Una coppia di intellettuali in crisi , lui regista impegnato, lei giornalista americana, è coinvolta nell’occupazione di una fabbrica di salumi dove si scontrano sindacalisti tradizionali ed estremisti. Curioso tentativo di fare un film marxista sulla lotta di classe con 2 star e una storia d’amore. Didascalico e schematico. Personaggi-simbolo alquanto facili e sessantotteschi. Senza grandi novità formali.
Una bella nubile eredita una fattoria. Un boss corteggia entrambe, ma la donna, aiutata da un vecchio, tiene duro. Poi arriva un giovane cowboy e si installa nella fattoria. Il boss diventa sempre più malvagio, fino a uccidere più volte, e viene punito come si merita. Così i due giovani possono finalmente vivere sereni.
Alla morte del padre un giovane decide di ritrovare la ragazza che ama. La rintraccia in una casa di tolleranza: al momento di portarla con sé scoppia una rissa durante la quale lei rimane uccisa. Un film che ebbe allora molto successo.
In occasione della “notte degli Oscar”, al Beverly Hills Hotel si svolgono le vicende parallele di 4 coppie. Allegro, burrascoso, divertente. 2 episodi _ Smith-Caine e Fonda-Alda _ sono ammirevoli, percorsi da un insolito brivido drammatico. Da pochade l’episodio Matthau-May. Tratto dalla commedia Plaza Suite (1968) di Neil Simon che l’ha anche adattata.
Tre trasposizioni da Edgar Allan Poe ad opera di altrettanti prestigiosi registi. Nell’episodio Metzengerstein, una lussuriosa castellana s’accende per un uomo che la rifiuta. Conseguenze tragiche. In William Wilson, un ufficialetto austriaco, cinico e sadico, è affrontato da un nemico che gli somiglia e ucciso. In Toby Dammit, un attore di cinema, a Roma per un western, ha continuamente un incubo.
Dal breve romanzo Ai cavalli si spara (1935) di Horace McCoy, pubblicato (1956) in Italia da Einaudi con Avrei dovuto restare a casa nel volume Le luci di Hollywood , e sceneggiato da James Poe e Robert E. Thompson. Nel 1932, durante la grande depressione, a Los Angeles si svolge una maratona di danza dov’è in palio un premio di 1500 dollari. Sagra di sadomasochismo, claustrofobica fino all’angoscia, impressionante ricostruzione d’epoca con dialoghi crepitanti, è una sola, grande metafora sull’America amara che si slarga ad allegoria sul destino. Ottimo gioco di squadra tra gli attori. Ebbe 6 nomination ai premi Oscar (regia, sceneggiatura, Fonda, York, musiche) e una statuetta a Young come attore non protagonista.
Storia d’amore tra un uomo, Sonny Steel, una donna, Hallie, e un cavallo bianco, Rising Star. Quando Sonny si accorge che il cavallo viene drogato per le esibizioni pubblicitarie, lo porta in una valle remota per dargli la libertà. Western moderno con struggente nostalgia del passato. È un tenero racconto in cui fa spicco la concretezza dell’azione e l’attenta psicologia dei personaggi. I due protagonisti servono il film come meglio non si potrebbe.
Da un romanzo di Horton Foote. Detenuto evaso raggiunge casa. Sua moglie e lo sceriffo locale cercano di convincerlo a costituirsi, ma i suoi concittadini gli danno una caccia feroce. Nonostante una certa enfasi melodrammatica e le interferenze del produttore Spiegel sul lavoro di A. Penn (soprattutto nel montaggio), il film, scritto da Lillian Hellman, è un dramma civile che taglia come un rasoio con un Brando massiccio, opaco e masochista e un Redford ancora in bozzolo.
Una delle fantastiche avventure della bionda eroina dei fumetti: il suo viaggio nel pianeta Sogo alla ricerca di uno scienziato scomparso. Dai fumetti di Jean-Claude Forest che ha curato (discretamente) la sceneggiatura e (bene) la scenografia. Nonostante la futilità di fondo di questa favoletta a base di sesso un po’ sadico e di avventure spaziali, è un film gustoso, colorito, non privo di fantasia e humour. C’è anche il grande mimo Marcel Marceau. E i vestiti di Paco Rabanne. Titoli di testa da non perdere.
Un film di René Clément. Con Jane Fonda, Alain Delon, Lola Albright Titolo originale Les félins. Drammatico, b/n durata 109 min. – Francia 1963. MYMONETRO Crisantemi per un delitto valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Costa Azzurra: Marc è un avventuriero affascinante che per sfuggire a un gangster americano si rifugia in una lussuosa villa. Qui trova due donne, Barbara, matura e bella, e Melinda, giovanissima e deliziosa. Barbara si innamora del nuovo venuto e progetta una fuga con lui. Ma nella villa c’è un altro ospite, l’amante della stessa Barbara, che si nasconde perché ricercato dalla polizia. La situazione precipita: l’uomo nascosto uccide Barbara che sta per lasciarlo e viene ucciso da Melinda, la quale fa in modo che la colpa ricada su Marc. Al poveretto non rimarrà altra alternativa che vivere nascosto nella villa.
Nei primi anni ’30, ridotta in miseria dalle tempeste di sabbia e da rapaci proprietari terrieri, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette in viaggio con un camion verso la fertile California.Un classico del cinema sociale, tratto da un romanzo (1939) di John Steinbeck. Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell’uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò, su indicazione del produttore D. Zanuck (che girò personalmente il monologo di mamma Joad), il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l’ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). Oscar per la regia e la Darwell. Sdoganato in Italia solo nel 1951. Vergognosamente classificato dal Centro Cattolico “adulti con riserva” perché pessimista.
Dal romanzo di Mary Jane Ward: vittima di una amnesia depressiva, Virginia è curata dal dottor Kirk in una clinica psichiatrica con l’ipnotismo e la choc-terapia. Profondamente scossa, riuscirà a ricordare gli episodi dell’infanzia e dell’adolescenza che l’avevano turbata e a guarire. È ancor oggi il film più famoso sugli istituti psichiatrici, nonostante il successo di Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975). Molto discusso sia a livello terapeutico sia per il suo crudo e un po’ sensazionalistico resoconto sulla vita in manicomio, conta soprattutto per l’interpretazione di O. de Havilland e per qualche sequenza descrittiva. 6 nomination agli Oscar vincendone 1 per il suono.
Il film ricostruisce un periodo fondamentale della vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. All’inizio della vicenda, la cinquantenne intellettuale ebrea – tedesca, emigrata negli Stati Uniti nel 1940, vive felicemente a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher. Ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e politica, insegna in una prestigiosa Università e vanta una cerchia di amici intellettuali. Nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità a Buenos Aires, la Arendt si sente obbligata a seguire il successivo storico processo che si tiene a Gerusalemme. Nonostante i dubbi di suo marito, la donna, sostenuta dall’amica scrittrice Mary McCarthy, chiede e ottiene di essere inviata in loco come reporter della prestigiosa rivista ‘New Yorker’. Hannah nota che Eichman, uno dei gerarchi artefice dello sterminio degli ebrei nei lager, è un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di ordini odiosi e, d’altro canto, si sorprende nell’ascoltare testimonianze di sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle comunità ebraiche in Europa, di fronte ai nazisti. Dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, “La banalità del male: Eichman a Gerusalemme” (1963), emerge la controversa teoria per cui proprio l’assenza di radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali (non persone) si trasformino in autentici agenti del male. L’ebreo Kurt Blumefeld, uno dei suoi più cari amici, non riesce a perdonarla per quegli scritti, mentre lo scandalo si diffonde in Israele e negli USA. La presidenza della sua Università è fortemente contrariata, la stampa la attacca violentemente, ma il marito, la sua devota allieva tedesca Lotte Köhler e molti studenti approvano e sostengono l’essenza, apparentemente paradossale, del suo pensiero. Già in passato von Trotta ha realizzato film riguardanti donne “eccezionali” e dissidenti: Rosa L., del 1985, ritratto della leader marxista Rosa Luxemburg, interpretata dalla stessa Sukova, e Vision, del 2009, rievocazione di Hildegard von Bingen, mistica cristiana del XII secolo. In questo caso si tratta di un biopic che, delineando il personaggio in termini personali e di teoria filosofica elaborata dallo stesso, intende propriamente (come dichiarato dalla regista) “trasformare il pensiero in un film”. Si tratta di un tentativo solo parzialmente riuscito. In effetti l’approccio, pur serio, documentato e scenograficamente preciso, risulta spesso didattico. Non mancano aspetti flemmatici, dialoghi troppo prolungati, faticosi e pomposi. Tuuttavia, nel complesso, la costruzione drammatica è efficace. La messa in scena non è audace, ma neppure piattamente televisiva. Privilegia le sequenze in interni, con suggestivi colori grigi che evocano bene gli anni ’60, e riesce a creare un’aspettativa non retorica, né artificiosa. Ne emerge l’isolamento della protagonista e la sua peculiare fisicità (nella meditazione, nell’eloquio e nell’assiduità a fumare), ma anche la rivendicazione ostinata della libertà di pensiero e la coerenza logica, non priva di una certa arroganza intellettuale. Da segnalare anche l’uso intelligente di footage, con immagine autentiche del processo ad Eichman.
Deadwood è una serie televisivawestern della HBO, creata da David Milch (già creatore di NYPD Blue), ambientata nel 1870 nella omonima cittadina del South Dakota. La serie composta da tre stagioni ha ottenuto 11 nomination agli Emmy Award, vincendone tre. La serie mescola sapientemente personaggi realmente esistiti ed altri fittizi, eventi storici e inventati.
La serie inizia nel 1876, due settimane dopo la battaglia del Little Bighorn dove avvenne la sconfitta del Generale Custer. Deadwood è una città che deve ancora nascere, che vive senza leggi e non riconosciuta dallo Stato, popolata da fuorilegge, prostitute ed ogni sorta di criminale. In un luogo dove non vi sono leggi, l’unica legge che vale è quella del più forte, che in questo caso è Al Swearengen, uno dei pionieri fondatori della città, padrone dell’unico saloon dove gestisce i suoi loschi affari. Ma altri personaggi arrivano in città con l’intento di ricominciare una nuova vita: tra loro vi sono Seth Bullock, ex-sceriffo che vuole aprire un’attività commerciale, il cercatore d’oro Wild Bill Hickock assieme agli amici Calamity Jane e Charlie Utter, Alma Garrett, newyorkese che arriva in città per assecondare le voglie avventurose del marito. I destini e le strade di queste persone si incroceranno inevitabilmente.
Una grintosa telecronista (Fonda) e il suo cameraman (Douglas) sono testimoni di un guasto tecnico nella centrale nucleare di Harrisburg (California) che potrebbe provocare un’esplosione atomica. Le autorità vorrebbero insabbiare la notizia, ma un ingegnere (Lemmon) si sacrifica per la verità. Scritto dal regista con Mike Gray e T.A. Cook e prodotto da M. Douglas, è un efficace thriller con messaggio antinucleare incorporato, che da più parti (nordamericane) fu accusato di isteria, allarmismo, ma che si rivelò più realistico e profetico del previsto. Un premio a Cannes per Lemmon. Senza commento musicale.
Carola Lehmann è una giovane donna svizzera in vacanza in Kenya insieme al fidanzato Stefan. Prossima al rientro, dopo due settimane di permanenza, la coppia incontra due guerrieri Masai Samburo. Carola è immediatamente attratta da uno di loro, Lemalian Mamuteli, al punto di decidere di non rientrare in patria. Raggiunge Nairobi e in seguito incontra E lizabeth Muzungu, una bianca che ha sposato un Kikuyu. Benché la donna la metta in guardia sulla profonda diversità di cultura che sussiste tra un’occidentale e un Masai, Carola seguirà Lemailian nel suo villaggio di capanne di fango all’interno della savana.
Un film di Hal Ashby. Con Jane Fonda, Jon Voight, Bruce Dern Titolo originale Coming Home. Drammatico, durata 127 min. – USA 1978. – VM 14 – MYMONETRO Tornando a casa valutazione media: 3,21 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Allo scoppio del conflitto nel Vietnam, un ufficiale americano parte per la guerra. Sua moglie, infermiera volontaria, conosce un reduce paralizzato del quale si innamora. L’uomo, fervente assertore del non-intervento, è sorvegliato dall’Fbi che mette al corrente l’ufficiale della relazione dell’infermo con sua moglie. L’uomo sta per uccidere il rivale, ma riesce a vincere l’insano proposito
A causa della suocera e di un intraprendente vicino di casa, due freschi sposini cominciano a litigare. La riconciliazione avviene nel parco. È lui quello a piedi nudi. La divertente e tenera commedia di Neil Simon, grande successo di Broadway, passa senza danni sullo schermo. Redford meglio della Fonda. Meglio di tutti la Natwick come mammà.
Dal libro autobiografico Pentimento (1973) di Lillian Hellman, adattato da Alvin Sargent. Ritratto di Julia – uscita da una ricca famiglia di New York, appassionata comunista che a Vienna, a partire dagli anni ’30, studia con Freud, combatte contro Hitler, perde una gamba, è uccisa dai nazisti – e storia della sua fervida amicizia con la giovane commediografa Hellman, che la raggiunge a Berlino, portandole una grossa somma per aiutare gli antifascisti a espatriare. L’azione è estesa a Dashiell Hammett, grande rinnovatore del romanzo poliziesco e compagno di Lillian. Penultimo film di Zinnemann, che di Europa si intendeva, e uno dei suoi migliori, con un’ammirevole compagnia di attori. Un po’ troppo romantico per una materia che romantica non è. 9 nomination agli Oscar e 3 statuette a Sargent, alla Redgrave e a Robards. Troppo di sinistra per avere un grande successo.
Minacciata da un maniaco sessuale, una prostituta conosce detective che, per conto di un industriale, indaga sulla scomparsa di un uomo. Una eccellente J. Fonda (premiata con l’Oscar) in un thriller con finale a sorpresa, trasfigurato dall’ammirevole tenuta stilistica della regia di A.J. Pakula. Sceneggiato da Andy K. Lewis e Dave Lewis.