Category: Film dal 2000 al 2009


Locandina Flandres

Regia di Bruno Dumont. Un film con Adélaïde Leroux, Samuel Boidin, Henri Cretel, Jean-Marie Boutry, Patrice Venant. Titolo originale: Flandres. Genere: Drammatico, Guerra. Paese: Francia. Anno: 2006. Durata: 91 min. Consigliato a: da 16 anni. Valutazione IMDb: 6.8.

Demester è un giovane contadino taciturno che vive una vita semplice e isolata nelle desolate e ventose campagne delle Fiandre, nel nord della Francia. Il suo rapporto con Barbe, una ragazza del posto che lo ama, è freddo e quasi disinteressato. La tranquilla routine viene interrotta quando Demester e i suoi amici vengono arruolati e inviati a combattere in una guerra straniera in un paese mediorientale non specificato. L’esperienza del conflitto è brutale e disumanizzante, esponendo i giovani soldati a una violenza estrema che li segna profondamente. Quando Demester torna finalmente a casa, deve confrontarsi con le ferite invisibili e tangibili della guerra, e con la difficoltà di riallacciare il legame emotivo con Barbe, un rapporto ora complicato dal trauma e dalla distanza emotiva.

Vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes, questo film è una riflessione nichilista e profondamente disturbante sulla guerra e sulle sue conseguenze psicologiche, in linea con l’approccio austero di Bruno Dumont. L’analisi si concentra sulla giustapposizione brutale tra la placida, quasi primordiale, vita rurale delle Fiandre e l’orrore caotico del conflitto. Dumont utilizza la guerra non tanto per ragioni politiche, ma come catalizzatore per esplorare la natura umana nella sua forma più elementare, dove violenza e desiderio sessuale si mescolano in modo torbido. La regia è implacabile e priva di compiacimenti, con una fotografia livida che esalta il grigiore morale dei personaggi. Il cast di attori non professionisti contribuisce a un realismo crudo e anti-spettacolare. Nonostante la sua severità e la difficoltà dei temi trattati, l’opera è di notevole importanza per il modo in cui destruttura il cinema di guerra, concentrandosi sul trauma post-bellico e sull’impossibilità di tornare alla normalità.

Regia di Bruno Dumont. Un film con Julie Sokolowski, Karl Sarafidis, Yassine Salim, David Dewaele, Brigitte Mayeux-Claeys. Titolo originale: Hadewijch. Genere: Drammatico. Paese: Francia. Anno: 2009. Durata: 105 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.1.

Céline, una giovane novizia dal fervore mistico quasi estremo, vive in un convento a Parigi, dove la sua ossessiva devozione la porta a digiuni e penitenze così severe da spingere la Madre Superiora a allontanarla, ritenendo la sua fede troppo radicale per la comunità. Tornata alla sua vita borghese con il nome di Hadewijch, la ragazza, figlia di un diplomatico, cerca di conciliare la sua intensa spiritualità con il mondo esterno. Incontra Yassine, un giovane arabo-musulmano che lavora come manovale, e suo fratello, aspirante terrorista. Attraverso questi incontri, Hadewijch si ritrova coinvolta in un percorso complesso che la pone di fronte ai limiti e alle manifestazioni estreme sia della fede religiosa che di quella ideologica.

Bruno Dumont prosegue la sua esplorazione del misticismo, della fede e della violenza in questo film che prende il nome da una poetessa fiamminga medievale. L’analisi concisa si concentra sulla figura di Hadewijch come archetipo della purezza fanatica e della ricerca di un Assoluto in un mondo secolarizzato. La regia è caratterizzata dalla tipica estetica dumontiana: piani lunghi e statici, inquadrature che prediligono il paesaggio come specchio dell’interiorità e l’uso di attori non professionisti che conferiscono un’autenticità viscerale alle performance, in particolare quella della protagonista Julie Sokolowski. Il film mette in discussione i confini tra l’amore divino e la passione terrena, l’estremismo religioso e quello politico, suggerendo che le forme più intense di devozione possano facilmente sfociare nell’alienazione e nella violenza. L’opera è stilisticamente rigorosa e tematicamente complessa, un esempio significativo di cinema d’autore che invita a una riflessione profonda sulla spiritualità nel XXI secolo.

