Ulisse torna ad Itaca e trova una situazione in bilico: la residenza del re è circondata dai proci che vorrebbero sposare la regina per impossessarsi del trono, e Penelope prende tempo tessendo di giorno una tela che di notte disfa. Suo figlio Telemaco, convinto che il padre non tornerà ad Itaca e che abbia altrove un’altra donna e un’altra famiglia, vorrebbe che la madre scegliesse un pretendente e ponesse fine all’assedio dei proci. Ma Penelope è devota al marito, anche se le attenzioni di Antinoo, l’unico pretendente che sembra davvero innamorato di lei, non le sono del tutto indifferenti. Ulisse si traveste da mendicante per entrare nel palazzo reale e viene deriso dai proci e osteggiato dal figlio. Ma sarà lui a dire l’ultima parola, ristabilendo l’ordine non solo nel regno, ma anche nella propria famiglia.
L’agente K è un blade runner della polizia di Los Angeles, nell’anno 2049. Sono passati trent’anni da quando Deckart faceva il suo lavoro. I replicanti della Tyrell sono stati messi fuori legge, ma poi è arrivato Niander Wallace e ha convinto il mondo con nuovi “lavori in pelle”: perfetti, senza limiti di longevità e soprattutto obbedienti. K è sulle tracce di un vecchio Nexus quando scopre qualcosa che potrebbe cambiare tutte le conoscenze finora acquisite sui replicanti, e dunque cambiare il mondo. Per esserne certo, però, dovrà andare fino in fondo. Come in ogni noir che si rispetti dovrà, ad un certo punto, consegnare pistola e distintivo e fare i conti da solo con il proprio passato.Ed è certamente sul piano visivo, e delle scelte operate in questo senso, che il film di Villeneuve trova la propria originalità costitutiva: quella di un ibrido tra blockbuster e film personale, specie nella gestione del tempo, che il canadese sottrae alle logiche di mercato e fa proprio nel bene e nel male, lungaggini comprese. Il disordine e la spazzatura della L.A. Del 2019 sono un ricordo lontano: ora tutto è ordine, K stesso, come gli ricorda il suo capo, è pagato per mantenere l’ordine. Ma non è facile assolvere questo compito quando i ricordi d’infanzia si mescolano agli interrogativi metafisici, proprio come in “Fuoco pallido”, il romanzo di Nabokov che torna a più riprese. Non è facile quando, come nell’archetipo di ogni detection contemporanea, la tragedia di Edipo, cacciatore e cacciato sono la stessa persona. Dice tante cose, il film di Villeneuve, forse troppe, d’altronde fa parte di un processo di espansione, di creazione di un universo Blade Runner. E di certo non le dice sempre nel migliore dei modi: non ha l’asciuttezza dell’originale, stordisce di spiegazioni, arriva persino in ritardo sulle intuizioni dello spettatore, ma la forza interna del racconto, la materia di cui è fatto, è così potente che trascina oltre, come una corrente.
In Germania, a Wisborg, nel 1838, Thomas Hutter, novello sposo della bellissima Ellen, viene inviato dall’agenzia immobiliare per cui lavora, in una remota residenza dei Carpazi. Appena arrivato nella regione è tormentato da incubi e assiste a barbariche pratiche locali, inoltre a portarlo nel castello del conte Orlock arriva una carrozza misteriosamente senza cocchiere. Il conte pretende che lui firmi un contratto in una lingua antica e incomprensibile. Solo troppo tardi Hutter ne scopre la natura di non-morto ma, incapace di contrastarlo, si rifugia nella propria camera. Quando la creatura lascia il maniero per la città, per avvicinarsi a Ellen dalla quale è ossessionato già dall’adolescenza di lei, Hutter rischierà la vita pur di fuggire. Nel mentre Orlock ha scatenato una pestilenza a Wisborg, che gli permette di agire indisturbato. Darà a Ellen tre giorni di tempo per cedere alla sua mortale corte.
Remake dell’omonimo capolavoro di Murnau del 1922, Nosferatu – già rifatto da Herzog avvicinandolo però al romanticismo del Dracula di Stoker – il film di Eggers torna alla variante più animalesca del vampiro, rileggendone il mito in una chiava sottilmente femminista.
A prima vista potrebbe sembrare che Ellen sia la causa stessa dell’arrivo della mortifera presenza in città perché, come vediamo nel prologo e come poi viene ribadito dallo stesso Nosferatu, è stato il suo desiderio a risvegliare il non-morto e attirarlo a Wisburg. D’altra parte quel desiderio non è che il riemergere di una repressione sociale, di qualcosa che viene costantemente negato e punito. Persino quando Ellen manifesta evidenti problemi il dottor Sievers, che pure è un personaggio con diversi tratti positivi, non può esimersi dal consigliare un corsetto più stretto. Quella che può allora sembrare un contraddizione inconciliabile tra la natura di sirena e di santa di Ellen, è in realtà lo specchio di una femminilità in sé positiva e potente, tanto da sconfiggere il mostro, ma afflitta dalla condizione che la società impone. Del resto il tema era questo anche nel film d’esordio di Eggers, The Witch: anche se là il finale andava in una direzione diversa, la scaturigine di un pericolo femmineo era nella condizione femminile.
Servissero altri esempi basterebbe dire che se pur Ellen aveva sognato il vampiro durante la pubertà, entrando in contatto con lui, quegli incubi erano poi tornati sotto controllo e il pericolo ritorna solo quando suo marito decide di ignorarla e lasciarla a casa – va detto che è un uomo affettuoso e lo farà controvoglia, a sua volta vittima di condizioni sociali che cerca di migliorare. C’è poi anche una prospettiva formale molto chiara nel film: il desiderio è invincibile quando confinato nell’ombra, nella notte, quando dunque viene costretto in una sfera repressa, mentre è solo accettandolo e portandolo alla luce che cessa di essere un pericolo. Una lettura che viene rinforzata dal personaggio di Willem Dafoe, corrispettivo del Van Helsing di Bram Stoker ma piegato verso un esoterismo più visionario. Questi dice a Ellen che in altri tempi sarebbe stata una sacerdotessa di Iside, una figura venerabile per le sue doti spirituali e non obbligata a restare a casa a figliare.
Bella, ricca e sofisticata porta lo scompiglio nella vita di un torero che per lei trascura moglie e corrida. Poi lei si stanca. Lui, disperato, cerca di riconquistarla. 2ª versione del romanzo (1908) di Vicente Blasco Ibáñez (dopo quella con Rodolfo Valentino del 1922). È il film che segnò il successo di R. Hayworth in un’indimenticabile interpretazione. Brillante regia, fotografia di Ernest Palmer e Ray Rennahan ispirata alla pittura spagnola che vinse un Oscar. Rifatto nel 1989 come Ossessione d’amore con Sharon Stone.
Ex cronista sportivo si fa coinvolgere in un’impresa disonesta da un’organizzatore per lanciare un pugile con una serie di incontri combinati. Poi si pente. Ultimo film interpretato da H. Bogart (1899-1957) che aveva già firmato per girare The God Shepherd, ma non ebbe il tempo di farlo. Un quadro realistico dell’ambiente pugilistico senza concessioni sentimentali e romantiche. Sceneggiato da Philip Yordan sulla base di un romanzo di Budd Schulberg, liberamente ispirato alla vita di Primo Carnera.
Alla ricerca dell’uccisore della sua fidanzata, cowboy capita al “Mulino d’oro”, quartier generale di una banda capeggiata da un giocatore di professione e dalla cantante Ambra. Girato a basso costo, fondali ed esterni di cartapesta esibiti nella loro falsità, rozzo Technicolor RKO, è uno dei più fascinosi film del Lang americano, impregnato di un romanticismo struggente sui temi della ruota, del destino, della colpa, intorno alla figura mitica di Marlene. Western barocco da mettere vicino a Johnny Guitar (1953). Scritto da Daniel Taradash.
Demetan è un giovane ranocchio proveniente da una famiglia povera (vive assieme ai suoi genitori, il padre fa il giocattolaio), al punto da non potersi neppure permettere di andare a scuola, e per questo è automaticamente un emarginato all’interno della comunità. Tuttavia fa amicizia con una graziosa ranocchietta, popolare e molto dolce, di famiglia ricca di nome Ranatan; questo nonostante la differenza del loro status sociale.
