Nel paesino di Follainville un postino assiste ai preparativi della festa annuale, vi partecipa con zelo e vuole, imitando un documentario che ha visto, consegnare la posta “all’americana”. La formula è: 2/3 di comicità d’osservazione, 1/3 di farsa. Sonoro, ma non parlato (con dialoghi quasi inaudibili perché registrati in presa diretta; sostituiti in modo spurio nell’edizione italiana). 1° film lungo di Tati dopo il cortometraggio a colori L’école des facteurs (1947) sullo stesso tema. Proiettato a Parigi per la prima volta l’11 maggio 1949, rivelò la nascita del secondo grande comico francese dopo Max Linder. Una delizia per spettatori di tutte le età. Girato a colori (col sistema sperimentale Thomsoncolor), ma distribuito in un bianco e nero virato, è stato riproposto nel 1994 nella versione originale.
Un film di Ermanno Olmi. Con Marco Esposito, Simona Brandalive, Stefania Busarello, Graziella Menichelli, Luciano Rossi.Commedia, Ratings: Kids+16, durata 105′ min. – Italia 1987. MYMONETRO Lunga vita alla signora! valutazione media: 3,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Sei ragazzi allievi di una scuola alberghiera fanno il praticantato in un lussuoso hotel di montagna per un banchetto in onore di una vecchia signora. Gli invitati sono personalità della finanza, della politica, della cultura. Nella scala gerarchica della società di cui il pranzo è un emblema la signora è in cima e i suoi camerieri in fondo. All’alba del giorno dopo Licenzio, uno dei sei, lascia l’hotel come si fugge da una prigione. È il 1° film espressionista di Olmi che vi tenta la corda per lui inedita del grottesco, una favola fredda, intransigente, dura nel giudizio, scostante sebbene strappi più di una risata e sia pervasa da una pudica tenerezza per i giovani servitori. Continua il discorso sul Potere di Camminacammina. Nonostante la Musique de table (1733) di G.Ph. Telemann, è poco settecentesco, molto irrigidito, troppo metaforico con estrosi spunti felliniani. È il film del rientro sul set, dopo una lunga malattia, di Olmi che, come il solito, ne cura la fotografia (Eastmancolor), con l’aiuto di Maurizio Zaccaro, e il montaggio. Collaboratore al suono suo figlio Fabio e segretaria di edizione sua figlia Elisabetta. Prodotto da RAI, Cinemaundici e Istituto Luce.
In una casa di una cittadina costiera del Cile dove vivono, assistiti da una suora, 4 anziani preti, arriva un nuovo padre. Un uomo dalla strada lo accusa di avere abusato di lui bambino. Il prete si spara. Un giovane gesuita, incaricato di indagare sul suicidio, scoperchia i crimini e i vizi di tutti. Al suo 5° film, magistralmente scritto con Guillermo Calderón e Daniel Villalobos, Larraín ritorna alla potente vivisezione del “legno storto dell’umanità”. La citazione d’apertura della Genesi (“E Dio fece la luce e vide che era cosa buona e separò la luce dalle tenebre”) è antifrastica: come la fotografia polverosa e umbratile di Sergio Armstrong, la realtà per Larraín è tenebrosa. Anche la nuova chiesa di papa Francesco vuole ripulirsi, ma non riesce a infrangere il tabù della pubblica verità. Come Il caso Spotlight , Oscar 2016, affronta il tema scottante dei preti cattolici degenerati, ma quello lo descrive dall’esterno, questo affonda il coltello nella piaga mostrandoci i volti e aprendo le psiche di carnefici e vittime. Orso d’argento a Berlino 2015 e nomination come miglior film al Golden Globe 2016.
Come due giovani cronisti del quotidiano Washington Post _ Carl Bernstein e Bob Woodward (autori del libro sul quale si basa la sceneggiatura di William Goldman) _ scoprirono il collegamento tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando nel 1974 le dimissioni del presidente Nixon. Piatto come un tavolo di biliardo (ma esiste anche un fascino dell’orizzontalità) nello scrupolo quasi maniacale della ricostruzione dei fatti senza invenzioni romanzesche né indugi psicologici, racconta un’altra volta la vecchia storia di Davide che sconfigge Golia ed è un eccellente rapporto sul giornalismo americano e, forse, l’omaggio più esplicito che il cinema abbia mai reso al “quarto potere”. Incassò negli USA 30 milioni di dollari. 4 Oscar: sceneggiatura, scenografia, suono e Robards attore non protagonista.
La scuola diretta da Karen e da Martha va incontro al fallimento dopo le calunnie lanciate contro le due insegnanti da una bambina maliziosa. Dopo un po’ di tempo la verità viene a galla, ma per Martha è troppo tardi. 2ª versione del dramma (1934) di Lillian Hellman, più fedele e franca della 1ª (La calunnia, 1935, con Merle Oberon e Miriam Hopkins), ma inerte. La bravura delle 2 protagoniste gira un po’ a vuoto
Metalmeccanico dell’hinterland milanese, cinquantenne e scapolo, sposa una ragazza del Sud, ma arriva “alla canna del gas” per il dolore quando scopre che l’ha tradito con un poliziotto meridionale e la scaccia. Stanca di essere contesa dai due come una proprietà, la donna comincia, sola col figlioletto, una nuova vita indipendente. Scritta con Age & Scarpelli (con i dialoghi in dialetto rivisti da Enzo Jannacci e Beppe Viola), è una commedia ironica e malinconica che inclina verso il melodramma. I temi che tocca (emancipazione femminile; impatto tra Nord e Sud; omologazione nei comportamenti proletari) ne fanno un tipico film nazional-popolare nel senso migliore. È un eccellente U. Tognazzi, rigenerato dai film di Ferreri, che gli dà l’acqua della vita. Musiche di Enzo Jannacci e grande successo di pubblico.
Tre donne di generazioni diverse – nonna, madre, figlia – eliminano per insofferenza o per noia i propri mariti. Tutti decessi dolci, acquatici. Con la complicità di un pretore, loro amico e corteggiatore, fanno passare quelle morti per accidentali. Nel raccontare moralmente questa storia amorale il regista più dandy e perverso del cinema britannico ha fatto una commedia nera che si trasforma in dolente tragicommedia, impregnata di umorismo, ironia ed efferata dolcezza, giocando con i numeri, gli insetti, il sesso, i cadaveri, la solidarietà femminile. Nella colonna sonora un Mozart sublime.
Valerio è un aspirante attore ventinovenne che non riesce a sbarcare il lunario e nei momenti di sconforto fissa il suo trenino elettrico. L’amico d’infanzia Christian è un pusher (ma lui precisa: “rivenditore al dettaglio”) che fa affari con la mala cinese. Valerio vive con Serena, che persegue un dottorato grazie ad una borsa di studio e comincia a sentir ticchettare l’orologio biologico. Christian invece vive con la nonna che ha visioni della Madonna e aggredisce chiunque entri in casa. Infine Giovanna, sorella di Valerio, fa la fisioterapista e mantiene il fratello, invitandolo ripetutamente a crescere e a prendersi le sue responsabilità nei confronti di Serena. Cosa che, a modo suo, fa anche il pragmatico Christian, convinto che le donne non vadano capite ma protette. Nel panorama della commedia italiana contemporanea, in cui hanno la meglio (produttivamente e distributivamente parlando) le messinscene paratelevisive popolate da giovani gaudenti e senza un problema al mondo, l’esordiente trentenne Ciro De Caro racconta il mondo dei suoi coetanei in modo totalmente realistico, a cominciare dai dettagli di ambiente e dalla descrizione della realtà (non) lavorativa dei giovani.
Da un romanzo di Michael Crichton: un satellite artificiale precipita in un villaggio del Messico, provocando un’epidemia che uccide quasi tutti tranne un vecchio e un bambino. Buon film di fantascienza con effetti speciali, rumori speciali, parole speciali e l’intento di fare una piccola lezione di morale. Film solenne, attento ai dettagli, efficace nel sostenere la suspense.
La NASA sta per lanciare verso Marte navicella spaziale. Per un guasto la spedizione viene simulata, ma non tutti credono all’inganno. Tipico frutto della paranoia americana dopo lo scandalo Watergate, acquista nella 2ª parte la sua vera fisionomia di apologo contro il potere, pur mantenendo le cadenze di un thriller d’inseguimento. Nel 1975 era uscito il best seller Non siamo mai andati sulla Luna di Bill Kaysing.
I subita sono tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni. I subita presenti in rete non erano sincronizzati.
Investigatore privato assunto per rintracciare ragazza scappata di casa si reca in Florida ed è coinvolto in misterioso intrigo che fa capo a preziosa statuetta. Penn prende una detective story e, intrecciando due fili narrativi (l’investigazione e la vita privata dell’investigatore), la trasforma in un film nero di obliqua suggestione e di fascino malato. Hackman eccellente. Scritto da Alan Sharp.
Graziano, un brigadiere di scorta a un magistrato che indaga su trame poco chiare, riesce a mettere il giudice che deve proteggere sulla strada giusta e a fargli capire molte cose sull’omicidio di cui si sta occupando. Il giudice viene per questo ucciso, e a Graziano viene affidata la protezione di un altro alto magistrato, connivente col terrorismo.
Scritto con Joey Curtis e Cami Delavigne, è una tristissima storia d’amore sotto il segno delle differenze che in una giovane coppia si acuiscono col tempo, e delle svolte che non arrivano. Si cita un blues di successo: “You Always Hurt the One Who Loves” (“Fai sempre del male a chi ama”). Gosling lo suona con l’ukulele, la Williams improvvisa un tip-tap per la strada. Pochi anni dopo i due si rinfacciano, rimpiangono, si accusano. Nel frattempo la fotografia luminosa dell’amore nascente diventa livida e cupa. Nulla da eccepire sulla bravura dei 2 protagonisti; la Williams si guadagnò anche una candidatura all’Oscar. La regia asseconda con puntiglio dolente i simboli, le allusioni, le trovate plastiche. Musiche di Grizzly Bear. Uscito in USA nel 2010, è rimasto congelato per 3 anni e distribuito da noi col contagocce (dalla meritoria Movies Inspired). Troppo sentimentale per il pubblico italiano?
Presentato (e vincente) nella sezione “panorama” del Festival del Cinema di Berlino, Mi piace lavorare nasce come progetto povero ed essenziale. Una sola attrice di rilievo, molti interpreti non professionisti, il circolo di parenti e amici della regista che si adoperano per la riuscita di una pellicola, che di fatto, è una delle migliori opere sociali degli ultimi anni e che squarcia il velo su uno dei più grandi problemi che affligge il moderno mercato del lavoro:il mobbing. I tempi de La classe operaia va in paradiso sono finiti, oggi è tempo di fusioni, budget, tuning: lo scenario scelto dalla Comencini è assolutamente asettico: un’azienda anonima, di cui non si conosce l’attività, il fatturato, lo scopo. Quella nella quale chiunque potrebbe lavorare e che, a causa di una fusione, vede il management radicalmente cambiato. Spesso le vittime non conoscono nemmeno il nome dei propri carnefici, il concetto di padrone viene sostituito da una sorta di grande fratello che controlla, dispone, organizza, muove uomini e donne a suo piacimento sullo scacchiere operativo alla ricerca del miglior profitto. È la giusta legge del libero mercato e vivaddio che sia così, ma, a volte, forse troppe volte, il meccanismo s’inceppa e quando questo succede le conseguenze sono gravissime e coinvolgono non solo il diretto interessato ma familiari, amici, parenti, amici. Nelle vene dei Comencini scorre il cinema:ciò si palesa non solo apprezzando il piglio asciutto e sicuro che la madre (forse pensando ai lavori del nonno) utilizza nel corso della storia, ma anche nella straordinaria performance della figlia che recita accanto alla Braschi con una naturalezza e convinzione che lasciano stupefatti. La discesa agli inferi della bravissima signora Benigni è raccontata senza enfasi, né scene madri: giorno dopo giorno, alla inconsapevole contabile vengono tolte dignità e speranze, tramite un continuo, spossante, cambiamento di mansioni e piccole meschinità che minano l’autostima di quella che appare agli spettatori una vera e propria vittima sacrificale, carne da macello da immolare al Dio della competitività (mirabile in questo senso il discorso iniziale del nuovo amministratore delegato della società, così ricco di parole e povero di contenuti). Perfetta la performance della Braschi, sempre sul punto di cedere, ma pronta, alla fine, ad alzare la testa e reagire, dopo l’ultimo, inaccettabile sopruso. Lo squallore degli uffici, delle mense, del trantran quotidiano di chi non “viaggia in prima” è testimoniato con un’aderenza al reale molto inquietante. Bella la prova degli attori non professionisti ed geniale, nella sua grottesca messa in scena, la sequenza del colloquio della protagonista con l’amministratore delegato dell’azienda. Anche il film ha le sue pecche: il finale, nel suo voler essere consolatorio e pregno di speranza, è troppo ottimistico e ben poco aderente ad una realtà che spesso è ben diversa da quella indicata nel film, ma, nonostante questo, e alcune pecche stilistiche nella rappresentazione della storia (invero un po’ troppo manichea nel dividere buoni e cattivi), Mi piace lavorare vale più di qualsiasi manifestazione, corteo o indagine giornalistico/televisiva. C’è solo da sperare che un pubblico abituato a cercare nel mezzo cinematografico evasione e divertimento, non sia impaurito dalla cruda rappresentazione della realtà di tutti i giorni…
Alcuni reduci di guerra americani si ritrovano in un bar. Un sergente, spinto da odio antisemita, uccide un ebreo in una rissa e fa cadere i sospetti su un compagno.
Da un romanzo di Thorne Smith: nel 1690 a Salem, prima di essere arsi sul rogo, uno stregone e sua figlia Jennifer gettano una maledizione sulla famiglia del giudice Wooley che li ha condannati; due secoli e mezzo dopo si reincarnano per mandare a monte il matrimonio di Wallace Wooley, candidato alla carica di governatore. La strega figlia, però, s’innamora dell’uomo politico. 2° dei 4 film hollywoodiani del francese Clair e, forse, il più delizioso nella sua dosata miscela di fantasia, umorismo e romanticismo fornita da Smith, autore anche di Topper. Efficaci effetti speciali. Fece della Lake un’effimera star e lanciò la moda dei capelli lunghi su un occhio.
René Clair si accosta al mito di Faust facendosi riscrivere la storia del commediografo Armand Salacrou. La principale novità è nello scambio delle sembianze fra il vecchio scienziato che fa il patto con il diavolo e il diavolo stesso (Michel Simon impersona Faust prima della cura e, dopo, un furfantesco e gibboso Mefistofele, mentre Gérard Philipe è all’inizio un aitante e spiritoso Maligno e poi lo stupefatto Faust giovinetto). Vediamo Faust, dopo il patto col diavolo, ridiventare giovane, conquistare Margherita, la potenza e la ricchezza. Ma la potenza genera morte e corruzione, Faust vuole abbandonare tutto e Mefistofele lo accontenta. Ma il paese va in rovina e la folla (che incolpa Faust) lo identifica con Mefistofele e così lincia lo sfortunato demonio. Film ambizioso, anche se un tantino retorico specie nel messaggio finale.
Un cantante di strada arrestato per sbaglio fa a pugni con il suo migliore amico che gli ha rubato la donna; poi, vedendo ch’ella lo ama, gliela lascia. Sequenze celebri: la carrellata iniziale, la gazzarra notturna. È il 1° film sonoro di R. Clair, ancora intriso dell’aria del cinema muto, con pochi dialoghi spesso sostituiti da canzoni o cori. Deliziosa storia d’amore e amicizia ambientata in una Parigi da cartolina, tutta ricostruita. Primo esempio di cinema populista poetico: l’umorismo crudele degli anni ’20 diventa tenero. In un primo tempo ebbe più successo a Berlino che a Parigi. Nemo propheta in patria . Tra gli aiutoregisti figurano G. Lacombe e M. Carné.
È, nella struttura di un puzzle, un ballo di ladri, un girotondo di destini in cui volteggiano i sentimenti e gli oggetti, rubati e rivenduti, che buone o cattive azioni fanno passare di mano in mano. E una folla di personaggi: mercanti d’armi, bionde ricche d’energia e di amanti, scassinatori romantici, battone dal cuore d’argento, anarchici della terza età, un barbone filosofo, un genio della meccanica, camerieri, manicure, bambini, poliziotte. E un ritratto di una dama dell’Ottocento che diventa a rasoiate sempre più piccolo. 1° film occidentale di un regista georgiano, anarchico sorridente che ha il genio di un’insopportabile leggerezza.
Nella provincia piemontese Scanio Libertetti ripara macchine del caffè da bar. Lavora da casa per conto di un padrone che lo sfrutta e la sua endemica lentezza non migliora le cose, l’unico parente che gli sta vicino sembra essere un zio panettiere con aiutante mezzo scemo. Attraverso i suoi amici, molto più integrati di lui nella società, entra in contatto con una ragazza inglese con cui inizia un rapporto sentimentale. Tuttavia sembra che ciò che sia dritto per Scanio risulti storto agli altri.
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