Ecco un film giapponese anomalo rispetto al nostro mercato. Invece del film drammatico, psicologico, d’arte, eccone uno del tutto ironico, grottesco. Nei lavori di Kurosawa come Dodeskaden l’ironia c’era ma era un accessorio. Juzo Itami ha dunque diretto questa storiellina gradevole con la protagonista Tampopo, proprietaria di un piccolo ristorante, che viene aiutata a risolvere i suoi problemi da una coppia di camionisti.
La fine della seconda guerra mondiale segna la disfatta dell’esercito giapponese. Nella giungla delle Filippine un soldato, sfuggito a mille pericoli e mille insidie, cerca disperatamente di sopravvivere. Intorno a lui militari e civili muoiono di fame e di stenti. Il soldato trova aiuto presso alcuni contadini.
Doveva essere un concerto dedicato all’amore dei vent’anni. Purtroppo alcuni suonatori, tra cui Renzo Rossellini, non sapevano leggere la musica. Si salvano in due, Truffaut e Wajda.
“Antoine e Colette” di Truffaut: Episodio Girato a Parigi, l’episodio diretto da François Truffaut costituisce il secondo capitolo del ciclo dedicato ad Antoine Doinel, interpretato da Jean-Pierre Léaud, dopo I 400 colpi. Antoine è innamorato di Colette, una ragazza parigina di buona famiglia, che però non è interessata al suo amore, nel corso dell’episodio, finalmente rivede il suo amico Renè che non vedeva da tanto tempo.
Nota bene: La versione 1080p è del solo episodio “Antoine e Colette” di Truffaut. I subita li ho tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Tre storie si incrociano sullo sfondo di una convulsa Città del Messico. Il giovane proletario Octavio, innamorato di Susana, la moglie adolescente del fratello criminale violento, si mette in testa di fuggire con lei e prova a racimolare i soldi necessari introducendo il suo cane in un giro di combattimenti clandestini. Daniel, il direttore altoborghese di una rivista, lascia moglie e figlie per andare a vivere con il suo nuovo amore, Valeria, una bellissima modella sulla cresta dell’onda. El Chivo ha lasciato la famiglia per diventare un terrorista di estrema sinistra. Dopo anni di carcere e alcol, vive da barbone con un branco di cani randagi e, di tanto in tanto, uccide su commissione. Quello del cineasta messicano Alejandro Iñárritu è un esordio duro, violento, disincantato, rabbioso, amaro, disperato. Aggettivi che per il regista costituiscono i tasselli del puzzle di una megalopoli, Città del Messico, che ha tante contraddizioni quanti sono i suoi oltre venti milioni di abitanti. Una pentola a pressione pronta e esplodere, sotto il peso delle diseguaglianze sociali, certo, ma non solo. Perché è soprattutto di infelicità e drammi personali che ci parla Iñárritu.
Estate 1945 in Giappone, prima della resa. Il cinquantenne Fuu Akagi (Emoto) fa il medico condotto in una cittadina costiera. La convinzione che esista una diffusa e contagiosa epidemia di epatite e le sue diagnosi che ne derivano gli hanno meritato il nomignolo di dottor Fegato ( kanzo Senseï ), ma l’hanno indotto a impiantare in casa, con mezzi di fortuna, un laboratorio per scoprirne il virus. È un soldato olandese (Gamblin), da lui capitato perché ferito mentre evadeva dal campo di prigionia che attira su Akagi e i suoi amici la brutale repressione dei militari. La vicenda si chiude il 6 agosto quando all’orizzonte si leva il fungo atomico di Hiroshima: un epilogo straordinario per bizzarra inventiva. Reduce dalla Palma d’oro di Cannes 1997 con L’anguilla (ex aequo con Kiarostami), realizzato dopo otto anni di inattività forzata, Imamura continua il suo coerente itinerario con un film tratto dal romanzo di Ango Sakaguchi, da lui adattato con Daisuke Tengan. È un banchetto dove sfila una quantità di piatti: la commedia, il dramma, il pathos, la violenza, l’erotismo ora sano ora perverso, l’omaggio a una figura d’altri tempi, la denuncia di un militarismo ottuso e feroce, l’amore, la depravazione, l’affetto per i marginali fuori dalla norma. Imamura li racconta con una scrittura registica di classica asciuttezza con un passo spiccio e la capacità di lasciare che la realtà e i personaggi siano liberi di rivelarsi senza un coinvolgimento troppo emotivo da parte dell’autore.
Nell’isola di Kurage si praticano ancora culti animisti e la sola risorsa è rappresentata dalla coltivazione della canna da zucchero, specie dopo che un masso ha misteriosamente ostruito la falda acquifera. Ad essere accusati più o meno apertamente di aver causato la maledizione e scatenato l’ira degli dei sono i Futori, famiglia dalle bizzarre abitudini, con sospetto di praticare l’incesto. L’arrivo dell’ingegner Kariya dovrebbe avviare i lavori di un impianto idrico che dia inizio alla modernizzazione dell’isola. Costato sforzi produttivi andati al di là delle previsioni e conclusisi in un insuccesso tale da allontanare Imamura dalla macchina da presa per diversi anni, Il profondo desiderio degli dei è una delle opere chiave per comprendere la poetica dell’ex-allievo di Ozu Yasujiro (con cui peraltro Imamura non ha mai fatto mistero di condividere ben poco in termini di stile e intenti). Uscito nel 1968 – e verrebbe da dire non poteva essere altrimenti – durante l’epoca aurea della compagnia di produzione Nikkatsu, si tratta di una visione di potenza difficilmente eguagliabile in cui confluiscono diverse tematiche care all’autore, ansioso di porre nell’immaginaria isola di Kurage il proscenio della sua riflessione sull’uomo e sui suoi istinti, repressi dagli artifici di una società accecata dalla logica del profitto.
Dal romanzo omonimo di Masuji Ibuse. La lenta agonia dei sopravvissuti all’atomica – che un aereo USA lanciò il 6 agosto 1945 su Hiroshima – è raccontata attraverso le vicende quotidiane di una coppia di anziani coniugi e della loro nipote. Quel senso della famiglia – tante volte raccontato nel cinema di Y. Ozu, Gosho, Naruse – è visto con un’angolazione nuova: il lavoro lento della morte dentro di noi, e la solidarietà amorosa che alimenta. All’evento – chiamato dai giapponesi gembaku , il lampo – si dedicano una ventina di minuti, in 2 sequenze separate, che non sono i momenti migliori. Pur negli accenti sommessi di una cronaca secca, S. Imamura rimane impari alla tragicità del fatto. La solennità del passo narrativo attenua il coinvolgimento emotivo, ma la tenerezza della giovane Yasuko (la cantante Y. Tanaka) e il suo rapporto col folle reduce Yoichi (preso, come alleggerimento tragicomico, da una novella dello stesso M. Ibuse) rimangono memorabili. Edizione originale con sottotitoli.
Giapponese di mezza età, mitomane, truffatore e cattolico che ha perso la fede, è ricercato dalla polizia per una serie di omicidi. Regista dallo sguardo freddo di entomologo, Imamura traccia qui lo straordinario ritratto di un criminale attraverso il quale scandaglia l’anima miserabile dell’uomo moderno.
Regia di James Ivory. Un film Da vedere 1987 con Denholm Elliott, Hugh Grant, James Wilby, Helena Bonham Carter, Rupert Graves. Cast completoTitolo originale: Maurice. Genere Drammatico – Gran Bretagna, 1987, durata 140 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 – MYmonetro 3,86 su 10 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. Dal romanzo (postumo) di E.M. Forster. Due compagni di università si innamorano tra di loro. Dopo la scuola, uno, timoroso della dura morale vittoriana, si sposa e cerca di dimenticare il suo passato omosessuale. Per l’altro è più difficile. Dopo essersi tormentato a lungo, finisce per accettare la propria identità sessuale. Ivory soddisfa la sua ambizione di portare in cinema il romanzo “proibito” di Forster, ma la tematica ormai suona un tantino scontata (dopo molti film sull’argomento).
La storia è ambientata in Giappone principalmente alla fine degli anni ’30 ( periodo Shōwa ). Le sorelle vivono nell’area del Kansai ( Kobe / Osaka ) e nel corso del romanzo viaggiano a Tokyo e in altre prefetture.
Nella primavera del 1938, le quattro sorelle, insieme a Teinosuke, il marito di Sachiko, vennero a Kyoto per ammirare la fioritura dei ciliegi. Sachiko è scontenta che la sorella maggiore Tsuruko, che è l’erede del clan Makioka e quindi rappresenta la casa principale del clan, abbia sconvolto la questione con il matrimonio di Yukiko perché è stato scoperto un difetto fatale nel clan dello sposo.
La vita lavorativa di Ogata presenta diversi problemi, sia con la giustizia, in quanto commerciante di riviste pornografiche, sia con la yakuza, interessata alla barberia della sua compagna Haru, già vedova del suo precedente marito. La vita familiare è ugualmente complicata, a causa della malattia di Haru e del pessimo rapporto che lui ha con i figli di lei Keiko e Koichi. Il giorno in cui Ogata scopre di provare attrazione per la figliastra quindicenne Keiko, la già precaria situazione familiare subisce un duro colpo
I subita sono stati tradotti da google, potrebbero esserci delle imprecisioni
An extremely lovely tribute to Ozu, on the 20th anniversary of his death. It uses a combination of footage from vintage films and new material (both interviews and Ozu-related locations) shot by Ozu’s long-time camera-man (who came out of retirement to work on this). Surprisingly (or perhaps not), it focuses less on Ozu’s accomplishments as a film-maker than on his impact on the lives of the people he worked with. One of the best films of this type I’ve ever seen.
Dopo otto anni di carcere da detenuto modello, l’uxoricida Takuro, introverso e diffidente barbiere in un villaggio di pescatori popolato da eccentrici emarginati che lo trattano benevolmente, comunica soltanto con un’anguilla in una vasca. Pur filtrato da uno sguardo da entomologo che è anche un antropologo pessimista, è un film che non manca né di una vena satiricamente grottesca né di “compassione verso la dignità dei puri di cuore” (Fabrizio Grosoli). Girato 8 anni dopo Pioggia nera . Palma d’oro a Cannes 1997 ex aequo con Il sapore della ciliegia di Kiarostami.
Cresciuta in una famiglia di miserabili contadini del Nord, dov’è sfruttata sul lavoro e sul piano sessuale (anche in un rapporto incestuoso dal padre), Tome trova la sua autonomia in città, passando da operaia a cameriera, poi prostituta e tenutaria di un giro di “squillo”, irriducibile nella sua lotta per sottrarsi alla sottomissione. Un’altra impietosa eppur appassionata incursione di S. Imamura nella storia del Giappone “basso”, povero, emarginato del Novecento con uno svolgimento cronologico frammentato in una dozzina di capitoli dal 1918 al 1962. Scritto con Keiji Hasebe e fotografato magnificamente in Scope (imposto dalla Nikkatsu) da Shinsaku Imeda, anche con uso di obiettivi anomali (210 mm e persino 700 mm), è un’importante tappa di un cinema corporale ed eterodosso che non fa concessioni al populismo. Il titolo originale significa “Giappone l’insetto”. Proclamato migliore film giapponese del 1963.
Tratto dal romanzo The Revenant: A Novel of Revenge (2002) di Michael Punke, basato su una storia vera, già trasposta in immagini nel 1971 ( Uomo bianco va’ col tuo Dio ). Nord Dakota, 1823. Nel corso di una spedizione di caccia in territorio pellerossa, il trapper Glass è ridotto in fin di vita da un grizzly. Fitzgerald, suo compagno semiscotennato è lasciato con lui, dietro lauto compenso, per attenderne la morte e seppellirlo. Gli uccide sotto gli occhi il figlio meticcio e scappa. Sceneggiato da Iñárritu (premiato con l’Oscar alla regia) insieme a Mark L. Smith, è un western crudamente iperrealista che intreccia il tema della sopravvivenza estrema con quello della brama di giustizia. La potenza e la magnificenza della forma – regia magistrale, esuberante fotografia di Emmanuel Lubezki (premiata con l’Oscar), musica solenne di Carsten Nicolai e Ryuichi Sakamoto – evidenziano per contrasto la scarsa originalità e il semplicismo del contenuto. Memorabili la travolgente sequenza iniziale dell’attacco pellerossa e quella della lotta con il grizzly, tanto più terrificante quanto più realistica. 3 Golden Globes (film, protagonista, regista) e 12 nomination agli Oscar. Meritato (e finalmente conferito) Oscar a DiCaprio miglior attore protagonista.
Individui distanti tra loro migliaia di chilometri incrociano per qualche ora i loro destini sulla Terra, creando un disperato affresco di un’umanità sola e dolente. Il detonatore che innesca una reazione a catena in questo puzzle composto da tessere fin troppo perfettamente combacianti è il colpo di fucile partito dalle mani di due ragazzini in un paese sperduto del Marocco. Un gesto immotivato, compiuto quasi accidentalmente da due innocenti che, come in un domino, agisce profondamente sulle vite di tre gruppi di persone in diverse zone del pianeta: una coppia di americani lì in vacanza per risolvere una crisi coniugale, una domestica messicana alle prese con i figli dei due nel giorno del matrimonio di suo figlio, e un’adolescente giapponese, sordomuta ed emotivamente emarginata, alla disperata ricerca d’amore in una Tokyo caotica e alienante.
Stevens (Hopkins) è stato per trent’anni il maggiordomo di Lord Darlington (Fox), gentiluomo formale e ingenuo e molto influente, che prima della guerra stava dalla parte dei nazisti. Quando Darlington muore la tenuta viene acquistata da certo Lewis (Reeve), americano pragmatico, …ma con un suo stile. Stevens si mette così in viaggio per riassumere l’antica governante Sara Kenton (Thompson), che se n’era andata vent’anni prima, per (infelicemente) sposarsi. La ritrova, ma le cose rimangono come sono. Nel frattempo Stevens è stato maggiordomo impeccabile, mancando persino di assistere il padre morente per non compromettere il perfetto servizio di una cena, e ignorando tutto il resto della vita, sentimenti compresi, incapace di giudicare gli errori enormi del suo padrone che, come tale, era sempre dalla parte del giusto. Il maggiordomo sembra vacillare solo quando la governante gli dichiara il suo amore, anche se subito torna formale e non riesce a liberarsi dei lacci. Tratto dal romanzo di Kazuo Ishiguro, il film è indubbiamente seducente. Ambiente, interpretazione, storia, dialogo, tutto perfetto. Del resto il nostro tempo sembra fatto apposta per farsi incantare dall’eleganza, dall’onore, dal senso del dovere, dalla limpidezza dei sentimenti, dalla forma quando aderisce alla sostanza. Efficaci anche le istantanee storiche che mostrano una società inglese snob, distaccata e ingenua e “politicamente dilettante”, capace di credere a un ministro tedesco che definisce Hitler un “uomo di pace”.
Tratto dall’omonimo (e bellissimo) romanzo di Soseki, il film mostra alcuni giorni nella vita di un professore e intellettuale del primo novecento giapponese che, con la sua cerchia di amici, disquisisce di tutto, cerca di risolvere problemi di poco conto della vita di tutti i giorni.
Si dice che la letteratura giapponese moderna sia nata con un gatto e il romanzo in effetti è un satira dettagliata, ma divertente e godibile. Il film invece no. Nel libro il gatto del titolo è il vero protagonista e l’io narrante, è un osservatore esterno della realtà che commenta e cerca di capire; nel film il gatto è un personaggio sullo sfondo, una animale senza coscienza di sé (in realtà ha coscienza di sé, ma poco e nel finale); l’io narrante non è presenta e l’osservatore esterno è dato dalla macchina da presa. Ovviamente non ci sono opinioni o incomprensioni (che nel libro erano generate dall’impossibilità del gatto di capire del tutto gli esseri umani) e da affresco ironico e molto chiacchierato sulla società dell’epoca (soprattutto sull’intellighenzia) diventa un filmetto simpatico, una vicenda ironica in costume con una serie di buffi personaggi. Regia un po rigida con inquadrature ariose, fisse, con un buon uso del montaggio per dare senso a ciò che viene detto a parole (ma non per sostituirlo), per esemplificarlo o sfotterlo; qualche ottima costruzione delle inquadrature. Purtroppo il ritmo, il tono e l’atteggiamento del film è quello che più mi stimola a fare altro mentre lo guardo quindi è possibile abbia perso alcune sfumature che l’avrebbero reso l’opera migliore di sempre… tuttavia se da un libro con molti dialoghi si fa un film con molto cicaleccio c’è uno sbaglio di fondo nell’adattamento.
I sottotitoli in italiano non si trovano, quelli in inglese sono altamente fuori sincro quindi inutilizzabili. Ho dovuto tradurre dei sottotitoli russi in italiano. E’ probabile che non siano perfetti.
Disavventure e riti sessuali tra le tribù degli Arrapahos e dei Frocehiennes. I nomi delle tribù sono espliciti, in questa commedia comico-demenziale del noto gruppo Gli Squallors, per far capire il contenuto. Spazzatura.
In un villaggio giapponese sperduto tra i monti, giunti a 70 anni i vecchi vengono condotti a morire sulla cima del monte Narayama per permettere ad un giovane di sfamarsi. Una vecchia, per lasciare il posto alla giovane nuora, si rompe i denti contro un pozzo per sembrare più vecchia e affrettare quindi la sua fine.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo