Filumena Marturano è una giovanissima prostituta e Don Domenico Soriano è un signorotto benestante. I due si incontrano durante un bombardamento in una casa di tolleranza e l’uomo, intenerito e affascinato, fa di lei la sua amante per anni. Ma Filumena non si accontenta e, un giorno, finge la morte per farsi sposare in extremis. Scoperta la beffa, stupisce nuovamente il consorte informandolo di essere la madre di tre ragazzi, uno dei quali è figlio suo, ma si guarda bene dal rivelargli quale. Mentre cerca di scoprirlo, Domenico si accorge di essere, in verità, padre felice di tutti e tre i figli.
1943. Cesira ha una figlia adolescente, Rosetta, ed è vedova. In seguito ai bombardamenti decide di lasciare la città per tornare al paese d’origine in Ciociaria. Qui conosce Michele, un giovane intellettuale che si innamora di lei. Dopo l’8 settembre gli alleati risalgono la penisola e sia lei che la figlia vengono violentate da un plotone di soldati marocchini. Tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia il film ebbe iniziali vicissitudini produttive che De Sica riassume così: “Ponti e Girosi in un primo momento pensavano di affidare il personaggio della madre ad Anna Magnani e quello della figlia a Sophia Loren. Ma non poterono concludere questo accordo per gli impegni assunti dalla Magnani. Fui io a prospettare a Ponti la possibilità di affidare la parte della madre a Sophia Loren e di ricorrere a una bambina di dodici anni per quello della figlia. In Ciociaria le ragazze si sviluppano in fretta e si sposano a quindici anni; bastava ‘appioppare’ due anni in più a Sophia e il conto sarebbe tornato.” Una versione più ‘maligna’ vuole che la Magnani avesse rifiutato la Loren come figlia anche per problemi di reciproche altezze. Sta di fatto che questo elemento contingente (quale che ne fosse la causa) costituisce la forza del film. Perché, come ricorda Enrico Lucherini, “Tra De Sica e la Loren c’era una lunghezza d’onda comune, c’era una identica capacità di calore, di entusiasmo e di immediatezza”. Tutto ciò emerge con forza in un film che valse all’attrice un meritato Oscar perché il suo essere popolare e di origini popolane viene qui a misurarsi con un personaggio complesso, capace di grandi slanci, dotato di una irrefrenabile vitalità ma anche portatore di una rabbia interiore nei confronti di una situazione bellica che la turba più di quanto non accada ad altri con cui deve condividere la situazione di sfollata.
Il film è suddiviso in tre episodi ognuno intitolato con il nome della protagonista. “Adelina” è una venditrice di sigarette di contrabbando nelle vie del quartiere Forcella a Napoli che, non avendo pagato una multa, rischia il carcere. Se però rimarrà incinta l’ordine di carcerazione verrà sospeso. Il marito Carmine viene quindi sottoposto a un tour de force sessuale senza fine. “Anna” è una ricca donna milanese sposata che ha un amante, Renzo, di condizioni economiche decisamente inferiori. Anna sembra trovare in lui ciò che la ricchezza non le offre. Ma è solo apparenza. “Mara” si prostituisce a domicilio in un appartamento le cui finestre danno su piazza Navona. Ha un cliente bolognese, particolarmente affezionato ma lo deve trascurare perché il giovane seminarista che abita dai nonni nell’appartamento accanto si è innamorato di lei.
Al fine di evitare la partenza per il fronte africano, Antonio, un soldato settentrionale, sposa la napoletana Giovanna, cui si sente subito legato da grande passione. Quando si fingerà pazzo per non doversi più separare da lei, scoperto, dovrà partire per la campagna di Russia. Dopo la ritirata del 1943, i soldati italiani ritornano a casa, ma non Antonio, che figura nelle liste dei dispersi. Decisa a non mollare e convinta com’è che sia ancora vivo, la risoluta Giovanna partirà per cercarlo fino in Russia e in Ucraina.
A Parigi per la settimana del prêt-à-porter (abito di serie su modello di sartoria) convergono giornalisti, stilisti e curiosi di mezzo mondo. Dalla A di Aiello alla W di Whitaker, sono 31 personaggi (meno dei 49 di Il matrimonio , più dei 24 di Nashville e dei 22 di America oggi ), senza contare le 14 celebrità, da Belafonte a Trussardi, nella parte di sé stessi. Stroncature acide o irritate dai critici di lingua inglese, accoglienze severe o deluse dalla maggior parte degli europei. Divertente, elegante, leggero. Spumeggiante perché il suo oggetto è la spuma, superficiale perché il suo tema è la superficialità, l’epopea dell’effimero. Sotto il vestito niente, e filmare il niente non è facile. L’atteggiamento di Altman verso il mondo della moda è ambivalente: ammaliato perché lo vede come uno spettacolo di circo (puro teatro), ma non può far a meno, dall’alto dei suoi 70 anni, di descriverlo con l’ironia lucida di un profanatore. Il suo vero bersaglio non è la moda, ma il microcosmo che vi gravita intorno. Tutti i personaggi dei media son messi sulla graticola. Con gli altri (compresi i due giornalisti chiusi in camera senza vestiti) si diverte, ma ride con loro, non di loro. Fa eccezione quello di A. Aimée cui è affidata la serietà, un po’ anche la morale della storia con la sfilata a sorpresa delle modelle nude nel sottofinale. L’epilogo all’aperto potrebbe essere di Ferreri: un sorriso o un ghigno?
Nel 1928 in una cittadina del Kansas nasce l’amore tra due liceali, contrastato dai rispettivi genitori e dalla loro repressione sessuale. In preda a una forte depressione.
Ammazzano uno scienziato italiano che, dopo essere stato per anni dipendente di un’industria farmaceutica, voleva denunciare al mondo le malefatte del datore di lavoro (pasticche cancerogene). La vedova chiede vendetta e l’Fbi si dà da fare per snidare l’industria dal suo rifugio nei Caraibi: arriva all’uopo lo “specialista” Fallon. Costui crede di essere riuscito nella missione, invece cattura solo una controfigura del magnate. Ritenterà e andrà a segno.
Un film di Mario Mattoli. Con Ettore Manni, Alberto Sordi, Sophia Loren, Nando Bruno. Commedia, durata 78 min. – Italia 1954. MYMONETRO Due notti con Cleopatra valutazione media:2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. La bellissima Cleopatra fa assassinare tutti i militari che, a turno, passano la notte con lei. Nessuno vuole essere il prescelto tranne un giovane sprovveduto, appena arrivato all’accampamento e ignaro della macabra consuetudine. La notte in cui tocca a lui, però, la regina egiziana raggiunge in incognito Marc’Antonio e mette al suo posto una sosia. I due giovani si innamorano.
Professore di archeologia deve decifrare un geroglifico, ma la bella Yasmin lo avverte che è in pericolo. Tratto dal romanzo The Chiper di Gordon Cotler, è un gustoso film d’avventure, originale nell’impostazione, nelle trovate e specialmente nel caleidoscopico grafismo.
Poveri in canna, Felice e Pasquale vengono assunti, con le rispettive famiglie, da un marchesino che vuole sposare la figlia di un cuoco arricchito. Devono fingersi i suoi parenti aristocratici in casa del suocero. Teatro filmato, ma dichiarato, esplicito. Con le leggere modifiche di Ruggero Maccari e dello stesso regista, la commedia di Scarpetta funziona ancora benissimo. Totò è grande, la Faldini bella.
Maddalena Ciarrapico, operaia napoletana in un salumificio, sbarca a New York per raggiungere il fidanzato Michele, proprietario di un ristorante. Non le permettono di uscire dall’aeroporto perché ha con sé una mortadella: dopo l’epidemia di febbre suina del 1967, una legge USA proibisce l’importazione di insaccati. I doganieri risolvono il caso mangiandola. Delusa da Michele, in Italia di sinistra, qui preoccupato solo di guadagnare, si affida a un giornalista locale, autore di uno scoop sul suo caso. La delude anche lui. Rimane sola nella metropoli. Scritta da S. Cecchi D’Amico, Monicelli, R. Lardner Jr., è una commedia con pretese di critica sociologica sugli USA visti dagli italiani. Un po’ stracca, ricca di stereotipi, in funzione di una star calante.
Bella mugnaia dai rustici vezzi accende le voglie di un governatore potente e babbeo. Ne derivano insidie all’onore coniugale e alla domestica pace. Remake di Il cappello a tre punte , realizzato nel ’34 dallo stesso Camerini con i De Filippo. Minestra riscaldata. E più gaglioffa. La Loren e la Sanson, per una volta insieme, gareggiano in scollature.
Mentre cercano di far esplodere una bomba al palazzo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di Ginevra, tre terroristi svedesi contraggono un terribile e sconosciuto virus: due di loro muoiono, mentre uno fugge, nascondendosi su un treno diretto a Stoccolma. Appurata la presenza dell’attentatore infetto sul convoglio, i servizi segreti americani ordinano di deviare la corsa verso una zona della Polonia dove si erge un ponte che in pochi sanno essere pericolante, il Cassandra Crossing. Tra i mille passeggeri, il dottor Jonathan Chamberlain e un altro gruppo di risoluti uomini cercheranno di salvare il maggior numero di persone. Ispirato a un romanzo del giornalista investigativo Robert Katz, che firma la sceneggiatura con il regista e Tom Mankiewicz,Cassandra Crossing imbocca il binario del classico catastrofico anni Settanta con tanto di cast stellare e confezione di innegabile pregio targata Carlo Ponti (quasi tutto italiano il reparto tecnico, a partire dall’ottima fotografia di Ennio Guarnieri). Come nel suo per niente occulto modello di riferimento, Airport di George Seaton, diverse linee narrative si sviluppano singolarmente per poi confluire nel terzo atto in cui ogni personaggio fa del suo meglio per salvare il salvabile. Quasi obbligati i movimenti di ogni personaggio-tipo: primo credit nei titoli, Sophia Loren è una scrittrice, ex moglie del medico Richard Harris, col quale ingaggia subito dialoghi da commedia brillante; O. J. Simpson, sotto copertura, cerca di mettere le mani su Martin Sheen, di professione spacciatore e amante dell’attempata e bellissima Ava Gardner; Lee Strasberg, forse il migliore della compagnia, interpreta un ex-deportato che non vuole tornare verso l’orrore del suo passato; Burt Lancaster è il colonnello che dà l’infame ordine, per niente condiviso dalla più umana dottoressa di Ingrid Thulin; fanno colore il capotreno di Lionel Stander, l’anziana di Alida Valli e l’hippy di Ray Lovelock. Più a suo agio nella gestione delle sequenze d’azione che nella direzione dell’eterogeneo parco attori, George Pan Cosmatos puntella la pellicola di decorose trovate e momenti di reale tensione, nonostante alcuni gravi scivoloni nel patetico: insopportabile, in questo senso, l’abbraccio finale tra la ricostituita coppia Harris-Loren e la bambina rimasta sola. Dietro all’aspetto catastrofico-fantapolitico, il regista e lo sceneggiatore – già insieme per il precedente Rappresaglia – vorrebbero abbozzare un discorso sui meccanismi corrotti del potere e della sicurezza globale, ma Cassandra Crossing assomiglia più ad un divertente fumetto che ad un affidabile saggio. Musica di Jerry Goldsmith.
Principe spagnolo s’innamora di bella popolana del Sud, specialista in fatture. Per sposarla, impone alle principesse pretendenti una gara: vincerà colei che laverà più piatti nel minor tempo senza romperne. Ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile (1575-1632), è una storia d’amore in forma di fiaba con intenzioni di contro-fiaba che si disperdono nella dominante cifra coreografica, nel raffinato gioco degli specchi tra stracci e broccati. Da ricordare almeno l’episodio di san Giuseppe da Copertino.
Dal carrettino di un cantastorie si staccano i fogli degli spartiti, che vengono trasportati dal vento. Sullo schermo si susseguono una serie di episodi che prendono spunto da varie vicende ambientate in secoli diversi.
La nota commedia di Eduardo resa famosa in teatro da Titina De Filippo e in cinema da Sophia Loren. Filumena è da molti anni la governante e l’amante di un benestante napoletano. Dall’unione è nato un figlio di cui però l’uomo ignora l’identità e la donna rifiuta di rivelargliela, costringendolo a sposarla e a riconoscere anche altri due figli avuti da diversi amanti.
Nota vicenda della libertina e parvenue, amica di Napoleone, interpretata da una straripante e incontenibile Sofia Loren. Ricostruzione accurate e regia di un grande maestro del film storico completano il quadro di questa imponente produzione, alla fine, però, eccessivamente prolissa e vacua.
Guerra tra i romani e i popoli d’Oriente che si ribellano al dominio sempre più iniquo dell’imperatore Commodo, succeduto al padre Marco Aurelio (un ottimo Alec Guinness). Persino il re d’Armenia che ha sposato Lucilla, sorella di Commodo, insorge, ma viene sconfitto e ucciso. Lucilla si trasferisce a Roma con Livio, comandante romano di cui si è innamorata. A Livio, vincitore in duello di Commodo, i soldati offrono l’impero, ma egli rifiuta, disgustato dalla dilagante corruzione.
Un tassinaro si innamora di una bella ragazza, figlia di un ladro e ladruncola pure lei. Lui cerca di redimerla, ma lei gli fa fare una serie di brutte figure. Alla fine, dopo una burrascosa spiegazione in guardina, l’amore trionfa.
In ospedale, una suora bellissima è alle prese con un malato giovane, turbolento, comunista. Ci scappa il romanzetto? La sorella è tentata, ma interviene il destino a far del malato un defunto allo scoccare del novantesimo minuto. Alberto Lattuada dai tempi di Anna (con la Mangano) ha sempre avuto un certo gusto nel coprire le bellissime in abiti monacali.