Ex leader della contestazione in un’università USA vuole tirare i remi in barca e diventare professore; due ostacoli: il “sistema” e la propria coscienza politica. Interessante commedia sul ’68 americano. Vanta una buona prova di Gould, ma è prolisso e irrimediabilmente datato.
Pii turisti in una zona rurale del Texas incontrano una bizzarra famiglia di maniaci che hanno idee assai particolari sui pezzi di carne che servono per fare una grigliata all’aperto. Film d’esordio a basso costo del texano Hooper, ispirato alle gesta criminali di un personaggio della cronaca (Ed Gein), già fonte d’ispirazione per Psycho (1960) di Hitchcock, è uno shocker di importanza storica che aprì la strada alla profonda metamorfosi del cinema orrorifico tra gli anni ’70 e ’80, imperniato sull’ossessione fantastica dello smembramento del corpo rappresentato in tutta la sua fisicità. Forsennato e visionario, è leggibile a vari livelli. Ebbe 2 seguiti, di cui il 2° è uscito in Italia soltanto in cassetta, e un remake nel 2003.
Il film è basato su un racconto di Vijayadan Detha che riguarda una fiaba popolare sul figlio di commerciante del Rajasthan il cui rapporto con la sua giovane sposa è ostacolato dal suo lavoro e da un fantasma che si innamora di lei.
Ho aggiunto dei subita trovati in rete che mi sembrano giusti. I subeng invece sono i suoi originali.
Nel 1886 una bambina vede morire sotto i suoi occhi il proprio padre. Questi, prima di morire, mostra alla bambina tre carte raffiguranti un cervo, un cinghiale e una farfalla.
Nel 1905 la bambina, ormai divenuta una donna, è una ladra e esperta giocatrice d’azzardo. Il suo nome è Ochō, ed è molto abile con la spada. Un uomo sul punto di morte consegna alla donna i soldi da portare alla sorella, finita in un bordello. Una volta trovata la donna, Ocho scopre che è tenuta soggiogata da un diplomatico. Per riscattare la ragazza, Ochō inizia una partita a poker con Caterina, l’amante dell’ambasciatore inglese. La partita viene però interrotta dall’arrivo di un rivoluzionario giapponese, amante segreto di Caterina e già incontrato e salvato da Ochō in precedenza.
Kaze to ki no uta (風と木の詩?) è uno shojo manga con temi Yaoi realizzato da Keiko Takemiya e pubblicato dalla Shogakukandal 1976 al 1984 sulla rivista Shōjo Comic. Nel 1979, l’opera fu insignita del prestigioso Premio Shogakukan per i manga nella categoria manga shōnen/shōjo.[1] La serie è riconosciuta come un classico del genere shōnen’ai, essendo stato uno dei primi nel genere a combinare il romanticismo con la sessualità, oltre ad esser una delle primissime storie d’amore tra ragazzi pubblicate: di certo innovativo per le sue raffigurazioni di “rapporti apertamente sessuali”, favorì ampiamente lo sviluppo del genere amorosoyaoi nei Shoio Manga, a cui contribuì a dare una decisiva svolta. Ebbe una sua influenza nella creazione della sottocultura dei doujinshi yaoi.
Ci vollero nove anni prima che l’editore accettasse di mettere in commercio il manga, dato che l’autrice si rifiutava categoricamente di tagliare e censurare gli elementi più apertamente sensuali della storia (una scena in cui i due protagonisti si presentano nudi a letto fece sensazione nell’ambiente dei mangaka).[2]
Il manga fu adattato in un OAV prodotto dalla Herald Enterprise e dalla Shogakukan nel 1987. È stato pubblicato in Italia su VHS nel 1997 e su DVD nel 2006 con il titolo Il poema del vento e degli alberi. L’OAV si basa e riassume la prima parte della storia: nella sua colonna sonora vi son, tra gli altri, brani di Fryderyk Chopin e Johann Sebastian Bach
In collaborazione con l’amica Norie Masuyama l’autrice pubblicò in seguito anche un romanzo che ha fornito una seconda parte della storia, intitolato Kami no kohitsuji (traducibile come “Agnus Dei”).
Un film di Sam Peckinpah. Con Warren Oates, Gig Young, Robert Webber, Isela Vega. Titolo originale Bring me the Head of Alfredo Garcia. Drammatico, durata 112′ min. – USA 1974. MYMONETRO Voglio la testa di Garcia valutazione media: 3,69 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un ricco messicano offre un milione di pesos a chi gli porterà la testa dell’uomo che gli ha messo incinta la figlia. È il film più misconosciuto di Peckinpah, cineasta ossessionato dalla violenza che, però, anche qui è soltanto la reazione obbligata dell’eroe che appartiene a un mondo in via di sparizione. Diseguale e geniale discesa negli abissi di un mondo dove regnano la corruzione e la violenza.
Street Mobster, known in Japan as Gendai Yakuza: Hitokiri Yota (現代やくざ 人斬り与太), is a 1972 Japanese yakuza film directed by Kinji Fukasaku and starring Bunta Sugawara and Noboru Ando. It is the sixth installment in Toei‘s Gendai Yakuza series of unrelated films by different directors, all starring Sugawara. Shot on location in Kawasaki, the plot centers around Okita, a street thug and troublemaker released from prison after ten years only to discover that the criminal underworld in which he used to operate and the socio-political landscape of Japan has changed dramatically. Complex named it number 3 on their list of “The 25 Best Yakuza Movies”.
The protagonist, Isamu Okita, mentions how he has the same birthday, August 15th, and was born the same year, 1945, that Japan surrendered at the end of World War II, which he considers inauspicious. He was born the only son of an alcoholic prostitute-turned street food vender who neglected him until she drowned while walking home drunk. With no education or money, he got into trouble and was sent to reform school twice, before forming a gang as a teenager and getting involved in extortion and kidnapping girls to sell to brothels on the mean streets of Kawasaki. The Takigawa yakuza family demands a cut of their earnings, and when Okita refuses, he gets beaten.
Shango è un ranger del Texas in lotta contro un possidente messicano e un bandito che gli fa da sicario. Catturato e liberato a più riprese da amici e nemici, Shango rischia tante volte di rimetterci la pelle.
Giovane e bella giramondo americana si ritrova casualmente in una sfarzosa villa sull’isola di Capri. Accolta senza alcuna cerimonia, Nancy viene a contatto con i curiosi e ambigui individui che popolano la residenza estiva. Un mondo a testa in giù in cui il tempo e le convenzioni borghesi sembrano bandite. Unico legame con la realtà il suo inseparabile diario. Se esiste un condimento a cui Polanski non ha mai saputo rinunciare nella sua cucina cinematografica, questo è il grottesco. Presente in ogni suo titolo – anche nelle pellicole d’atmosfera come Rosemary’s Baby o Chinatown – nelle commedie surreali che vanno da Cul de Sac fino a Per favore, non mordermi sul collo, il gusto per l’assurdo trova qui il suo apogeo. In questa epopea della bella Nancy si è voluta trovare una analogia con il mondo all’incontrario descritto da Lewis Carroll. Un parallelismo condivisibile per surrealismo, ma incosistente sul piano allegorico. Il flusso narrativo scelto da Polanski (qui anche in veste di attore) è in continuo divenire, imprevedibile e sconclusionato. La storia si dipana secondo il principio di reiterazione (giornate dagli sviluppi analoghi nello stile che costituirà poi il perno di Ricomincio da capo ) ed è racchiusa secondo la geometria del cerchio. Nancy incarna una visone pura e incontaminata del mondo al pari di una bambina inconsapevole del suo sex appeal, cagione e al contempo salvezza della sua odissea. I curiosi personaggi incontrati lungo la permanenza sono maschere da commedia dell’arte cadenzati da eleganti citazioni classiche di quartetti schubertiani e sonate mozartiane. Su tutti il decadente latin lover interpretato da Mastroianni (quasi una macchietta dei suoi ruoli felliniani), immortalato con una entrata in scena muta indimenticabile. Preso dalle compiacenti messe in quadro delle grazie di Sydne Rome, Polanski non riesce a essere costantemente pungente per tutto l’arco del film. Ma la tanto amata circolarità con cui il film si apre e si chiude – figura retorica presente sin da Il coltello nell’acqua – e la trovata metacinematografica con cui la Rome giustifica il titolo del film, rendono Che? una chicca.
Ambientato in Marocco all’indomani della guerra 1914-18, contrappone Arabi e soldati della Legione Straniera, gli uni in difesa dei propri diritti, gli altri impegnati a osservare il loro codice d’onore. Un incidente di percorso nell’itinerario di Richards che ha voluto rivisitare il sottogenere della Legione Straniera. Poiché del film è anche produttore e soggettista, lo sbaglio è senza attenuanti.
Avventure e disavventure, private e pubbliche, di un gruppo di teatranti impegnati nella messinscena di uno spettacolo off in una delle tante cantine romane. Esordio nel lungometraggio in Super8, con interpreti presi tra amici e parenti non attori (il padre Luigi, il fratello Franco), di Giovanni Moretti. E fu subito un caso. Nel servirsi della satira (che implica indignazione) corretta da una lucida ironia e da una nascosta tenerezza su una struttura narrativa di taglio cabarettistico, si tira al bersaglio sul contemporaneo cinema italiano (commedia all’italiana ma anche i film politicamente impegnati), sulle velleità del sedicente teatro d’avanguardia, sulle smanie, frustrazioni, orecchiamenti, inautenticità della controcultura giovanile emersa negli anni ’60 e coltivata negli anni ’70. Woody Allen non è lontano. Proiettato per 10 giorni nel dicembre 1976 al Filmstudio di Roma, fu trasferito in copie di 16 mm e distribuito nella 2ª metà del 1977.
Un film di Hideo Gosha. Con Tetsuro Tamba, Tatsuya Nakadai, Yoko Tsukasa Titolo originale Goyokin. Drammatico, durata 90 min. – Giappone 1974. MYMONETRO Là dove volano i corvi valutazione media: 3,00 su 1 recensione.
Recitato come un classico del teatro Kabuki, questo film racconta la storia di un cavaliere coraggioso e leale che combatte le violenze e i soprusi dei potenti.
La qualità della versione in italiano è veramente bassa, consiglio versione in lingua originale.
Due cowboy, uno anziano e uno giovanissimo, stanchi del loro duro lavoro, tentano una rapina e fuggono verso il Messico col bottino, ma verranno uccisi dai loro spietati inseguitori.
Sedicenne che sogna la vita del cowboy s’aggrega a una spedizione di bestiame. Dopo disavventure, sparatorie, soprusi e un massacro conclusivo, getta disgustato la pistola. Apprezzabile opera prima di un ex fotografo e pubblicitario che si è proposto fin troppo programmaticamente di illustrare realisticamente la durezza, la fatica, la sporcizia e la violenza della transumanza, cioè della vita del cowboy. Eccellente fotografia modellata sui dagherrotipi e i quadri di Russell, Remington e C.
Chicago, anni Trenta. Un giornalista sta per sposarsi e per ritirarsi dal mestiere, ma un avvenimento di grande richiamo richiederebbe di nuovo il suo intervento professionale: è scappato un condannato a morte, un anarchico a suo modo candido e idealista, del cui caso il protagonista si è a suo tempo interessato. Il terribile direttore del giornale inventa trucchi di ogni genere per convincere il giornalista a riprendere il suo posto: quando finalmente quest’ultimo si farà persuadere, renderà pubbliche tutte le losche manovre elettorali che stanno alla base della vicenda. Impagabile l’accoppiata Lemmon-Matthau nella terza edizione di un famoso soggetto tratto da una commedia di Charles MacArthur e Ben Echt, già usato per The Front Page di Milestone, mai giunto in Italia, e per La signora del venerdì di Hawks (in quest’ultimo caso, il ruolo principale era sostenuto da una donna, la bravissima Rosalind Russell).
Dal romanzo (1945) di Carlo Levi (1902-75): un intellettuale torinese, medico e scrittore antifascista a contatto con l’antica civiltà contadina della Lucania dov’è confinato intorno al 1935. F. Rosi mette la sordina alla dimensione antropologica e magica del bel libro di Levi e l’accento su quella sociale e politica. Un po’ raggelato nei paesaggi o lirici o didattici, ma ammirevole per l’intensità della sua delicatezza. Accanto a un G.M. Volonté introspettivo e sommesso e ad attori naturali ben guidati c’è un ottimo P. Bonacelli. La versione televisiva dura 270 minuti.
Odissea di 10 personaggi intrappolati in un transatlantico rovesciato da una gigantesca ondata. Dopo Airport, negli anni ’70 rilanciò la moda del catastrofico. Il piattoforte sono le suggestive scenografie (capovolte) di W. Creber. Oscar per la canzone “The Morning After”, candidature per fotografia (H. Stine), musica (J. Williams) e Shelley Winters. Seguito da L’inferno sommerso.
Un extraterrestre scende sulla Terra con l’intenzione di sfruttare le sue conoscenze scientifiche più evolute per approntare le misure necessarie a salvare dalla siccità il suo pianeta morente. Assunte sembianze umane e il nome di Thomas Jerome Newton, l’alieno fonda ben presto un impero finanziario rivoluzionando il mondo delle comunicazioni ed avviando la costruzione di un’astronave per trasportare acqua alla sua gente. Mary-Lou, donna con la quale ha stretto amicizia, scopre la vera identità di Newton e il professor Bryce, venutone a conoscenza, lo denuncia alle autorità. I beni di Newton vengono sequestrati e incamerati dallo Stato e Newton stesso è fatto oggetto di studio da parte degli scienziati governativi. Rapito, torturato, umiliato, e infine svuotato di ogni volontà, l’alieno diventa sempre più simile all’uomo: abbrutito dall’alcol e in completa solitudine, continua a vegetare tra gli uomini tormentato dalla visione della sua famiglia, della sua gente e del suo pianeta morenti. Ispirandosi liberamente al romanzo di Walter Tevis, Nicolas Roeg realizza un’opera drammatica e visionaria, pregevole per ricchezza formale e coinvolgente. Più interessato al contenuto della vicenda che non ai possibili risvolti avventurosi, Roeg concentra la sua attenzione sul protagonista. Attraverso un sapiente mosaico di inquadrature che confondono i confini spazio-temporali, il regista conduce lo spettatore a sostenere emozionalmente la tragica esperienza dell’extraterrestre che in un processo di degradazione psicologica e fisica è forzato a farsi uomo per abbandonare la sua (inquietante per gli uomini) diversità. Una storia simbolica, che sacrifica in più di un momento la struttura logica, per far risaltare la bassezza delle passioni umane, dall’odio all’invidia, l’istinto aggressivo e la paura del perturbante.David Bowie nel ruolo dell’alieno/Newton fornisce la sua interpretazione migliore e più convincente.Il soggetto ricorda nelle linee essenziali quello di un trascurato film del 1951, The Man from Planet X. Rifatto per la televisione nel 1987 (S.O.S. Terra, titolo italiano per The Man Who Fell to Earth).
Gengo, un samurai sradicato e senza padrone, è sedotto e ingannato da Koman, una donna che si finge cortigiana. Koman nasconde accuratamente l’esistenza del proprio marito, sino a quando non riesce a derubare Gengo del denaro che il suo fedele servo gli aveva procurato. Furioso, l’uomo inizia a tessere la propria vendetta, uccidendo, ad uno ad uno, tutti coloro che hanno avuto a che fare con la coppia.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
4 uomini uccidono un esattore delle tasse. Sua moglie riesce a vendicarsi di uno di loro ma finisce in prigione dove muore dopo aver partorito Yuki che, allevata da un samurai senza scrupoli, diventa una perfetta macchina di morte e porta avanti la vendetta iniziata dalla madre. Il fortunato binomio vendetta-donna si sublima in questo grande classico in cui viene descritto il sentimento che si può instillare goccia dopo goccia nell’animo puro di una bambina. Tarantino “saccheggerà” da qui a mani basse non solo per il personaggio di Kill Bill , ma anche per la colonna sonora – Shura no hana e Urami bushi – per la suddivisione in capitoli e le inquadrature particolari.
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