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Regia di Francis Ford Coppola. Un film con Matt Dillon, Mickey Rourke, Diane Lane, Dennis Hopper, Diana Scarwid. Titolo originale: Rumble Fish. Genere: Drammatico, Noir. Paese: USA. Anno: 1983. Durata: 94 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2/10.

Rusty James è un giovane teppista di Tulsa, irrequieto e ribelle, che cerca disperatamente di emulare il suo mitico fratello maggiore, noto solo come “Quello della Moto”, un ex capo banda leggendario che ha abbandonato la violenza e la città per vagabondare in California. Rusty vive con il padre alcolizzato e, mentre tenta di mantenere vivo l’antico codice d’onore delle bande di strada ormai superate, si scontra con una realtà in rapido cambiamento che non ha più spazio per gli eroi romantici del passato. L’inaspettato ritorno del fratello, silenzioso e disilluso, spinge Rusty James a confrontarsi con l’ideale irraggiungibile che idolatra e a cercare un senso di identità in un mondo che vede come alieno e senza colore.

Questo film, girato subito dopo I ragazzi della 56ª Strada e basato anch’esso su un romanzo di S.E. Hinton, si distingue come un’opera altamente stilizzata e sperimentale di Francis Ford Coppola. Il regista si allontana dal realismo per abbracciare un approccio visivo quasi espressionista, girando prevalentemente in un bianco e nero ad alto contrasto, con l’unica eccezione dei pesci lottatori, i rumble fish del titolo originale, che appaiono in colore, fungendo da potente metafora sulla condizione dei giovani intrappolati in un ambiente ostile che li costringe a combattere tra loro. Il film è un saggio sull’alienazione giovanile e sulla distruzione dei miti. L’interpretazione malinconica e sottovoce di Mickey Rourke, in particolare, è memorabile e si contrappone alla foga giovanile di Matt Dillon. Un’opera fondamentale, pur non pienamente compresa all’epoca, per la sua audacia stilistica, il sound jazz-sperimentale di Stewart Copeland e l’importanza storica come ritratto amaro della gioventù anni ’80 che guarda con nostalgia al romanticismo autodistruttivo degli anni ’50.

Regia di Genndy Tartakovsky. Un film con Adam Sandler, Selena Gomez, Andy Samberg, Kevin James, Steve Buscemi. Titolo originale: Hotel Transylvania. Genere: Animazione, Commedia, Famiglia, Fantasy. Paese: USA. Anno: 2012. Durata: 91 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.1/10.

Il Conte Dracula, dopo la morte della moglie, ha costruito e gestisce l’Hotel Transylvania, un lussuoso resort a cinque stelle isolato dal mondo degli umani e creato per permettere ai mostri di rilassarsi in pace e sicurezza. Per celebrare il 118° compleanno della sua amata figlia Mavis, il vampiro organizza una sontuosa festa a cui partecipano i suoi amici più celebri, tra cui Frankenstein, la Mummia, l’Uomo Invisibile e il Lupo Mannaro. I piani di Dracula, padre iperprotettivo che teme il contatto della figlia con gli umani, vengono però sconvolti dall’arrivo accidentale di Jonathan, un giovane e ingenuo escursionista umano, che si intrufola nell’albergo ignaro della sua vera natura e si innamora, ricambiato, di Mavis.

La pellicola si presenta come una gustosa e frenetica commedia d’animazione che capovolge i ruoli classici del genere horror: qui sono i mostri ad aver paura degli umani, in una rilettura del tema della diversità e dell’accettazione. Il regista Genndy Tartakovsky, noto per i suoi lavori televisivi come Samurai Jack, infonde nel film un ritmo incalzante e una comicità basata su gag visive e movimenti esagerati dei personaggi, con un tratto stilistico fumettistico che omaggia e demistifica i mostri classici. Nonostante la trama sia semplice e talvolta prevedibile, affrontando temi tipici dell’animazione per famiglie come l’emancipazione adolescenziale e il superamento dei pregiudizi paterni, la regia brillante e l’energia del cast vocale contribuiscono a renderlo un prodotto divertente e visivamente stimolante. È un divertissement leggero, ma ben orchestrato, che ha saputo conquistare il pubblico e avviare un franchise di successo grazie alla sua capacità di mescolare umorismo demenziale e sentimenti genuini, in particolare nel ritratto del goffo e amorevole Dracula.

Regia di Claudia Llosa. Un film con Magaly Solier, Carlos J. de la Torre, Yiliana Chong, Juan Ubaldo Huamán. Genere: Drammatico. Paese: Perù, Spagna. Anno: 2006. Durata: 100 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.1.

Il film è ambientato a Manayaycuna, un isolato villaggio incastonato tra le Ande peruviane, noto per una singolare e antica tradizione religiosa. Ogni anno, a partire dalle ore 15 del Venerdì Santo fino alla Domenica di Pasqua, il villaggio celebra il “Tempo Santo”, un periodo in cui la morte di Cristo sancisce l’assenza di Dio, consentendo agli abitanti di compiere qualsiasi azione senza peccato o rimorso. Madeinusa, una quattordicenne dalla bellezza indigena, vive sotto il tetto del padre e sindaco, Don Cayo, che la vuole per il ruolo di Maria Maddalena nella processione. L’arrivo inatteso di Salvador, un giovane geologo di Lima bloccato in paese, rompe il precario equilibrio e innesca una serie di eventi che mettono in discussione la vita e la fede della ragazza.

L’opera prima di Claudia Llosa si impone come un dramma crudo e profondamente radicato nella realtà culturale e geografica del Perù andino. I temi centrali sono la superstizione, l’innocenza violata, l’isolamento e la persistenza di usanze ancestrali in contrasto con la modernità. La regia di Llosa è stilisticamente matura, combinando una fotografia di impatto che esalta la bellezza aspra del paesaggio con una narrazione che bilancia la dimensione quasi onirica e allegorica del rito con la brutalità della realtà. L’interpretazione di Magaly Solier è di notevole intensità e vulnerabilità, portando in scena con credibilità il dramma interiore della protagonista. Il film ha avuto un notevole impatto nel circuito festivaliero, vincendo il Premio FIPRESCI al Festival di Rotterdam, e si distingue per la sua capacità di criticare le dinamiche di potere e abuso celate dietro il velo della tradizione, ponendo l’accento sulla condizione femminile e la complessità dei rapporti tra le diverse Perù, quello rurale e quello urbano. È un’opera audace e necessaria per comprendere le latitudini più nascoste e meno rappresentate del cinema sudamericano.

Regia di Brillante Mendoza. Un film con Cherry Pie Picache, Kier Segundo, Eugene Domingo, Jiro Manio, Dan Alvaro. Titolo originale: John John. Genere: Drammatico. Paese: Filippine. Anno: 2007. Durata: 98 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.1.

Thelma è una donna che vive in un povero quartiere di Manila e lavora, insieme al marito Dado e ai figli adolescenti, come genitore adottivo temporaneo. La sua famiglia accoglie bambini abbandonati per brevi periodi in attesa di essere dati in adozione definitiva, spesso a coppie straniere. La storia si concentra sull’ultimo giorno che Thelma e la sua famiglia trascorrono con il piccolo John-John, un bambino di tre anni, prima della sua consegna ai genitori adottivi americani. Thelma cerca di rendere quelle ore il più normali e preziose possibile, tra la routine quotidiana, il bagno e la recita scolastica, mentre l’inevitabile separazione si avvicina, portando con sé un misto di tristezza e rassegnazione.

Questo film di Brillante Mendoza affronta con grande sensibilità il tema universale dell’amore materno non biologico e il complesso sistema delle adozioni internazionali. La regia, pur mantenendo il suo stile documentaristico e la telecamera a mano che segue i personaggi da vicino, si fa qui meno aggressiva e più intima rispetto ad altre opere del regista, focalizzandosi sull’emotività e sulle dinamiche familiari. Il film eccelle nel mostrare il paradosso di una povertà che si trasforma in una forma di ricchezza emotiva, dove l’atto di prendersi cura di un bambino destinato ad andare via è allo stesso tempo un lavoro e una profonda espressione d’affetto. L’interpretazione di Cherry Pie Picache, che incarna con autenticità la fatica e la dignità di Thelma, è particolarmente lodabile. L’opera è un ritratto commovente e onesto delle disparità sociali e della forza dei legami umani, lasciando l’amaro in bocca per una separazione che si svolge nel nome di una speranza di vita migliore per il bambino.

Regia di Bruno Dumont. Un film con David Douche, Marjorie Cottreel, Kader Chaatouf, Geneviève Cottreel, Sébastien Delbaere. Titolo originale: La vie de Jésus. Genere: Drammatico, Thriller. Paese: Francia. Anno: 1997. Durata: 96 min. Consigliato a: Da 18 anni. Valutazione IMDb: 7.0.

In un piccolo e anonimo paese delle Fiandre francesi, Freddy, un giovane disoccupato che soffre di epilessia, trascorre le sue giornate in moto con una banda di amici svogliati e violenti. La sua relazione con la fidanzata Marie, cassiera in un supermercato, è l’unico punto di riferimento in un’esistenza altrimenti priva di prospettive. La tranquilla e claustrofobica routine di Freddy e del suo gruppo viene scossa dall’arrivo di Kader, un ragazzo di origini magrebine. L’attrazione che si sviluppa tra Marie e Kader scatena una gelosia mista a un latente pregiudizio razziale nel cuore di Freddy.

L’opera prima di Bruno Dumont è un ritratto glaciale e spietato della gioventù provinciale priva di stimoli, trattando temi complessi come l’alienazione, il vuoto esistenziale e il razzismo sotterraneo. La regia è caratterizzata da uno stile rigoroso e formalista, che si avvale di inquadrature fisse e di una lentezza meditativa per enfatizzare la desolazione del paesaggio e l’interiorità turbolenta dei personaggi. L’uso quasi esclusivo di attori non professionisti conferisce alle interpretazioni una ruvida autenticità e un naturalismo che amplificano l’atmosfera opprimente del dramma. Il film è acclamato per la sua forza d’impatto e per la capacità di trasformare la banalità della vita quotidiana in una tragedia universale, segnando l’affermazione di Dumont come autore di rottura nel panorama cinematografico di fine millennio. Un esordio potente e pessimista che ha lasciato un segno profondo.

Regia di Bruno Dumont. Un film con Julie Sokolowski, Karl Sarafidis, Yassine Salim, David Dewaele, Brigitte Mayeux-Claeys. Titolo originale: Hadewijch. Genere: Drammatico. Paese: Francia. Anno: 2009. Durata: 105 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.1.

Céline, una giovane novizia dal fervore mistico quasi estremo, vive in un convento a Parigi, dove la sua ossessiva devozione la porta a digiuni e penitenze così severe da spingere la Madre Superiora a allontanarla, ritenendo la sua fede troppo radicale per la comunità. Tornata alla sua vita borghese con il nome di Hadewijch, la ragazza, figlia di un diplomatico, cerca di conciliare la sua intensa spiritualità con il mondo esterno. Incontra Yassine, un giovane arabo-musulmano che lavora come manovale, e suo fratello, aspirante terrorista. Attraverso questi incontri, Hadewijch si ritrova coinvolta in un percorso complesso che la pone di fronte ai limiti e alle manifestazioni estreme sia della fede religiosa che di quella ideologica.

Bruno Dumont prosegue la sua esplorazione del misticismo, della fede e della violenza in questo film che prende il nome da una poetessa fiamminga medievale. L’analisi concisa si concentra sulla figura di Hadewijch come archetipo della purezza fanatica e della ricerca di un Assoluto in un mondo secolarizzato. La regia è caratterizzata dalla tipica estetica dumontiana: piani lunghi e statici, inquadrature che prediligono il paesaggio come specchio dell’interiorità e l’uso di attori non professionisti che conferiscono un’autenticità viscerale alle performance, in particolare quella della protagonista Julie Sokolowski. Il film mette in discussione i confini tra l’amore divino e la passione terrena, l’estremismo religioso e quello politico, suggerendo che le forme più intense di devozione possano facilmente sfociare nell’alienazione e nella violenza. L’opera è stilisticamente rigorosa e tematicamente complessa, un esempio significativo di cinema d’autore che invita a una riflessione profonda sulla spiritualità nel XXI secolo.

