Per festeggiare il fidanzamento tra Angelo, giovane borghese di Bologna, e Silvia, appartenente a una famiglia di contadini agiati di Porretta Terme, nel febbraio 1936 in un casolare dell’Appennino si svolge un pranzo di venti portate. Film ambizioso e maturo questo (16°) di Avati, affidato coralmente a una compagnia di 25 e più attori che recitano, benissimo, quasi sempre in presa diretta. Qualche inverosimiglianza. 2 Nastri d’argento (film, sceneggiatura), 1 Donatello e 1 Ciak.
Estate del 1959, nell’Oregon. Quattro ragazzini partono per un’escursione di cinquanta chilometri lungo la ferrovia, affrontando varie avventure e scoprendo il cadavere di un ragazzo scomparso giorni prima. Da un racconto (The Body, 1982) di Stephen King, sceneggiato da Raynold Gideon e Bruce A. Evans, nominati all’Oscar, uno dei film più belli sull’adolescenza degli anni ’80, nel miracoloso equilibrio della memoria tra sentimento e avventura. Sarebbe piaciuto a Truffaut. Bravissimi i quattro ragazzini. Fotografia stupenda di Thomas Del Ruth. Musica: Jack Nitzsche con la canzone “Lollipop”. Il titolo è lo stesso di una canzone di Ben E. King.
Due agenti americani, Austin ed Emmett, vengono spediti come esca in Afghanistan per sventare i piani del controspionaggio sovietico. Spy-story, commedia, avventure, episodi bellici, fantapolitica, fantascienza spaziale sono tirati in ballo dal genio demenziale di J. Landis, già autore di Blues Brothers. Non è un capolavoro, ma è intelligente, divertente e utile. Fanno brevi apparizioni i registi Michael Apted, Costa-Gavras, Joel Coen, Martin Brest, Bob Swaim, Terry Gilliam e il vecchio capo dei trucchi Ray Harryhausen.
Declino di una famiglia del latifondo toscano (Grosseto) che gestisce un’azienda agricola e in cui contano (e lavorano) soprattutto le donne. Grande film borghese che arricchisce il povero panorama del cinema italiano degli anni ’80 per il sapiente impasto di toni drammatici, umoristici e grotteschi, la splendida galleria di ritratti femminili, la continua oscillazione tra leggerezza e gravità, il modo con cui – senza forzature ideologiche – sviluppa il discorso sull’assenza, la debolezza, l’egoismo dei maschi. Scritto dal regista con Suso Cecchi D’Amico, Tullio Pinelli, Benvenuti e De Bernardi.
Fanatico di cinema arriva a Roma con l’ambizione di diventare un attore a tutti i costi. Dopo varie esperienze se ne tornerà al paese natio con le pive nel sacco. Il difetto sta nel manico: la sceneggiatura (B. Zapponi, Dino e Marco Risi) sembra tirata fuori da qualche cassetto dove giaceva dagli anni ’50. Ne soffrono anche i personaggi, tra i quali il più riuscito è quello di Maccione. Gassman, Tognazzi, Bouchet e Monicelli nel ruolo di sé stessi.
Un film di Semjon Aranovich, Aleksandr Sokurov. Titolo originale Al’tovaya Sonata: Dmitrij Shostakovich. Documentario, durata 80 min. – URSS 1989.
Il talentuoso regista indipendente russo Sokurov firma uno dei suoi primi documentari “a sfondo musicale”. È il turno del grande compositore sovietico Dmitrij Shostakovich (1906-1975), la cui vita viene raccontata, con un pizzico di quella piacevole grazia poetica che è un marchio di fabbrica dell’autore, in continuo contrasto con quello che era il Regime di Stalin. Dall’infanzia a San Pietroburgo, all’amicizia che lo legava agli altri compositori, dall’amore per la sua prima moglie alle difficoltà incontrate per farsi apprezzare dalla critica e dal pubblico, fino agli innumerevoli scontri artistici con la censura russa. Nonostante sia un documentario girato a quattro mani, la componente lirica e particolarmente soggettiva di Sokurov imperversa su tutta la pellicola, così come le note dell’ultima opera di Shostakovich (“Il naso”) e della “Sonata per viola” che dà appunto il titolo all’opera. Ciò che colpisce è la bravura del regista nel delineare la collisione fra un fragile Davide individuale e un mostruoso Golia burocratico e tirannico. Meritevole, anche se qua e là si sbadiglia.
Harry, un musicista, conosce Julie, una cameriera, e tra i due è subito colpo di fulmine. Dopo una giornata passata a conoscersi l’un l’altra Julie dà appuntamento ad Harry al termine del proprio turno di lavoro in una tavola calda poco dopo mezzanotte, ma a causa di un contrattempo il giovane si presenta sul posto con un notevole ritardo quando lei se n’è già andata. Poco dopo il suo arrivo, però, Harry sente squillare il telefono della cabina accanto al locale, ed incuriosito risponde; all’altro capo della linea sembra esserci un giovane soldato in servizio presso un sito di lancio in Nord Dakota che, non accorgendosi di aver sbagliato numero, informa quello che crede essere suo padre dell’imminente inizio di una guerra nucleare, questo prima di venire apparentemente ucciso dai suoi superiori per aver violato il protocollo di segretezza.
Michele, giovane regista alle prese con il film La mamma di Freud , detesta i dibattiti, la madre, i coetanei, la psicanalisi, i giochi televisivi e gli aspiranti registi. Il 3° film di Moretti ha un’aureola di successo dimezzato: mezzo Leone d’oro a Venezia, critica divisa, flebile successo di pubblico. Un po’ delirio, un po’ teorema, riuscito a metà, ma ricco di invenzioni e di intelligenza sarcastica.
Regia di Roger Donaldson. Un film con Kevin Costner, Gene Hackman, Sean Young, Will Patton, George Dzundza. Titolo originale: No Way Out. Genere: Thriller, Mistero, Drammatico. Paese: USA. Anno: 1987. Durata: 116 min. Consigliato a: Un pubblico adulto per la complessità della trama e le situazioni di tensione. Valutazione IMDb: 7.1.
Tom Farrell, un brillante ufficiale della Marina degli Stati Uniti, viene trasferito al Pentagono per lavorare come liaison del Segretario della Difesa, David Brice. Durante una serata mondana, Tom conosce la misteriosa e affascinante Susan Atwell, con cui inizia una relazione clandestina. Quando Susan viene trovata morta, uccisa accidentalmente da Brice durante una lite, il Segretario tenta di coprire l’omicidio inventando l’esistenza di una spia sovietica, “Yuri”, e incaricando proprio Farrell di trovarla. Tom si ritrova così in una caccia all’uomo disperata, cercando di depistare le indagini che potrebbero portarlo a smascherare Brice e, al contempo, a rivelare la sua relazione con la vittima.
“Senza Via di Scampo” è un thriller politico teso e avvincente, diretto con maestria da Roger Donaldson. Il film brilla per la sua sceneggiatura intricata e ricca di colpi di scena, culminando in un finale sorprendente e iconico che ha lasciato il segno nel genere. Le interpretazioni sono eccezionali: Kevin Costner è carismatico e credibile nel ruolo del protagonista intrappolato, mentre Gene Hackman offre una performance intensa e sfaccettata nei panni del potente Segretario. Il ritmo serrato e la costante sensazione di paranoia, amplificata dal setting claustrofobico del Pentagono, rendono il film un’esperienza coinvolgente e indimenticabile. È un classico del suo genere, capace di tenere lo spettatore con il fiato sospeso fino all’ultima rivelazione. finale.
Il giornalista Richard, americano, decide di andare con l’amico Rock in Salvador, dove la vita, secondo lui, è più piacevole. Ma qui le cose stanno ben diversamente: violenza, guerriglia e morte sono all’ordine del giorno. La destra è armata da Reagan. Mentre rischia di continuo la vita, Richard s’innamora di Maria, giovane donna con bambini. La situazione precipita dopo l’assassinio dell’arcivescovo Romero, corre altro sangue e sarà solo un sogno, quello di Richard (tornare in America con Maria).
Il decenne Krishna arriva da solo a Bombay e vive per la strada, come migliaia di altri bambini, guadagnandosi da vivere come portatore di tè o di pane e imparando la dura legge della metropoli. Ammirevole 1° film (premiato a Cannes con la Camera d’or) che, come ogni opera neorealistica seria, nasce da un meticoloso lavoro di ricerca e documentazione. Evita quasi sempre le trappole del patetico.
Nella sua casa su un’isola svedese l’anziano intellettuale Alexander festeggia con i familiari il suo compleanno quando arriva per televisione l’annuncio di una catastrofe misteriosa. Ritrovando le parole del Pater Noster, Alexander lo invoca, offrendogli tutto quel che ha pur che tutto ritorni come prima. Dà fuoco alla sua casa, rinuncia al figlioletto, si vota al silenzio, accetta di essere scambiato per un folle. Caso più unico che raro di film in forma di preghiera, è una parabola mistica sull’assenza di spiritualità nella nostra cultura occidentale, fondata sull’avere più che sull’essere, e un apologo metafisico sulla paura e la disperazione rimossa dell’apocalisse nucleare. È anche una variazione sul tema dell’uccisione del Padre, ossia della figura che di generazione in generazione dev’essere venerata e, insieme, sacrificata, come suggerisce l’immagine finale del bambino, figlio amatissimo di Alexander, sdraiato sotto un albero spoglio. Questo film sul silenzio ha un fascino sonoro pari, se non superiore, a quello visivo, affidato al cromatismo depurato di Svan Nykvist, operatore prediletto di Ingmar Bergman. Lento e austero come una cantata di Bach, l’ultimo di A. Tarkovskij è uno dei suoi film più limpidi, fondato su una drammaturgia semplice, persino didascalica, sebbene non vi manchino i nodi enigmatici né i personaggi misteriosi (la moglie Adelaide; il postino che cita Nietzsche; l’umile serva islandese Marie dai poteri benefici; il medico di famiglia), ciascuno dei quali è una porta attraverso la quale, a sua scelta, lo spettatore può entrare nel film e dargli la sua interpretazione.
Regia di John Landis. Un film con Dan Aykroyd, Eddie Murphy, Ralph Bellamy, Don Ameche, Jamie Lee Curtis. Titolo originale: Trading Places. Genere: Commedia. Paese: Stati Uniti d’America. Anno: 1983. Durata: 116 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.5/10.
“Una poltrona per due” racconta la storia di Louis Winthorpe III, un broker di successo di Wall Street, e Billy Ray Valentine, un senzatetto truffatore. Le loro vite si incrociano quando due anziani e ricchissimi fratelli, i duchi Randolph e Mortimer, decidono di fare una scommessa: scambiare le vite dei due uomini per vedere se l’ambiente e l’educazione determinano il successo o se la natura umana prevale. Così, Louis si ritrova senza un soldo e accusato di crimini che non ha commesso, mentre Billy Ray viene catapultato nel mondo dell’alta finanza, con esiti esilaranti e inaspettati.
Questa commedia è un classico intramontabile, un gioiello di satira sociale e umorismo che non ha perso un briciolo della sua efficacia nel tempo. La regia di John Landis è brillante nel bilanciare la critica sociale con la farsa slapstick, creando situazioni esilaranti e personaggi memorabili. La chimica tra Dan Aykroyd ed Eddie Murphy è a dir poco perfetta, con quest’ultimo che offre una delle sue performance più iconiche e divertenti. Il film, oltre a far ridere a crepapelle, offre uno spunto di riflessione sulle disparità sociali, sui pregiudizi e sull’avidità del mondo finanziario, il tutto incorniciato da un’atmosfera natalizia che lo ha reso un appuntamento fisso delle festività. “Una poltrona per due” è un esempio eccellente di come la commedia possa essere intelligente, mordace e profondamente divertente.
Uno psichiatra indaga con la polizia sulle misteriose uccisioni di alcuni bambini. Scopre che dietro c’è una setta di fanatici che fa sacrifici di “credenti” in tenera età. Lo psichiatra viene catturato e drogato dagli uomini della setta e quasi indotto a uccidere il proprio ragazzo. Ma per fortuna si riprende all’ultimo minuto.
Un film di Zhang Yimou. Con Gong Li, Wen Jiang Titolo originale Hong Gaoliang. Drammatico, durata 100′ min. – Cina . MYMONETRO Sorgo rosso valutazione media: 3,13 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Giovane povera è costretta a sposare un ricco e anziano distillatore affetto da lebbra. Dopo la morte violenta del marito, si risposa con un lavoratore che si comporta da prode quando negli anni ’30 i giapponesi invadono la Manciuria. Opera prima di un ex operatore e attore, vinse l’Orso d’oro a Berlino ’88. Sinfonia in rosso maggiore, è una saga campestre _ raffinata e insieme ingenua _ in cui la vita contadina ha scarti di violenza e risvolti avventurosi. Dalle prime 2 delle 5 parti del romanzo Hong gaoliang jiazu (1988) di Mo Yan che l’ha sceneggiato. Yimou s’impose a livello internazionale con i successivi Ju Dou, Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju.
Morto d’infarto da quattro giorni, Antony Zyro, avvocato difensore degli affiliati a Solidarno47 &3 (vittime della legge marziale del governo guidato dal generale Wojciech Jaruzelski) assiste non visto alle azioni della moglie Ursula, del figlio Jacek, degli avvocati che si occupano dell’operaio Dariusz, accusato di aver organizzato uno sciopero non autorizzato. 1° lungometraggio di Kieslowski scritto con Krzysztof Piesiewicz, suo coautore per Decalogo , e con le musiche di Zbigniew Preisner, è un amarissimo film di costruzione spiraliforme che cerca di coniugare un appassionato e dialettico impegno civile con una quieta tenerezza sul versante dei sentimenti e un’incursione nel territorio dello spirito. Com’è evidente nel personaggio della moglie e nel finale, qui la morte diventa “l’espressione concreta di ciò che è senza fine , e del fermarsi del tempo nell’eternità affettiva della memoria” (S. Murri). Sotto il segno di un onirismo funebre, è una storia d’amore attraversata dalla continua presenza di una casualità enigmatica, premonizioni, gesti fortuiti. In Polonia uscì nel 1986: fu attaccato dalla Chiesa cattolica per motivi etici, dal Partito e dall’opposizione per ragioni politiche.
Un uomo in fuga (Montefiori), inseguito da un prete (Purdom), si ferisce gravemente mentre cerca di scavalcare il cancello di una villa abitata da una ragazza semiparalitica, dal suo fratellino, dalla baby-sitter e da qualche domestico. Condotto in ospedale, i medici disperano di salvarlo, ma, incredibilmente, le ferite si rimarginano e l’uomo, uccisa un’infermiera, elude la sorveglianza. Il prete spiega alla polizia che l’assassino è uno psicopatico al quale, tempo prima in Grecia, uno scienziato ha inoculato un siero che rigenera le cellule: praticamente indistruttibile e immensamente forte, può essere annientato soltanto con una pallottola nel cervello.
Gaetano, napoletano timido, arriva a Firenze con un candidato al suicidio, si fa sedurre da una disinibita infermiera, scappa, ritorna. Si ritrova con un figlio che potrebbe essere non suo. Raro esempio di un film che ha messo d’accordo critica e pubblico. Quello di Troisi è uno degli esordi più folgoranti nel campo della nuova commedia italiana degli anni ’80. Vicino, come attore, a Eduardo più che a Peppino De Filippo o a Totò, Troisi combina felicemente nel suo agro umorismo ironia e tenerezza, condendolo con una fantasia nevronapoletana e invenzioni seicentesche. Il Seicento è un secolo partenopeo.
Regia di Wojciech Marczewski. Un film con Marek Kondrat, Ireneusz Kociol, Zygmunt Bielawski, Boguslaw Linda, Eleonora Gail. Titolo originale: Dreszcze. Genere: Drammatico. Paese: Polonia. Anno: 1981. Durata: 107 min. Consigliato a: Per un pubblico maturo. Valutazione IMDb: 7.6.
Ambientato nella Polonia del 1955, in pieno periodo stalinista, il film segue le vicende di Tomek, un adolescente sensibile e introverso. Dopo che suo padre viene arrestato dal regime, Tomek viene inviato in un campo estivo della Gioventù Pioniera, un’organizzazione paramilitare e ideologica creata per indottrinare i giovani ai principi del comunismo. In questo ambiente repressivo e surreale, dominato da un’educazione rigida, rituali collettivi e propaganda incessante, Tomek cerca di adattarsi e di comprendere il mondo che lo circonda. Il campo, con le sue dinamiche di potere, le amicizie forzate e le delusioni, diventa per il ragazzo un microcosmo della società polacca di quegli anni, un luogo dove l’innocenza si scontra con la dura realtà di un sistema totalitario.
“Dreszcze” (traducibile come “Brividi” o “Tremori”) è un film potente e doloroso, una straordinaria allegoria della Polonia sotto il giogo sovietico. Wojciech Marczewski dirige con maestria una narrazione che fonde l’esperienza personale di un’adolescenza rubata con la denuncia di un sistema oppressivo. Il film è una critica implacabile all’indottrinamento e alla manipolazione psicologica esercitata sui giovani, mostrando come il regime cercasse di plasmare le menti fin dalla tenera età. La regia è sobria ma efficace, capace di evocare un’atmosfera di costante disagio e claustrofobia. Le interpretazioni sono notevoli, in particolare quella di Marek Kondrat, che incarna la vulnerabilità e la disillusione di una generazione. Proibito per anni in Polonia dal regime comunista, “Dreszcze” è un documento storico e artistico di grande valore, che offre una prospettiva intima e profonda sulle cicatrici lasciate dal totalitarismo, meritando pienamente il suo posto tra i capolavori del cinema polacco e internazionale.
Non ho trovato subita in rete. gsubita sta per subita tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni. Non credo esista versione in italiano, almeno io non l’ho trovata.
Un giovane ricercatore inventa un siero fluorescente che riporta in vita i morti. Lo usa in modo dissennato. I resuscitati si trasformano in mostri assassini. Da un racconto di H.P. Lovecraft un cocktail trucido e geniale di horror, grottesco, sesso sfrenato e demenziale, gusto della trasgressione e della provocazione, Kitsch delirante. Grosso successo in USA nonostante il divieto ai minori di 18 anni. Scadente colonna sonora di Richard Band. 1° film di S. Gordon.