Nel 1915 il porto turco di Gallipoli fu lungamente, inutilmente, sanguinosamente assediato dalle truppe britanniche. Con gagliardo ardimento i volontari australiani si fecero massacrare. Più che un film bellico – sull’ignominia della guerra – è un racconto picaresco di viaggio, avventure, amicizie virili. Weir ha mano felice nell’affettuosa descrizione dei personaggi, nella rievocazione di un’epoca. Belle pagine di atletica nella 1ª parte, la più riuscita.
Rievocazione storica della Comune di Parigi in stile documentaristico, il film ha ricevuto molti consensi dalla critica, per i suoi temi politici e per la regia di Watkins.
La Commune (Paris, 1871) ha suscitato interesse anche per il suo cast molto grande e principalmente non professionale, e che comprende molti immigrati dal Nord Africa. I membri del cast hanno partecipato e fatta propria la ricerca per l’approfondimento del progetto. Watkins ha detto del film: “La Comune di Parigi è sempre stata seriamente emarginata dal sistema educativo francese, nonostante – o forse perché – è un evento chiave nella storia della classe operaia europea, e quando ci siamo incontrati la maggior parte del cast ha ammesso di conoscere poco o nulla sull’argomento ed è stato molto importante che le persone si siano coinvolte direttamente nella nostra ricerca sulla Comune di Parigi, acquisendo così un processo esperienziale nell’analisi di quegli aspetti dell’attuale sistema francese che stanno fallendo nella loro responsabilità di fornire ai cittadini un processo veramente democratico e partecipativo”.
Il primo grosso teleromanzo Rai a partecipazione internazionale. La storia è naturalmente quella dell’esploratore veneziano raccontata in flash-back a un compagno di prigionia. La vita di Marco è raccontata dalla prima giovinezza alla maturità, dal primo viaggio in Oriente assieme al padre ai fasti della corte di Kublai Khan. Passerà certamente alla storia come il primo teleromanzo occidentale girato in Cina.
Venezia, 1274; il giovane Marco Polo, al seguito del padre Niccolò e dello zio Matteo, intraprende un lungo viaggio che lo conduce fin nel cuore del potente Impero Mongolo, presso la corte di Kublai Khan. Abbandonato come ostaggio dal padre e dallo zio nelle mani del Khan…per potersi garantire il libero accesso alla Via della Seta, Marco entra a far parte della corte di Khublai, immergendosi sempre di più nel cuore delle tradizioni e della cultura dell’Asia Orientale. Entrato nelle grazie del Khan, il giovane è testimone dei tentativi di Kublai di tenere insieme ed espandere ulteriormente il suo sterminato impero, tra intrighi di corte, cospirazioni, lotte di potere e il conflitto in corso con l’ormai decadente Dinastia Song, ultimo baluardo del millenario impero cinese contro la potenza mongolica.
Nell’Inghilterra del XII secolo Enrico II nomina arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, già suo cancelliere e amico. I rapporti tra i due si guastano: prima la libertà della Chiesa, poi l’amicizia. 7 nomination ma un solo Oscar per E. Anhalt che riscrisse con sagacia il noto dramma di J. Anouilh. Teatro in scatola con un superbo duetto di protagonisti. Tutti gli altri ok. Accurata la scenografia.
Nella Scozia del XIII secolo, vessata dagli inglesi, William Wallace (1267-1305), al quale hanno ucciso la moglie, si mette a capo di un gruppo di disperati ribelli, li trasforma in esercito, batte gli inglesi a Stirling (1297), conquista la stima della regina Isabella, prosegue la guerriglia, è sconfitto a Falkirk (1304), abbandonato dai nobili passati al re Edoardo I finché è preso e giustiziato. Idealmente diviso in 3 parti (adolescenza, prime prove di coraggio e dolori di Wallace; le battaglie; i conti con la Storia), è un filmone epico che punta sullo spettacolo, su grandi temi popolari (la lotta per la libertà e la giustizia), sui luoghi canonici del genere. Vale soprattutto per le battaglie che coniugano i quadri di Paolo Uccello con la tecnologia del cinema moderno. Successo internazionale e 5 Oscar: film, regia, fotografia (John Tull), effetti speciali sonori e trucco. 1700 comparse e interminabili titoli di coda.
Un film di Fernando Cerchio, Viktor Tourjansky. Con Belina Lee, Jacques Sernas, Massimo Girotti, Maria Frau, Luigi Tosi.Storico, durata 68 min. – Italia 1958.MYMONETRO La venere di Cheronea valutazione media: 1,00 su 1 recensione. Il capitano macedone Luciano, durante la guerra contro la Grecia, scatenata da Filippo il Macedone per la conquista di nuove terre, viene ferito. Soccorso dalla modella dello scultore Prassitele, Iride, splendida come la dea della bellezza (infatti posa per una statua di Venere), il militare si innamorerà perdutamente di lei, ma la loro relazione, scoperta dal geloso scultore, verrà da lui ostacolata con ogni mezzo possibile. Da un soggetto e una sceneggiatura scritta a quattro mani da Damiano Damiani e Federico Zardi, questo classico peplum si snoda – senza particolari qualità – fra passioni e battaglie, raccontandoci questo triangolo avanti Cristo, in uno scenario confuso e approssimativo che non stupisce affatto né per trama, né per notevoli doti registiche. Massimo Girotti, nella parte dello scultore geloso, non è certo al suo meglio, mentre è bellissima ed esperta come sempre l’attrice sassarese Maria Frau in un ruolo di contorno.
È la presunta cronaca del volo United 93 che il mattino dell’11-9-2001, partito alle 8.42 con 42 minuti di ritardo da Newark per San Francisco, fu l’unico dei quattro a non colpire il bersaglio previsto (Washington). Era un Boeing 757 con 7 membri di equipaggio e 37 passeggeri. “Furono i primi ad abitare il mondo del dopo 11 settembre” (P. Greengrass). Gli unici in volo a intuire quello che stava accadendo. Alle 9.57 un gruppo di passeggeri attaccò i quattro dirottatori. Sei minuti dopo l’aereo si schiantò in aperta campagna, vicino a Shanksville (Pennsylvania). Scritto e diretto da Greengrass, documentarista inglese, Orso d’oro a Berlino per Bloody Sunday . La riuscita di questo anomalo film, impregnato di angoscia e disperazione, scaturisce da una scelta etica che coincide con un coerente impegno stilistico: rifiuto delle convenzioni spettacolari del thriller, del divismo, della psicologia, della retorica dei “casi umani”. Interpreti sconosciuti, tra cui piloti, hostess, controllori di volo. Emergono di una testa solo 2 figure: Jarrah (Khalid Abdallah), tormentato capo e pilota dei fanatici dirottatori, e Ben Sliney che fa sé stesso come comandante della Federal Aviation Administration di Hendon. L’inglese Martin Amis ha citato il suo compatriota poeta Philip Larkin: “a riprova che è quasi vero / quel che sappiamo quasi per istinto: / di noi sopravviverà solo l’amore”. Quel “ti amo” che molti personaggi dicono al cellulare prima di morire.
La “domenica di sangue” si svolse a Derry, nell’Irlanda del Nord (ribattezzata Londonderry dagli inglesi), il 30-1-1972 quando, durante una marcia di 10 000 cittadini per i diritti civili, 13 manifestanti inermi furono uccisi (e 14 feriti) dai paracadutisti britannici che facevano parte dei 3000, tra soldati e poliziotti, schierati per stroncare la manifestazione. Prodotto da Mark Redhead, scritto e diretto da P. Greengrass, basato sul libro Eyewitness Bloody Sunday (1998) di Don Mullan, testimone dei fatti a 15 anni. Girato quasi interamente con la cinepresa a spalla (fotografia: Ivan Strasburg), è un ottimo esempio di cinegiornalismo ricostruito, sostenuto da una passione morale, un film corale popolato da figure che non sono soltanto funzioni narrative, ma personaggi concreti e complessi. La mobile cinepresa non ne registra soltanto gesti e comportamenti, ma le idee e i sentimenti che le muovono. Orso d’oro a Berlino ex aequo con La città incantata di H. Miyazaki.
Il 18-5-1814 Napoleone Bonaparte, esiliato, sbarca sull’Isola d’Elba. Tra chi non lo festeggia c’è Martino Papucci, maestro di scuola di idee libertarie, che lo odia e medita di ucciderlo. Da lui assunto come scrivano, scopre che è diverso dall’idea che se ne era fatto: è un uomo solo e persino fragile e insicuro. Scritto con Furio e Giacomo Scarpelli e Francesco Bruni dal romanzo N (2000) di Ernesto Ferrero con l’intento di applicare i dispositivi della commedia italiana a un film storico, mescolando umorismo e dramma in chiave popolare(sca), il tentativo è parzialmente riuscito. Momenti convincenti sul versante “serio” su Napoleone, grazie anche alle doti recitative di Auteuil, convenzionale la descrizione della famiglia Papucci, nonostante il ribaltamento finale dei ruoli tra i due fratelli. Tra i personaggi di contorno un Ceccherini meno abituale e una Bellucci più brava del solito. A torto trascurato dal pubblico.
Dodici anni di regime nazionalsocialista riassunti, dopo un prologo nel ’42, in dodici giorni, dal 20 aprile, 56° compleanno di Hitler, al 2 maggio 1945, giorno della resa tedesca. Scritto da Bernd Eichinger, dai libri La caduta: dentro il bunker di Hitler, Gli ultimi giorni del Terzo Reich di Joachim Fest e Fino all’ora finale di T. Junge e M. Müller. Il racconto è condotto in parte dal punto di vista di Junge, segretaria personale del Führer che sopravvisse all’incubo del bunker. Accanto a Hitler, la morte è la vera deuteragonista del 2° film tedesco sulla fine di Hitler dopo L’ultimo atto (1955). Tutto è già accaduto: alle spalle c’è la storia di 5 anni di guerra e orrori e quella personale di Hitler. Nella scena più angosciosa di uno spettacolo che forse non merita il titolo nobile di tragedia tant’è sprofondato nell’assurdo, Magda Göbbels narcotizza e avvelena a uno a uno i suoi sei figli. Le polemiche che in Germania hanno accolto il film (compreso un ottuso e fazioso attacco di Wim Wenders) perché avrebbe mostrato un Hitler “troppo umano” sono il frutto insensato di pregiudizi ideologici o di retroterra psicologici personali. Finale consolatorio e inverosimile. Fotografia: Rainer Klausmann. Scene: Bernd Lepel. Musica: Stephan Zacharias.
1594, San Miniato al Tedesco (Granducato di Toscana). Monna Gostanza da Libbiano (Pisa), anziana contadina che fa la levatrice e cura con erbe medicinali, è processata per stregoneria. Piegata da lunghi interrogatori e torture fisiche, s’immedesima nel personaggio, scatenandosi in stupefacenti fantasie finché interviene padre Castacciaro (Cerrato), vecchio inquisitore di Firenze che smonta uno per uno i suoi racconti. Mirabile film che chiude, dopo Il bacio di Giuda e Confortorio , il trittico dell’identità, del rapporto tra coscienza personale e potere dominante, delle strategie del dominio contro la resistenza dell’uomo. Basato sugli atti del processo e su un libro di Franco Cardini, frutto di una puntigliosa ricerca documentaria, è un film che, come e più dei precedenti del pisano Benvenuti, si pone nei paraggi di C.T. Dreyer e R. Bresson, sulla linea geometrica e implacabile del less is more dell’architetto Mies van der Rohe, alleggerita all’interno dalla beffarda affabulazione dell’eroina. Straordinaria Poli che s’è messa con dolente intensità in sintonia col personaggio. Bianconero di Aldo Di Marcantonio, costumi di Marta Scarlatti. Pardo d’oro a Locarno. Premio Casa Rossa a Bellaria.
È una miniserie del genere drammatico incentrata sulle vicende (1816–1828) del capo africano degli Zulu, Shaka, interpretato daHenry Cele. La serie è composta da 10 episodi della durata di circa 50 minuti ciascuno ed è basata sul romanzo omonimo di Joshua Sinclair.
The Gilded Age è una serie televisivastatunitense creata da Julian Fellowes e ambientata durante la Gilded Age degli Stati Uniti, nel decennio degli anni ’80 del 1800 a New York. Originariamente annunciata nel 2018 per NBC, nel maggio 2019 è stato comunicato il suo trasferimento su HBO.[1] La serie ha debuttato il 24 gennaio 2022
La trama ruota attorno a Marian Brook, figlia orfana di un generale sudista che va a vivere dalle zie a New York. Accompagnata dalla misteriosa Peggy Scott, una donna afro-americana travestita da domestica, la ragazza rimane coinvolta nelle allettanti vite della ricca famiglia che vive nella casa accanto alla sua, composta dal magnate delle ferrovie George Russell, dal figlio Larry e dall’ambiziosa moglie Bertha.
Dal 28 settembre al 1° ottobre 1943 il popolo napoletano sentì di avere davanti non soltanto i tedeschi del colonnello Scholl da buttar fuori, ma tutti gli oppressori stranieri del passato. Prodotto dalla Titanus, è un film corale dal ritmo largo che alterna belle pagine a ridondanze retoriche, mescolando con sagacia volti e casi privati con l’epopea collettiva. Il soggetto originale è di Vasco Pratolini. Qualche tarantella di troppo nella colonna musicale di C. Rustichelli. 3 Nastri d’argento: film (ex aequo con Salvatore Giuliano ), sceneggiatura, R. Bianchi.
A Kyoto nel 1865, nella Shinsengumi – milizia speciale istituita dal governo dello Shogun per contrastare i samurai favorevoli a un ritorno al potere dell’imperatore – viene reclutato Sozaburo Kano, giovane ed esperto schermidore di efebica bellezza, che innesca tra compagni e superiori appetiti omosessuali, rivalità, persino delitti. Da due racconti di Shinsengumi Keppuroku di Ryotaro Shiba, Oshima – inattivo nel cinema di fiction dal 1986 – ha tratto “insieme a Eyes Wide Shut il film più mortuario, cimiteriale degli ultimi anni” (A. Termenini) che riesce a essere, al tempo stesso, rituale e anarchico, geometrico e imperscrutabile, astratto e ironico; qua e là nella 2ª parte in bilico sull’estetismo, ma con un radicale rifiuto degli schemi e degli stereotipi del cinema asiatico.
Maggio, 1940. Sulla spiaggia di Dunkirk 400.000 soldati inglesi si ritrovano accerchiati dall’esercito tedesco. Colpiti da terra, da cielo e da mare, i britannici organizzano una rocambolesca operazione di ripiegamento. Il piano di evacuazione coinvolge anche le imbarcazioni civili, requisite per rimpatriare il contingente e continuare la guerra contro il Terzo Reich. L’impegno profuso dalle navi militari e dalle little ship assicura una “vittoria dentro la disfatta”. Vittoria capitale per l’avvenire e la promessa della futura liberazione del continente.
Melodramma in 2 parti, è la storia vera di Pu Yi che nacque (1906) imperatore e morì (1967) cittadino qualsiasi della Repubblica Popolare Cinese. Tragitto di un uomo dall’onnipotenza alla normalità, dal buio della nevrosi alla luce della quotidianità, ma anche parabola di un attore coatto, di qualcuno costretto – bambino dai compatrioti, adulto dai giapponesi invasori – a recitare una parte che, in fondo, gli piace. Cinema alla grande e talvolta grande cinema. Nella 1ª parte, la più operistica, bloccata nella Città Proibita di Pechino, il regista deve aggirare le trappole del colossal in costume, nella 2ª gli ostacoli rigidi della biografia. Il film più armonioso di B.B. e, forse, con Piccolo Buddha , il più accademico. La voce di Lone è di Giancarlo Giannini. 9 premi Oscar: film, regista, sceneggiatura (con Mark Peploe e Enzo Ungari, basata sulle memorie di Pu Yi e su quelle di Reginald Johnstone, il suo precettore scozzese), fotografia (V. Storaro), montaggio (G. Cristiani), musica (Ryuichi Sakamoto, David Byrne e Cong Su), scenografie (Ferdinando Scarfiotti, Osvaldo Desideri, Bruno Cesari), costumi (James Acheson), sonoro (Bill Rowe, Ivan Sharrock). César in Francia (miglior film straniero) e Globo d’oro a New York (miglior film dell’anno). Nel 1998 B.B. autorizzò una nuova versione di 219 minuti.
Rapinano banche, supermercati e benzinai, sono organizzati come terroristi ma compiono azioni che nessun criminale porterebbe a termine. Un giorno rubano cento milioni senza uccidere nessuno, il giorno dopo ammazzano un benzinaio per pochi soldi. Sono razzisti, crudeli e, soprattutto, imprevedibili. Il super pool di Bologna brancola nel buio. Una sola costante: questi delinquenti usano sempre una Uno bianca. I protagonisti sono due agenti di provincia (Kim Rossi Stuart e Dino Abbrescia), che, grazie all’intelligenza, all’intuizione e ad un lavoro capillare, riescono a mettersi sulle tracce della banda criminale. I due investigatori si troveranno in contrasto con dei loro superiori, cui devono rendere conto e per questo saranno obbligati a lavorare quasi di nascosto. Ma i sospettati non si tradiscono mai e questo costringe i nostri agenti alla mossa più rischiosa: infiltrarsi.
Assalito da incubi e allucinazioni, tormentato dai fantasmi delle sue numerose vittime che vengono a visitarlo, il vecchio re Ferdinando, soprannominato il “re nasone”, ma anche il “re mascalzone”, cerca di cancellare quelle spiacevoli presenze evocando i suoi ricordi più belli, quelli legati alla giovinezza. Cresciuto come uno scugnizzo, in nome della ragion di Stato Ferdinando si ritrova sposato alla bella Maria Carolina d’Austria dopo due matrimoni combinati e mancati con le figlie di Maria … [continua a leggere]Teresa d’Austria, morte entrambe di vaiolo.