Regia di Guillermo Del Toro. Un film con Bradley Cooper, Cate Blanchett, Rooney Mara, Toni Collette, Willem Dafoe. Titolo originale: Nightmare Alley. Genere: Thriller, Noir, Drammatico. Paese: USA, Canada, Messico. Anno: 2021. Durata: 150 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.0.

Stanton Carlisle, un uomo enigmatico e con un passato oscuro alle spalle, trova lavoro in un carnival itinerante negli anni ’30. Qui impara l’arte del mentalismo e della lettura a freddo. Abbandonando il circo con l’ingenua Molly, decide di portare il suo talento nelle lussuose sale della high society, spacciandosi per un medium con l’abilità di comunicare con i defunti, un trucco chiamato “spook show”. La sua brama di successo e denaro lo spinge a osare l’impossibile, stringendo un’alleanza pericolosa con la cinica e affascinante psichiatra Lilith Ritter, con l’obiettivo di truffare i ricchi e potenti, ma finendo per scivolare in una spirale di inganni e tradimenti che minaccia di distruggerlo.

Questa pellicola è il secondo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo noir di William Lindsay Gresham, e Del Toro sceglie di concentrarsi sulla discesa morale del protagonista. I temi principali esplorati sono l’ambizione sfrenata, la manipolazione, il confine labile tra spettacolo e truffa, e il concetto di destino ineluttabile. Il film è strutturato in due atti visivamente distinti: il mondo sporco e onesto del carnival e quello patinato ma ugualmente corrotto della città. La regia è elegante e meticolosa, facendo ampio uso di inquadrature simmetriche e una fotografia sontuosa che evoca il classico noir degli anni ’40, con l’assenza quasi totale di elementi fantastici, a differenza delle precedenti opere del regista. Il cast è eccezionale, con Bradley Cooper che offre una performance di grande spessore nel ruolo dell’antieroe che si autodistrugge, supportato da una glaciale Cate Blanchett. La Fiera delle Illusioni è un thriller psicologico impeccabile per ambientazione e tono, lodato per la sua fedeltà al genere noir e la sua estetica viziosa e sofisticata, anche se la sua lunghezza e l’estrema oscurità tematica lo rendono un’opera intensa e a tratti pessimista.

Regia di Stephen Norrington. Un film con Wesley Snipes, Stephen Dorff, Kris Kristofferson, N’Bushe Wright, Donal Logue. Titolo originale: Blade. Genere: Azione, Horror, Fantascienza. Paese: USA. Anno: 1998. Durata: 120 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.1.

Il film introduce Blade, un daywalker, ovvero un essere mezzo umano e mezzo vampiro, dotato della forza e delle capacità degli Immortali ma immune ai loro principali punti deboli, come la luce del sole. Sconvolto dalla morte di sua madre, morsa da un vampiro durante il parto, Blade dedica la sua vita a cacciare e distruggere i vampiri con l’aiuto del suo fidato mentore e armaiolo, Whistler. La sua missione lo porta a scontrarsi con Deacon Frost, un ambizioso vampiro che, disprezzando i “purosangue” più tradizionalisti, cospira per scatenare un antico rito che lo renderà una divinità del sangue, ponendo fine all’esistenza dell’umanità e portando la sua specie a dominare apertamente il mondo.

Blade è un’opera di rottura, che ha ridefinito il cinecomic e il genere horror a fine anni ’90, aprendo la strada al successo cinematografico dei personaggi Marvel. I temi trattati sono la lotta per l’identità, il concetto di “mezzosangue” come eroe e la modernizzazione della mitologia del vampiro, trasformandolo da creatura gotica a parassita della società contemporanea. La regia di Stephen Norrington è frenetica e stilizzata, utilizzando in modo efficace l’estetica goth-industriale e la techno music per creare un’atmosfera urbana cupa e violenta. Wesley Snipes incarna il protagonista con una presenza scenica magnetica e glaciale, sfruttando le sue abilità nelle arti marziali per coreografare combattimenti veloci e brutali. Il film è lodato per aver saputo bilanciare l’azione hard-boiled con gli elementi horror e per aver introdotto effetti visivi innovativi per l’epoca (come le prime applicazioni di una sorta di bullet time). Nonostante la trama sia piuttosto lineare, il world-building e l’impatto culturale di Blade sono stati immensi, consacrandolo come un cult e un fondamentale precursore dei film di supereroi maturi e d’azione.

Regia di Carlo Verdone. Un film con Carlo Verdone, Christian De Sica, Nancy Brilli, Eleonora Giorgi, Massimo Ghini. Genere: Commedia, Drammatico, Corale. Paese: Italia. Anno: 1988. Durata: 120 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.2.

A quindici anni dal diploma, un gruppo di ex compagni di liceo si ritrova per una rimpatriata organizzata da Federica, una donna mantenuta. L’incontro avviene nella lussuosa villa del suo facoltoso amante, trasformandosi da momento di nostalgia in una vera e propria resa dei conti esistenziale. Nel corso della lunga serata emergono impietosamente le nevrosi, i fallimenti sentimentali, i problemi economici e le delusioni di una generazione che, invecchiando, ha visto svanire i sogni giovanili. Tra i vari personaggi, spiccano il professore frustrato e sfortunato Piero “Er Patata”, l’arricchito volgare Walter Finocchiaro, il politico corrotto Mauro Valenzani e l’eterno immaturo Tony Brando, ognuno alle prese con la dura realtà della mezza età.

Ispirato a un’esperienza personale di Verdone e in parte a Il Grande Freddo di Kasdan, questo film è considerato uno dei capolavori corali del regista romano e uno dei ritratti più cinici e dolorosi della borghesia italiana degli anni Ottanta. Il tema centrale è l’amara disillusione, il contrasto tra le promesse della gioventù e la cruda realtà della vita adulta, che per molti si è rivelata un fallimento morale ed economico. La regia è matura e complessa, capace di gestire con maestria un cast numeroso e variegato, dando a quasi venti personaggi lo spazio per svelare le proprie debolezze. L’opera è un’innovazione stilistica per Verdone, che abbandona quasi del tutto la comicità basata sulle singole gag per affrontare una commedia nera e di osservazione, dove la risata è spesso soffocata dall’amarezza. L’impatto culturale è stato notevole: il film ha creato personaggi e situazioni entrate nell’immaginario collettivo, offrendo una fotografia lucida e impietosa sulla fine delle illusioni di una generazione.

Risultato immagini per Un sacco bello

Regia di Carlo Verdone. Un film con Carlo Verdone, Mario Brega, Renato Scarpa, Veronica Miriel, Isabella De Bernardi. Titolo originale: Un sacco bello. Genere: Commedia, Comico, Episodi. Paese: Italia. Anno: 1980. Durata: 99 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.4.

Il film, esordio alla regia di Carlo Verdone, si svolge interamente a Roma durante il Ferragosto. Tre episodi paralleli, e occasionalmente intersecati, ruotano attorno a diverse tipologie umane, tutte interpretate da Verdone stesso. C’è Enzo, un coatto romanista che cerca disperatamente un compagno di viaggio per una vacanza in Polonia, il timido e impacciato Leo, un mammone trasteverino che si ritrova a ospitare una misteriosa turista spagnola, e Ruggero, un “figlio dei fiori” hippie e pasticcione che si scontra con il pragmatismo del padre e di un bizzarro parentado. Tre ritratti di solitudine e sogni infranti nella desolazione della città estiva.

Questo film rappresenta un debutto folgorante e una pietra miliare della commedia all’italiana, grazie alla capacità di Verdone di trasformare le maschere comiche, già note in TV, in personaggi cinematografici dotati di una profonda e malinconica umanità. Il tema centrale è l’alienazione e l’incapacità di comunicare, evidenziate dal vuoto di Ferragosto e dai fallimenti personali dei protagonisti. La regia, pur essendo l’opera prima di Verdone, dimostra un solido controllo del ritmo e una notevole attenzione al dettaglio ambientale, catturando perfettamente l’atmosfera sospesa e quasi onirica di una Roma agostana. La colonna sonora di Ennio Morricone, con il suo celebre fischio, contribuisce in modo cruciale a definire il tono agrodolce del racconto. L’impatto culturale del film è enorme; ha lanciato Verdone come autore completo e ha consolidato una galleria di “macchiette” che sono entrate nell’immaginario collettivo, ritraendo in modo iconico le nevrosi e le contraddizioni della società italiana all’inizio degli anni Ottanta.

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