Giornalista investigativa di successo, Catherine Ravenscroft vive una vita privilegiata a Londra con il marito Robert, anche se il rapporto con il figlio venticinquenne Nicholas non è dei migliori. Un giorno la donna riceve la copia di un romanzo, di autore sconosciuto, che ha per protagonista una donna orribile. Catherine ne è subito sconvolta perché riconosce in quelle vicende le tracce del suo passato, e si sente ora presa di mira da qualcuno che sembra conoscere i suoi segreti.
La storia infrangibile della Signora delle camelie (1848) di Alexandre Dumas figlio: cortigiana si innamora di un bel giovane ricco che la ama, rinuncia a lui con la morte nel cuore e muore di tisi tra le sue braccia. È, forse, la più grande interpretazione della Garbo, in perfetto equilibrio tra cuore e cervello. Fredda, ma, sotto, ribelle. Incandescente, ma controllata. Superba capacità di trarre il massimo dal minimo, ma non va trascurata l’eleganza geniale del regista. La Garbo ebbe una nomination all’Oscar che fu vinto da Louise Rainer per Il paradiso delle fanciulle .
Siamo a Berlino agli inizi degli anni Trenta. Una giovane americana, Sally, mezza cantante e mezza prostituta, incontra un giovane inglese, Bryan. Tra i due si stabilisce una relazione tempestosa e ambigua, in cui si inserisce un ricco barone che conquista le grazie di lui e di lei. A un certo punto Sally rimane incinta e Bryan, anche se non è certo di essere il padre della creatura, accetta di sposare la ragazza. Sulla Germania sta per abbattersi la bufera hitleriana. Tratto da una commedia musicale di John van Druten (a sua volta ispirata da un romanzo di Isherwood), Cabaret è stato un grande successo, sia per la splendida interpretazione di Liza Minnelli, sia per la bravura del regista. Onorato da otto Oscar, il film è ormai un classico che riesce a unire le piacevolezze del musical alla splendida rievocazione di un momento tragico della storia d’Europa.
Principe spagnolo s’innamora di bella popolana del Sud, specialista in fatture. Per sposarla, impone alle principesse pretendenti una gara: vincerà colei che laverà più piatti nel minor tempo senza romperne. Ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile (1575-1632), è una storia d’amore in forma di fiaba con intenzioni di contro-fiaba che si disperdono nella dominante cifra coreografica, nel raffinato gioco degli specchi tra stracci e broccati. Da ricordare almeno l’episodio di san Giuseppe da Copertino.
Una bella vedova e un vedovo mettono al corrente i figli del loro matrimonio – al quale costoro sono contrari – solo quando è stato celebrato. La vita in famiglia è burrascosa e finisce per separare i due sposi. Ci vorrà un incidente per metterli d’accordo.
Trovata versione con doppio audio ita/eng. gsubita sta per subita tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Lei è nubile, lui celibe, ma entrambi fanno vita di coppia. Nella realtà sono professionalmente rivali e nei loro scontri ciascuno dei due cava il peggio dell’altro, ma su Internet corrispondono romanticamente tra loro sotto pseudonimo. Scritto dalla regista con la sorella Delia con cui aveva già collaborato in Michael (1996), è il 2° rifacimento del delizioso Scrivimi fermo posta (1940) di E. Lubitsch. A dirne la qualità basterebbe dire che è imperniato sull’inaugurazione di un grande bookstore che provoca il fallimento di una piccola libreria per bambini che, in omaggio a Lubitsch, si chiama The Shop Around the Corner. Ma il tema centrale (l’opposizione tra vita e sogno) è svolto con precisione di particolari e sapiente leggerezza nel rimando, nell’attesa, nella ripetizione. E c’è una New York (West Side) autunnale come soltanto Woody Allen sapeva filmarla. Non importa che date le premesse, il traguardo sia scontato: come gli autori, lo spettatore non ha fretta di arrivarci. Conta il percorso, non la meta. Come in Insonnia d’amore, M. Ryan smagrita è di una spanna sopra all’improsciuttito T. Hanks.
A causa di uno sfratto un’anziana coppia è costretta a separarsi. Si fanno ospitare dalle due figlie che ne approfittano per adibirli a mansioni domestiche. La separazione riaccende la vecchia fiamma. In sagace equilibrio tra umorismo e sentimento, realismo e favola, il film – ispirato al romanzo di P. Festa Campanile – ha facilità bozzettistiche e invenzioni romanzesche un po’ stiracchiate, ma sono i peccati veniali di un’agrodolce commedia asciutta e puntigliosa. Ultimo film per il cinema della Titanus fondata nel 1904.