La Commune, Paris 1871 (2000) ~ Va' e Vedi - Il Cinema dello Sguardo Umano

Regia di Peter Watkins. Un film con Eliane Annie Adalto, Maylis Bouffartigue, Pierre Barbieux, Anne Carlier, Geneviève Capy. Titolo originale: La Commune (Paris, 1871). Genere: Drammatico, Storico, Documentario. Paese: Francia. Anno: 2000. Durata: 345 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 8.4.

Il film è una monumentale rievocazione storica della Comune di Parigi, il governo popolare e rivoluzionario che assunse il controllo della capitale francese dal 18 marzo al 28 maggio 1871. Utilizzando uno stile deliberatamente documentaristico e un cast composto principalmente da attori non professionisti (molti dei quali immigrati), Watkins ricostruisce in un’unica ambientazione i brevi ma intensi 72 giorni di autogoverno popolare. La narrazione si concentra sulle discussioni e sulle azioni dei communards nelle strade e nelle assemblee, interrotte da “reporter” di una fittizia TV Communarde e di una TV reazionaria controllata dal governo di Versailles, che offrono prospettive contrastanti sugli eventi e sui protagonisti.

La Commune (Paris, 1871) è un’opera radicale e imprescindibile, non solo come ricostruzione storica ma come critica feroce alla manipolazione mediatica e alla storiografia ufficiale. I temi centrali sono la democrazia diretta, la lotta di classe, il ruolo delle donne nella rivoluzione e la censura. Il docu-drama di Watkins demolisce le convenzioni narrative e cinematografiche, mescolando presente e passato attraverso la tecnica dello pseudo-documentario per stimolare una riflessione sul modo in cui la storia viene raccontata e recepita. La regia è impegnativa e volutamente grezza, con le lunghe sequenze di dibattito e l’uso di telecamere a mano che conferiscono immediatezza e realismo. Nonostante la sua durata eccezionale e la deliberata assenza di una trama convenzionale, il film è acclamato dalla critica come un capolavoro politico e un’innovazione stilistica, elogiato per la sua potenza intellettuale, la sua capacità di dare voce agli emarginati della storia e per il suo impatto duraturo sulla riflessione socio-politica e cinematografica.

Hellboy - Film (2004) - MYmovies.it

Regia di Guillermo Del Toro. Un film con Ron Perlman, Selma Blair, Doug Jones, Rupert Evans, Karel Roden. Titolo originale: Hellboy. Genere: Azione, Fantascienza, Fantasy. Paese: USA. Anno: 2004. Durata: 122 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 6.8.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, le forze naziste e il mistico Grigorij Rasputin tentano di aprire un portale dimensionale per evocare i Sette Dei del Caos. L’operazione viene interrotta dalle forze alleate, ma non prima che un demone neonato, Hellboy, passi attraverso il varco. Salvato e cresciuto dal Professor Trevor “Broom” Bruttenholm, fondatore del B.P.R.D. (Bureau for Paranormal Research and Defense), Hellboy è ora un adulto ruvido e burbero che lavora segretamente per l’agenzia, proteggendo l’umanità dalle minacce occulte. Quando Rasputin ritorna per completare la sua apocalittica missione, Hellboy, insieme alla pirocinetica Liz Sherman e al tritone telepatico Abe Sapien, deve confrontarsi con il suo destino demoniaco e salvare il mondo.

Il film è un’adattamento fedele e appassionato dell’omonimo comic di Mike Mignola, con Del Toro che riesce a infondere nel superhero movie il suo inconfondibile amore per il bizzarro e il dark fantasy. I temi chiave sono l’accettazione di sé, la ricerca della propria vera natura in contrapposizione all’ambiente circostante e la distinzione tra l’aspetto esteriore e la moralità interiore. La regia è visivamente ricca, offrendo un design di creature e ambientazioni dettagliato e fantasioso, che spazia dal noir lovecraftiano all’azione spettacolare. Ron Perlman è perfetto nel ruolo del protagonista, fornendo una performance fisica e ironica che cattura l’essenza dell’eroe riluttante. Del Toro gestisce abilmente il tono, bilanciando l’azione e l’orrore con un umorismo genuino e leggero, che alleggerisce la violenza e la serietà dei temi. Sebbene non abbia raggiunto un successo commerciale travolgente, Hellboy è apprezzato per la sua integrità al materiale originale, la sua estetica unica e la chimica tra i personaggi, distinguendosi come un gioiello nel panorama dei cinecomic e consolidando la reputazione di Del Toro nel cinema fantastico.

