A Toledo nel 1929 un’orfana viene affidata a un anziano tutore che ne fa la sua amante. Innamoratasi di un pittore fugge con lui, si ammala, perde una gamba attaccata dalla cancrena, ritorna e accetta di sposare il vecchio. Gliela farà pagare. Tratto, come Nazarín, da un romanzo (1892) di Benito Pérez Galdós, è la storia impietosa di una liberazione mancata e di un’opera di corruzione in cui la vittima, imparata la lezione di ipocrisia e crudeltà, si trasforma in carnefice. “La complessità stilistica si riflette … nella poliedricità dei due personaggi principali” (G. Tinazzi). Soltanto una sequenza onirica in questo film ammirevole per la calma lentezza della sua concisione che, nella trasparenza di un equilibrato e oggettivo classicismo, stimola, affascinandola, la curiosità dello spettatore.
Maggio 1924: il deputato socialista Matteotti contesta le elezioni truccate dai fascisti. Viene rapito e ucciso. Gennaio 1925: Mussolini promulga leggi eccezionali che stroncano ogni opposizione. Esempio di cinema politico e popolare che, pur nello schematismo congenito al genere, offre un quadro di un periodo cruciale della nostra storia chiaro e persuasivo come una lezione. Denso, teso, avvincente. Efficace il Mussolini di Adorf. Scritto dal regista con Lucio M. Battistrada. Globo d’oro della stampa estera.
Totò ha tredici anni, aiuta la madre a portare la spesa a domicilio nelle case del vicinato e sogna di affiancare i grandi, quelli che girano in macchina invece che in motorino, che indossano i giubbotti antiproiettile, che contano i soldi e i loro morti. Ma diventare grandi, a Scampia, significa farli i morti, scambiare l’adolescenza con una pistola. O magari, come accade a Marco e Ciro, trovare un arsenale, sparare cannonate che ti fanno sentire invincibile. Puoi mettere paura, ma c’è sempre chi ne ha meno di te. Impossibile fuggire, si sta da una parte o dall’altra, e può accadere che la guerra immischi anche Don Ciro (Imparato), una vita da tranquillo porta-soldi, perché gli ordini sono mutati, il clan s’è spezzato in due. Si può cambiare mestiere, passare come fa Pasquale dalla confezione di abiti d’alta moda in una fabbrica in nero a guidare i camion della camorra in giro per l’Italia, ma non si può uscire dal Sistema che tutto sa e tutto controlla. Quando Roberto si lamenta di un posto redditizio e sicuro nel campo dello smaltimento dei rifiuti tossici, Franco (Servillo), il suo datore di lavoro, lo ammonisce: non creda di essere migliore degli altri. Funziona così, non c’è niente da fare. Matteo Garrone porta sullo schermo Gomorra, libro-scandalo di Roberto Saviano che in Italia ha venduto oltre un milione di copie, aprendo il sipario sulla luce artificiale e ustionante di una lampada per camorristi vanitosi ed esaltati. Il sole non illumina più le province di Napoli e Caserta, impossibile rischiarare questa terra buia e straniera al punto che gli italiani hanno bisogno dei sottotitoli per decifrarla. Siamo in un altro paese: all’inferno. Che non si trova nel centro della terra, ma solo pochi metri giù dalla statale o sotto la coltivazione delle pesche che mangiamo tutti, nutrite di scorie letali, trasformate in bombe che seminano tumori con la compiacenza dei rispettabili industriali del nord. Nessun barlume di bellezza dentro questo buio fitto sotto il sole; forse la bellezza è nata qui, per caso o per errore, ma è volata lontano, addosso a Scarlett Johansson, col risultato che chi l’ha partorita è rimasto ancora più solo ed impotente. Il film di Garrone è crudo e angosciante, ripreso dal vero, musicato dal suono delle grida e degli spari di Scampia. Una volta si diceva “giusto”, quando dire “bello” non aveva senso. Giustissimo, dunque. Del libro, il film sceglie alcuni fili, li intreccia, s’impone come uno sciroppo avvelenato, senza la possibilità di voltar pagina o sospendere la lettura. Del libro, soprattutto, sposa il punto di vista, da dentro, e tuttavia inevitabilmente fuori, in salvo. “Ma – scrive Saviano – osservare il buco, tenerlo davanti insomma, dà una sensazione strana. Una pesantezza ansiosa. Come avere la verità sullo stomaco”. Gomorra, sullo stomaco, pesa come un macigno. Solo una ruspa potrebbe sollevarlo, per “sversarlo” altrove e chiudere in circolo vizioso, come il suono del film.
Mamma Roma, prostituta, decide di diventare una rispettabile piccolo borghese. Con il figlio Ettore va ad abitare in un appartamento della periferia romana. Saputa la verità su di lei, il ragazzo delinque, è arrestato e muore in carcere per i maltrattamenti subiti, invocando Guidonia, il paese dov’è cresciuto, ma anche metafora della Madre e del grembo materno. 2° film di Pasolini dopo Accattone, fondato sulle figure retoriche dell’ossimoro e della sineciosi (in cui s’affermano, di uno stesso oggetto, due contrari); che all’uomo dà una vera grandezza. Bianconero: Tonino Delli Colli (con echi di Caravaggio). Musica: Concerto in Do Maggiore di A. Vivaldi.
Luglio 1950, a Castelvetrano, viene ritrovato il corpo senza vita di Salvatore Giuliano che, cinque anni prima, era entrato a far parte dell’esercito separatista, un movimento indipendentista mosso dal risentimento verso un potere centrale da sempre disinteressato ai problemi della Sicilia. Avanti e indietro nel tempo, passando per la strage di Portella della Ginestra, quando i banditi spararono sulla folla riunita per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali, fino all’arresto di Gaspare Pisciotta, luogotenente di Giuliano, e al conseguente processo di Viterbo. Lo scrupolo per la verità in sé, oggetto quasi alieno, chimerico, inavvicinabile, ha portato Francesco Rosi ad una modalità di racconto in cui gli elementi noti di una vicenda nodale della storia d’Italia sono esposti senza enfatizzazioni o forzature narrative. Quasi lo spettatore si trovasse a sfogliare un faldone prodotto da una commissione antimafia o immerso nella lettura di un articolo redatto dal giornalista più scrupoloso e capace in circolazione. Il come un film-inchiesta realizzato con tali premesse possa risultare tanto avvincente è legato ad una modernità espressiva che ha pochi uguali nel cinema degli anni Sessanta. Al massimo delle sue potenzialità artistiche, il regista napoletano mette a punto – insieme a Suso Cecchi d’Amico, Enzo Provenzale e Franco Solinas – una sceneggiatura dove il thriller, il documento e la ricostruzione si mescolano in maniera perfetta grazie ad un geniale gioco di flashback. Il tono evocativo con cui si mette in scena il passato, il filtro da servizio fotografico usato per il ritrovamento del corpo, l’ottica cronachistico-televisiva del processo di Viterbo risultano fusi in una struttura saldissima che non ha bisogno né di un intreccio né di un personaggio. Illuminato da un mago delle luci come Gianni De Venanzo, con diverse tonalità di bianconero a seconda dei momenti, e impreziosito dal montaggio serratissimo di Mario Serandrei, è il frutto più maturo di quel cinema dell’impegno politico di cui, in certo modo, contribuisce a definire i canoni. Come ha raccontato più volte lo stesso Rosi, fu dall’inizio un progetto difficile, sia perché la produzione si vide negare il prestito pubblico sia per le resistenze, una volta sul set, della famiglia Giuliano e della popolazione. Del resto, siamo alle prese con un lucidissimo saggio storico-antropologico sulle collusioni politiche tra delinquenza e potere centrale, su una situazione storica divisa tra omertà, velleità separatiste e banditismo, perfettamente in grado di tratteggiare scenari più che plausibili sulle motivazioni che hanno portato all’affermazione della mafia. Dopo essere stato ignorato dalla commissione selezionatrice del Festival di Venezia, fu presentato in concorso al Festival di Berlino 1962 dove si aggiudicò l’Orso d’argento per il miglior regista.
Prodotto da Dino De Laurentiis, diviso in 2 parti, racconta i primi 22 capitoli del Genesi. La parte introduttiva della Creazione è affidata alle immagini del fotografo Ernst Haas. Colosso mitico-religioso hollywoodiano in salsa italiana con alcune sequenze di alta suggestione spettacolare (l’arca di Noè, la torre di Babele). Non è difficile per i fan di Huston individuarvi le costanti tematiche e stilistiche dell’agnostico regista americano; agli altri basta lo spettacolo. “… le autorità ecclesiastiche hanno così paura delle controversie dogmatiche che preferiscono vedere un ateo che filma il Genesi piuttosto che affidarlo a un cattolico. Sono persuaso che se non avessero trovato un ateo si sarebbero accontentati di un ebreo” (J. Huston). Tra gli interpreti spicca la coppia Scott-Gardner. Uno degli sceneggiatori è il raffinato Christopher Fry.
L’indiano sangue-misto Keoma torna, dopo aver combattuto nella guerra di Secessione, al suo paese natio. Purtroppo trova la situazione molto cambiata: tutti gli sono contro tranne il padre ed un vecchio amico nero. Con l’aiuto di questi ultimi, Keoma rimetterà le cose a posto.
Il dottor Génessier (Pierre Brasseur) è un chirurgo di eccezionale bravura, la cui vita è sconvolta dall’incidente d’auto che è costato la bellezza alla figlia Christiane (Edith Scob), costretta a vivere dietro una maschera bianca per celare a chiunque, anche a se stessa, il suo volto deturpato. Ma Génessier non si rassegna e con disperata determinazione cerca di restituire alla figlia la bellezza perduta servendosi dei volti di ragazze adescate grazie all’aiuto della fedele assistente Louise (Alida Valli). Capolavoro assoluto di uno dei registi più unici e interessanti del cinema francese. Affascinante melodramma orrorifico, girato con uno stile sublime in un bianco e nero allucinante che rende alla perfezione i chiaroscuri dell’anima, è un film di cui è facile innamorarsi e che dimostra come anche la materia più greve e potenzialmente effettistica come l’horror chirurgico – di cui questo film è una sorte di precursore – possa essere elevata ai massimi livelli artistici. La trama è semplice, ma è raccontata con qualità narrative e visuali uniche acquisendo significati e valori molteplici e profondi. I personaggi, lungi dall’essere le macchiette monodimensionali che caratterizzeranno il sia pur godibilissimo per altri versi sottogenere sadico-chirurgico, sono estremamente complessi e sfaccettati, resi con grande senso drammatico da ottimi interpreti tra cui una grande Alida Valli e un sofferto Pierre Brasseur. Su tutti però emerge la tragica figura di Edith Scob, la cui maschera bianca, simbolo di una purezza destinata a infrangersi, è un’icona che non si dimentica. Poco dopo, con #Vedi#Il diabolico dott. Satana, Jesus Franco avrebbe dato la versione pulp dell’argomento
Giallo di provincia alla Simenon, ambientato in una località lacustre del Veneto, fuori stagione: uno scrittore indaga sull’uccisione misteriosa di una cameriera (Lisi) di cui si era invaghito, scontrandosi con l’omertà dei padroni della pensione e degli altri abitanti. Scritto con Giulio Questi dagli esordienti L. Bazzoni e F. Rossellini, figlio del musicista Renzo e nipote di Roberto, è ispirato a una catena di delitti, noti al pubblico come i fatti di Alleghe, che dettarono allo scrittore trevigiano Giovanni Comisso un delirante romanzo semiautobiografico. I responsabili furono individuati anche per merito del giornalista Sergio Saviane che ne trasse un documentario e un appassionato rapporto. Film di grande eleganza, conta su un’ottima squadra di interpreti e uno splendido, estetizzante bianco e nero di Leonida Barboni. “Eppure la vicenda non aggancia il nostro interesse, lo spettacolo rimane nell’ambito dell’inutilità” (T. Kezich). Forse, se avessero seguito Saviane invece che Comisso, il risultato sarebbe stato più convincente.
Da un romanzo di Alistair MacLean. 1943, nella Iugoslavia occupata un pugno di prodi anglosassoni deve sferrare un grave colpo alla Wehrmacht di Hitler con l’aiuto dei partigiani: la distruzione di un ponte. Appartiene a quel filone bellico in cui tutto è importante tranne il realismo. Cattura chi è capace di abbandonarsi alla pura avventura spettacolare.
Regia di Louis Nero. Un film con Francesco Cabras, Daniele Savoca, Franco Nero, Diana Dell’Erba, Ottaviano Blitch, Marco Sabatino, Dragos Toma. Genere Drammatico – Italia, 2011, durata 85 minuti. Uscita cinema venerdì 8aprile 2011 distribuito da L’Altrofilm. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro 2,71 su 28 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. Pietrogrado, 19 dicembre 1916. Il principe Feliks Jusupov scorta il monaco Rasputin nel suo palazzo, con la scusa di volergli presentare la moglie. Ad attendere il mistico, invece, ci sono dello sherry avvelenato e dei pasticcini al cianuro, preparati da alcuni tra i più influenti personaggi di corte, riuniti in complotto. Ci saranno anche dei colpi di pistola e il lancio del corpo, di notte, nelle acque ghiacciate del fiume Moika. Da queste Rasputin verrà recuperato ancora vivo, a testimonianza di una resistenza fuori dell’ordinario, che ha confermato e perpetrato oltre la morte una leggenda già nata e cresciuta durante la sua vita.
Un commissario siciliano vuole a tutti i costi metter le mani su un noto mafioso che in passato ha ucciso un suo amico sindacalista. Ma lo zelo del funzionario trova ostacolo nell’atteggiamento di un giovane e sospettoso magistrato. Un giorno, esasperato, il poliziotto uccide il mafioso. Viene arrestato, portato al penitenziario dove è ucciso da due sicari: il procuratore lo vendicherà.
Spagna, 1937. Arruolato a forza nella milizia di Franco, il Clown Stupido fa col machete una strage di franchisti in divisa. Nel 1973, due anni prima della morte del dittatore, suo figlio Javier trova lavoro come Clown Triste in un circo dove incontra Sergio. Spinti da rabbia, disperazione, desiderio i due si battono a morte per la trapezista Natalia, bella e crudele. 7ª regia del basco de la Iglesia che l’ha scritto e prodotto, è una riflessione grottesca e parossistica sulla tetra atmosfera di morte del quarantennio franchista. In altalena tra pop e trash , melodramma, riflessione storica e humour nero, gli omaggi a Fellini e quelli a Tim Burton, non lascia scelta allo spettatore: prendere o lasciare. Leone d’argento e premio alla sceneggiatura a Venezia 2010.
Walter ed Eve, giovani sposi in crisi, partono per un viaggio-salvezza in California. Durante il ritorno, i due offrono un passaggio ad un autostoppista: questi è un bandito in fuga.
Tratto da Amleto ovvero le conseguenze della pietà filiale (1877) di J. Loforgue. Claudio uccide il re suo fratello e diviene amante della vedova. Il “re nero” non vuole vendetta, bensì mettere in scena una commedia a Parigi. Orazio racconta ad Amleto di aver visto il fantasma del re assassinato e Amleto gli raccomanda di tacere. All’incoronazione, Claudio prega Amleto di restare e gli promette di sostenere le sue imprese teatrali. Polonio, che vuole studiare il “complesso di Edipo” di Amleto, viene da questi pugnalato: il figlio di Polonio accorre allora da Parigi e uccide Amleto sulla tomba di Ofelia. E i pasticci continuano.
Dieci gladiatori, stanchi di subire gli isterismi di Nerone, decidono di sopprimerlo. Un crudelissimo scherano dell’imperatore tenta di ostacolarli in ogni modo.
Pestato a sangue da rapinatori di banca, ingegnere giura di trovare i delinquenti e vendicarsi. Poliziottesco all’italiana con velleità psicologiche e sociologiche.
Tom torna al paese dopo molti anni di assenza. Ha la triste sorpresa di constatare che il fratello è alcolizzato. Una banda spietata domina la comunità, ma il fratello uscirà dalla sua passività e con Tom farà piazza pulita.
Django compare a piedi _ occhi azzurri, passo pesante, cappellone sugli occhi _ con la sella in spalla, trascinando una bara. Dopo 3 minuti ci sono 9 morti ammazzati. Allo scoccare della mezz’ora, siamo a quota 48. Il regista non si fa più passare per Sidney Corbett e, col nome vero, firma anche soggetto e sceneggiatura. L’inverosimiglianza della vicenda, le psicologie, i dialoghi, l’umor nero, sfiorano il delirio. Il film ebbe tanto successo che in Germania furono distribuiti altri 27 “spaghetti-western” il cui titolo comincia con Django.
Una giovane, che il nobile seduttore ha mandato in manicomio, ne esce per un periodo di prova. Unitasi ad un bracconiere, passa da un’avventura all’altra e finisce in prigione; fugge, ma…. Film interessante anche se abbastanza complesso.
Tutti i link Easybytez sono andati persi, con calma cercherò di ricaricare più materiale possibile.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo