Divertenti episodi in cui vizi e virtù dell’Italia in rovina sono messi in berlina. Un lettore di telegiornale (Mastroianni) piuttosto candido e distratto fa da filo conduttore ai vari episodi, presentati come servizi speciali di un allora inesistente TG3
Giancarlo (Marconi) e Fernanda (Di Lazzaro) si sono conosciuti e innamorati nel ’68, subito è arrivata una gravidanza e la decisione di tenere questo bambino, poi l’amore è finito e il piccolo Eugenio (Bonelli, nipote del regista) è amato, ma ingombrante, sballottato tra i nonni, sempre più solo e legato al suo cane. La 1ª parte – in continua altalena tra tenerezza e furbizia, comico e drammatico – gira a pieno regime. Poi il film s’ingolfa. La responsabilità è degli attori, ma anche dell’impaccio di Comencini con questi figli del ’68 che sembrano a lui estranei e indecifrabili. Buone caratterizzazioni di M. Perlini e dei nonni, Gisella Sofio, Blier e Dina Sassoli.
Calabria 1960. Il tredicenne Mimì ha la passione della corsa, ma il padre ex contadino vorrebbe che studiasse. L’aiuta invece l’autista comunista Felice, allenandolo. Come nelle favole, i momenti di commozione sono quasi didascalici, ma non riscattano la fiacchezza narrativa, l’approssimazione sociologica, lo zuccheroso sentimentalismo. Persino Volonté è in ombra. Da una sceneggiatura di Demetrio Casile, premiata al premio Solinas. Riveduta, corretta e aggiustata da Ugo Pirro e Francesca Comencini.
Assicuratore indaga sulla morte di donna anziana, sospetta sua figlia e per sapere la verità ne diventa l’amante. Tratto dal romanzo La morale privata di Antonio Leonviola e sceneggiato, tra gli altri, da Suso Cecchi D’Amico e Raffaele La Capria, è un dramma dove la struttura dell’investigazione è soltanto un pretesto: si indaga sui sentimenti, non sui fatti; non sulle azioni, ma sulle motivazioni. “Come attrice Paola Pitagora mi piaceva molto e ho fatto il film per lei” (L. Comencini).
Dopo l’8 settembre 1943 un sottotenente ligio ai superiori (Sordi), in mancanza di ordini non riesce a tenere unito il suo reparto che, spinto dal desiderio di tornare a casa, se la svigna. Restano con lui il sergente Fornaciari (Balsam) che vuole raggiungere la sua casa poco distante e il soldato semplice Ceccarelli (Reggiani) che non se la sente di fuggire da solo dovendo raggiungere Napoli. La traversata da nord a sud dell’Italia, flagellata dalla guerra e in preda all’anarchia, lo fa maturare. Fusione ben temperata di comico, grottesco, drammatico e patetico: una storia corale con Sordi meno mattatore del solito. “Sotto le mentite spoglie di una commedia, il film è sostanzialmente un racconto a tesi … quello della scelta che ciascuno è chiamato a fare almeno una volta nella sua vita” (G. Gosetti). È forse il miglior film di L. Comencini, una delle rare mediazioni felici tra neorealismo e commedia italiana, grazie all’apporto di Age & Scarpelli (più Marcello Fondato) in sceneggiatura. Il ministro Giulio Andreotti rifiutò di mettere a disposizione 2 carri armati (furono costruiti in compensato). Prodotto da Dino De Laurentiis. Grande successo: più di 1 miliardo di incasso del 1960.
1) “Fatebenefratelli” (Comencini con Spaak, Law): adolescente svelta tenta di sedurre giovane prete; 2) “La vedova” (Castellani con Spaak, Salvatori): giovane vedova siciliana è costretta dalla famiglia del marito a rinunciare agli uomini; 3) “La moglie bambina” (Rossi con Spaak, Salerno, Celi): sposato con una bella ragazza, insegnante deve difendersi dall’invidia del prossimo. Caso raro di un film a episodi in funzione di una star non ancora ventenne: la belga C. Spaak (1945) che aveva esordito da protagonista nel 1960 con I dolci inganni . Tre racconti garbati, un po’ sciapi ma mai volgari.
Per sposare la levatrice, che è una ragazza madre, maresciallo deve dare le dimissioni. Si rifà vivo, però, il seduttore. Intanto la Bersagliera ha un amore contrastato con carabiniere. Seguito, altrettanto fortunato per successo di pubblico, della commedia strapaesana, con risvolti di amarezza e satira sociale, inventata da Margadonna che qui ha l’aiuto di Eduardo De Filippo. 2° campione d’incasso della stagione dopo Ulisse di Camerini.
A Sagliena, paesino dell’Italia centrale, il nuovo maresciallo dei CC mette gli occhi su Maria – orfana e povera, detta la Bersagliera, innamorata di un carabiniere veneto – e fa la corte alla levatrice Anna. Campione d’incassi della stagione 1953-54, Orso d’argento a Berlino 1954, rilanciò De Sica caratterista, sanzionò la Lollobrigida, che ebbe il Nastro d’argento; fu il 1° successo di Comencini. È, insieme, il trionfo dell’Arcadia e della commedia dell’arte con le sue maschere, la versione spuria e furba di Due soldi di speranza (1951) di Castellani con cui ha in comune lo sceneggiatore Ettore M. Margadonna.
All’inizio del Novecento la nobile e casta Eugenia (Antonelli) e l’arricchito plebeo Raimondo (Lionello), siciliani, apprendono per telegramma la notte delle nozze di avere lo stesso padre, ma per convenienze sociali e ragioni economiche decidono di recitare la commedia davanti al mondo, vivendo in casto connubio. Secondo la morale corrente, lui può permettersi qualche scappatella, mentre la virginea consorte, pur smaniosa dei misteri della carne, deve frenarsi. Commedia degli equivoci e delle agnizioni in cui s’intrecciano due filoni parodistici del dannunzianesimo (di cui canzona anche il versante eroico) e del romanzo popolare d’appendice. L’immaginifico domina la scena, ma Carolina Invernizio è dietro l’angolo. Pur controllati dalla misura di Comencini, i lenocinii della commedia italo-sicula fanno da mastice tra i due registri. Ingorghi e intoppi nella 2ª parte con un finale discutibile, ma le scene che sberteggiano D’Annunzio graffiano. Memorabile la sequenza del pagliaio in cui l’autista (Placido) cerca di spogliare la padrona che non collabora. Antonelli ottima, Lionello sopra le righe, due spiritosi caratteri di Abruzzo come Monsignor Pacifici e Rochefort, barone viveur.
Uno straccivendolo romano e la moglie si battono ogni anno a scopone con una vecchia e dispotica miliardaria americana in coppia con il suo segretario. In un primo tempo la posta in palio è fittizia, ma poi si fa sul serio: si giocano tutti i risparmi della borgata. Scritta da Rodolfo Sonego, è una vetta della commedia italiana, basata sulla dialettica denaro-potere. E la morale è amara: a giocare con i ricchi (con chi tiene il banco) si perde sempre. Non c’è divisione tra buoni (poveri) e cattivi (ricchi): la linea di separazione è segnata dalla classe sociale e dall’obbligata scelta di campo. Film appassionante, interpretabile a vari livelli e recitato da attori infallibili.
Storia di Mara, ragazza toscana che diventa donna sacrificando alcuni anni della sua vita a un ex partigiano condannato per omicidio. Del romanzo (1960, premio Strega) di Carlo Cassola il film è una riduzione fedele. Intorno a Mara, “la prima apparizione umana positiva di grande statura della nuova narrativa italiana” (I. Calvino), già in Cassola i rappresentanti dell’estremismo (il padre di Mara, i compagni di Bube) sono tenuti in ombra. Nel film sono quasi al buio, così com’è sfocato lo sfondo storico. Pur non parlando né camminando (Mario Soldati dixit ) da toscana, C. Cardinale, finalmente non doppiata, è credibile, docile, tenera. Bellissimo bianconero di Gianni di Venanzo (1920-66).
Intorno a Nannina, cassiera dagli argomenti indiscutibili, fanno la ruota un pugile fannullone, un agiato vedovo maturo, un tappezziere mandrillo. Con femminea strategia diventa proprietaria terriera. Scritta da E.M. Margadonna ( Pane, amore e fantasia ), la commedia è scaltra, divertente, sciamannata, sostenuta da attori navigati (Sordi, Stoppa, Tòfano). Un compendio dei più tradizionali vizi dell’itala gente.
Dalla commedia (1956) di Diego Fabbri: bellina si fa passare per hostess in modo da comporre il mosaico della sua felicità alternando il suo amore fra tre uomini. Con l’aiuto di M. Fondato in sceneggiatura, il regista tenta inutilmente di cambiare senso alla programmatica pièce di Fabbri, ma l’operazione non gli riesce. Un aborto.
Ispirato a un racconto di Julio Cortázar. Un ingorgo sull’autostrada blocca per 36 ore centinaia di automobili. S’intrecciano incontri, amicizie, conflitti, litigi, tradimenti. Relegati sullo sfondo, e tra le pieghe, i risvolti di fantasociologia e le ipotesi di catastrofe ecologica, il racconto si frantuma in una aneddotica di taglio realistico nel quadro della commedia di costume, ma c’è una nascosta sapienza di progressione narrativa e di impaginazione per cui l’addizione finale è superiore alla somma dei suoi addendi. “Gli toccarono, come a tutti gli uomini, tempi brutti in cui vivere” (J.L. Borges). Il film dice la stessa cosa di Comencini e di noi, suoi spettatori. Ridistribuito col titolo Black out sull’autostrada .
Totò, cameriere a Napoli, viene scambiato per un principe arabo da una avventuriera che lo invita a Capri dove fa strage di cuori fin quando arriva il vero Bey. È uno dei 5 film che Totò girò nel 1949. Il più ricco e curato, ma non il migliore. Lui, comunque, è grande. Non è mai logico e non è mai un personaggio: rimane sempre sé stesso. Imponderabile, inverosimile. Al suo 2° film Comencini si limita a mettersi al servizio della “totoata” scritta da Metz e Marchesi. Persino E. Flaiano dissente: “dopo aver riso ci si accorge che non c’era niente da ridere, e si resta come chi per noia ha sfogliato una vecchia annata di un giornale umoristico”.
Il Servizio Segreto incarica Natalino, ex partigiano, ex detenuto di sinistra, ex idealista, di eliminare una spia ex nazista di passaggio a Roma. Scritto da due esperti sceneggiatori, Benvenuti e De Bernardi, il film è divertente, ha buon ritmo, ma è troppo pallottoloso e arruffato nella ricerca del finale giusto. Bravo Manfredi, ma anche il contorno dei caratteristi è saporito.
Rimasto vedovo, console britannico a Firenze si trova impreparato ad avere un buon rapporto con i due figlioletti. Il più piccolo ha tutte le sue attenzioni, l’altro ne soffre. Dopo Vittorio De Sica, Comencini è in Italia il regista che meglio sa capire (e far recitare) i bambini e per far questo occorre conoscerli bene. Lo dimostra anche questo melodramma, tratto da un mediocre romanzo strappalacrime (1869) di Florence Montgomery che, in virtù di stile e di una lucida strutturazione dei fatti e delle emozioni, Comencini trasforma in un grave affresco dei sentimenti, delicato e coinvolgente. Incompreso in Italia, ebbe un grande seppur ritardato successo all’estero.
Giovane commissario di polizia compromette la sua carriera indagando sulla morte violenta di noto uomo politico. Scopre il colpevole, ma è costretto a ritrattare tutto al processo. Scritto da Age & Scarpelli, principi della commedia italiana, è sostenuto da uno scattante brio satirico con graffianti spunti di critica di costume. Un buon Sordi tenuto a briglia corta.
Un vecchio e decrepito palazzo romano a fitto bloccato è di proprietà di Amedeo Pecoraio e di sua sorella Ofelia, maturi zitelli. Una società immobiliare offre loro una grossa somma a condizione che tutti gli inquilini siano sfrattati. La morte per veleno del loro soriano offre ai due proprietari il pretesto per spiare la vita degli inquilini resistenti. Come in Lo scopone scientifico , soggetto e sceneggiatura (con Augusto Caminito) sono di Rodolfo Sonego: il tono generale è più cupo e crudele, ma eccede nella tensione verso la metafora a scapito della verosimiglianza. È uno dei film degli anni ’70 che segnano, all’insegna del pessimismo, la fine della commedia italiana, egemone nel decennio precedente. Infallibile duo Tognazzi-Melato. Musica: Ennio Morricone. Prodotto da Sergio Leone.
Il lombardo Nullo e la siciliana Carmela, operai in una fabbrica, s’innamorano. La donna, intossicata da esalazioni venefiche, muore. Nullo la vendica. Comencini taglia, alleggerisce alla lombarda il vino meridionale ad alto tasso alcolico di Ugo Pirro (soggetto e sceneggiatura) in una love story proletaria diseguale, ma ricca di momenti espressivi. Imperfetto, ma anche imprevedibile sullo sfondo di una suggestiva e malinconica Milano della cintura operaia. Fu capito dai critici francesi a Cannes, e la Sandrelli, di nuovo siciliana e doppiata controvoglia, è bravissima.