Questo film che per intensità e profondità richiama quello del connazionale Bergman, racconta il difficile rapporto fra un maestro, che tenta di eliminare l’autoritarismo da scuola, e la moglie con cui vive senza aver voluto dei figli. Ole Dole Doff è uno sciogli lingua intraducibile e allude al mondo dell’infanzia a cui si rivolge questa opera seconda del regista svedese. Tormentato dalle sue incertezze, tranciato dalle contraddizioni tra “istintività” e “cultura”, diviso tra amore e odio finisce con in cadere nel delirio.
A Blackeberg, quartiere degradato alla periferia ovest di Stoccolma, il ritrovamento del cadavere completamente dissanguato di un ragazzo segna l’inizio di una lunga scia di morte. Sembrerebbe trattarsi di omicidi rituali, ma anche c’è anche chi pensa all’opera di un serial killer.Mentre nel quartiere si diffonde la paura, il dodicenne Oskar, affascinato dalle imprese dell’assassino, gioisce segretamente sperando che sia finalmente giunta l’ora della rivalsa nei confronti dei bulletti che ogni giorno lo tormentano a scuola. Ma non è l’unica novità nella sua vita, perchè Oskar ha finalmente un’amica, una coetanea che si è appena trasferita nel quartiere. Presto i due ragazzini diventano più che semplici amici. Ma c’è qualcosa di strano in Eli, dal viso smunto, i capelli scuri e i grani occhi. Emana uno strano odore, non ha mai freddo, se salta sembra volare e, soprattutto, esce di casa soltanto la notte…
Jacob vive da molti anni in India, dove ha iniziato e abbandonato diversi progetti di volontariato, è stato lasciato dalla donna che amava e ha disperatamente tentato di sfuggire alla sua condizione di alcolizzato e dimenticarsi della sua anima perduta. Costretto a tornare in patria per ottenere una cospicua donazione che gli permetta di continuare a occuparsi dell’orfanotrofio dove si è ritagliato il ruolo di buon samaritano, Jacob ritroverà un pezzo del suo passato che inevitabilmente gli cambierà la vita.
Danimarca, seconda metà del XVIII secolo. Il re 17enne Christian VII sposa la cugina Carolina Matilde, sorella di Giorgio III. Il giovane monarca ha problemi di ordine psicologico (e sessuale) e il vero potere è appannaggio dei conservatori del Consiglio di corte. Arriva Johann Friedrich Struensee, medico personale del re e convinto assertore dei valori dell’Illuminismo, lassù assolutamente invisi. Da un lato aiuta il re a trovare maggiore equilibrio ma dall’altro lo influenza, diventando il reggente e intrecciando una relazione con la trascurata regina. Ritratto storicamente accurato e spettacolarmente avvincente che non riesce a catturare l’attenzione del pubblico italiano. Racconta un momento della storia danese conosciuto solo in patria. Nominato miglior film straniero agli Oscar e al Golden Globe, premiato al Festival di Berlino per la miglior sceneggiatura e il miglior attore (Følsgaard). Distribuito da Academy 2.
Regia di Anna Odell. Un film Da vedere 2013 con Anna Odell, Anders Berg, David Nordström [II], Erik Ehn, Fredrik Meyer, Kamila Benhamza, Lena Mossegård. Titolo originale: Återträffen. Genere Drammatico – Svezia, 2013, durata 90 minuti. Uscita cinema giovedì 25ottobre 2018 distribuito da Tycoon Distribution. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 4 recensioni
Anna Odell, artista e regista svedese, scopre che i vecchi compagni di scuola hanno organizzato una riunione dopo vent’anni e non l’hanno invitata. Perché? La questione agita e interroga l’autrice, outsider della classe, che decide di farne un film. Un film che risponde alla domanda e alterna due parti distinte, due livelli di fiction che si corrispondono e completano. Un progetto che immagina nel primo atto quello che sarebbe potuto accadere se Anna fosse stata invitata e pratica nel secondo un esercizio sperimentale: Anna invita a casa sua i compagni, interpretati da attori, per vedere il film insieme e registrare le loro reazioni. Il secondo asse finzionale espone poi le complicazioni a cui la regista deve fare fronte a seconda del consenso o del rifiuto dei compagni davanti al suo invito.Tra documentario e fiction, il progetto di Anna Odell affonda nella vita reale, nella vita di una donna che desidera discutere del passato tra adulti per potere finalmente voltare pagina e superare il trauma di un’infanzia vessata.The Reunion non è però un regolamento di conti e nemmeno una terapia di gruppo, ancora meno un documentario classico sul bullismo. The Reunion è un film singolare, improbabile e curioso che apre su una cena di vecchi compagni di classe che indossano la propria maschera sociale e sfoderano larghi sorrisi, rivelando nell’interazione le rispettive personalità.
Sopraggiungendo non invitata, Anna Odell, che interpreta se stessa, indispone l’assemblea che fa fronte comune alla sua intrusione. Ma vent’anni dopo, Anna non ci sta e rivendica progressivamente le ragioni che l’hanno condotta al loro cospetto. Nessuno sembra avere voglia di ascoltarla e la condanna è collettiva, più severa e crudele del disprezzo. Recriminazione dopo recriminazione, gli animi si scaldano fino all’espulsione violenta di Anna dal gruppo e dal locale da parte di una brigata meschina incapace di intenderla. Anna Odell è folle? Questa è certamente la domanda che si sono posti i suoi ex camerati quando la regista li ha chiamati, convocati e inchiodati alle proprie responsabilità e davanti al suo film.
Martin perde la testa per Jeanne e trascura moglie, figlio, doveri sociali. La passione amorosa è un tema che affascina molto i nordici, un po’ meno i latini che la considerano pane quotidiano.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni
Nell’autunno del 1945 un giovane americano, di nascita tedesca e di buona volontà, ritorna nella patria in rovina, trova un posto come conduttore di vagoni-letto e, grazie a un coinvolgimento amoroso, si fa incastrare da un gruppo terroristico di Lupi Mannari, irriducibili nazisti non rassegnati alla sconfitta. Cocktail di thriller e melodramma con una componente umoristica. Più che la storia, artificiosa e quasi banale, e più che i personaggi, conta l’apparato tecnico-formalistico: colore contrapposto al bianconero, sovrimpressioni, obiettivi deformanti, cinepresa dinamica, scenografie di taglio espressionistico. Antitedesco nella sostanza, è profondamente tedesco nella forma.
Otto Anderson, rimasto da poco vedovo, è un uomo rigido e incapace di relazionarsi con gli altri. Se la prende con qualunque persona che non rispetta alla lettera i regolamenti. Quando qualcuno entra senza permesso con l’auto nell’area riservata dove c’è anche il suo appartamento o non fa correttamente la raccolta differenziata, ci pensa lui a farglielo notare. Ogni giorno organizza infatti una ronda per controllare se c’è qualcosa che non va. In più non si è mai ripreso dalla morte della moglie Sonya a cui era legatissimo e programma il suicidio in più di un’occasione. A movimentare improvvisamente la sua esistenza c’è l’arrivo di Marisol e del marito che hanno affittato una casa di fronte alla sua. La giovane donna, già madre di due bambine e in attesa del terzo, irrompe come un uragano nella sua vita e tra loro nasce gradualmente un’amicizia che resterà per sempre.
Un prologo racconta della Dea indiana dell’abbondanza e di suo figlio, attaccato violentemente dalle altre divinità e costretto a rimanere nel suo ventre per salvarsi, a condizione di vivere nascosto. La prima parte è ambientata nel villaggio di Tumbbad, in una regione rurale battuta da una pioggia incessante. Qui abita Vinayak, la cui madre si prende cura di una bisnonna, spaventosa figura tra lebbrosa e zombie tenuta in catene e sospesa tra pasti e un sonno profondo.
Tina ha un fisico massiccio e un naso eccezionale per fiutare le emozioni degli altri. Impiegata alla dogana è infallibile con sostanze e sentimenti illeciti. Viaggiatore dopo viaggiatore, avverte la loro paura, la vergogna, la colpa. Tina sente tutto e non si sbaglia mai. Almeno fino al giorno in cui Vore non attraversa la frontiera e sposta i confini della sua conoscenza più in là. Vore sfugge al suo fiuto ed esercita su di lei un potere di attrazione che non riesce a comprendere. Sullo sfondo di un’inchiesta criminale, Tina lascia i freni e si abbandona a una relazione selvaggia che le rivela presto la sua vera natura. Uno choc esistenziale il suo che la costringerà a scegliere tra integrazione o esclusione.
Ciò che l’occhio non vede è una sorta di documentazione d’autore firmata da otto registi durante le Olimpiadi di Monaco del 1972. Il critico Tullio Kezich scrive a proposito di questo documento: «Ciò che l’occhio non vede lo vede l’obiettivo della macchina da presa. Questa tesi, che si direbbe di ispirazione antonioniana, mosse quattro anni fa l’iniziativa del produttore americano David L. Wolper che in occasione dei giochi di Monaco ha invitato alcuni autori cinematografici a illustrare ciascuno un aspetto della manifestazione.
È la seconda parte del film fiume dedicato da Troell agli emigrati svedesi in America all’inizio del secolo scorso (la prima parte circolò nei cinema col titolo Karl e Kristina). Qui è descritto l’arrivo della famiglia nel Minnesota. Dopo dieci anni Kristina muore di parto. Karl rimane solo, a portare avanti la famiglia e la terra.
Thomas ha quarant’anni e troppi conti irrisolti: decide così di darsi 24 ore per incontrare — uno a uno — tutte le persone che hanno significato qualcosa per lui nella vita, dal figlioletto alla ex moglie, dal migliore amico (che se la intende con la donna) all’attuale amante, dalla sorella all’anziana madre. A tutti Thomas racconta che sta per partire per New York
Nick e suo fratello minore fin da piccoli hanno dovuto occuparsi di se stessi a causa di una madre alcolizzata. A loro carico era anche il fratellino neonato che un giorno era morto all’improvviso. Ora Nick è un uomo sui trent’anni che conduce un’esistenza solitaria interrotta ogni tanto da prestazioni orali di una vicina di casa divorziata e con un figlio che vorrebbe le venisse affidato. Nick è stato in carcere ed è stato lasciato dalla sorella di Ivan, un suo coetaneo con problemi psichici nella sfera sessuale. Suo fratello intanto ha concepito con una tossicodipendente come lui un figlio, Martin. L’uomo lo ama profondamente anche se non riesce a liberarsi dall’eroina. C’era una volta Thomas Vintenbeg, primo adepto certificato del Dogma vontrieriano, che ci aveva regalato un’analisi acuta e grottesca della borghesia danese nel più che riuscito Festen. Dopo divagazioni hollywoodiane totalmente fuori dalle sue corde, una surreale indagine sulla dipendenza dalle armi (Dear Wendy) e una divertente rivisitazione del mondo di Festen in Riunione di famiglia lo ritroviamo con un film le cui retoriche superano ogni limite di accettabilità. Ci sono i due bambini che vengono caricati di un senso di colpa esistenziale, non mancano le descrizioni delle loro esistenze alla deriva con annesso finale in bilico tra speranza e buio in fondo al tunnel. Il tutto sottoposto al criptico titolo Submarino che fa riferimento (ma solo per i malvagi addetti ai lavori temiamo) alla denominazione della forma di tortura che spinge la vittima ai limiti dell’annegamento.
Usa Anni ’70. Jack è un serial killer dall’intelligenza elevata che seguiamo nel corso di quelli che lui definisce come 5 incidenti. La storia viene letta dal suo punto di vista che ritiene che ogni omicidio debba essere un’opera d’arte conclusa in se stessa. Jack espone le sue teorie e racconta i suoi atti allo sconosciuto Verge il quale non si astiene dal commentarli.
Adam è sopravvissuto ad un incidente stradale in cui sono morti la sua compagna, Basia, e il suo migliore amico, Kamil. Da quel momento Adam, poeta e promettente professore universitario di letteratura, abbandona l’insegnamento e trova lavoro e rifugio in un centro commerciale. Ciò che gli dà tregua dal dolore che lo tormenta è la lettura della Divina Commedia e il dormire. Nel sonno può visitare un mondo parallelo in cui incontrare persone care e fantasmi frutto della sua immaginazione. Alla sua sofferenza privata si aggiunge quella della Polonia, sconvolta da catastrofi naturali e politiche nel corso del 2010. Adam, come Dante con Beatrice, continua ad avere dinanzi a sé una meta: ritrovare l’amata Basia. Dopo Il giardino delle delizie (2004), ispirato all’omonimo quadro di Bosch, e I colori della passione (2011), viaggio all’interno del dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio “La salita al calvario”, Lech Majewski conclude la sua trilogia sull’arte affrontando “La Divina Commedia”. Scevro da qualsiasi intento illustrativo l’artista polacco rilegge il testo dantesco come percorso di ricerca interiore che parte dalla ‘selva oscura’ del dolore e del dubbio nei confronti di un Dio che non può essere al contempo onnipotente e misericordioso per giungere a un lavacro purificatore finale.
A trent’anni dal loro ultimo incontro, Marianne fa visita all’ex marito Johan. Il figlio di Johan, Henrik, è morbosamente legato a sua figlia Karin, giovane e promettente violoncellista.
Partiti da Basilea, Rut e Bertil, di ritorno a Stoccolma dopo il viaggio di nozze, attraversano in treno la Germania ancora devastata dai bombardamenti. I fantasmi della guerra si aggiungono a quelli del loro passato, rievocati a colpi di flashback di cui Bergman ha spesso fatto uso. Rut è rimasta sterile, obbligata ad abortire da un amante precedente; Bertil, indolente piccolo borghese, ha avuto una relazione con la fragile Viola. In questo 7° film l’influenza di Strindberg nel giovane Bergman è determinante. Quando in treno, dopo un incubo in cui sogna di assassinare Rut, si sveglia e la abbraccia: “Ecco, siamo all’inferno, ma insieme!”. Sceneggiato da Herbert Grevenius che ha cucito insieme 4 novelle di Birgit Tengroth (interprete di Viola), rivela molte delle ossessioni bergmaniane e le sue nostalgie: l’acqua, il bambino, le ballerine. La Rut di E. Henning è forse la prima di una grande galleria di personaggi femminili. Non manca di difetti né di squilibri. È, con La prigione , uno dei suoi film più “neri”. 40 anni dopo Bergman dichiarò: “Cominciavo a trovare un modo tutto mio di fare film. Mi ero reso padrone di quella stupida macchina”. Titolo francese: La fontaine d’Aréthuse .
Ravn vuol vendere la sua azienda, ma ha un problema: da quando l’ha costituita, si è inventato un falso capo irraggiungibile sul quale scaricare la responsabilità di decisioni impopolari. Poiché i futuri compratori islandesi insistono nel voler negoziare il trapasso col capo in persona, assolda per impersonarlo un attore che però gli rovina il piano. Giunto ai 50 anni, von Trier ha scritto e diretto per la prima volta una commedia che è una commedia nella commedia. Molto parlata. Lo spunto è ingegnoso e allude alla realtà, a una strategia padronale che ognuno di noi conosce. Qua e là il film è faticoso da seguire, e persino sgradevole. Nei titoli di testa il nome del direttore della fotografia è sostituito da un dispositivo tecnico: AUTOMAVISION. Siamo o no nel campo dell’informatica? Von Trier dichiara che non era lui a tenere il controllo, ma il computer. È difficile credergli; il “grande capo”, quello vero, è il regista. C’è da divertirsi, comunque, a sentire gli islandesi insultare i danesi che li hanno governati per quattro secoli. V.M. 14 anni.
Uno dei primi film di Bergman (il quinto per l’esattezza). I personaggi principali sono i giovani di una città portuale. La solitudine, le difficoltà di inserirsi nella società svedese del dopoguerra li spingono a impossibili sogni d’evasione.
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