di Vita, regista affermato a Roma, torna dopo 40 anni nel natio paese siciliano per i funerali del proiezionista Alfredo che gli insegnò ad amare il cinema. Il ricordo del passato lo aiuta a ridefinire il presente. Oscar 1989 per il film straniero e 2° premio a Cannes. È un’elegia sulla morte del cinema in sala nelle cadenze di un melodramma popolare, ma rivisitato con l’ottica scaltra di un cineasta di talento, europeo e, insieme, profondamente siciliano. Tornatore fa un cinema della ridondanza, ma anche di una forza generosa di cui l’anemico cinema italiano degli anni ’80 aveva bisogno. L’edizione premiata è frutto del radicale taglio eseguito dal regista con il produttore Franco Cristaldi (fu tolto un blocco di 25 minuti, eliminando il personaggio della Fossey), dopo le prime presentazioni nelle sale. Distribuito all’estero come Cinema Paradiso . 5 premi della British Academy: film straniero, sceneggiatura, Noiret, Cascio, musiche di Ennio e Andrea Morricone.
Giuseppe Tornatore ha collaborato col Maestro – definizione per una volta appropriata – in un arco temporale che va da Nuovo Cinema Paradiso (1988) a La corrispondenza (2016), frequentandolo per circa trent’anni. Nel 2018 ha scritto “Ennio. Un maestro” (Harper Collins), intervista fluviale e conversazione franca, a trecentosessanta gradi: in Ennio ne riprende argomenti, andamento cronologico e tono disteso, modesto, autocritico con cui Morricone si era concesso alle sue domande. Attorno a lui, nel film, una schiera di musicisti, registi, colleghi ed esperti portano testimonianze rilevanti e inerenti una carriera straordinaria, che supera il concetto di prolifico: centinaia le opere firmate, da Il federale (1961) all’unico Oscar vinto per una colonna sonora, The Hateful Eight nel 2016, a 87 anni.
Un industriale milanese quarantenne, mentre sta recandosi a visitare il figlio in collegio, si imbatte in un gruppo di studenti diretti al mare. L’industriale accetta di accompagnarli e di trascorrere con loro il week-end. Messo alla berlina con una serie di scherzi, si invaghisce di una ragazzina che per qualche momento lo fa illudere di essere di nuovo ventenne. Ma, terminata la giornata festiva, la ragazzina se ne va coi suoi compagni e l’industriale deve rendersi conto che indietro non si torna.
Nel 1816, dopo il congresso di Vienna e durante la Restaurazione, Fulvio Imbriani, patrizio lombardo, ex giacobino, ex ufficiale di Bonaparte, tradisce i compagni di lotta e la causa di una minoranza rivoluzionaria e velleitaria. Ricorrendo a Visconti e al melodramma per travisarlo criticamente, i Taviani rimescolano ancora le carte della narrazione tradizionale e continuano la loro riflessione sulla sinistra politica. Il film alterna pagine assai belle ad altre squilibrate od opache. Gli splendori della regressione sono descritti meglio che la dialettica della rivoluzione. Inventiva colonna musicale di Ennio Morricone e un bel reparto femminile.
Figlia di un antiquario sciupafemmine, Simona si trova al centro di una serie di morti violente, apparentemente causate da nefasti influssi meteorologici. Sceneggiato in modi sgangherati dal regista con Lucio Battistrada, è un thriller in bilico sull’horror che ha qualche interesse negli incubi notturni della protagonista, ambientato in un obitorio dove i cadaveri riprendono vita in preda a una feroce aggressività. Musiche suggestive di Ennio Morricone. Fotografia di Carlo Carlini. All’ingresso dei cinema la Titanus offriva agli spettatori mascherine nere prive di buchi per gli occhi per sottrarsi ai momenti più tremendi.
Dal romanzo Chien blanc (1970) di Romain Gary, cui è dedicato. Un’attrice prende in casa un cane bianco dopo averlo investito, scoprendo che è stato addestrato ad attaccare i neri. Apologo antirazzista quasi ingenuo nel suo schematismo senza sfumature, appeso a una suspense sottile ma assidua, con 2 o 3 sequenze notevoli tra cui quella del nero sgozzato in chiesa. Notevole fotografia di Bruce Surtees, meno la musica di E. Morricone. La Paramount non lo distribuì negli USA, ritenendolo politicamente scorretto.
Franco e Ciccio sono a New York e, per caso, salvano la vita ad Attanasia, capo della malavita locale. Per ricompensa, il boss decide di far diventare Franco un grande pugile (e Ciccio il suo “secondo”). Franco vince molti incontri truccati e poi, per sbaglio, anche quello che doveva perdere. Attanasia, che aveva scommesso sulla sconfitta di Franco, viene ucciso da un altro gangster. I nostri due eroi andranno in galera.
Una ragazza si allontana dalla famiglia che l’opprime. Gli impieghi che trova non fanno che peggiorare la sua situazione; ben che vada il suo titolare vuol portarsela a letto. La conoscenza di un ragazzo tetro e insoddisfatto le crea altri problemi. I due predispongono addirittura un suicidio, che poi non realizzano perché tutto sommato è meglio restar vivi e volersi bene.
Due suorine se ne vanno a Roma a protestare presso i dirigenti di una linea aerea per il rumore dei loro jet quando passano sopra il convento. Dopo parecchie peripezie ottengono quanto vogliono.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo