Il film di Obayashi è pura follia lisergica che disorienta completamente lo spettatore sommergendolo letteralmente di colori, effetti speciali, soluzioni visive deliranti e tanta, tantissima pop-art. Una giovane studentessa, orfana di madre, è profondamente delusa dal padre che ha deciso di risposarsi con un’altra donna e rifiuta di passare le vacanze estive con lui. Preferisce recarsi, assieme ad un gruppo di compagne di scuola, nella casa della vecchia zia con l’intento di poter recuperare ricordi materni, con i quali alleviare il forte senso di mancanza. Purtroppo per lei, e per le sue amiche, la mansione è infestata dagli spettri e la tanto amata zia altri non è che una strega, desiderosa di nutrirsi di giovani anime
Un settentrionale per motivi di lavoro si trasferisce al sud lasciando una fidanzata al paese. La lontananza lo costringe a rivedere i propri sentimenti.
1897-98 nelle campagne della Bassa bergamasca: la vicenda corale di alcune famiglie contadine che lavorano la terra a mezzadria tra duri sacrifici, ma con grande dignità. Solenne e sereno, grave e pur lieve come le musiche di Bach che l’accompagnano, il 9° di Olmi è _ con Novecento (1976) di B. Bertolucci che è il suo opposto _ il più grande film italiano degli anni ’70, e l’unico, forse, in cui si ritrovano i grandi temi virgiliani: labor, pietas, fatum. Gli sono stati rimproverati una rappresentazione idealizzata, troppo lirica, del mondo contadino, la cancellazione della lotta di classe, la rarefazione spiritualistica del contesto sociale.È indubbio che al versante in ombra (grettezza, avidità, violenza, odi feroci) del mondo contadino Olmi ha fatto soltanto qualche accenno, e in cadenze bonarie, ma anche in quest’occultamento è stato fedele a sé stesso e alla sua pietas. Il sonoro originale fu doppiato dagli stessi attori non professionisti in un dialetto italianizzante. Alcune copie circolarono con sottotitoli in italiano nei dialoghi più ostici. Venduto in un’ottantina di nazioni. Palma d’oro e Premio Ecumenico a Cannes. César per il film straniero in Francia.
Un insegnante di provincia rassegna le proprie dimissioni al preside dell’istituto, sentendosi addosso la responsabilità della morte accidentale per annegamento di uno studente in una gita.
Decide di cambiare lavoro e si trasferisce in una cittadina più grande portandosi dietro il figlio ancora in età scolare. Rendendosi però conto di non poter mantenere gli studi futuri del ragazzo, cambia nuovamente impiego, questa volta spostandosi da solo a Tokyo da dove si curerà del mantenimento del figlio a distanza.
Ritrovatisi a commemorare la scomparsa dell’amico Miwa, tre uomini si preoccupano dei destini della vedova Akiko e della figlia Ayako e decidono di proporre loro dei buoni partiti affinché si sposino. Ayako, pur trovando gradevole la compagnia del pretendente Goto, si rifiuta di sposarlo per non lasciare da sola la madre. Quando però viene a sapere che anche Akiko potrebbe risposarsi, Ayako va su tutte le furie, convinta che la memoria del padre sia stata tradita. Il terzultimo film del maestro giapponese è anche il compendio del suo ultimo periodo, quello dell’Ozu a colori, caratterizzato da toni da commedia, che ha inizio con Fiori d’equinozio. Ogni situazione, discordia, evento affrontato in Tardo autunno rimanda ad almeno un’altra opera dell’autore, così come il cast, popolato da tutti i volti che hanno contraddistinto le opere precedenti.
Mentre tenta di organizzare il secondo matrimonio della sua ex nuora Akiko, vedova, e della figlia minore Norito, Manbei Kohayagawa riceve visite clandestine da parte della sua ex amante Tsune e della figlia illegittima Yuriko.
Ha come protagonista il regolare Chishū Ryū di Ozunei panni del patriarca della famiglia Hirayama che alla fine si rende conto di avere il dovere di organizzare un matrimonio per sua figlia Michiko ( Shima Iwashita ). Era l’ultimo film di Ozu; morì l’anno successivo il giorno in cui compì 60 anni.
Oggi, An Autumn Afternoon è considerato da molti uno dei migliori lavori di Ozu.
Azur ha gli occhi azzurri, Asmar ce li ha neri come la notte. Il primo è figlio di un nobile gelido, il secondo di un’amorevole balia, che cresce i pargoli come fratelli, raccontando a entrambi, ogni sera, alle porte del sonno, la leggenda della fata dei Jinns, che attende, da una prigione nascosta, il giovane che la libererà. Ma un giorno il padre di Azur lo manda lontano da casa per studiare e scaccia dalla sua dimora francese la nutrice e il piccolo Asmar. Solo una volta adulto, Azur si imbarcherà in direzione dell’Oriente per ritrovare i suoi cari e liberare la fata dei Jinns.
Doveva essere un concerto dedicato all’amore dei vent’anni. Purtroppo alcuni suonatori, tra cui Renzo Rossellini, non sapevano leggere la musica. Si salvano in due, Truffaut e Wajda.
“Antoine e Colette” di Truffaut: Episodio Girato a Parigi, l’episodio diretto da François Truffaut costituisce il secondo capitolo del ciclo dedicato ad Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, dopo I 400 colpi. Antoine è innamorato di Colette, una ragazza parigina di buona famiglia, che però non è interessata al suo amore, nel corso dell’episodio, finalmente rivede il suo amico Renè che non vedeva da tanto tempo.
Nota bene: La versione 1080p è del solo episodio “Antoine e Colette” di Truffaut. I subita li ho tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Ricevuti misteriosamente in prestito 200 franchi, barbone alcolizzato fa molti incontri d’amore e d’amicizia finché s’avvia, in una ventosa mattina, a saldare il debito. A livello stilistico è forse il film più maturo di Olmi, certamente il più raffinato: la sua Parigi, paesaggio dell’anima, è straordinaria. Ha una splendida 1ª parte, una zona centrale un po’ ripetitiva e prolissa, riprende quota nella conclusione. Non c’è più, forse, la leggerezza delle sessanta stringate pagine del racconto lungo Die Legendevom heiligen Trinker (1939) di Joseph Roth, ma, dopo averlo visto, nessuno lo leggerà o rileggerà come prima. Olmi ci aiuta a capirlo meglio, a penetrarlo in profondità. L’interpretazione dell’olandese Hauer è una delle sue carte vincenti. Sceneggiato da Olmi con Tullio Kezich. Leone d’oro a Venezia.
Una delle due regie (l’altra fu Inchiesta in prima pagina) del commediografo Clifford Odets. Cary Grant impersona un giovane operaio londinese incerto sull’indirizzo da dare alla propria vita: non sa se scegliere l’onesto lavoro e l’onesto matrimonio, oppure la relazione con una donna sposata e guadagni poco puliti nella cricca del marito di lei. Alla fine, dopo la morte della madre, si decide: lascerà la città, le buone e le cattive amicizie e diventerà sindacalista.
Dal romanzo (1952) di Howard Fast: nel 73 a.C. il gladiatore trace Spartaco promuove una rivolta di schiavi contro il governo di Roma, sconfigge una legione e si dirige verso il sud. È sconfitto dall’armata di Crasso che fa crocifiggere seimila schiavi sulla via Appia. Come film di S. Kubrick è un ibrido: troppe paternità (lo sceneggiatore Dalton Trumbo e soprattutto il produttore-attore K. Douglas che in un primo tempo aveva ingaggiato il regista Anthony Mann) e una certa eterogeneità stilistica. È poco kubrickiano il richiamo a una nozione di progresso di cui la vicenda del “primo rivoluzionario della storia” è simbolica portatrice. Gli appartiene per le scene di battaglia e di violenza (cui collaborò il grafico Saul Bass), la mescolanza di ragione e passione nei personaggi principali, la splendida direzione degli attori tra cui spiccano L. Olivier e C. Laughton. È, comunque, il migliore – e il più adulto – dei colossi storici di Hollywood. Ridistribuito nel 1991 in un’edizione restaurata con l’aggiunta di una quindicina di minuti. 4 Oscar: fotografia (Technirama 70) di Russell Matty, Ustinov attore non protagonista, scene e costumi.