Regia di Stephen Norrington. Un film con Wesley Snipes, Stephen Dorff, Kris Kristofferson, N’Bushe Wright, Donal Logue. Titolo originale: Blade. Genere: Azione, Horror, Fantascienza. Paese: USA. Anno: 1998. Durata: 120 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.1.

Il film introduce Blade, un daywalker, ovvero un essere mezzo umano e mezzo vampiro, dotato della forza e delle capacità degli Immortali ma immune ai loro principali punti deboli, come la luce del sole. Sconvolto dalla morte di sua madre, morsa da un vampiro durante il parto, Blade dedica la sua vita a cacciare e distruggere i vampiri con l’aiuto del suo fidato mentore e armaiolo, Whistler. La sua missione lo porta a scontrarsi con Deacon Frost, un ambizioso vampiro che, disprezzando i “purosangue” più tradizionalisti, cospira per scatenare un antico rito che lo renderà una divinità del sangue, ponendo fine all’esistenza dell’umanità e portando la sua specie a dominare apertamente il mondo.

Blade è un’opera di rottura, che ha ridefinito il cinecomic e il genere horror a fine anni ’90, aprendo la strada al successo cinematografico dei personaggi Marvel. I temi trattati sono la lotta per l’identità, il concetto di “mezzosangue” come eroe e la modernizzazione della mitologia del vampiro, trasformandolo da creatura gotica a parassita della società contemporanea. La regia di Stephen Norrington è frenetica e stilizzata, utilizzando in modo efficace l’estetica goth-industriale e la techno music per creare un’atmosfera urbana cupa e violenta. Wesley Snipes incarna il protagonista con una presenza scenica magnetica e glaciale, sfruttando le sue abilità nelle arti marziali per coreografare combattimenti veloci e brutali. Il film è lodato per aver saputo bilanciare l’azione hard-boiled con gli elementi horror e per aver introdotto effetti visivi innovativi per l’epoca (come le prime applicazioni di una sorta di bullet time). Nonostante la trama sia piuttosto lineare, il world-building e l’impatto culturale di Blade sono stati immensi, consacrandolo come un cult e un fondamentale precursore dei film di supereroi maturi e d’azione.

Regia di Guillermo Del Toro. Un film con Marisa Paredes, Eduardo Noriega, Federico Luppi, Fernando Tielve, Íñigo Garcés. Titolo originale: El espinazo del diablo. Genere: Horror, Drammatico, Guerra. Paese: Spagna, Messico. Anno: 2001. Durata: 106 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.4.

Ambientato durante le fasi finali della Guerra Civile Spagnola nel 1939, il film racconta la storia di Carlos, un orfano di dieci anni lasciato dai suoi tutori in un remoto collegio gestito da repubblicani. Il collegio, isolato e austero, è un luogo di tensione tra il rigido personale e i giovani allievi, ma è anche teatro di presenze ultraterrene. Carlos scopre ben presto che un fantasma, il cui spirito è legato a un misterioso omicidio avvenuto anni prima, infesta i corridoi e, allo stesso tempo, scopre una bomba inesplosa piantata nel cortile centrale, simbolo tangibile della guerra che incombe.

La Spina del Diavolo è un’opera fondamentale nella filmografia di Guillermo Del Toro, che funge da precursore spirituale e tematico del più celebre Il Labirinto del Fauno. Il film esplora magistralmente la commistione tra l’orrore della guerra e quello soprannaturale, ponendo l’innocenza infantile di fronte alla brutalità adulta e alla corruzione morale. I temi dominanti sono la vendetta, la memoria storica e il lato oscuro della natura umana. Del Toro utilizza il genere horror non per puro spavento, ma come lente per esplorare il trauma collettivo della Spagna, con il fantasma che simboleggia le ferite del passato che non vogliono chiudersi. La regia è matura e lirica, con una fotografia calda ma opprimente che sottolinea l’isolamento e la malinconia del collegio. Le interpretazioni di tutto il cast sono eccezionali, in particolare quelle di Marisa Paredes e Federico Luppi. L’opera è unanimemente lodata dalla critica per la sua profondità emotiva, la sua atmosfera spettrale e la sua capacità di trasformare una storia di fantasmi in una toccante riflessione sulla perdita e sul potere distruttivo della violenza umana.

Regia di Philippe Garrel. Un film con Louis Garrel, Clotilde Hesme, Julien Lucas, Éric Rulliat. Titolo originale: Les Amants réguliers. Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico. Paese: Francia. Anno: 2005. Durata: 178 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2.

Parigi, 1968-1969. François è un giovane poeta ventenne, parte di un gruppo di amici artisti e intellettuali che vive in una sorta di comune post-sessantottina, discutendo di arte, politica e facendo uso di oppio per evadere dalla disillusione seguita al fallimento degli ideali di Maggio. In questo contesto, François incontra Lilie, una scultrice con un forte impegno politico e operaia, e tra i due nasce una intensa e totalizzante storia d’amore, ambientata in un periodo di transizione tra l’euforia rivoluzionaria e la necessità di affrontare una realtà meno utopica.

Il film affronta con sensibilità e rigore i temi della gioventù perduta, della disillusione politica post-sessantotto e dell’amore come estrema forma di resistenza e rifugio. La regia di Philippe Garrel è essenziale e contemplativa, restituendo con coerenza il clima emotivo dell’epoca. L’uso di un bianco e nero ricercato, a tratti documentaristico, non è solo una scelta stilistica, ma contribuisce a conferire un senso di atemporalità e malinconia poetica, quasi a fissare in un ricordo epico un momento storico e generazionale. La fotografia, premiata a Venezia, è di altissimo livello. Louis Garrel e Clotilde Hesme offrono interpretazioni intense e misurate che incarnano perfettamente lo spirito romantico e ribelle dei loro personaggi. Il film, pur non avendo un impatto commerciale massivo, è un’opera fondamentale per comprendere la poetica di Garrel e come essa si rapporti alla Nouvelle Vague, imponendosi come un lucido e personale bilancio su una stagione della storia francese.

Regia di Carlo Verdone. Un film con Carlo Verdone, Laura Morante, Stefania Rocca, Antonio Catania, Rodolfo Corsato. Genere: Commedia, Sentimentale, Drammatico. Paese: Italia. Anno: 2004. Durata: 108 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 6.5.

Gilberto Mercuri, un oculista cinquantenne sposato da vent’anni con la psicologa Tiziana, si ritrova in crisi esistenziale e decide, fingendosi vedovo, di partecipare a una sessione di speed-date per cercare nuove emozioni. La sua innocua scappatella viene smascherata quando viene interrogato dalla polizia per la scomparsa di una delle partecipanti, e Tiziana, presente in caserma, lo caccia immediatamente di casa. Gilberto si rifugia così dall’amico Andrea e dalla sua compagna Carlotta, dando il via a una serie di vicissitudini che lo portano a confrontarsi con la propria solitudine, le difficoltà del ricominciare a cinquant’anni e la scoperta delle verità nascoste all’interno del suo stesso matrimonio.

Il film segna un ulteriore passo di Carlo Verdone verso una commedia più agrodolce e matura, incentrata sull’analisi della crisi matrimoniale e della difficoltà di mantenere vivo il desiderio in una relazione di lunga durata. Il tema principale è la fragilità dell’amore e il fallimento della coppia borghese, rappresentato dall’ipocrisia di Tiziana, psicologa che consiglia altre coppie in televisione mentre tradisce il marito. La regia è misurata, focalizzata sulla nevrosi e sulla malinconia del protagonista, riuscendo a mescolare gag tipicamente verdoniane, come l’episodio tragicomico a Nizza, con momenti di riflessione autentica. La prova attoriale di Laura Morante, premiata con un Nastro d’Argento, è particolarmente intensa nel tratteggiare la nevrosi della moglie insoddisfatta. L’opera è apprezzata per la sua onestà nel raccontare le difficoltà della mezza età e la ricerca di un modello di coppia alternativo, come quello sperimentato dal protagonista, rifuggendo il lieto fine convenzionale e consolidando il Verdone del nuovo millennio come autore di “malincommedie” generazionali.

Regia di Bahman Ghobadi. Un film con Ayoub Ahmadi, Nezhad Ekhtiar-Dini, Amaneh Ekhtiar-Dini, Madi Ekhtiar-Dini, Rojin Younessi. Titolo originale: Zamani barayé masti asbha. Genere: Drammatico. Paese: Iran, Francia. Anno: 2000. Durata: 80 min. Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.3/10.

Nel Kurdistan iraniano, al confine con l’Iraq, una famiglia di cinque fratelli curdi orfani lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile e invernale. Il dodicenne Ayoub, il fratello maggiore, è costretto a diventare il capofamiglia e si cimenta nel rischioso contrabbando attraverso le montagne. Il suo obiettivo primario è quello di racimolare il denaro necessario per una costosa e urgente operazione chirurgica per il fratello minore Madi, affetto da una grave malformazione congenita. La loro esistenza è una quotidiana battaglia contro il gelo, la povertà e il cinismo degli adulti, in un’area dilaniata dai conflitti e dalle difficoltà economiche.

Opera prima del regista curdo-iraniano Bahman Ghobadi, vincitrice della Caméra d’Or al Festival di Cannes, “Il tempo dei cavalli ubriachi” è un caposaldo del neorealismo contemporaneo. Il film affronta senza filtri il tema della sopravvivenza infantile in un contesto di estrema marginalità e il peso insostenibile delle responsabilità adulte gravanti sulle spalle dei bambini, oltre alla tenace forza dei legami familiari. La regia di Ghobadi è caratterizzata da uno stile crudo, quasi documentaristico, che utilizza attori non professionisti e i luoghi reali del Kurdistan per conferire alla narrazione un’autenticità dolorosa. L’innovazione stilistica risiede proprio in questo rigore formale e nella capacità di evitare ogni compiacimento melodrammatico, mostrando la fatica fisica ed emotiva dei personaggi con una lucidità implacabile. La fotografia, dominata da paesaggi nevosi e desolati, amplifica il senso di isolamento. Il titolo stesso allude all’uso di alcol per spingere i muli e i cavalli a sopportare il gelo e i carichi onerosi, una potente metafora della disperazione che permea la vita in quelle terre. Per la sua intensità, il suo coraggio e il suo impatto umanitario, il film è considerato un’opera fondamentale per comprendere la condizione del popolo curdo e il cinema iraniano di denuncia.

Risultato immagini per L'Avvocato del Terrore"

Regia di Barbet Schroeder. Un film con Jacques Vergès, Klaus Barbie (immagini d’archivio), Carlos lo Sciacallo (solo voce), Djamila Bouhired. Titolo originale: L’avocat de la terreur. Genere: Documentario, Biografico, Storico. Paese: Francia. Anno: 2007. Durata: 135 min. Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.7/10.

Il documentario sonda la vita e la controversa carriera di Jacques Vergès, noto avvocato francese che si guadagnò l’epiteto di “avvocato del diavolo” per la sua scelta di difendere figure storiche notoriamente indifendibili. La narrazione ripercorre le tappe salienti della sua esistenza, a partire dal suo impegno giovanile nella lotta anticolonialista algerina, che lo portò a sposare la militante Djamila Bouhired, fino alla sua misteriosa sparizione di otto anni. Al suo ritorno sulla scena legale, Vergès divenne il difensore di noti criminali e terroristi internazionali, tra cui il nazista Klaus Barbie e il terrorista Ilich Ramírez Sánchez, meglio noto come Carlos lo Sciacallo.

Barbet Schroeder, regista noto per la sua capacità di scavare nelle figure controverse, realizza un ritratto complesso e non giudicante di un personaggio enigmatico. Il tema centrale è la zona grigia tra giustizia e vendetta, esplorando la filosofia di Vergès, che teorizzava la “strategia della rottura” in tribunale, trasformando il processo da dibattimento sul cliente a scontro ideologico contro il sistema accusatorio. La regia è impeccabile, affidandosi a un montaggio serrato di interviste attuali, testimonianze di ex colleghi e complici, e un ricchissimo repertorio di immagini d’archivio e filmati storici che ricostruiscono decenni di terrorismo e lotte politiche. Schroeder eccelle nel non offrire risposte facili, ma nel porre domande scomode, in particolare sulla rete di contatti che ha sostenuto il terrorismo internazionale per decenni e sul misterioso periodo di assenza di Vergès. L’opera è di fondamentale importanza storica per la ricostruzione di vicende cruciali del ‘900 e costituisce un eccellente esempio di giornalismo d’inchiesta cinematografico che, pur trattando un soggetto moralmente inquietante, mantiene un tono rigorosamente informativo e affascinante come un thriller politico.

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