Byłem żołnierzem (Ero un soldato) è un cortometraggio documentario di Krzysztof Kieślowski del 1970.
Il film è incentrato sul racconto di un gruppo di soldati che hanno perso la vista a causa dell’esplosione di una mina. Gli orrori della guerra vengono descritti dalle parole di chi ne è tornato riportando non solo danni fisici permanenti, ma soprattutto traumi e ferite interiori che il tempo non riesce a cancellare. Ogni voce aggiunge particolari, opinioni, esperienze, sprazzi di storie personali che tracciano un quadro sempre più preciso degli avvenimenti accaduti. Nel corso della narrazione l’eroismo sbiadisce di fronte alla forza distruttrice della guerra che annichilisce l’uomo, privandolo della speranza e della possibilità di decidere della propria vita. La modalità scarna, essenziale del racconto è un gesto di accusa contro gli inganni della retorica patriottica.
Un nuovo insegnante arriva a Snakeville e immediatamente tutti gli uomini sposabili della contea arrivano a corte. La relazione alla fine si risolve su Jack Heyworth e Broncho Billy, ma …
Un uomo incontra per strada una bella signora e decide di seguirla fino al cinematografo dove, approfittando del buio della sala, tenta una serie di approcci.
Dall’incontro tra Wim Wenders e un bambino afgano nasce Il volo, un film in 3D, che racconta un luogo dove l’accoglienza è una possibilità concreta: a Riace e Caulonia. Il grande regista tedesco compie un viaggio nella Calabria che ha aperto le proprie case ai profughi di tutto il mondo.
A scuola un bambino viene escluso dai coetanei perché strano e poco curato nell’abbigliamento e nell’igiene. Una bambina fa amicizia con lui, va a casa sua per vedere il suo corvo parlante e scopre che la madre del bambino è all’ospedale malata di cancro e il padre lo maltratta e lo trascura; per questo si nutre solo di pop corn. I due fanno amicizia
Sulla piattaforma dell’aeroporto di Orly la morte di un uomo di cui all’inizio non sappiamo l’identità è associata allo scoppio della Terza guerra mondiale. I superstiti della catastrofe nucleare sono nei rifugi sotterranei. Si inviano emissari affinché il passato e il futuro soccorrano il presente. Durante i suoi lunghi e penosi viaggi l’uomo ritrova l’immagine che l’ossessiona: quando all’aeroporto di Orly corre verso la donna amata comprende il significato dell’evento iniziale. Cortometraggio in bianconero a foto fisse e ferme – se si toglie uno zoom all’inizio e due o tre altri in un momento in cui la storia va nel futuro – in cui si afferma “una identità tra il grande e il piccolo, l’individuale e l’universale … introduce un tema che sarà tipico della fantascienza francese nouvellevaguista, quello del viaggio nel tempo” (A. Farassino). Allucinato, vertiginoso, originale. Vincitore del 1° Festival di fantascienza di Trieste nel 1963. Fotografia: Jean Chabaut. Montaggio: Jean Ravel. Musiche: Trevor Duncan. Rifatto nel 1995 da Terry Gilliam con L’esercito delle dodici scimmie .
Strano oggetto cinematografico The Wholly Family. L’ultima fatica di Terry Gilliam- breve ma intensa, 5 giorni di set- è un cortometraggio prodotto da Pasta Garofalo, già molto attiva nel product placement e con all’attivo opere brevi di Edo Tagliavini, Pappi Corsicato e Valeria Golino, il cui Armandino e il MADRE ha anche portato a casa un Nastro d’Argento. Pur essendo un’azienda nota per la sua ottima pasta a finanziare il progetto, però, il lavoro dell’ex Monty Python risulta incompleto e farraginoso, cucinato male nonostante tutti gli ingredienti siano giusti. Risulta evidente da due-tre momenti niente male, come l’assalto dei Pulcinella al bambino (Nicolas Connolly) o il finale apparentemente pacificato e in verità perfido. Anche perché è proprio in quei fotogrammi che si vede e si sente tutto l’autore di Brazil e Parnassus.
L’esistenza di un antecedente non diminuisce il valore del film di Fabre (18??-1929) finalmente restaurato con le colorazioni d’epoca. Che ne riprende la sostanza innovativa e chiave stilistica ma si allinea, satireggiando, alla nascente moda del mélo borghese. Qui gli oggetti in scena sono importanti ma non determinanti, confidando in una mimica sia pur parziale (sempre dalle ginocchia in giù!) per un abbozzo efficace della psicologia dei tre elementi determinanti di un adulterio. Con qualche accenno perfino feticista (l’accarezzamento della scarpa di lei mentre lui ci inserisce il bigliettino per l’appuntamento galeotto) il film scivola felicemente, senza bisogno di parole, verso l’amorale happy end. Precursore elegante di quell’irridente cinismo che continua a riempire i nostri schermi. – CM
Girato nell’obitorio di Pittsburgh, il documentario di Brakhage è “uno dei confronti più diretti con la morte che sia mai stato impresso su pellicola”.
Ci muoviamo avanti e indietro tra scene di una famiglia a casa e pensieri sulle stelle e sulla creazione. I bambini tengono i polli mentre un adulto tarpa le ali; vediamo una foresta; un narratore parla di stelle, luce ed eternità. Un cane si unisce alle galline e alla famiglia, mentre il narratore spiega i cieli. Vediamo un’ape da vicino. Il narratore suggerisce metafore per i corpi celesti. Le scene sfumano su uno schermo nero o viola tenue; i primi piani della vita familiare possono essere sfocati. Le parole sui cieli, come “Le stelle sono uno stormo di colibrì”, contrastano con immagini e suoni di bambini veri.
La sceneggiatura con fotografie dal film è stata pubblicata in inglese nel 1967 da Faber & Faber, tradotta in francese dall’autore nel 1972 per Les Éditions de Minuit e in italiano da Maria Giovanna Andreolli per Einaudi (1985). Le edizioni recenti contengono anche un articolo-ricordo di Alain Schneider, Com’è stato girato «Film» (1969).In una strada fatiscente si vede un uomo rifuggire affannosamente dallo sguardo della macchina da presa. Lo si vedrà inquadrato di schiena fino al finale del cortometraggio. Il personaggio (chiamato O nella sceneggiatura) subisce alcuni avversi contatti umani: scontra una coppia di passanti, raggiunto l’interno di un edificio, incontra un’anziana, tutti reagiscono sgomenti alla sua visione. Segue il rifugio in una camera dell’edificio, di cui esso possiede la chiave. Se la corsa è finita, continua l’angoscioso agire del personaggio, che si rivolge ora agli animali ed oggetti presenti nella stanza. Dopo aver preso visione del luogo cala la tendina della finestra e copre lo specchio alla parete. Ancora un’altra perlustrazione e si accomoda in una sedia a dondolo nel centro della stanza. Lo scopo di O è aprire una busta contenuta in una valigetta ed esaminarne il contenuto
In questo post ho raccolto diversi corti interessanti passati su raitre. Casco Blu .ChrisMarker.1995.SubIta.TvRip.mov Eclisse .ChrisMarker.1999.Subita.TvRip.mov Gatti Sorridenti .ChrisMarker.2004.Subita.TvRip.mov L’Ambasciata .ChrisMarker.1973.Subita.TvRip.mov La Sesta Faccia Del Pentagono .ChrisMarker.1968.Subita.TvRip.mov Teoria Degli Insiemi .ChrisMarker.1990.Subita.TvRip.mov Tre Disastri .JLGodard.2015.SubIta.TvRip.mov Tre Video Haikus . ChrisMarker.1995.Subita.TvRip.mov
La storia, scritta e diretta da Pappi Corsicato, offre una rivisitazione in chiave paradossale del concetto di gusto. Una coppia di parvenu napoletani, Gemma (Iaia Forte) e Tony (Ennio Fantastichini), decide di organizzare un party per il loro debutto in società. Durante la serata, alla quale partecipa “la crème” della città, si svela una Napoli che rimette continuamente in discussione i classici canoni dell’estetica e dell’etica, creando continue contrapposizioni di quale sia il confine tra eleganza ed ostentazione. Il clima della storia è assolutamente ironico e a forti tinte: dall’arredo agli oggetti di scena, dai costumi alle musiche. Una diatriba Gusto vs Cattivo Gusto ricca di contrasti dai toni giocosi e con finale da contrappasso che svela l’arma letale di chi non conosce la vera classe.
Fiore introvabile (Sapovnela) di Otar Iosseliani – URSS 1959 con Mikhail Mamulashvili
Il secondo cortometraggio di Iosseliani è un documentario sulla natura con il quale il regista georgiano sperimenta per la prima volta con il colore, il montaggio e la musica. Accompagnate da una serie di canti popolari, ci vengono mostrate le immagini di numerosi e variopinti fiori, da quelli più umili che crescono nei prati e sui pascoli in montagna, a quelli più eleganti ed elaborati che vengono coltivati nelle serre.
In una famiglia russa che vive in una misera casetta, il padre si sveglia un mattino dopo l’ennesima sbornia, ruba i pochi risparmi e scappa inseguito dalla moglie. I due finiscono in una galleria d’arte e si fermano allibiti davanti a un quadro che mostra la loro stessa baracca. Ma le spiegazioni delle guide che accompagnano i visitatori descrivono una realtà ben diversa da quella che loro conoscono. Che effetto avrà l’arte sulla loro vita?
Note
Primo cortometraggio del regista georgiano, realizzato quando era ancora studente all’Accademia di cinema di Mosca.
Storia dello scrittore giunto sulla costa per finire il romanzo sul vice console francese a Calcutta. Affronta un problema: cerca di trovare ovunque parole adeguate per la storia. Convinto di aver detto che queste parole esistono davvero da qualche parte, scrive, cancella offerte, strappa pagine. La storia che scrive si sviluppa nel mondo esterno che sembra parallelo a ciò che inventa anche se non è chiaro quale di esse rifletta cosa.
70 anni dopo Douro , suo 1° film, il 93enne de Oliveira torna a filmare Porto, scelta come capitale europea della cultura 2001. Non potendo fare un documentario (troppi cantieri per le strade), rovista nei cassetti di casa, spulcia nei diari, evoca i fantasmi non sempre innocui della sua memoria, accende il faro dei suoi ricordi sui poeti e scrittori esiliati o morti suicidi, scherza su sé stesso giovane buffone innamorato, riscrive “la carta geografica della sua città in prima persona” (F. Tassi) e la commenta a voce. Accolto a Venezia 2001 da un lungo, commosso applauso del pubblico in piedi. Presentato nella primavera 2009 in una rassegna sul cinema portoghese a Pordenone e Udine. Versione originale sottotitolata.
1° film di L. Buñuel, da lui prodotto (con il denaro della madre), sceneggiato (con S. Dalí) e diretto. Vi appare all’inizio come l’uomo xche affila il rasoio con cui recide trasversalmente l’occhio sinistro di una donna, una delle più celebri immagini-choc del cinema, collegata con quella della luna piena. Non c’è una “trama”, ma soltanto insinuazioni, associazioni mentali, allusioni; non c’è una logica, tranne quella dell’incubo; non c’è una realtà, tranne quella dell’inconscio, del sogno e del desiderio. Nato nell’ambiente parigino del surrealismo, è probabilmente il più celebre film d’avanguardia del mondo, anche se non il più significativo e importante. Molti gli preferiscono il successivo L’Âge d’or (1930). È il corrispettivo filmico del Primo Manifesto del Surrealismo (1924, ristampato da André Breton nel 1929) di cui condivide l’estetica di Lautréamont, l’influsso di Freud, la volontà rivoluzionaria di ispirazione marxiana con spunti presi da Buster Keaton e René Magritte. Il titolo incongruo deriva da Un perro andaluz , raccolta di poesie e prose di Buñuel, pubblicata nel 1927 sulla Gaceta Literaria di Madrid. Non è da escludere che abbia una connotazione polemica contro Federico García Lorca che nel 1928 aveva pubblicato Primer romancero gitano , accolto da molti con entusiastici elogi, ma non dall’amico Buñuel che gli rimproverava il “terribile estetismo”. Proiettato dal giugno 1929 allo Studio des Ursulines di Parigi, tenne il cartellone per molte settimane. Nel 1960 il regista-produttore ne cedette i diritti e fu sonorizzato con musiche ( Morte di Isotta di Wagner, tanghi argentini) scelte da Buñuel. L’attore protagonista, P. Batcheff, si suicidò pochi mesi dopo la fine delle riprese.
La fotografia, girato in coincidenza con il film per il diploma “Dalla città di Lodz”, è il primo vero lavoro realizzato da Kieslowski per conto della televisione polacca ed è stato mostrato in televisione una volta sola. Andato perduto per ben due volte, oltre ad essere uno dei più cari all’autore, è probabilmente quello che meglio raggiunge lo scopo del suo primo documentarismo, sempre alla ricerca dell’evento, di un inaspettato moto della realtà. L’idea nasce da una fotografia mostratagli dal suo insegnante Kazimierz Karabasz, che ritrae due fratelli rispettivamente di quattro e di sei anni, in posa con berretto e mitragliatore in un cortile di via Brzeska, nel quartiere Praga di Varsavia da poco liberato dai russi. Era il 1944. Il giovane regista si propone di ritrovarli e insieme al suo maestro si mette sulle loro tracce, passando per vari uffici anagrafici e per i portoni di via Brzeska, ovviamente sempre seguito dalla macchina da presa.