Il titolo allude alla pianta dell’amarilli (Amaryllis Belladonna) che in Giappone fa sbocciare i suoi fiori rossi (o bianchi) intorno all’equinozio di autunno (23 settembre). 1° film a colori di Ozu che li usa con parsimonia, opponendo le tenui tinte degli interni domestici a chiazze di rosso (attenzione al bollitore!). Ex ufficiale di Marina, Mikani è un padre così autoritario che obbliga la figlia maggiore Fumiko a scappare di casa per andare a vivere con il fidanzato pianista. Si dimostra altrettanto intransigente con Taniguchi che gli chiede il consenso di sposare l’altra figlia Setsuko che, invece, ha l’appoggio della madre e di un’amica, anche lei con gli stessi problemi. Solo gli amici riescono a convincerlo a una riconciliazione. Scritta da Ozu con Kogo Noda e Ton Satomi, autore del romanzo omonimo. L’avvio drammatico della storia si stempera in cadenze più leggere, non prive di ironia anche perché la figura del padre è contraddittoria, incrocio tra tradizionalismo giapponese e influenza liberale occidentale. Ozu conduce il gioco con l’abituale, squisita maestria. Sottotitoli italiani.
Una villa isolata nella campagna francese. Una famiglia si riunisce per le vacanze, ma non si tratterà di un’occasione lieta. Il capofamiglia, come si scoprirà in breve tempo, è stato assassinato. L’omicidio puo’essere stato compiuto solo da una delle 8 donne presenti nella casa (compresa la sorella giunta in modo inaspettato). Se le donne rispondono al nome di Catherine Deneuve, Fanny Ardant, Isabelle Huppert, Emmanuelle Beart, Virginie Ledoyen ecc… si può facilmente immaginare quanto il gioco di rivalità (tra i personaggi ma anche tra le personalià attoriali) sia ad alto voltaggio. Anche di comicità perché il testo utilizzato ha un’origine teatrale che dosa con grande abilità commedia, satira e giallo. Ozon, dopo l’intimista e funebre Sotto la sabbia, spiazza tutti divertendosi a tenere a bada 8 caratterini non facili. Ci riesce con apparente nonchalance. Ma non tutto deve essere stato facile come appare. Per i posteri va ricordato il bacio lesbico tra la Deneuve e la Ardant (Buñuel e Truffaut sorridono sornioni dall’aldilà).
Ogni immagine in Ozu è polisemica, ogni inquadratura rinvia ad una molteplicità di significati simbolici. Il suo cinema è sintetizzabile in due ossimori, realismo simbolico e minimalismo epocale. Il film si apre con l’inquadratura di una lanterna in primo piano, mentre sullo sfondo camminano dei giovani studenti in fila indiana, e termina con l’immagine di un grosso cancello chiuso, di una staccionata che recinge un piccolo cortile, in cui siede pensosa una vecchia donna. La vita dell’uomo simbolicamente si svolge tra queste due inquadrature, all’inizio, guidata dalla luce delle speranze ed ispirata dai sogni di gioventù, alla fine, racchiusa entro uno spazio limitato, chiuso da una porta che impedisce allo sguardo di scorgere oltre, senza possibilità di sognare un futuro che non c’è più. In questo suo primo lungometraggio sonoro del 1936 sono già presenti tutti gli stilemi cinematografici ed i temi ricorrenti della filmografia dell’Ozu della maturità, che sboccerà nel secondo dopoguerra con i capolavori di Tarda primavera e Viaggio a Tokio.