Ovviamente il padre della ranocchia, che è anche il sindaco del villaggio delle rane dello stagno, non si trova per nulla d’accordo riguardo al fatto che la figlia frequenti in modo così assiduo Demetan e cerca in tutti i modi di ostacolar tale relazione. Pian piano, però, la loro amicizia trascenderà tutte le difficoltà, e avrà la meglio sui pregiudizi non solo del padre di Ranatan, ma anche dell’intera comunità dello stagno in cui vivono.
Insieme i due vivranno numerose avventure, imparando molto sull’amore, sull’odio e sull’invidia. Le storie sono spesso tristi, al limite del sadismo, con Demetan che deve fare i conti con predatori naturali (il pesce gatto) o difendersi dai bulli che dominano lo stagno.
The Shield è una serie televisivastatunitense di genere poliziesco creata nel 2002, che tratta delle vicissitudini di un gruppo di agenti di polizia nella città di Los Angeles.Ideato e prodotto da Shawn Ryan, la serie narra di un distretto di polizia di un immaginario quartiere malfamato di Los Angeles, Farmington (riconducibile al distretto di Rampart), dove la giustizia deve fare quotidianamente i conti con la violenza, la corruzione e la mancanza di risorse.Il primo episodio della serie andò in onda negli USA il 12 marzo 2002.
Il protagonista, Vic Mackey, capo della squadra di assalto è un detective che ottiene quasi sempre ciò che vuole; votato in un certo senso alla giustizia, ma dai modi violenti, bugiardo, corrotto ed incline alle azioni criminali.Una sua scelta è di venire spesso a patti con la malavita, talvolta non per scopi criminali, ma per trovare un equilibrio di potere ed evitare inutili spargimenti di sangue nelle strade del quartiere; altre volte, invece, lo fa proprio per guadagno personale (anche se principalmente destina il “bottino” ai tre figli, di cui due autistici e che richiedono scuole e cure costose). Questo comportamento ambiguo gli procura incessanti attriti con i colleghi e soprattutto con i superiori. Per colpa delle loro azioni le vite dei quattro membri della squadra di assalto finiscono per scontrarsi con un destino sempre più duro.
La serie è ambientata nella fittizia cittadina montana di Twin Peaks situata nello Stato di Washington, a cinque miglia dal confine tra Stati Uniti e Canada[1]. L’apparente tranquillità di questo piccolo paese degli Stati Uniti d’America viene turbata dal ritrovamento del cadavere di Laura Palmer, figlia unica del noto avvocato Leland, nonché una delle ragazze più popolari della città. Le indagini sono affidate alla locale polizia e anche all’agente speciale Dale Cooper dell’FBI E permettono di far affiorare il lato oscuro e nascosto del luogo e dei suoi abitanti.
Jack Malik è un musicista di scarso successo. In lui crede solo Ellie, manager, amica e forse qualcosa in più, benché inespresso. Finché una sera, dopo che ha deciso di smettere con la musica e cercare un lavoro più regolare, Jack ha un incidente e perde coscienza durante un blackout planetario. Quando si sveglia, scopre che il mondo è stato privato delle canzoni dei Beatles e che lui è rimasto il solo a ricordarle.
1857. Nelle terre selvagge e in guerra dello Utah- un crocevia di conflitti territoriali, tensioni religiose e lotte per la sopravvivenza – si sviluppano le vicende di diversi personaggi impegnati a fronteggiare una realtà crudele e implacabile. Sara Rowell (Betty Gilpin) è una madre in fuga con il giovane figlio Devin (Preston Mota) e, per raggiungere la salvezza, si affida al solitario e tormentato Isaac Reed (Taylor Kitsch), che la guida in un pericoloso viaggio attraverso le montagne. Durante il cammino, Sara entra in contatto con gli altri protagonisti di un’epoca segnata da profonde contraddizioni, come Abish Pratt (Saura Lightfoot-Leon), una mormona fatta prigioniera dai nativi, e Brigham Young (Kim Coates), un leader religioso determinato a rafforzare il dominio della sua comunità.
Dietro American Primeval troviamo il regista Peter Berg (Cose molto cattive, Friday Night Lights, Hancock) e lo sceneggiatore Mark L. Smith, già ben noto per The Revenant, con cui la serie condivide un approccio viscerale e crudo alla rappresentazione della frontiera americana.
Interessante, nella serie prodotta per Netflix, è il suo realismo che sfocia, spesso, in crudeltà. Girata quasi interamente in esterni nel New Mexico, la serie sfrutta molto i suoi paesaggi mozzafiato proprio per sottolineare l’inospitalità dell’ambiente. La fotografia di Jacques Jouffret – noto per il suo lavoro in film che privilegiano un’estetica immersiva e dinamica, come nella serie The Purge – richiama un ambiente arido e privo di vitalità. L’uso massiccio di movimenti di macchina instabili contribuisce a creare un’atmosfera visiva caotica, che traduce efficacemente lo stato brado raccontato.
Taylor Kitsch incarna un eroe riluttante e segnato dalla vita, mentre Betty Gilpin dà vita a una protagonista complessa e intimamente sconvolta. Ma è Saura Lightfoot-Leon a emergere maggiormente, in un ruolo che è carico di significati culturali, incarnando ideologie e modi di vita contrastanti.
Come dicevamo, American Primeval già dal titolo mira a trasmettere una rappresentazione cruda ma non del tutto nuova del mito della frontiera, sicuramente lontana anni luce dall’idealismo western, ma appartenente a un processo di autoanalisi già da tempo avviato. Un processo che porta gli Stati Uniti a confrontarsi con le sue origini violente e contraddittorie, smascherando la retorica della conquista come fondamento dell’identità nazionale. La serie si concentra sull’idea di un’umanità al suo stato più brutale, mostrandone i pregiudizi, l’avidità e le paure, ma anche la resilienza, incarnata soprattutto dalla dinamica tra Sara e Isaac, che, inevitabilmente e un po’ pedissequamente, evolve in relazione romantica.
Falso barone e falsa contessa, ladri di gioielli, si fanno assumere da ricca signora parigina per un colpo grosso. Ma lui s’innamora della padrona da derubare. Una delle più deliziose commedie di Lubitsch, tutta giocata sul ritmo binario della ripetizione e della specularità. Nella sequenza veneziana in apertura la voce del gondoliere è di Enrico Caruso. Un capolavoro della frivolezza con interpreti infallibili. Scritto da Samson Raphaelson e Grover Jones dalla pièce teatrale The Honest Finder di Laszlo Aladar prima che entrasse in vigore il Production Code di autocensura: i dialoghi tra maschio e femmina sono impregnati di allusioni sessuali. E molti, molti letti. Morale conclusiva: Marshall deve scegliere se diventare un aristocratico ipocrita o essere fedele al suo mondo dove la disonestà è soltanto un lavoro, non un modo di vivere.
1999, Louisiana. In una casa di riposo, l’anziano Paul Edgecombe scoppia a piangere guardando il film Cappello a cilindro. Poco dopo, interrogato sul motivo da un’amica, Elaine Connelly, Paul inizia a narrarle dell’anno in cui conobbe John Coffey.
Nel 1935, due bambine figlie di un contadino erano state stuprate e uccise, e sul luogo del delitto era stato trovato e arrestato John Coffey, un afroamericano dall’imponente mole che, urlando, teneva i loro corpi tra le braccia. All’epoca, Paul Edgecombe era capo guardia carceraria nel braccio della morte della prigione di Cold Mountain. Il braccio era rinominato il miglio verde, a causa del colore del pavimento del corridoio che conduceva alla sedia elettrica. Assieme a Edgecombe lavoravano le guardie Brutus “Brutal” Howell, il giovane Dean Stanton, il più anziano Harry Terwilliger e il sadico Percy Wetmore, malsopportato per la sua indole violenta.
Da un romanzo di Stephen King.Il miglio verde è, in slang, il percorso dei condannati a morte. Soggetto che ha sempre un forte appeal cinematografico. A percorrerlo dovrà essere un gigantesco nero accusato dell’assassinio di due bambine (ma è innocente). L’uomo ha poteri quasi divini. Guarisce malati gravissimi e, in un caso, riporta alla vita un morto. La storia vive nella memoria del capo dei secondini (Hanks), che era stato a sua volta “miracolato” dal condannato. Tutto gira bene, del resto King ha spalle talmente robuste da sostenere anche qualche lentezza di troppo. Hanks, come sempre, è un protagonista credibile, appassionato e appassionante.
Prodotto (con Michael Nozik) e diretto (3ª regia) da Haggis, sceneggiatore emerito che qui ha riscritto (con poche differenze) il film francese Anything for Her ( Pour Elle , 2008) di Fred Cavayé con Vincent Lindon. La vita di John Brennan, docente d’inglese in una scuola media di Pittsburgh, è normale fin quando sua moglie Lara è condannata per omicidio. Soltanto lui crede nella sua innocenza. Lei, disperata, tenta il suicidio. Nonostante le scarse possibilità di riuscita e qualche errore, organizza evasione dal carcere e piano di fuga. Haggis rivela ancora il suo anticonformismo rispetto alle regole dell’ american way of life : gli alleati del protagonista sono un esperto di evasioni e il padre che gli cede una Colt; per nemici ha avvocati, istituzioni e fuorilegge “moderati”, preoccupati per il loro benessere.
Mario, un palermitano, killer della mafia emigrato a New York, è incaricato di tornare a casa per eliminare un alto magistrato. Le cose però non andranno come previsto. A casa Mario ritrova il fratello, onesto e buono, che ha bisogno del suo aiuto per liberare dalla prostituzione la ragazza che ama. Mario gli chiede in cambio di lavorare per lui, ma il poveretto non ce la fa e mette nei guai se stesso e il fratello. Apparentemente Mario riesce a sistemare tutto, ma la mafia non perdona e lo uccide a New York, nella sua pizzeria. Un altro film denuncia sulla mafia di Damiani (autore di Il giorno della civetta), anche se meno interessante e più “popolare”. Placido dà una bella prova.
C’è anche audio russo, non avevo voglia di ripparlo per toglierlo.
La scuola diretta da Karen e da Martha va incontro al fallimento dopo le calunnie lanciate contro le due insegnanti da una bambina maliziosa. Dopo un po’ di tempo la verità viene a galla, ma per Martha è troppo tardi. 2ª versione del dramma (1934) di Lillian Hellman, più fedele e franca della 1ª (La calunnia, 1935, con Merle Oberon e Miriam Hopkins), ma inerte. La bravura delle 2 protagoniste gira un po’ a vuoto
Investigatore privato assunto per rintracciare ragazza scappata di casa si reca in Florida ed è coinvolto in misterioso intrigo che fa capo a preziosa statuetta. Penn prende una detective story e, intrecciando due fili narrativi (l’investigazione e la vita privata dell’investigatore), la trasforma in un film nero di obliqua suggestione e di fascino malato. Hackman eccellente. Scritto da Alan Sharp.
Vincent, grafico pubblicitario e uomo mite, è aggredito in ufficio da uno stagista. Quello che assomiglia a un regolamento di conti assume presto contorni perturbanti, perché il giorno successivo un altro collega lo pugnala con una biro. È l’alba di un incubo e di aggressioni insensate che proseguono sulla via di casa. Attaccato senza motivo da chiunque incroci il suo cammino e il suo sguardo, Vincent lascia la città e si isola progressivamente in campagna. Un esilio costellato di incontri inaspettati: un clochard affetto dallo stesso inspiegabile disturbo, che lo invita a unirsi a un’oscura comunità online, la solare cameriera di un fast-food, contrappunto luminoso all’orrore e alla depressione dell’eroe, una bambina, un vicino, un cane…Tutti vogliono uccidere Vincent.
Dicembre 2004. Henry, Maria e i loro tre figli decidono di concedersi una vacanza natalizia lasciando il Giappone , dove lui lavora, per raggiungere la Thailandia. Anche se Henry ha qualche preoccupazione relativa al suo impiego il relax è totale. Fino a quando, la mattina del 26 uno tsunami di enormi proporzioni travolge tutto ciò che si trova di fronte. Maria viene trascinata via nella stessa direzione del figlio maggiore Lucas mentre Henry viene travolto mentre ha stretti a sé i due figli più piccoli.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.