Lo split-screen come la memoria che gocciola inesorabile su di noi; un fermo-immagine imprevisto e fulminante più di un momento d’azione; un montaggio ad orologeria che fa quasi sembrare la vestizione/preparazione in una sala da bowling una scena di sesso. Sono solo alcune istantanee di Buffalo 66, tuttavia sarebbe impresa ardua descrivere a parole un tale film, che sta dentro – ma soprattutto sta come – il suo protagonista, che si sente come lui. Il linguaggio di questa anomala, anormale tragicommedia si traduce in un gioco di scardinamento prospettico delle inquadrature, e di uno straniamento quasi (e comunque volutamente) sgradevole. Trattasi infatti di un’opera prima estremamente libera, destabilizzante, composta da riprese sfacciatamente schizzate e paranoiche, e da uno stile sbilenco ma già maturo nel manipolare e imbrattare di verità la materia in questione: dopotutto, soltanto uno come Vincent Gallo avrebbe potuto incentrare i primi 15 minuti di un film su un personaggio che cerca disperatamente un bagno. Billy Brown è appena uscito di prigione, è incasinato e nervoso anche se proprio non ci pare un ex galeotto; per proseguire una farsa messa in atto verso i suoi genitori prende ‘in ostaggio’ una ragazzina, senza però sapere davvero come comportarsi né con lei né con loro – una madre tragicamente ridicola e ridicolmente tragica, che guarda in loop la registrazione della partita di football che è stata la rovina di Billy 5 anni prima, e un padre un tempo cantante (ora ripiega sul playback) meschino e grottesco -, né tantomeno con una tormentata vendetta in cui il suo unico complice è un ragazzo ritardato che lui chiama tonto ma anche miglior amico.
Seguito dell’ Armata Brancaleone. Ma non un pigro seguito. Le avventure, i personaggi del secondo capitolo sono tanti e quasi tutti divertenti. Partito per le crociate con la turba del frate Zenone, Brancaleone scampa per un pelo al massacro dei compagni, salva una principessa francese e un’avvenente streghetta che stava per essere bruciata viva. Raggiunge in Terrasanta l’esercito di Boemondo, ma ne viene scacciato quando si scoprono i suoi oscuri natali. Duella con la Morte e questa volta è la streghetta a salvarlo ma a prezzo della vita. Manca al secondo Brancaleone la novità dei caratteri e del latino maccheronico. In compenso le trovate sono molte: dal personaggio dello stilista (ricalcato sul Simone del deserto di Buñuel) al giudizio di Dio fra papa e antipapa, dalla corte di Boemondo (vista come l’opera dei Pupi) ai personaggi di Toffolo e Villaggio.
Nel gennaio 1993 a Falla City (Nebraska) arriva Brandon Teena, giovanottello carino che fa strage di cuori tra le coetanee e conquista quello di Lana, che si dà con passione e soddisfazione. Quando si scopre che Brandon è una ragazza, due maschietti balordi del gruppo perdono la testa e la violenza esplode. Da un fatto di cronaca su cui la regista esordiente e Andy Bienen hanno lavorato per 5 anni, traendone un film che è tutto, ma non un docudrama tanto, a livello plastico-figurativo, la sua scrittura è carica – qua e là con facili sforzature – di elementi simbolici o allusivi. Gli dà l’acqua della vita l’androgina H. Swank (premio Oscar) che sbalza il ritratto di un essere in preda a una profonda crisi d’identità sessuale, aggravata da un istinto forsennato per cacciarsi nei guai. La Sevigny, come Lana, ebbe una nomination come attrice non protagonista. Prodotto dalla Killer Film di Christine Vachon & Co. con la TCFox. Troppo trasgressivo e delicato per un vasto pubblico.
Nel 1977 Jack Horner (Reynolds), affermato regista di pornofilm, scopre il 17enne Eddie Adams (Wahlberg) che, con il nome di Dirk Diggler, riscuote subito un grande successo. Due anni dopo un tragico fatto di sangue all’interno della famiglia allargata che fa capo a Horner segna l’inizio della decadenza dell’industria dell’hard core (con conseguente passaggio al video) e dello stesso Diggler, accelerata dalla cocaina. 2° film del 27enne P.T. Anderson, figlio di Ernie Anderson, doppiatore e intrattenitore notturno: il pornocinema fa da chiave di lettura degli anni ’70 libertari e trasgressivi, ma è anche l’altra faccia dell’industria hollywoodiana, un mondo a parte che il giovane sceneggiatore-regista racconta con affettuosa e lucida partecipazione: “sa parlare di sesso e di droga con leggerezza ironica, rifuggendo sia il paternalismo che il trionfalismo” (E. Martini). Evidenti influenze di Altman (per la coralità del racconto), Scorsese, Demme e Tarantino.
Vengono narrate le vicende di 4 famiglie che vivono rispettivamente negli Usa, in Urss, in Germania e in Francia nel corso di 45 anni di storia che precedono, attraversano e seguono la Seconda Guerra Mondiale. La musica (che comprende, oltre a pezzi jazz e canzoni popolari, il Bolero di Ravel e brani di Chopin, Liszt, Brahms e Beethoven) fa da trait d’union tra le differenti storie. “La memoria compie al nostro posto delle scelte che intervengono sulla nostra personalità e fanno di ognuno di noi il riflesso di ciò che il nostro cervello ha immagazzinato”. Così Claude Lelouch che alla memoria affida la riuscita di questo film dalle proporzioni monumentali già nell’impianto cronologico. Si va infatti dal 1936 al 1981 e il materiale di base è fornito dai suoi ricordi personali e da ciò che gli è stato raccontato.
C’era una volta Jasmine, reginetta mondana di Park Avenue, sposata al carismatico Hal, uomo d’affari che la viziava e lusingava. Ma Hal era anche un truffatore e un fedifrago e la fine del loro matrimonio ha portato Jasmine alla bancarotta e all’esaurimento nervoso. Sola e in balìa degli antidepressivi, la donna si trasferisce a San Francisco per vivere con la sorella Ginger, che spinge ad essere più ambiziosa in amore, scatenando la reazione del fidanzato di lei, Chili. Rassicurati dall’esordio all’insegna dell’abituale jazz sull’abituale font dei titoli di testa, rigorosamente nell’abituale bianco su nero, ci prepariamo all’abituale “ronde” di incontri ed incroci e dissertazioni più o meno umoristiche sulla tragicommedia della vita, ma pian piano veniamo zittiti e sorpresi da un personaggio femminile gigantesco, che è insieme tutte le attrici di Woody Allen (Mia Farrow e Dianne Wiest in particolare, ma anche la Gena Rowlands di Un’altra donna) e una protagonista senza precedenti, per maturità di scrittura e resa interpretativa. Jasmine arriva da New York a San Francisco in prima classe, senza smettere un secondo di raccontare i dettagli della sua storia alla vicina di posto, che si rivela essere una perfetta sconosciuta.
In un futuro tetro, la sovrappopolazione obbliga il governo a misure estreme. Il piano di Nicolette Cayman prevede di obbligare le famiglie ad avere un solo figlio: fratelli e sorelle saranno ibernati in attesa di tempi migliori. Ma Terrence riesce ad aggirare i controlli del Child Allocation Bureau, facendo assumere alle sue sette nipotine gemelle la medesima identità. Ognuna si chiamerà come un giorno della settimana e in quello stesso giorno potrà uscire di casa. Per il mondo le sette sorelle corrispondono a un’unica persona: Karen Settman.
In ospedale, una suora bellissima è alle prese con un malato giovane, turbolento, comunista. Ci scappa il romanzetto? La sorella è tentata, ma interviene il destino a far del malato un defunto allo scoccare del novantesimo minuto. Alberto Lattuada dai tempi di Anna (con la Mangano) ha sempre avuto un certo gusto nel coprire le bellissime in abiti monacali.
Carthage, Texas. L’assistente alle pompe funebri Bernie Tiede è uno dei cittadini più apprezzati dalla comunità: sensibile nei confronti della solitudine delle numerose vedove del paese, impegnato nelle attività artistiche locali, conquista persino Marjorie Nugent, la donna più ricca e bisbetica di Carthage. I due si sposano ma la convivenza è un inferno e un giorno Bernie spara a Marjorie, uccidendola sul colpo. Per comprendere Bernie Tiede e provare ad approcciare un film singolare come quello a lui dedicato da Richard Linklater, occorre provare a capire la contraddittoria natura del regista e del suo Texas. Una terra dove il comico e il tragico si mescolano per assumere aspetti inconsueti. Linklater lo rende evidente sin dal prologo: un gospel solenne cantato con il sorriso sulle labbra, una spiegazione su come truccare i morti per evitare, appunto, che il tragico diventi comico.
Emigrato bruttone, 50enne e malandato cerca moglie per lettera fingendosi bello. Gli risponde una prostituta che si finge illibata e cerca un espediente per cambiare vita. Zampa imprime alla sua storia un timbro narrativo compatto, limpido e il racconto, se si esclude qualche ridondanza nella 2ª parte, scorre rapido e interessante. Bene Sordi e Cardinale.
Poliziotto di S. Francisco è morbosamente attratto da una scrittrice sospettata di un omicidio commesso durante un amplesso. Thriller erotico in forma di giallo ( whodunit ) di imbecillità costernante e di svergognata disonestà nell’accanita ricerca dello choc. Verhoeven e il suo strapagato sceneggiatore Joe Eszterhas (3 milioni di dollari!) mimetizzano i loro intenti mercantili, e la misoginia, con pomposi alibi tematici. Celeberrima la scena dell’interrogatorio in cui la fatale Stone, senza slip, accavalla le gambe. È tutto dire. M. Douglas, spesso con le brache abbassate, sembra la copia carbone del padre Kirk nelle sue peggiori interpretazioni.
Una giovane donna, sfruttata sessualmente per tutta la vita, decide di ribaltare la situazione e sfruttare gli uomini sfortunati in una grande banca cittadina
Si rimettono insieme i balordi romani per tentare, in trasferta a Milano, una rapina al furgone del Totocalcio. Fiacco ma non spregevole seguito di I soliti ignoti. Svanita ogni intenzione critica, tutto si riduce a uno scherzoso e lamentoso appello alla comprensione per i poveri diavoli costretti a rubare.