Un bambino di otto anni, tiranneggiato dai genitori e innamorato della maestra, sogna di diventare grande e ci riesce. Assume l’aspetto fisico di un quarantenne, ma resta infantile negli atteggiamenti(forse è per questo che la bella insegnante comincia a ricambiarlo).
Un gruppo di italiani è a Palma in cerca d’avventure sentimentali. Due giovanotti della compagnia finiscono però nelle reti tese da alcune mamme desiderose di accasare le figlie. C’è anche un maturo industriale che si fa spillar quattrini dall’amichetta; c’è l’astuto zoppetto italiano Pandolfini, e tanta altra “fauna” eterogenea.
Don Agostino scommette con gli amici che riuscirà a trascorrere una notte con la virtuosa moglie di Don Ferdinando, Maria Grazia. Effettivamente, approfittando dell’assenza di quest’ultimo, riesce a introdursi in casa di Maria Grazia, pregandola di nasconderlo dai carabinieri. Torna però Don Ferdinando.
Adolf Hitler – Lui – si sveglia improvvisamente nella Berlino dei giorni nostri. Stranito dalla multiculturalità e dalla tecnologia, è accolto come un fenomeno da baraccone e tedeschi e turisti scattano foto con lui. Inizia una carriera in un programma TV comico. Diventa famoso. Scrive un libro. Continua a far ridere. L’unica a riconoscerlo è un’anziana ex deportata, ma dal momento che oramai è “fuori di testa”, nessuno le crede. Le cose orribili, che Lui proclama, rischiano di trovare terreno fertile in una Europa invasa da un odio xenofobo mai sopito. “Tutti mi avevano seguito perché tutti erano come me, non ci si può liberare di me perché sono una parte di voi. Ora le condizioni sono favorevoli!” Tratto dall’omonimo romanzo di Timur Vermes (oltre 2 milioni di copie solo in Germania e tradotto in 40 Paesi), già disponibile su Netflix Italia, è uscito in sala distribuito da Nexo Digital, purtroppo solo per 3 giorni. Wnendt fa interagire il suo Hitler con attori professionisti che seguono un copione e con improvvisazioni di gente vera in giro per la strada. Le 380 ore di materiale girato sono state montate in un film che fonde fiction e documentario in un’amara commedia di satira sociale. Film tedesco col maggiore incasso del 2015. Si riflette.
Il tema dell’egoismo diventa, per lo scrittore impegnato a svolgere un’indagine sull’argomento, un’occasione di riflessione e di introspezione. Comprenderà, alla fine del suo lavoro, che la vita va vissuta in funzione degli altri.
12 episodi con ambientazione fissa compongono un progetto iniziato nel 1986 e che attraverso gli anni giunge infine a compimento. Come in tutti i film ad episodi, sta allo spettatore eleggere i suoi favoriti, e in C&C c’è di che scegliere. Tanti grossi nomi prestano il loro volto all’amico Jarmusch, in un carosello di personaggi che hanno in comune tre cose: fumano, bevono caffè e parlano di cose assolutamente prive di senso. La palma d’oro per il dialogo più improbabile a Tom Waits e Iggy Pop, due tra gli individui più “storti” e indispensabili del nostro tempo. Per quanti condividono e vivono l’idea che caffè+sigarette sia il matrimonio più riuscito di sempre, potrebbe diventare un vero manifesto.
Don Salvatore Anastasia, un ingenuo prete italiano, va in America a trovare il fratello Alberto, ignorando che questi è il temuto capo dell’Anonima Omicidi. E continua a volerlo ignorare anche quando Alberto è imprigionato dalla commissione Kefauver e poi ammazzato in un negozio di barbiere. Ritorna in Italia e scrive un libro innocentista.
Un film di Billy Wilder. Con Shirley MacLaine, Jack Lemmon, Lou Jacobi, Herschel Bernardi, Hope Holiday. Titolo originale Irma la douce. Commedia, durata 142 min. – USA 1963. MYMONETRO Irma la dolce valutazione media: 3,63 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Irma è una prostituta parigina che nutre sincero affetto per un ex poliziotto. Questi la spinge a frequentare un solo, ricco cliente, che poi sarebbe lui stesso travestito. Divenuto geloso di questa doppia personalità, l’uomo ne sopprime una ma finisce nei guai perché viene accusato di omicidio. Dimostrerà la sua innocenza riprendendo i panni dell’uomo e si dedicherà ad Irma che è in attesa di un bambino.
Luka, ingegnere serbo di Belgrado, vive con la moglie Jadranka, cantante lirica, e il figlio Milos, dotato calciatore, in un villaggio ai confini con la Bosnia per costruire una linea ferroviaria. Nel 1992 comincia la guerra. Jadranka fugge con un musicista magiaro; Milos, soldato, è fatto prigioniero dai bosniaci; Luka ospita in casa la giovane musulmana Sabaha da usare come ostaggio da scambiare col figlio. I due s’innamorano. La situazione si complica quando scoppia la pace. Per il serbo Kusturica la vita è un miracolo perché l’amore non conosce frontiere geopolitiche. Come il solito, lo fa nei modi di un realismo magico: cerca di dare un senso alla realtà che racconta, ingigantendone le dimensioni più surreali e piegandole a simboli sotto le apparenze di un caos. Questo suo 8° lungometraggio può sembrare una favola utopica, un’epopea popolare, un poema barocco, una tragicommedia romantica. Talvolta senza soluzioni di continuità, si passa dal realistico all’onirico, dalla farsa al dramma, dal lirico al grottesco. Se ne esce presi da sazietà, ripetizione, troppo pieno, eccessi, difetti, squilibri che probabilmente risalgono alla sceneggiatura, scritta dal regista con Ranko Bozic. Ma esistono anche le virtù, le invenzioni fantastiche, alcune sequenze memorabili, l’uso della musica (Dajan Sparavalo, Kusturica) e dei suoni come parte integrante del racconto. Fotografia: Michel Amathien.
Ritorno di Alberto Sordi dietro alla macchina da presa dopo alcuni anni. La sua interpretazione riesce in alcuni momenti a ritrovare i fasti di un tempo ma la regia lascia sempre a desiderare sul piano del ritmo narrativo. Questa volta si fa della satira sulle beghe televisive dei grossi gruppi italiani. Il successo non è arrivato neanche da parte del pubblico cinematografico. Segno che solo televisivamente il “nostro” Albertone raccoglie buoni esiti.
Nel ragazzetto Gigetto si scopre un’eccezionale voce di baritono. Rimasto solo per l’arresto del padre, è affidato a un maestrino disoccupato che sfrutta l’occasione. Arriva la celebrità, seguita da parenti avidi. Film d’esordio del nipote di Silvio D’Amico, su sceneggiatura scritta con Age e Scarpelli. Commedia piacevole, in bilico tra umorismo e sentimento, ricca di delicate annotazioni d’ambiente con risvolti di un grottesco graffiante. Sordi ci dà dentro senz’argini come il Po in piena, in una affiatata compagnia di caratteristi. Azzeccata colonna sonora di A.F. Lavagnino, elaborata da A. Trovajoli.
Un telegramma dal Sud Africa riunisce e movimenta la vita di cinque fratelli: un vecchio zio è morto e la sua vedova è in arrivo. Tutti, ad eccezione di uno, cercano di evitare la zia che suppongono vecchia. Sorpresa: arriva una giovane in Cadillac accompagnata da un’altra giovane. Anche il testamento dello zio prende in contropiede i fratelli.
Castella, ricco e incolto industriale, assiste di malavoglia a una recita della tragedia Berenice (1670) e s’innamora della prima attrice da cui prende lezioni di inglese. Racine cambia la sua vita e, indirettamente, quelle di sua moglie, dell’autista e della guardia del corpo al suo servizio, di una barista che spaccia marijuana. Felice esordio nella regia dell’ebrea tunisina Jaoui, sceneggiatrice emerita (l’ultimo Resnais e Aria di famiglia ) e attrice deliziosa, con un’agrodolce commedia dal titolo che significa anche il gusto per gli altri, perché vi coabitano personaggi di ambienti sociali diversi tra cui la comunicazione è difficile. Il suoi temi sono il settarismo, lo spirito di gruppo, la dittatura del gusto, le pene d’amore. Miscela rara di psicologia e sociologia, crudeltà e compassione, solidità di costruzione e cura infallibile delle sfumature, semplicità e raffinatezza. Si ride delle situazioni e dei personaggi e subito dopo si soffre con loro perché ciascuno ha le sue ragioni. Scritta in tandem con Bacri, come al solito. La regia della Jaoui è più inventiva di quel che sembra. Grande successo in Francia.
3 episodi (più “L’università”, semidocumentario): “La bomba alla televisione” (con V. Gassman come regista anarchico); “Concerto a tre pifferi” (ritratto di un industriale); “Il prete” (A. Sordi parroco di campagna che vorrebbe sposarsi). Scritto da Benvenuti & De Bernardi, non è all’altezza del tema. Il migliore scritto da R. Sonego, è l’ultimo con Sordi in gran forma, mentre Gassman istrioneggia a ruota libera. In mezzo c’è il grande M. Simon che riesce a ridurre N. Manfredi a spalla.
Marito civile e comprensivo viene messo duramente alla prova: sua moglie è innamorata follemente di un giovanotto. Chiede aiuto però al consorte perché le faccia passare l’infatuazione che, però, non passa. Per amore della donna, il poveraccio è costretto a rivolgersi al suo rivale e a fargliela sposare (dopo un solerte e “civilissimo” divorzio).
Separato dalla moglie (Masina), il commendatore Tullio Conforti passa la settimana pascolando con le sue amanti, una al giorno. La domenica, sul suo yacht, si concede un meritato riposo. Ma continua a dichiararsi contro il divorzio. Ispirato al progetto di legge Fortuna (che fu approvato nel 1970), il 2° film diretto da A. Sordi è stato scritto con Sergio Amidei. L’attore sopperisce alle carenze della regia. Grande successo.
Amante dell’Inghilterra, modesto antiquario perugino approfitta di un’asta a Londra per cercare di anglicizzarsi. Esordio nella regia di Sordi che, dopo aver fatto l’americano, cerca di far l’inglese. Taccuino di viaggio ora spiritoso, ora evanescente. “E non è facile adattarsi alla convenzione di un’Inghilterra in cui tutti gli inglesi… parlano un italiano alla Stanlio e Ollio” (T. Kezich).
Timido, goffo e petulante, Alberto cerca in ogni modo di fare colpo su Margherita. Con la speranza di vincere il primo premio, partecipa a una corsa. Da un soggetto di Sordi sceneggiato dall’attore con Cesare Zavattini e Vittorio De Sica (che si dice abbia diretto gran parte del film), un filmetto un po’ melenso ma interessante come specchio della Roma postbellica. Nel suo primo film da protagonista Sordi ha voluto portare sullo schermo i temi, i modi e l’umorismo di un suo popolare programma radiofonico.
Grazie all’allegra esuberanza di infermiera gerontofila, vecchio ingegnere in pensione, riscopre la gioia dell’innamoramento e il piacere del tango e sfiora quella del sesso, finché il ritorno dall’Africa, dove ha fatto la crocerossina, della moglie lo riporta alla pace dei sensi. Alla sua 18ª regia e al suo 151° film, A. Sordi – autore del copione con il fido R. Sonego – fa un film sincero ma senza vere emozioni sulla vecchiaia e le sue indegnità, dimostrando di non avere ancora imparato il mestiere del regista: sonoro fuori sinc, autodoppiaggio dissestato, mediocre direzione degli attori tra cui soltanto F. Faldini e G. Sofio si salvano, non un briciolo di inventiva. E V. Marini? Al di là del bene e del male. ” Trash -endente” (Monica Repetto).
Cencio, rampollo di una famiglia di ladri di borgata, è assecondato dalla bella Cesira, finché prende di mira un commerciante di cui lei s’innamora. Vicenda disarticolata resa credibile e omogenea dalla bravura di Sordi.
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