Regia di George Ovashvili. Un film Da vedere 2014 con Ilyas SalmanMariam ButurishviliTamer Levent. Titolo originale: Simindis kundzuli. Genere Drammatico, – Repubblica cecaSpagnaGeorgiaIslandaCorea del sudGran BretagnaTurchiaIsraeleUSA2014durata 100 minuti. Uscita cinema giovedì 20 agosto 2015 distribuito da Cineama. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 – MYmonetro 3,44 su 5 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Il fiume Inguri segna il confine naturale tra la Georgia e la Repubblica di Abkhazia. I secessionisti hanno reclamato questa porzione del paese, cacciando brutalmente i georgiani che la abitavano. Proprio lungo questa tormentata frontiera, in primavera, lo scioglimento del ghiaccio dà vita a piccole isole itineranti, che si fanno e si disfano a seconda delle stagioni e dei capricci della natura. Un vecchio contadino e sua nipote adolescente si installano in questa terra di nessuno, costruendo una precaria baracca di legno, per coltivarvi il necessario per sopravvivere al rigido inverno. Quando sull’isola compare un ribelle ferito, il già fragile equilibrio di questa insolita coppia si spezza pericolosamente.
Quello diretto dal georgiano George Ovashvili è un film che indaga tra le pieghe dei conflitti. In primo luogo, il difficile rapporto tra uomo e natura, cristallizzato nel tentativo ancestrale di dominare, a mani nude, un ambiente riottoso, pronto a sottrarre con violenza ciò che un attimo prima aveva dato. In seconda battuta, c’è la lotta fratricida tra due popoli, che si manifesta nella presenza dei soldati georgiani che pattugliano il confine con le loro barchette, alla ricerca dei ribelli. Sopraggiungono molesti, così come il rumore degli spari nella notte, a turbare la quiete della vita del contadino, scandita solo dai ritmi di un lavoro paziente, in balia della natura. Il terzo contrasto, non meno importante, è quello tra la prudente saggezza dell’uomo anziano e l’incosciente desiderio di emozioni della nipote sulla soglia dell’adolescenza. La routine lenta e faticosa che li unisce, al contempo li divide, determinando il sentore strisciante di una deflagrazione che non si consuma mai veramente. Almeno non a parole, in un’opera dove gli sguardi, le inquadrature – carrellate o movimenti di macchina a mano – e la fotografia in 35 mm – contano molto più dei dialoghi, ridotti all’osso per l’intera durata del film.
Un film da festival, in cui la sceneggiatura è scarna, al pari delle battute, e il ritmo è dilatato. Un film dove l’immagine ha la meglio sulla parola, esibendoci, in tutto il suo crudele splendore, una natura tanto generosa quanto capricciosa. Il regista ce la mostra con estremo realismo, ai limiti del documentario. I due attori protagonisti contribuiscono a rafforzare questa poetica del reale, agendo davanti alla macchina da presa con grande naturalezza, parlando solo con gli occhi: solcato, lui, dalla fatica dell’età e dalle intemperie della vita – ma nonostante tutto determinato e teneramente preoccupato per la nipote – e animata, lei, da un bisogno di vita che la spaventa e la incoraggia al contempo. In questo deserto di comunicazione, non è tanto la parola a mancare, quanto le risposte alle domande che questa storia incompiuta di uomini suscita. Curiosità e desiderio di emozioni più forti che il regista non soddisfa, interessato più ai capricci della natura che a quelli degli uomini.