Ambientato al tempo delle guerre napoleoniche, mostra come le guerre hanno travolto lo sfortunato paese polacco all’inizio del XIX secolo. La storia ruota attorno alla legione polacca sotto il comando del generale Dabrowski, che poi combatté al fianco di Napoleone con la speranza della rinascita della Polonia.
Nel diciannovesimo secolo, in un villaggio estone popolato di creature soprannaturali, una giovane contadina si innamora di un ragazzo, che però sogna la figlia di un nobile. Entrambi cercano di usare poteri mitici per conquistare l’oggetto del loro amore.
Byłem żołnierzem (Ero un soldato) è un cortometraggio documentario di Krzysztof Kieślowski del 1970.
Il film è incentrato sul racconto di un gruppo di soldati che hanno perso la vista a causa dell’esplosione di una mina. Gli orrori della guerra vengono descritti dalle parole di chi ne è tornato riportando non solo danni fisici permanenti, ma soprattutto traumi e ferite interiori che il tempo non riesce a cancellare. Ogni voce aggiunge particolari, opinioni, esperienze, sprazzi di storie personali che tracciano un quadro sempre più preciso degli avvenimenti accaduti. Nel corso della narrazione l’eroismo sbiadisce di fronte alla forza distruttrice della guerra che annichilisce l’uomo, privandolo della speranza e della possibilità di decidere della propria vita. La modalità scarna, essenziale del racconto è un gesto di accusa contro gli inganni della retorica patriottica.
Investire una pecora con la loro auto è per Anna e Nick il punto di partenza per una serie di eventi strani e sinistri che si concluderanno con uno spaesamento allucinatorio per entrambi: nessuno dei due riuscirà più a distinguere il luogo in cui si trovano. Vivono la realtà, o sono tutte fantasie e situazioni immaginarie?
Campagna polacca, periodo prebellico. Un gruppo di personaggi bizzarri, contadini e minatori che vivono in un piccolo villaggio, ricevono tre indizi dalla loro guida spirituale, in punto di morte, per intuire come si svolgerà la fine del mondo: una grande guerra, una piaga rossa e un fungo enorme. Una commedia surreale che affronta in maniera ironica e metaforica i grandi avvenimenti del Novecento: la grande guerra, il comunismo, la guerra fredda e lo scoppio della bomba atomica.
Film in lingua originale con i sottotitoli. Ispirata al romanzo dello scrittore polacco Jan Potacki la pellicola narra le gesta del capitano van Worden. Dovrà superare parecchi pericoli compreso quello di perdere la propria anima.
A Varsavia, ai primi del Novecento, Ewa Pobratynska (Grazyna Dlugolecka) si innamora del giovane scrittore Lukasz Niepolomski (Jerzy Zelnik). Sedotta, abbandonata e travolta da una lunga e sfortunata serie di eventi, in balìa di una schiera di uomini variamente interessati a lei, Ewa terminerà la sua parabola in giro per l’Europa (Roma, Berlino, Montecarlo, Vienna) prigioniera di due loschi individui senza scrupoli che la spingeranno al delitto e alla rapina.
In epoca medievale Thomas, quattordici anni, vive con il padre, la sorellina Agatha e il vecchio Methodeus nella foresta vicino al castello del potente Balador. Alla morte del padre Methodeus va al castello in cerca di lavoro, Thomas lo accompagna scoprendo un nuovo mondo.
Rokas e la sua ragazza Inga viaggiano dalla Lituania all’Ucraina per portare viveri ai militari ucraini al fronte. Lungo il tragitto si fermano a un party organizzato dall’amico Andrei in Polonia e in altri luoghi sperduti degli stati ex sovietici. Dopo aver creato un profilo autoriale basato sui suoi lunghi e suggestivi silenzi (Lontano da Dio e dagli uomini), il lituano Sharunas Bartas ha gradualmente mescolato le carte, risultando meno prevedibile nel suo stile, ma più indeterminato. Frost vive di questa inquietudine tendente alla dispersione, sospeso tra l’urgenza di cogliere l’attimo in cui la storia si sta scrivendo e il racconto di due vite esemplari dello smarrimento che attraversa un popolo. Al centro c’è ancora la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il girovagare senza un fine di chi ne è rimasto orfano, uccidendo il padre ma non sapendo come sostituirlo. Lituania e Ucraina sono accomunate da questo legame invisibile, che Rokas e Inga, con il loro viaggio, intendono approfondire.
Decalogo (Dekalog) è una serie di 10 mediometraggi prodotti dal 1988 al 1989 e diretti da Krzysztof Kieślowski. Ogni episodio, di circa 55 minuti, è indipendente dagli altri e racconta una storia di vita quotidiana ispirata, talora vagamente, talora in modo più esplicito, a uno dei dieci comandamenti biblici.
“E l’onnipotente lo colpì. E lo consegnò nelle mani di una donna”. È l’epigrafe di Venere in pelliccia , romanzo (1870) di Leopold von Sacher-Masoch, di tendenza erotica sadomasochistica, che un regista di mezza tacca sta cercando di mettere in scena in uno scadente locale periferico. Alle audizioni si presenta in ritardo Wanda, matura, volgare, malvestita più sado che maso, tutto il contrario di quella che il regista cercava. E poco alla volta tutto si mescola, realtà e finzione, i ruoli si capovolgono, regista e attore ma anche dominatore e dominata, uomo e donna. È un gioco di specchi – di nuovo di stampo teatrale – in cui Polanski fa recitare alla Seigner (sua moglie nella vita da 24 anni) molti ruoli in uno e Amalric (suo alter ego) le tiene testa, battuta dopo battuta, situazione dopo situazione. Humour grottesco, attori giusti, splendida fotografia (Pawel Edelman).
Delphine è l’autrice di un romanzo dedicato a sua madre che è diventato un best seller. La scrittrice riceve delle lettere anonime che l’accusano di avere messo in piazza storie della sua famiglia che avrebbero dovuto rimanere private. Turbata da questa situazione Delphine sembra non riuscire a ritrovare la volontà per tornare a scrivere. C’è però un’appassionata lettrice che entra nella sua vita. Sembra riuscire a comprenderla e a sostenerla in questo momento difficile con la sua capacità di intuizione e con il suo charme tanto da divenirle così necessaria da invitarla a condividere il suo appartamento. Sarà una buona scelta?
Un soldato in fuga. Diciannove anni, tanta inesperienza, altrettanta paura, più un’innata voglia di sopravvivere. Scappa da una squadra nazista che lo rincorre a colpi di fucile. Siamo nella Germania del 1945, la guerra sta per finire, ma lui non lo sa. Quando trova un’uniforme nazista da indossare nulla sarà più come prima e lui sarà il primo a comportarsi come i suoi stessi persecutori.
L’azione del film si svolge in due spazi temporali. Il vecchio guida il figlio attraverso la foresta e allo stesso tempo giace sotto le sue cure, costretto a letto da una malattia terminale.
Il film tenta di rappresentare la zona di confine tra la vita e la morte. Esamina il difficile rapporto di comprensione tra padre e figlio. Il titolo foresta, ispirato a un sogno insolito, è una metafora della raccolta di tutti i destini umani.
Nel 1642 Harmenszoon Van Rijn Rembrandt (1606-69), già ricco e famoso, accetta la commissione di un ritratto della Guardia delle milizie, ma scopre che alcuni suoi ufficiali si sono macchiati di cospirazione e omicidio. Ne esce una tela – la celebre Ronda di notte – che è anche un atto di accusa. I cospiratori ordiscono, servendosi di Geertjie, serva-amante, una trama per screditare il pittore, da poco vedovo, che viene messo al bando dalla potente e bigotta borghesia di Amsterdam. Film di eleganza squisita, alla prima maniera di Greenaway, teatrale nella costruzione “architettonica su linee rigorosamente geometrizzate… al limite della compiacenza manieristica, stupefacente ricchezza di immaginario spazio-temporale…” (Alberto Pesce). Fotografia: Reinier Van Brummelen.
Nella Polonia alle soglie degli anni Cinquanta, la giovanissima Zula viene scelta per far parte di una compagnia di danze e canti popolari. Tra lei e Wiktor, il direttore del coro, nasce un grande amore, ma nel ’52, nel corso di un’esibizione nella Berlino orientale, lui sconfina e lei non ha il coraggio di seguirlo. S’incontreranno di nuovo, nella Parigi della scena artistica, diversamente accompagnati , ancora innamorati. Ma stare insieme è impossibile, perché la loro felicità è perennemente ostacolata da una barriera di qualche tipo, politica o psicologica.
Una ragazza polacca, Weronica, e una francese, Vèronique, pur non avendo nessun legame, sono uguali come gocce d’acqua, hanno lo stesso amore per la musica e la stessa malformazione al cuore. Per una misteriosa corrispondenza, la francese farà tesoro della tragica esperienza dell’altra.
Vita tormentata e fine tragica di Edith Stein (1891-1942), filosofa ebrea, in gioventù atea poi convertita al cattolicesimo, assistente del filosofo Edmund Husserl di cui riordinò i manoscritti ( Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica , 1913). Entrò nel Carmelo di Colonia nel 1933 col nome di Benedicta a Cruce. Prelevata dai nazisti nell’agosto del 1942 a Echt (Olanda) e portata a Auschwitz dove morì il giorno dopo il suo arrivo. Scritto con Roberta Mazzoni ed Eva Pataki, punta sul versante privato di quest’intellettuale ruvida e fiera, beatificata dalla Chiesa di Roma: i difficili rapporti con la madre, che la considera una rinnegata, e gli innamorati, quelli con la sorella Rosa che condivide la sua sorte. Date le premesse (anche produttive), i toni edificanti prevalgono su quelli espressivi, soprattutto nella parte centrale. M. Morgenstern, attrice teatrale rumena, è comunque all’altezza del personaggio. Il titolo si riferisce alle sette stanze o tappe dell’ascesi carmelitana, secondo la spagnola Teresa d’Avila. La settima è la camera a gas.
Al piccolo Mateusz, gravemente disabile, è stata diagnosticata una paralisi cerebrale. I medici sono convinti che non capisca niente e non possa fare progressi di alcun genere, per cui gettano la spugna. I suoi genitori no. La cura della madre e l’allegria del padre, regalano a Mateusz un’infanzia degna di essere vissuta, nonostante la frustrazione di non poter comunicare. Dovranno passare 25 anni perché qualcuno si renda conto dell’intelligenza imprigionata in quel corpo indomabile e offra finalmente a Mateusz gli strumenti per dire chi è e chi è sempre stato.
Adam è sopravvissuto ad un incidente stradale in cui sono morti la sua compagna, Basia, e il suo migliore amico, Kamil. Da quel momento Adam, poeta e promettente professore universitario di letteratura, abbandona l’insegnamento e trova lavoro e rifugio in un centro commerciale. Ciò che gli dà tregua dal dolore che lo tormenta è la lettura della Divina Commedia e il dormire. Nel sonno può visitare un mondo parallelo in cui incontrare persone care e fantasmi frutto della sua immaginazione. Alla sua sofferenza privata si aggiunge quella della Polonia, sconvolta da catastrofi naturali e politiche nel corso del 2010. Adam, come Dante con Beatrice, continua ad avere dinanzi a sé una meta: ritrovare l’amata Basia. Dopo Il giardino delle delizie (2004), ispirato all’omonimo quadro di Bosch, e I colori della passione (2011), viaggio all’interno del dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio “La salita al calvario”, Lech Majewski conclude la sua trilogia sull’arte affrontando “La Divina Commedia”. Scevro da qualsiasi intento illustrativo l’artista polacco rilegge il testo dantesco come percorso di ricerca interiore che parte dalla ‘selva oscura’ del dolore e del dubbio nei confronti di un Dio che non può essere al contempo onnipotente e misericordioso per giungere a un lavacro purificatore finale.