La dottoranda in astrofisica Kate Dibiasky e il suo docente all’Università del Michigan Dr. Randall Mindy scoprono che entro sei mesi una gigantesca cometa colpirà la Terra e provocherà l’estinzione del genere umano. Allarmati riferiscono tutto alla Presidente degli Stati Uniti Janie Orlean.
In un futuro imprecisato post-apocalittico la Terra è in mano ai predoni. Tra questi Immortan Joe, che controlla la Cittadella con il pugno di ferro, imponendo il culto della personalità. Finché la sua compagna e “Imperatrice”, Furiosa, lo tradisce, portando con sé le schiave e concubine di Immortan. Reboot, mash up o remake sono termini che aiutano a capire ma che non inquadrano completamente l’operazione alla base di Mad Max: Fury Road. Il ritorno alla regia di George Miller, atteso quanto insperato, forse prepara a una nuova saga, tutto sembra farlo credere, ma soprattutto cerca di riscrivere l’ultimo e debole – al di là dell’impatto iconografico della sfera del tuono – capitolo con Mel Gibson e Tina Turner, riproponendo Max in un contesto come quello attuale, sovraccarico di supereroi invincibili e di action movies che dall’universo distopico di Mad Max molto hanno saccheggiato.
Inghilterra, oggi. Durante un blitz un gruppo di animalisti irrompe in un laboratorio dove alcuni scimpanzè vengono sottoposti alla visione forzata di immagini violente. Il ricercatore che studia le cavie avverte gli attivisti che gli animali sono affetti da un virus sconosciuto e pericoloso. Malgrado ciò, i membri del commando decidono di liberare gli animali, da cui vengono immediatamente attaccati. 28 giorni dopo, Jim si risveglia in una Londra deserta e spettrale. La città sembra deserta e Jim vaga alla ricerca di esseri umani. E’ solo l’inizio di un’avventura dai risvolti terrificanti, dove l’uomo civilizzato si conferma come la belva peggiore… Dopo un paio di film sbagliati, Danny “Trainspotting” Boyle torna a far centro, con un horror a basso costo e girato in digitale che dà punti a molte produzioni miliardarie. Tutto già visto, intendiamoci, con profluvi di citazioni (da Romero alla serie Tv “i Sopravvissuti”) a volte decisamente perdenti rispetto agli originali. Ma almeno c’è un bel senso del ritmo, interpreti funzionali alla narrazione, qualche azzeccata soluzione di montaggio e una notevole colonna sonora. E qualche brivido è assicurato. Piacevole.
Alcuni uomini vengono attirati in un hotel isolato con la scusa di un incontro sessuale, per poi essere coinvolti in un traffico di organi che vengono venduti all’asta al miglior offerente. Dopo un terremoto catastrofico, le vittime, i trafficanti e gli acquirenti rimangono intrappolati nell’edificio in rovina. Tagliati fuori dal mondo esterno, devono lottare per sopravvivere ad ogni costo.
Le vicende di un gruppo di tecnici specialisti in uragani. Li cercano, li studiano, li combattono. C’è anche un gruppo antagonista che ha la peggio. Effetti speciali, insomma quasi tutto ciò che fa cinema catastrofe. Ma già visto.
Scoppia una guerra atomica. La famiglia Baldwin, che aveva lasciato Los Angeles per una vacanza, vive giorni di terrore, alla ricerca di un rifugio sicuro, in una situazione disperata dove prevale la legge del più forte. 4° dei 5 film, e uno dei più interessanti, diretti dall’attore Milland, in linea con la SF americana, assai sensibile negli anni ’60 alla minaccia di un conflitto atomico. La prima parte è la migliore.
Siamo a Francoforte. Il prof. Monroe desidera sperimentare le reazioni di un gruppo di uomini e donne chiusi in un bunker antiatomico. Si offrono quindici volontari. Michael, un ingegnere, funge da capo. Inizia una serie di guai che getta nella più nera disperazione i quindici che inoltre scoprono che “fuori” è in atto una guerra atomica che ha gettato nel panico la popolazione.
Forse sulla scia del successo dell’americano The Day After, la televisione inglese produce la cronaca immaginaria del “dopo bomba” in Inghilterra. Con freddo stile documentaristico, il regista Mick Jackson racconta il dramma della popolazione di Sheffield investita da un’improvvisa deflagrazione atomica, mostrando sullo schermo scene di morte, sofferenza e devastazione con una cura accentuata per il dettaglio sensazionalistico. La critica dice che il film non lascia niente all’immaginazione: dai bozzetti familiari di vita quotidiana si passa alla impietosa rappresentazione della distruzione prospettando un futuro senza speranze per coloro che sono sopravvissuti alle radiazioni.
Edit: ho tolto la versione che ho caricato poco fa perchè ne ho trovata una della stessa qualità ma con audio anche in italiano
Al termine della terza guerra mondiale, l’emisfero settentrionale è un mondo completamente distrutto dalle esplosioni nucleari. Anche il resto della Terra è destinato a subire l’ondata devastatrice delle radiazioni, ma, per il momento, in Australia la gente si illude o finge di illudersi di avere ancora una via di scampo. Un sottomarino americano, il Sawfish, comandato da Dwight Lionel Towers, sfuggito al disastro perchè in immersione al momento dell’esplosione atomica, fa rotta verso le coste australiane per valutare le possibilità di sopravvivenza. Le speranze sono destinate a sfumare e gli uomini, consapevoli dell’approssimarsi della fine, fanno un bilancio della propria esistenza misurandosi con il significato della vita. In questo contesto si articola la struggente storia d’amore tra il comandante Towers e la disillusa Moira Davidson. Il film, per molti versi toccante, si chiude con la desolante immagine delle piazze di Melbourne prive di vita mentre il ritmo della celebre canzone “Waltzing Mathilda”, che per gli australiani è quasi un secondo inno nazionale, accompagna il silenzioso ed insignificante sventolio di una bandiera. Al momento della sua uscita L’ultima spiaggia suscitò più di una polemica al punto, perfino, di essere tacciato di sovversivismo dagli ambienti più conservatori. Rivista oggi, la pellicola conserva intatto il messaggio pacifista e si conferma come opera coraggiosa, nello stile migliore di Stanley Kramer.
Radio e televisione trasmettono un crescendo di allarmanti notizie sull’acuirsi della tensione internazionale tra Russia ed Occidente, ma a Lawrence, nel Kansas, come in altre parti dell’America, nessuno sembra farvi troppa attenzione. Mentre la gente è alle prese con i piccoli problemi quotidiani, le basi militari ricevono messaggi in codice che allertano i sistemi di sicurezza ed innescano le misure di ritorsione contro un’aggressione nucleare. Quando il cielo si squarcia in due accecanti bagliori, per un attimo la vita si ferma come sospesa: i motori non funzionano più, le radio ammutoliscono, poi la gente per le strade, in viaggio nelle macchine o all’interno delle abitazioni è investita dall’urto formidabile dell’esplosione. L’onda radioattiva polverizza uomini e cose. Coloro che si salvano scoprono una distesa di macerie e campi fumanti ricoperti da cenere bianca. Nell’unico ospedale ancora funzionante si organizzano i primi soccorsi, ma la situazione diventa insostenibile per l’ininterrotto affluire di feriti e per la scarsezza dei mezzi necessari a fronteggiare l’emergenza. All’esterno chi tenta di allestire campi di accoglienza non ha altra indicazione che quella dei manuali di sopravvivenza stilati tempo addietro dalle autorità locali, logori e inutilizzabili nella loro assurda impostazione burocratica. Il racconto intreccia il destino di un pugno di personaggi (il dottor Oakes, l’agricoltore Dahlberg, lo studente Klein e pochi altri) cogliendoli dapprima nella loro dimensione quotidiana e trasfigurandoli poi, nel dramma dell’olocausto, in figure emblematiche di una umanità allo sbando, priva delle certezze di un’intera vita, impotente di fronte al dolore e alla morte dei propri cari, senza la prospettiva di un futuro. Il regista e romanziere Meyer costruisce il racconto del “giorno dopo” intervallando con buona abilità situazioni da soap-opera con i meccanismi del filone catastrofico e del documentario-inchiesta, e chiudendo con due sequenze che in qualche modo riassumono il senso della trascorsa civiltà: la nascita di un bambino fortemente voluta da una madre, e l’abbraccio silenzioso tra due sopravvissuti sulla polvere di quella che un tempo era stata una casa.Prodotto per la televisione, il film ha riscosso grande successo presso il pubblico americano, ma non altrettanto presso la critica – specialmente europea – che ne ha fatto un piccolo “caso”, condannando l’intera operazione come una delle più astute spettacolarizzazioni dell’orrore, secondo un deprecabile gusto tipicamente hollywoodiano.
30 anni dopo la solita catastrofica guerra, un uomo viaggia attraverso il deserto di quel che è rimasto della Terra, passando per grigi resti di città, incontrando bande di umani trasformati in selvaggi senza morale né pietà. Ma lui, Eli, è inarrestabile e prosegue il suo viaggio, lasciando dietro di sé altri cadaveri, difendendo ferocemente un prezioso manufatto (l’ultima copia della Bibbia rimasta!) su cui vuol metter le mani il potente despota di una città abitata da killer e delinquenti tutti al suo servizio. Con sovrannumero di citazioni, un “mix irrisolto di Mad Max e Bernadette , di Leone e Corman, fra pallottole vaganti, gli Hughes bros disperdono il loro talento in un rumoroso western grigio” (M. Porro), con Washington involontariamente ridicolo come profeta difensore della fede, cieco e invincibile, Oldman psicopatico sadico e un’apparizione di Tom Waits troppo breve.
Ispirato al cortometraggio La Jetée (1963) di Chris Marker, sceneggiato da David e Jane Peoples. Nel 2035 i sopravvissuti a un virus, che nel 1997 sterminò cinque miliardi di persone, vivono sottoterra, mentre la superficie del pianeta è popolata soltanto da animali. Per capire il come e il perché della catastrofe si spedisce indietro nel tempo (nel 1917 per sbaglio, nel 1990 e nel 1996) un ergastolano intelligente. Macchinoso e sbretellato sul piano narrativo, il 6° film di Gilliam (l’unico americano del gruppo Monty Python) vale su quello figurativo per certe fulminee invenzioni registiche, i desolati paesaggi metropolitani, l’energia recitativa di Willis, l’istrionismo schizoide di Pitt. Raro esempio di un titolo che indica una falsa pista.
Una malattia per molti versi simile all’influenza suina ma capace di svilupparsi anche per contatto con estrema rapidità sta colpendo il mondo. La comunità medica mondiale si trova in breve tempo a dover affrontare la ricerca di una cura e il controllo del panico che si diffonde progressivamente ovunque. Le persone reagiscono in modo diverso e a seconda della responsabilità che è stata loro attribuita o che si sono autonomamente conferita. Se un alieno fosse messo dinanzi a Ocean’s Eleven, Full Frontal e Il Che quasi sicuramente non direbbe che sono frutto del talento dello stesso regista. Perché uno dei grandi pregi di Steven Soderbergh (anche quando, come in questo caso, lavora su commissione) è quello di continuare a sperimentare sia sul piano della sceneggiatura che su quello linguistico cinematografico.
La paura dell’apocalisse, cioè della rivelazione, viene dalla natura. L’azione comincia in Central Park a New York col vento che muove le cime degli alberi: i passanti si fermano, straparlano, arretrano, si uccidono. Da un grattacielo vicino gli operai si buttano nel vuoto. A Philadelphia un insegnante interroga gli allievi su un misterioso fenomeno: la scomparsa delle api. Il terrore si diffonde attraverso i mass media. La gente fugge verso l’ovest, la campagna, gli stati vicini, ma i suicidi continuano. È la storia di una catastrofe incomprensibile e dei sopravvissuti che alla fine si riducono a tre: l’insegnante che ragiona, sua moglie e una ragazzina. Il fenomeno dura 36 ore. Tre mesi dopo è tornata la normalità. Fino a quando? Con il suo 8° film, dopo l’insuccesso di Lady in the Water , Shyamalan ha fatto centro, affidandosi agli schemi narrativi del cinema di SF anni ’50, dentro i quali ha lavorato con ammirevole semplicità e a ritmo serrato: il nemico è invisibile. E almeno due invenzioni memorabili: l’incontro con l’eccentrica Mrs. Jones (Buckley) e la separazione dei tre superstiti che comunicano tra loro con un dispositivo acustico costruito per dar rifugio agli schiavi neri fuggiaschi. Effetti speciali (in minima parte digitali) al servizio del vento e rifiuto quasi totale della solennità magniloquente di altri suoi film. Fotografia del solito Tak Fujimoto. V.M. 14 anni.