Le speranze di una madre ormai anziana di vedere il proprio unico figlio felicemente realizzato nel lavoro, dopo anni di sacrifici fatti come operaia in una seteria di un piccolo villaggiodella provincia di Shinshu, per mantenerlo agli studi fino all’università, vengono disilluse dal suo viaggio a Tokio, dove scopre che il giovane, nonostante la laurea, ha trovato soltanto un modesto impiego, mal retribuito, come insegnante presso una scuola serale e vive con la moglie ed il figlio da poco nato in un angusta casetta alla periferia della metropoli, che ricorda suggestivamente le borgate pasoliniane di Mamma Roma, film di un altro grande poeta, vissuto come Ozu per tutta vita con la madre, ed ispirato come questo dalla venerazione del regista per la figura materna.
La qualità di questo film, nonostante sia stato prelevato da Youtube, è discreta. Non ho trovato versioni migliori.
La timida seconda moglie di Maxim de Winter, facoltoso gentiluomo della Cornovaglia, è ossessionata nella dimora di Manderley dall’immagine della prima moglie defunta. Dal romanzo (1938) di Daphne du Maurier. Dopo Intrigo internazionale il più lungo film di Hitchcock – qui al suo esordio a Hollywood – che gli valse 8 nomination e 2 premi Oscar (miglior film, fotografia di G. Barnes). Soprattutto nella 1ª parte una romantica, angosciosa, disperata mystery story. Nel racconto gotico è una vetta.
Ayub Khan-Din sceneggia una sua commedia di successo sul multietnismo nelle periferie britanniche e O’Donnell dirige un film eccezionale, ironico, trascinante: un vero fenomeno. Om Puri è il padre anglicizzato ma non fino al punto da non pretendere dai suoi figli un matrimonio tradizionale. Basset è la moglie british che si scontra con lui. I figli sono più inglesi di un nativo. Il melting pot produce un vero capolavoro cinematografico.
Un film di Nagisa Oshima. Con Yusuke Kawazu, Miyuki Kuwano, Yoshiko Kuga, Fumio Watanabe, Kei Sato. Titolo originale Se ishun zankoku monogatari. Drammatico, durata 97 min. – Giappone1960. MYMONETRO Racconto crudele della giovinezza valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un film del genere “yakuza”, cioè il “nero” giapponese, e un quadro sulla violenza insita nei giovani che cercano di arrivare ai loro scopi con troppa facilità. Mako, una giovane, viene molestata da un uomo di mezza età. Un ragazzo la salva. Uno dei primi film di Oshima, realistico e spietato.
Nel primo dopoguerra a Kamagasaki, quartiere povero di Osaka, Hanako, figlia di uno straccivendolo, entra nel mercato nero di sangue umano per trasfusioni e scatena una feroce guerra tra bande rivali dalla quale esce libera di continuare i suoi traffici. 3° lungometraggio (colori, cinemascope) del 28enne Oshima, il 2° dei 3 girati nel 1960 per la Shoshiku-Ofuna. Nella crudele descrizione di un mondo dei bassifondi dove vige la legge della giungla si avvertono gli echi di Brecht ( L’opera da tre soldi ) e di Jean Genet, mentre a livello stilistico si mischiano i moduli del noir e di un violento espressionismo. Il sole (rosso-arancione) che tramonta domina lo schermo. In DVD (raro) con sottotitoli italiani e inglesi.
Bella moglie di diplomatico britannico a Parigi passa due ore al giorno in un appartamento subaffittato. Il marito geloso le fa visita e la trova in compagnia di uno scimpanzé. Sarebbe più semplice se vivessero insieme. In bilico tra commedia borghese e favola enigmatica sui temi della tolleranza e del conformismo, scritto da Jean-Claude Carriére, già collaboratore di Buñuel, è un film casto, freddo, di controllata tenerezza che rispetta i personaggi.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo