Regia di Alfred L. Werker. Un film con Basil Rathbone, Nigel Bruce, Ida Lupino, George Zucco, Alan Marshal. Titolo originale: The Adventures of Sherlock Holmes. Genere: Giallo, Poliziesco, Thriller. Paese: Stati Uniti. Anno: 1939. Durata: 85 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7,4.
Il film vede il celebre detective Sherlock Holmes e il suo fidato assistente, il Dottor Watson, impegnati in una nuova e pericolosa indagine contro il loro acerrimo nemico, il Professor Moriarty. L’astuto criminale, che si credeva morto, orchestra una serie di omicidi e furti per distrarre Holmes dal suo vero e audace piano: rubare i gioielli della Corona dalla Torre di Londra. Holmes deve usare tutta la sua arguzia e deduzione per sventare il colpo e catturare il suo arcinemico.
“Le Avventure di Sherlock Holmes” è un classico del genere giallo che si distingue per l’interpretazione iconica di Basil Rathbone nel ruolo del protagonista. La sua caratterizzazione del detective, con la sua ineguagliabile intelligenza e il suo fascino eccentrico, è considerata da molti la definitiva rappresentazione cinematografica di Holmes. Nigel Bruce, nei panni del Dottor Watson, offre una spalla bonaria e fedele che bilancia perfettamente la genialità del detective. La regia di Alfred L. Werker è solida e di mestiere, pur non presentando particolari innovazioni stilistiche. Il film, tuttavia, eccelle nella costruzione dell’atmosfera tipica dei misteri di Sherlock Holmes, con scenografie gotiche e suggestive. La pellicola, insieme a “Il mastino dei Baskerville” dello stesso anno, ha avuto un impatto culturale duraturo, cementando la coppia Rathbone-Bruce come un punto di riferimento per le future trasposizioni cinematografiche e televisive del personaggio.
Regia di Jacques Tourneur. Un film con Vincent Price, Boris Karloff, Peter Lorre, Basil Rathbone. Titolo originale: The Comedy of Terrors. Genere: Commedia, Horror. Paese: USA. Anno: 1963. Durata: 84 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.1.
Il film segue Waldo Trumbull, un impresario di pompe funebri squattrinato e alcolizzato, che per mantenere in vita la sua attività ricorre a mezzi poco ortodossi: ogni notte, assieme al suo fedele e sordo assistente, si introduce nelle case per procurarsi clienti. Il loro piano, però, viene ostacolato da un ricco proprietario terriero che, dopo una prima, sfortunata “incursione”, si rivela più difficile del previsto da eliminare, scatenando una serie di grotteschi equivoci e disavventure.
The Comedy of Terrors è un’esilarante commedia nera che si fa beffe dei cliché del cinema horror, unendo un umorismo macabro a una narrazione serrata. La regia di Jacques Tourneur, maestro del thriller e dell’horror psicologico, qui si cimenta in un registro totalmente diverso, ma con grande efficacia. La forza del film risiede nelle interpretazioni del cast, una vera e propria riunione dei grandi mostri sacri del genere. Vincent Price offre una performance comica memorabile, supportato dalla chimica perfetta con Boris Karloff e Peter Lorre. Sebbene l’opera non introduca innovazioni stilistiche rivoluzionarie, si distingue per la sua vivacità e il suo ritmo impeccabile. È un cult per gli amanti del cinema di genere e un’opera unica nella filmografia di Tourneur, che mostra la versatilità del regista e la sua capacità di giocare con i generi, pur mantenendo un tocco di eleganza.
Regia di Gian Paolo Callegari, Irving Rapper. Un film con Jean Marais, Jeanne Crain, Basil Rathbone, Letícia Román. Titolo originale: Pontius Pilate. Genere: Drammatico, Storico, Religioso. Paese: Italia, Francia. Anno: 1962. Durata: 97 min. Consigliato a: da 13 anni. Valutazione IMDb: 5.5.
Il film ripercorre la figura storica di Ponzio Pilato, governatore della Giudea, alle prese con l’ostilità della popolazione locale e le tensioni politiche. La narrazione si sviluppa tra le macchinazioni del sommo sacerdote Caifa, la ribellione del bandito Barabba e la crescente influenza di un predicatore itinerante di nome Gesù. Pilato, uomo di legge e di potere, si trova in un’escalation di eventi che lo porteranno a una decisione cruciale, osservando con scetticismo i nuovi fermenti spirituali che scuotono la sua provincia.
Nonostante l’ambizione di esplorare la complessità di una figura centrale nella storia religiosa, il film soffre di una regia poco incisiva, che si muove in modo didascalico attraverso gli eventi. Le interpretazioni, pur affidate a un cast di nomi noti, risultano spesso sopra le righe o prive di profondità emotiva, riducendo i personaggi a stereotipi del genere peplum. L’opera, pur avendo l’intento di focalizzarsi su Pilato, si disperde tra vari sottotrame, mancando di una vera e propria visione autoriale. L’impatto complessivo è quello di un prodotto che non riesce a elevarsi al di sopra della media dei film storici dell’epoca, restando un’occasione mancata.
L’intellligenza deduttiva del più noto investigatore della letteratura, Sherlock Holmes, si misura contro criminali geniali e terribili, e insieme al suo fedele assistente Watson deve affrontare intricatissimi casi ambientati nella misteriosa Londra di fine ‘800. La migliore trasposizione cinematografica è certamente la serie prodotta dalla 20th Century Fox, poi proseguita dalla Universal, in cui l’acume investigativo di Holems ha il volto dell’attore inglese Basil Rathbone, accompagnato dall’amico Watson che qui ha il volto di Nigel Bruce. Tratti dai romanzi più celebri di Sir Arthur Conan Doyle i 14 film presentati in questo imperdibile box da collezione rappresentano l’intera serie dedicata a Sherlock Holmes.
Robin di Locksley, detto Robin Hood, vive nella foresta di Sherwood a capo di un gruppo di simpatici fuorilegge. Salva un poveraccio, che ha ucciso un cervo per fame, dalla spada dello sceriffo di Nottingham e poi irrompe col cervo sulle spalle proprio nel salone del banchetto dello sceriffo. Aggredito riesce a fuggire. Nella foresta fa prigioniera Lady Marian, cugina di re Riccardo, per il quale Robin Hood si batte contro l’usurpatore Giovanni Senza Terra. Lo sceriffo cerca in ogni modo di contrastare il ritorno del legittimo re, ricorrendo a ogni intrigo.
Un film di Norman Panama. Con Basil Rathbone, Glynis Johns, Danny Kaye Titolo originale The Court Jester. Comico, durata 101 min. – USA 1956. MYMONETRO Il giullare del re valutazione media: 3,50 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Inghilterra, XII secolo. Roderico si è impadronito del potere con la forza; il capo dei popolani a lui ribelli decide di sostituirsi al giullare per poter entrare a corte e agire liberamente. L’audace piano incontra parecchie difficoltà, tuttavia ha esito positivo e si conclude col trionfante ingresso al castello dei rivoltosi.
La storia è conosciutissima: per liberare la California da un governatore tiranno, il rampollo di una nobile casata si finge di giorno un innocuo damerino per trasformarsi la notte in eroe al servizio del popolo contro il tiranno.
La storia dei celeberrimi innamorati di Verona. Fanno parte di due famiglie divise da rivalità e odio. Si innamorano ma non riescono a essere liberi. E letteralmente muoiono d’amore. Forse il loro sacrificio servirà a portare finalmente la pace. Una delle rappresentazioni classiche di maggior qualità spettacolare mai realizzate. Ma non solo spettacolare, anche artistica. Stranamente questo film non ha mai sedotto la critica. Forse era giudicato troppo fastoso. È senz’altro vero che il cinema entra con grande prepotenza nel teatro, ma è un preciso diritto del cinema. Il lavoro è squisitamente o disperatamente Metro-Goldwyn- Mayer, con tutte quelle caratteristiche: sfarzo di tutto, grande ricerca storica, budget cospicuo. Vennero assunti i massimi esperti di Shakespeare, di costumi e musica dell’epoca, in omaggio alla cultura inglese (un amore-odio che è precisa tendenza degli americani, che diventa solo amore quando si tratta di Hollywood). Il regista Cukor era noto per le sue attitudini allo stile, all’eleganza e alla cultura. Volle che Romeo fosse uno dei più grandi attori di teatro dell’epoca, Leslie Howard, che aveva quarantatré anni ed è forse il più vecchio Romeo della storia del teatro. Giulietta venne affidata a Norma Shearer, allora trentaquattrenne e dunque a sua volta inadeguata: era la moglie di Irwing Thalberg, boss della Metro. A Howard la produzione contrappose il più grande attore americano di ogni epoca, John Barrymore, che, bizzarro e alcolizzato, creò enormi problemi, ma che accende la sequenza ogni volta che appare. Nella parte di Mercuzio, Barrymore esegue un vero esercizio di virtuosismo, specie nel lungo monologo iniziale. Nell’ottica classica il film presta sicuramente il fianco a molte critiche per le visibili contaminazioni, ma se si accetta la collaborazione tra teatro e cinema, il risultato è straordinario. E finirei con un’altra menzione, che non viene mai fatta: i doppiatori. Spesso le nostre voci hanno migliorato il prodotto, in questo caso certamente non lo hanno peggiorato. Ricordiamo le tre principali: Ruffini (Barrymore), Panicali (Howard) e Pagnani (Shearer).
Il cadavere di Larry Talbot, il famigerato licantropo, torna in vita, resuscitato, accidentalmente da due profanatori di tombe. Consapevole, nei momenti di lucidità, del tragico destino che lo perseguita, Talbot, dopo aver invano cercato aiuto presso la clinica del dottor Mannering, raggiunge il castello di Henry Frankenstein nella speranza di ottenere da lui un rimedio contro la licantropia. Ma la sorte gli è avversa: Frankenstein è morto poche ore prima, ed egli può, adesso, soltanto sperare che i suoi diari contengano l’indicazione per l’antidoto. Nei pressi del castello, l’Uomo Lupo scopre il corpo del mostro creato da Frankenstein e, liberandolo dal ghiaccio che lo ha preservato, lo rianima. Quando la gente del vicino villaggio si mette in allarme per la presenza delle due mostruose figure, Manning accorre e insieme ad Elsa, figlia di Frankenstein, riattiva l’antico laboratorio con il proposito di sottrarre loro l’energia vitale. L’operazione, tuttavia, ottiene l’effetto contrario: l’Uomo Lupo e la Creatura, più furiosi che mai, si accaniscono l’uno contro l’altro, rimanendo, infine, travolti dal crollo di una diga che distrugge il sinistro castello. Scritto dall’inventivo Curt Siodmak e diretto con buon ritmo da Roy William Neill (lo stesso regista al quale si deve la lunga serie di Sherlock Holmes interpretata da Basil Rathbone), il film continua la saga del mostro di Frankenstein e si presenta, insieme, come sequel dell’Uomo Lupo (The Wolf Man) del 1941. La Universal sperimenta per la prima volta la formula del film con più mostri, scommettendo sulla presenza carismatica di Lugosi, sulla crescente popolarità di Chaney Jr. e su uno stuolo di eccellenti caratteristi. Nell’interessante saggio sul cinema horror, “The Monster Show”, David J. Skal ricorda come i recensori del tempo abbiano intravisto nel film, più o meno scherzosamente, una parabola degli anni di guerra: l’immaginaria regione di Visaria, nella quale la storia è ambientata, sarebbe una chiara allusione alla Germania e la rediviva creatura di Frankenstein simboleggerebbe il riaffiorare delle mai sopite spinte irrazionalistiche e violente del nazionalismo. La stessa composizione grafica dei nomi dei due mostri che campeggia nei manifesti originali – “Frankenstein” e “Wolf Man” – sembra ricordare la natura meccanica del primo e quella animalesca del secondo e sarebbe “…un commento adeguato, pur se involontario, alle contraddizioni della moderna tecnologia bellica…” che vede il furore primordiale incanalato in una macchina da guerra perfetta. Bela Lugosi interpreta, finalmente, la creatura di Frankenstein, ma la sua prova è mortificata dalla produzione che in sede di montaggio – per snellire la frenetica avventura e, soprattutto, spinta da una sfavorevole anteprima – taglia gran parte dei suoi primi piani e tutte le sue battute: per ironia della sorte, l’attore che aveva rifiutato il ruolo del personaggio nel Frankenstein del 1931 perché concepito privo della parola, se lo ritrova, a prodotto finito, imprevedibilmente muto. Per Lugosi si tratta dell’ultimo lavoro presso la Universal e per Dwight Frye uno degli ultimi film: Frye – che continua a dividersi tra gli studi cinematografici e l’ufficio di progettista aeronautico – muore pochi mesi dopo stroncato da infarto. Notevoli, come sempre, gli effetti ottici di John P. Fulton e l’elaborato trucco di Jack Pierce che rendono impressionante (per quegli anni) la metamorfosi di Talbot in licantropo.
Un autore di commedie musicali si innamora di un’insegnante di nuoto e la sposa. Ma il suo impresario, che non vede di buon occhio il matrimonio, ingaggia una ragazza perché si finga sua moglie. L’insegnante abbandona il marito credendolo bigamo. Poi tutto si chiarisce e la nuotatrice diviene la star della rivista scritta dal consorte.