La città di New York vive attimi di terrore quando un potente terremoto rischia di distruggere l’intera città. In una disperata corsa contro il tempo il maggiore della divisione e il capo dei vigili del fuoco cercano di mettere in atto un piano di emergenza per salvare la metropoli e i suoi abitanti mentre assistono impotenti alla perdita dei loro cari e alla devastazione di tutto ciò che hanno costruito.
Dovuto all’inquinamento e all’effetto serra, il riscaldamento progressivo della temperatura terrestre provoca lo sgretolamento dei ghiacci, modificando il millenario flusso di correnti oceaniche che regolano il clima nelle zone temperate del globo. Dopo anomali e disastrosi eventi meteorologici – tra cui l’inondazione di New York – si sviluppa un progressivo fenomeno di glaciazione. Negli Stati Uniti provoca la morte di milioni di persone e una gigantesca migrazione verso il Sud. È lo sfondo di un megafilm catastrofico della Fox che pone più di una domanda: 1) racconto di fantascienza o di anticipazione? 2) perché Emmerich, che in Independence Day irride pacifisti ed ecologi, qui, nel conflitto tra scienziati e politici, dà ragione ai primi? 3) si può dire che per la 1ª volta il massiccio impiego di effetti digitali è al servizio di un film importante e contribuisce alla sua visionarietà? 4) ha ragione Emmerich quando dice che “l’unico momento di vera fantascienza è quello finale quando il vicepresidente degli USA si pente pubblicamente di non aver dato ascolto agli scienziati e ammette il proprio errore”? Scritto dal regista-produttore con Jeffrey Nachmanoff, ispirato a The Coming Global Superstorm ( La tempesta globale , 1999) di Art Bell e Whitley Striaber.
Una saga post-apocalittica che attraversa più linee temporali, raccontando le storie dei sopravvissuti a un’influenza devastante mentre tentano di ricostruire e reimmaginare il mondo da capo conservando il meglio di ciò che è stato perso.
Sulla strada un uomo e un bambino procedono dietro a un carrello e dentro “una notte più buia del buio e un giorno più grigio di quello passato”. Una pioggia radioattiva ha spento i colori del mondo, una guerra o forse un’apocalisse nucleare ha terminato la natura e le sue creature: gli alberi cadono, gli uccelli hanno perso l’intenzione del volo, il mare ha esaurito il blu, gli uomini non sognano più e si nutrono di uomini e crudeltà. Dal passato verso un futuro che non si vede si muovono un padre e un figlio, resistendo alle intemperie e agli assalti dei disperati con due colpi in canna e il fuoco dell’amore. In viaggio verso sud, il genitore racconta al bambino la sua vita a colori, piena di musica e della dolcezza bionda di sua madre, inghiottita dalla notte e dalla paura di sopravvivere. Lungo la strada il ragazzo esplorerà la propria umanità, imparando la conoscenza del bene e del male.
Il vulcanologo John Sherpherd e un suo allievo giungono ad una terribile scoperta: presto tutti i vulcani del mondo erutteranno sterminando ogni creatura vivente. Cercherà cosi di convincere le autorità riguardo la veridicità della sua scoperta e del terrificante pericolo che incombe..
Remake del film L’avventura del Poseidon (1972): durante la festa di Capodanno, il gigantesco transatlantico Poseidon è travolto da un’onda anomala. Uno sparuto gruppetto di personaggi cerca di mettersi in salvo tra mille difficoltà. Effetti speciali strabilianti, ritmo narrativo e di montaggio sempre molto sostenuto, scarsa credibilità (inevitabile) di alcune scene e soprattutto di personaggi (discreti gli interpreti ma senza esagerare) che diventano un po’ troppo in fretta invincibili e inarrestabili, buona suspense a tratti efficacemente claustrofobica, regia di robusto mestiere. Ben poco da ridire, eppure alla fine molto si dimentica e resta invece inalterata la memoria dell’originale.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo