Ex campione di sci, vittima di un grave esaurimento nervoso, Jomar trova lavoro come addetto alle sciovie. È spinto da una notizia inattesa a uscire dall’apatia per un lungo viaggio solitario nelle innevate valli del Nord. Alcuni incontri bizzarri lo rappacificano con sé stesso e con la vita. Esordio nella fiction di un bravo documentarista con quello che egli stesso chiama un ” road movie fuoripista”, una commedia malinconica nella sua stravaganza (con pochi risvolti drammatici) che si chiude con un sobrio finale. Scritto da Erlend Loe con un garbo venato di ironico sarcasmo, esaltato da paesaggi suggestivi (fotografia: Philip Øgaard), il film ha partecipato al Panorama della 59ª Berlinale 2009, vincendo il premio Fipresci della stampa internazionale. Distribuito da Sacher.
Una ragazza polacca, Weronica, e una francese, Vèronique, pur non avendo nessun legame, sono uguali come gocce d’acqua, hanno lo stesso amore per la musica e la stessa malformazione al cuore. Per una misteriosa corrispondenza, la francese farà tesoro della tragica esperienza dell’altra.
Un bimbetto di dodici anni, in gita con la famiglia, sviene nel bosco e si sveglia otto anni dopo. Gli alieni lo avevano prelevato come campione di umano. Effetti speciali usati con cura, ma il sapore del déjà vu toglie la sorpresa e genera noia.
Un uomo misterioso si aggira per l’Argentina degli anni Sessanta. Parla tedesco e si interessa in modo particolare ad una ragazzina bionda con gli occhi azzurri e alle sue difficoltà a crescere in statura. Pur essendo un medico si offre come veterinario, e disegna su un quaderno animali (ma anche esseri umani) dettagliandone misure e proporzioni. Quell’uomo è il dottor Josef Mengele, fuggito in Argentina e inseguito dagli uomini del Mossad, che lo pedinano da anni senza riuscire ad acciuffarlo, perché Mengele è maestro nell’infiltrare le piccole comunità dove si nasconde, spesso con il sostegno di espatriati dalla Germania nazista ancora devoti al Fuhrer. The German Doctor – Wakolda, che ha partecipato al festival di Cannes 2013 nella sezione Un certain regard, ripercorre una delle tappe della fuga di Mengele. Il dottore avvicina una famiglia che ha legami con la scuola tedesca locale: la madre è vistosamente incinta; il padre, di origini italiane, costruisce bambole che sono pezzi unici; la figlia è la ragazzina bionda di cui sopra, troppo minuta per la sua età e desiderosa di crescere più in fretta. L’opera di seduzione di Mengele riguarderà tutti i componenti del nucleo famigliare facendo leva sul desiderio di “migliorare” la specie attraverso la ricerca genetica. The German Doctor – Wakolda è un horror senza babau, perché anche il protagonista rivela sempre e solo la sua faccia più “normale”: ma è proprio questo a renderlo agghiacciante.
Lucía Puenzo, figlia di quel Luis che vinse l’Oscar con La storia ufficiale, mantiene un controllo saldo sulla storia evitando ogni sensazionalismo e creando un’atmosfera ipnotica reminescente di quella che sapeva suscitare il vero medico di Auschwitz. La sua è la seduzione (e la banalità) del Male, e Puenzo ci mostra come nessuno ne sia immune. Il miraggio dell’eugenetica inseguito da Mengele attraverso gli esperimenti umani sia nei campi di concentramento che durante la sua fuga in Sud America si fonde con quel desiderio di omologazione, ancora oggi ben presente, che mira ad annientare l’unicità degli individui in favore di uno standard di perfezione seriale. The German Doctor – Wakolda sembra una favola nera dei fratelli Grimm, ma l’orrore scaturisce dalla consapevolezza che un personaggio come Mengele è davvero esistito e che mostri come lui si aggirano ancora fra noi. Lucia Puenzo avanza anche una critica sottile al suo popolo che ha accolto gli ex criminali nazisti senza porsi troppe domande, spesso diventando complice della loro fuga dalla giustizia. E guarda allo spettatore dicendo: Che cosa avreste fatto voi? Che cosa fareste, se succedesse ancora?
Viktor ha due amici, Arnor e Roger, e un idolo, il fratello Ole Kristian, detto OK, il miglior giocatore di hockey della zona. Un giorno Ok si rompe un braccio e quando torna a casa dall’ospedale non sembra piú lo stesso. Viktor. Dopo aver scoperto che suo fratello è gravemente malato e che è figlio di un amico di famiglia con il quale la madre ha avuto una breve avventura, si troverà ad affrontare una serie di situazioni difficili.
Thelma ha ricevuto un’educazione rigidamente cristiana: quando finalmente si affaccia al mondo degli uomini l’impatto è complicato. Dopo aver subito una violenta crisi, apparentemente epilettica, Thelma è avvicinata dalla bella e spigliata Anja, che la aiuta a integrarsi con i propri coetanei. L’approdo al soprannaturale non corrisponde a un mutamento di pelle per Joachim Trier. Benché Thelma mostri abbastanza presto che qualcosa di strano si nasconde sotto le pagine della sceneggiatura, i temi rimangono quelli cari al regista norvegese. A partire dalla difficile adolescenza e altrettanto ardua integrazione nella società di Thelma, cresciuta in un isolamento tale da rendere ogni approccio con altri esseri umani un azzardo, basato su un fragile equilibrio.
Una coppia di impresari americani viene scortata dalle forze militari in una perlustrazione per le gole del deserto dell’Afghanistan, finché un talebano nascosto in un antro fa fuoco sul gruppo. Impaurito, l’assassino fugge per il deserto finché non viene catturato e rinchiuso in un carcere militare dove subisce torture e viene interrogato come possibile terrorista. Impossibilitato da una temporanea sordità a rispondere a qualsiasi domanda, viene inviato in un campo di prigionia.
The Bothersome Man è un film di genere Commedia, Drammatico, Giallo del 2006 diretto da Jens Lien con Trond Fausa Aurvaag e Petronella Barker. Durata: 95 min. Paese di produzione: Islanda, Norvegia.
Il quarantenne Andreas, senza ricordare come, arriva in autobus in una città sconosciuta. Gli viene offerto un lavoro, una casa e anche una donna. Ma presto si rende conto che c’è qualcosa di strano e cercherà di fuggire.
Oslo. Nisha ha sedici anni e una doppia vita. In famiglia è una perfetta figlia di pachistani. Fuori casa è una normale ragazza norvegese. Quando però il padre la sorprende in casa di notte in compagnia del suo ragazzo i genitori e il fratello si organizzano per portarla, contro la sua volontà, in Pakistan affidandola a una zia. In un Paese che non ha mai conosciuto Nisha è costretta ad adattarsi alla cultura da cui provengono suo padre e sua madre. Ci sono due modi per avvicinarsi a questo film. Uno è sbagliato e l’altro è corretto. Quello sbagliato potrebbe leggerlo come l’ennesimo attacco contro chi ha una cultura diversa finalizzato a sottolinearne solo i tratti più che negativi. Quello corretto trae origine dal sapere che la regista (nata nel 1976) all’età di 14 anni è stata rapita dai suoi familiari e lasciata in Pakistan per un anno mezzo solo perché aveva soprattutto amici norvegesi e non voleva piegarsi all’idea di non potersi comportare come loro.
Nils guida lo spazzaneve in Norvegia, ha molto lavoro, è un uomo tranquillo e un cittadino esemplare. Quando suo figlio Ingvar, ormai adulto, è trovato morto, la polizia chiude il caso come overdose. Nils si improvvisa detective, scopre che c’è del marcio e risale la filiera malavitosa a partire da chi ha ucciso suo figlio per errore, sino ai boss locali: un indigeno vegano, nevrotico e violento, e un serbo della vecchia guardia. Incosciente e fortunato, Nils scatena una piccola guerra. Il tema del giustiziere da noir nordico è stemperato con battute su welfare e clima, sull’ottima assistenza dei carcerati in Norvegia e soprattutto dai siparietti che scandiscono i morti (e sono molti) con nome, soprannome e religione. Skarsgård convincente nei panni di Nils, mentre Ganz appare a suo agio nel cesellare il vecchio, anacronistico serbo Papa. Distribuito da Teodora Film.
Boas, undici anni, vive in un villaggio sulla costa del Mar del Nord. Gli abitanti del villaggio credono che gli spiriti maligni siano responsabili del duro inverno: i pescatori non possono andare in mare e le provviste sono quasi esaurite. Boas vede una strana creatura tra la neve e, credendo si tratti di un demone, avverte gli uomini del villaggio. I colpi di fucile della caccia provocano una valanga che intrappola Boas sotto la neve. Sarà proprio la “creatura” a salvarlo, rivelandosi un bambino dalla pelle scura.
Isabelle, morta in un incidente, è stata una celebre fotoreporter di guerra. Il suo editore le dedica una mostra e un noto giornalista, collega di passati reportage, sta per scrivere un articolo su una verità che il marito di Isabelle non ha mai voluto raccontare al figlio minore, Conrad, adolescente introverso e ostile. Il figlio maggiore, Jonah, è appena diventato padre, torna nella casa di famiglia per sistemare l’archivio della madre. Più forte delle bombe (traduzione del titolo originale): lo sono i dolori luttuosi e le relazioni tra i 3 protagonisti, padre e 2 figli, che devono fare i conti con la morte della donna centro delle loro vite, in un momento di accentuato disagio e cambiamento. Un film che, attraverso il linguaggio del flashback, in cui compare Isabelle, analizza il rimpianto e la perdita attraverso chi sopravvive. 1° film in lingua inglese del norvegese Trier, pecca nell’uso di troppi cliché formali che lo rendono poco attraente. L’ottimo cast, da parte sua, conferisce eleganza alla storia. Degna di nota la morbida colonna sonora di Ola Fløttum.
Dopo aver perso la vista, Ingrid si rinchiude tra le mura della sua casa dove si sente al sicuro e protetta dal marito. Ma presto i fantasmi nascosti della donna verranno fuori in modi che non avrebbe mai pensato.
Anna vive con suo padre Karl in una landa desolata nel nord della Norvegia. Karl ha annegato sua moglie ed il suo neonato figlio di colore nel mare appena ha scoperto che lei le è stata infedele. Per questo Karl è ossessionato dalla sua coscienza per ciò che ha fatto e annega i suoi pensieri nell’alcool. Anna sta cercando l’amore della sua vita, ma non ci sono molti pretendenti attorno a lei, fino a che non scopre un’altra piccola famiglia dall’altro lato della montagna. Incontra così la vedova alcolizzata coetanea di Karl, suo figlio Peder, e il figlio adottivo, Ante, arrivato dal mare su di un pezzo di legno.
Henry Chinaski lavora malvolentieri, cambiando spesso mestiere per concedersi quel che gli piace: bere, scommettere sui cavalli, insultare i datori di lavoro, attaccare risse, rimorchiare donne allo sbando come lui, ma soprattutto scrivere poesie e racconti che nessuno gli pubblica. Scritto dal regista di origine norvegese con il produttore Jim Stark, s’ispira al romanzo omonimo (1975), con brani di altri libri, dello scrittore statunitense Charles Bukowski (Chinaski è un suo alter ego). “Hamer ha scelto di metterlo in immagini, privilegiando il malessere di uno scorticato vivo, le sue illuminazioni poetiche, le note esistenziali” (J.-L. Douin). Ne sfoltisce la coprolalia, sottolinea la sua solitudine, il senso romantico della sofferenza, il gusto della derisione. In Dillon ha trovato – e guidato – un Chinaski/Bukowski convincente che fa buon uso persino delle ridondanze da Actors’ Studio.
Marie lavora presso lo Justervesenet, l’ufficio norvegese dei pesi e delle misure, insieme al padre Ernst. Mentre è alle prese con le macerie della propria vita sentimentale, la trentacinquenne viene incaricata di recarsi a Parigi – portando con sé il prezioso campione del chilogrammo norvegese – per rappresentare il suo paese al seminario sull’esatta determinazione del peso. Nella capitale francese, tra i delegati di tutto il mondo, conoscerà Pi, un collega che forse la aiuterà ad assegnare le giuste misure alle cose della vita. Il cinema del norvegese Bent Hamer, non un Kaurismäki in minore come si scrive spesso, è abitato da personaggi incapaci di uscire dal proprio disagio esistenziale, fotografati nella loro inadeguatezza di rapportarsi col mondo e con il prossimo. Anche Kitchen Stories – Racconti di cucina, il film che l’ha rivelato dopo Eggs e En dag til i solen, orbitava sulla solitudine e la mancanza di scopo, a partire da un surreale esperimento pseudo-scientifico che aveva il fine di monitorare i movimenti quotidiani nello spazio delle cucine degli scapoli di una certa età. In 1001 grammi l’esperimento, per così dire, è quello che, in seguito ad alcuni eventi, porta avanti la solitaria e metodica Marie.
Reykiavik 101 è il microcosmo sociale in cui vive Hlynus. Il giovane si rifiuta di superare i confini del mondo che si è costruito perché non vuole affrontare l’età adulta. Una bizzarra situazione lo costringerà a venire a patti con la realtà: Lola, la donna con cui ha avuto una relazione, è ora l’amante di sua madre ma aspetta un bambino da lui.
Un film di Peter Flinth. Con Joakim Nätterqvist, Sofia Helin, Bill Skarsgård, Simon Callow, Bibi Andersson. Titolo originale Arn – Tempelriddaren. Azione, durata 139 min. – Gran Bretagna, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Germania 2007.
Sopravvissuto a una malattia gravissima, il piccolo Arn Magnusson viene inviato dai genitori in un monastero come ringraziamento a Dio per avergli salvato la vita. Addestrato all’arte del combattimento, Arn diventa cavaliere dell’ordine dei Templari. View full article »
Un film di Baltasar Kormákur. Con Gunnar Eyjólfsson, Hilmir Snær Guðnason, Hélène De Fougerolles, Kristbjörg Kjeld Titolo originale Hafid (The Sea). Drammatico, durata 109 min. – Norvegia 2002. MYMONETRO Il mare [2] valutazione media: 2,25 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
In uno sperduto villaggio islandese i vecchi pescatori stanno cedendo il passo alle multinazionali per lo sfruttamento del fondale marino. Thordur, vecchio patriarca di una delle compagnie locali, rifiuta di arrendersi.Il regista è famoso in patria in ambito teatrale.Qui mescola con mestiere malinconia e umorismo ‘nordici’. View full article »