Un facoltoso ebreo, contemporaneo e nemico di Gesù, è condannato a vivere per sempre senza mai pace. Durante la seconda guerra mondiale finisce in un lager. Riuscito a fuggire, si consegna volontariamente ai carnefici. Il sacrificio lo libera dall’eterna condanna.
Nel Medioevo lo spiantato cavaliere Brancaleone da Norcia si mette alla testa di un gruppo di scalcinati senza famiglia e parte alla conquista del feudo di Aurocastro. Il film dilata i confini della commedia all’italiana con un’operazione culturale originale che comprende Kurosawa e Calvino, una rilettura della storia in chiave nazional-popolare, l’invenzione (di Age & Scarpelli) di una parlata mista di latino medievale e italiano prevolgare, il gusto anarchico di una scampagnata becera e i temi tipicamente monicelliani del gruppo dei piccoli perdenti e del senso della morte. 3° incasso nella stagione 1966-67, 3 Nastri d’argento (Gherardi per i costumi, Di Palma per la fotografia, Rustichelli per la musica) e un titolo passato in proverbio.
Una delegazione del cinema italiano giunge a Buenos Aires per partecipare al Festival di Mar del Plata. Traffici, maneggi, intrighi. Commedia spesso sopra le righe, bruciata alla brava per offrire pretesti agli attori che ne profittano fin troppo, ma con due o tre scene azzeccate. “Soffrì molto di essere girato in un paese assai disorganizzato. Le cose non funzionavano, andavamo tutti un po’ in fretta… a rivederlo guadagna… aveva una carica di volgarità e di cattiveria umoristica genuina… Avevamo un po’ perso la misura. Ma il film non era stupido” (V. Gassman).
Amedeo (Jannacci), mite ufficiale in congedo, va da una città del Nord a Roma per parlare col Papa, a quattr’occhi, “anche nel suo interesse”. Ci prova inutilmente per mesi… Kafka ( Il castello ) c’è, ma è lontano. Tutto è realistico e diretto, legato a una precisa realtà, nulla è metaforico in questo film, scritto da Ferreri con Rafael Azcona e Dante Matelli, che pure è una sola grande metafora, leggibile a 3 livelli: 1) politico: sul potere; 2) religioso: lo “scandalo” è raddoppiato perché, per un credente, il Papa non è il rappresentante del Cristo in Terra; 3) psicanalitico: un’affannosa e tormentata ricerca del padre. Tenero e atroce, allegramente beffardo nei toni e amaro nel fondo, tutt’altro che pessimista, ha la traiettoria di una sassata. Non mancano le scorie e i momenti incerti, ma poco intaccano la sostanza di un film importante e sottovalutato.
Da un romanzo di Lorenzo Carcaterra, sceneggiato dal regista che l’ha anche prodotto, il film, scomponibile in tre blocchi, racconta le peripezie di quattro ragazzi del quartiere di Hell’s Kitchen nel West Side di New York che, chiusi in riformatorio, subiscono un infame calvario di maltrattamenti e abusi sessuali. Una dozzina di anni dopo due di loro uccidono il più sadico degli aguzzini. Nel diseguale itinerario di Levinson c’è l’apprezzabile filone baltimoriano (dalla natia Baltimora): A cena con gli amici, Tin Men, Avalon e quello con ambizioni da Oscar dove si mette al servizio del divo di turno. Questo suo 12° film è tra i meno riusciti del secondo gruppo: verboso prolisso, oratorio, pur tra pagine felici nella prima parte. Peggiora il libro.
Publio Cornelio Scipione detto l’Africano e suo fratello Lucio detto l’Asiatico sono accusati da Catone, moralista accanito e un po’ opportunista, di essersi appropriati di 500 talenti, tributo di Antioco, re della Siria. Il colpevole è l’Asiatico, e l’integerrimo Africano lo denuncia a Catone. Poi, sapendo che l’ormai corrotta Repubblica non tollera gli onesti come lui, accusa se stesso davanti al Senato. Allora i senatori lo perdonano, ma lui sceglie l’esilio. 3° film di Magni, anche sceneggiatore, dopo il successo di Nell’anno del Signore… I riferimenti satirici a un’altra repubblica, quella italiana di due millenni dopo, sono evidenti, intinti di un’amarezza che affiora quando in questa commedia popolaresca le parole dei dialoghi prevalgono sulle immagini: la parlata romanesca la fa scivolare in una riduttiva goliardia. Fotografia: Arturo Zavattini. Musica: Severino Gazzelloni. Montaggio: Ruggero Mastroianni, Amedeo Salfa.
Tre uomini e due donne fanno conoscenza su un treno per Nizza. Una volta a destinazione, vengono coinvolti in un delitto che non hanno commesso. Il caso e la dabbenaggine fanno sì che venga messo insieme un vero castello di prove che li inchioderebbe, se non fosse per l’intelligenza dell’ispettore che riesce piano piano a venire a capo di tutto. Ma non è finita: al ritorno a Roma i cinque si mettono ancora nei guai.
Un politico italo-americano mette in atto una campagna per guadagnare voti: liberalizzare la droga, in modo da bloccarne il commercio mafioso. Fa però l’errore di pubblicizzare il suo viaggio di nozze a Palermo. La tragica fine della vicenda però avverrà negli Stati Uniti. Anche se il film risulta scorrevole il messaggio del regista va a scapito della materia cinematografica che si riduce ad un semplice apporto. Convince abbastanza la recitazione di James Belushi.
Galleria di 8 episodi boccacceschi con altrettanti ritratti femminili, ha per filo conduttore il camaleontico pluriprotagonista: “A tutto Gassman” diceva la frase di lancio. Esordio nella regia dello sceneggiatore campano Scola che lo scrisse con Ruggero Maccari. Diseguale, di comicità irresistibile almeno in due episodi (il penultimo con E. Rossi Drago e l’ultimo con J. Valérie), parolacciaro e scurrile, “di una volgarità efferata, ma divertente” (Gassman), ebbe un largo successo di pubblico e severe accoglienze di critica. Il problema che il senno di poi propone è: quella volgarità era nella realtà o nella rappresentazione che ne davano Scola e C.? “L’insistere su quelle ‘virtù’ degli italiani non corrispondeva a un aprire – e far aprire – gli occhi sull’Italia del boom?” (R. Ellero).
Dalla novella Belfagor l’arcidiavolo di Niccolò Machiavelli. Satana manda sulla terra l’arcidiavolo Belfagor per attentare alla virtù di Maddalena, la figlia di Lorenzo il Magnifico, duca di Firenze. Belfagor parte aiutato dal demonietto Adramelech, combina un mucchio di diavolerie, ma s’innamora di Maddalena. Per lei perderà le corna e l’immortalità. La novella di Machiavelli presa a pretesto per una farsa moderatamente boccaccesca.
Durante una serata in terrazza, nella Roma radical-chic, vita pubblica e privata di alcuni personaggi: dallo sceneggiatore in crisi al giornalista, al deputato PCI, all’amico in cerca di lavoro. Commedia all’italiana di esperta fattura nella quale ci si piange un po’ addosso, in modi tipicamente romanocentrici, ma qualche freccia arriva al bersaglio. Non tutto allo stesso livello, ma nell’insieme funziona. Scritto da Scola con Age & Scarpelli. “Sembra e vuole essere una, sia pur sorridente, radiografia della condizione intellettuale e borghese, ma è soltanto un quadretto della condizione pseudointellettuale e sostanzialmente piccoloborghese dell’intellettualità cinematografica” (L. Micchiché).
Nobile romano, sottaniere di professione, si fa incastrare da una bella inglese, esportatrice di capitali in Svizzera. 2° film di E. Scola, dopo 10 anni di sceneggiature. Come commedia di costume, sembra una goffa copia di Il sorpasso , come giallo è squinternato. In una compagnia di attori mediocri o male usati, V. Gassman sfoggia il suo atletismo acrobatico, ma il personaggio non è centrato.
Galleria di “mostri” pescati nella realtà quotidiana: dal padre che educa il figlioletto a fregare il prossimo all’avvocato cialtrone, dalla patronessa di premi letterari che mira solo a concupire i giovani letterati al pugile suonato… 20 brevi e brevissimi episodi nei quali si alternano Gassman e Tognazzi per satireggiare i miti e le contraddizioni degli anni ’60. La commedia italiana in pillole, con ferocia “all’insegna della critica più sferzante, della satira più graffiante, senza un filo di forzatura o di compiacimento o di indulgenza o di complicità” (P. D’Agostini). Soggetto e sceneggiatura: Age & Scarpelli, Elio Petri, Dino Risi, Ettore Scola, Ruggero Maccari. Fotografia: Alfio Contini.
Da un romanzo (1966) di Giovanni Arpino: il giovane Tino è a Venezia ospite dello zio ingegnere che vive con la moglie cagionevole di salute. Ben presto si accorge che la casa nasconde un mistero. Una notte sale in soffitta… Con questo film Risi è passato al thriller e il salto gli è riuscito. C’è più di un risvolto segreto che può offrire un’angoscia e un’inquietudine molto attuali. Gassman sulla corda tesa di un istrionismo di alta scuola.
Il palazzo dei principi di Roviano sta per essere venduto dall’ultimo erede, assillato da un’amante avida di denaro. Il rischio che venga demolito per far posto ad una moderna palazzina è grande e i fantasmi che abitano nelle soffitte, per evitare di essere sfrattati, passano al contrattacco. Per allontanare la minaccia della demolizione occorre che l’antico palazzo venga proclamato monumento nazionale: ricorreranno dunque all’aiuto di un pittore cinquecentesco, Caparra,che abita una vecchia torre dell’Appia Antica. Film del 1961 interpretato da Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni.
Allievi inseparabili dell’Accademia d’arte drammatica, tre amici si ritrovano dopo anni di lontananza. Sono insoddisfatti dell’attuale situazione, tuttavia comprendono che non possono più tornare ad essere quelli di una volta.
Un film di Mario Monicelli. Con Giancarlo Giannini, Enrico Montesano, Giuliana De Sio, Vittorio Gassman, Nino Manfredi.Commedia, Ratings: Kids+16, durata 128 min. – Italia 1987. MYMONETRO I picari valutazione media: 3,27 su 19 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Mario Monicelli cerca di ritrovare il momento magico dell’ Armata Brancaleone portando sullo schermo i personaggi dei romanzi picareschi del secolo XVI. Lazarillo de Tormes e Guzman de Alfarache sono due vagabondi che battono le contrade di Spagna, incontrando ogni tipo di personaggi: mendicanti, pirati, nobili spilorci e crudeli, fanciulle avventurose. Guzman sta per finire sul patibolo, ma Lazarillo fortunosamente riesce a salvarlo. E l’avventura ricomincia. View full article »
Un film di Dino Risi. Con Peppino De Filippo, Vittorio Gassman, Mario Carotenuto, Dorian Gray, Anna Maria Ferrero.Commedia, Ratings: Kids+16, b/n durata 104 min. – Italia 1960. MYMONETRO Il mattatore valutazione media: 3,21 su 11 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un tranquillo impiegato, coniugato e pantofolaio, coglie sul fatto un ladruncolo introdottosi con l’astuzia in casa sua. Invece di farlo arrestare, gli racconta la sua vita. In passato è stato un suo collega, un grande truffatore (lo vediamo imbrogliare alti ufficiali, giornalisti, gioiellieri). View full article »
In un futuro non meglio definito il ghiaccio ha invaso il nostro pianeta. Sopravvivono pochi esseri umani in città sotterranee. Essex e la sua compagna incinta Vivia raggiungono una di queste città dove vive il fratello di lui. Qui apprendono che il gioco del Quintet vede tutti impegnati in una lotta per la sopravvivenza. Chi vince può decidere della vita altrui ed avere salva la propria. “Si torna al Rinascimento, l’epoca dei Borgia. Quintet è poi anche un western, un film di samurai. Io lo vedo come un racconto di fate”. Altman ancora una volta si diverte a mescolare le carte e, così facendo, ad irritare la critica dell’epoca. Non ha alcuna intenzione di rileggere o parodiare il genere apocalittico fantascientifico. Ciò che gli interessa è poter raccontare una storia e sperimentarsi con una struttura che è quasi l’opposto della precedente. Nello spazio chiuso dell’enorme villa in Un matrimonio agivano 48 personaggi. Qui, nell’angusta dimensione della città congelata (il set è dato dai padiglioni abbandonati di “Montreal 67”), agisce un gruppo limitato di personaggi destinati alla progressiva scomparsa dallo schermo. C’è però un numero che domina ed è il 5. Il gioco si svolge su un tavolo pentagonale, la città poteva ospitare 5 milioni di abitanti, i protagonisti di fatto sono 5, Vivia è incinta di 5 mesi … e così via. Su questa base Altman (che richiama in servizio Vittorio Gassman assegnandogli in questa occasione un ruolo decisamente teatrale con tanto di declamazioni in latino) costruisce una riflessione a strati come gli abiti di taglio rinascimental-artico che fa indossare ai personaggi. Alla base c’è la dinamica del ‘mors tua vita mea’ che impedisce ad ogni individuo uno sviluppo individuale che non sia legato alla sopravvivenza in un mondo ostile. Questa è una tematica che ha già sviluppato e tornerà in seguito ad affrontare. Perché nella sua visione the ‘fight for survival’ non è solo quella che impone l’uso di pugnali con cui tagliare la gola agli avversari ma è di fatto la vita tout court al cui capolinea c’è l’inevitabile morte, che sia o meno violenta. Il cinema gli offre la possibilità di declinare questa visione utilizzando parametri narrativi differenti, affidandosi ad un innato talento e ad una inesauribile volontà di sperimentazione che lo accompagnerà sino alla fine.