Ah Jie, agente di borsa, ha perso tutto a causa di un ribasso. Depresso, cerca conforto nella marijuana che coltiva in casa e nel sesso che cerca in strada, in rete e al telefono. Sul marciapiede incontra la bella Shin, che lavora nel betel sotto casa, dall’altra parte del filo lo corrisponde invece la paffuta Chyi, moglie di un cuoco produttivo in cucina e indolente a letto. A un passo dal suicidio, Ah Jie consumerà il suo tempo sospeso tra i fumi dell’erba e l’estasi del sesso.
Liberamente ispirato a un libro di racconti di Piu Sung-Ling (1640-1715), è un vasto affresco epico-avventuroso con risvolti fantastici la cui azione ha per sfondo un villaggio della Cina settentrionale nell’epoca Ming (1367-1643) e per personaggi principali la bella, valorosa e perseguitata figlia (Feng) di un ministro morto sotto le torture, che s’è nascosta in una casa infestata dai fantasmi; un giovane povero (Chun), pittore e letterato; un generale travestito da cieco e un pacifico monaco buddista, esperto in arti marziali, le cui ferite si rigenerano al sole e il cui sangue si tramuta in oro. Si può dividere in tre parti: la prima ha le cadenze di un racconto del mistero con risvolti ironici; la seconda mette in scena duelli all’arma bianca che si trasformano in fantasiosi e magici balletti; nella terza parte l’azione spettacolare lascia il posto a un misticismo visionario: vi si suggerisce come l’etica dello Zen – precisione, rigore, controllo di sé, ascetismo, efficacia, lealtà – si traduce in gesto e azione. 4° film di King Hu, raffinato scenografo e coreografo, pur non mancando di squilibri, di prolissità e di passaggi opachi, è uno splendido esempio di cinema come fonte di avventura, meraviglia, magia spettacolare, organizzazione del movimento nello spazio. In concorso a Cannes nel 1975, in Italia è stato visto soltanto sui teleschermi.
Li Mu Bai è un maestro di arti marziali la cui spada viene ritenuta dotata di poteri magici. Li Mu Bai ama la bella e coraggiosa Yu Shu Lien, ma non può rendere espliciti i suoi sentimenti perché la ragazza è stata fidanzata al suo fratello di sangue. Un giorno decide di consegnare la spada a Shu Lien perché la porti al signor Tè che dovrà custodirla. Ma il dignitario se la fa rubare. Shu Lien avrà però la fortuna di incontrare la figlia del governatore Yu, ormai promessa a un futuro sposo e desiderosa invece di percorre i sentieri dell’avventura. Ang Lee torna a casa e al proprio immaginario infantile e ritrova l’originalità che ne aveva contraddistinto gli esordi. A questo regista la trasferta americana non ha fatto bene: si è messo in testa (dopo i piacevolissimi Banchetto di nozze e Mangiare Bere Uomo Donna) di spiegare l’America agli americani e ha realizzato tre film come Ragione e sentimento, Tempesta di ghiaccio e Cavalcando col diavolo che finivano col risultare più manuali di storia e/o sociologia per immagini che film. Molto meglio va quando, come in questo caso, racconta Taiwan agli occidentali con quell’attenzione all’universo femminile che lo contraddistingue e che, anche in questa storia “marziale”, conquista lo schermo unendo agilità ed eleganza.
Cina, IX secolo. Sotto la dinastia Tang il Paese vive e prospera. A minacciare la sua età d’oro si adoperano gli ambiziosi e corrotti governatori della provincia. L'”ordine degli assassini” è incaricato di eliminarli. Nelle sue fila serve e combatte Nie Yinniang, abile con la spada e sotto la chioma nera di inchiostro lucente. Rientrata nella sua città e nella sua provincia, dopo l’apprendistato marziale e un esilio lungo tredici anni, Nie Yinniang deve uccidere Tian Ji’an, governatore dissidente della provincia di Weibo. Cugino e sposo a cui fu promessa e poi negata.
1966 Kaohsiung: Un tempo per l’amore. Chen incontra May che lavora nella sala del biliardo. I due fanno una partita insieme prima che lui parta per il servizio militare. Ottenuto un permesso torna per cercarla ma sembra essere scomparsa. 1911 Dadaocheng: Un tempo per la libertà. Il proprietario di una piantagione di tè vuole rilevare il contratto di una cortigiana. Ma il figlio la mette incinta e i rapporti con il padre si complicano. Ne conseguirà una partenza per il Giappone dove si trova un rivoluzionario cinese in esilio. 2005 Taipai: Un tempo per la giovinezza. Jing è una giovane cantante epilettica e con un difetto alla vista. Vive con la madre e la nonna e una giovane amante. Zhen lavora presso un fotografo e ha una compagna, Blue. Quando questa scopre che Zhen la tradisce con Jing, la situazione precipita. Hou Hsiao Sien è un grande maestro del cinema orientale che sa di realizzare film destinati a un pubblico ristretto. È però dotato di un assoluto controllo dell’inquadratura, tale da far sì che ogni suo film si avvicini sempre più a un’opera d’arte più visiva che narrativa. Questa volta si è mosso su un territorio inusuale per lui: una narrazione divisa in tre storie diverse che vedono però in scena la stessa coppia di attori che sono due star a Taiwan. Ne nasce un film dolente sulla im-possibilità dell’amore indipendentemente dalle epoche, con una riflessione sul potere di condizionamento, anche in questo campo apparantemente così privato, delle convenzioni sociali. La conclusione sembra essere che la libertà dei costumi non è neanch’essa la soluzione di tutti i problemi. Ne porta con sè solo di nuovi e forse ancor più complessi.
A Taipei nel 2000 si svolge con strazio il rapporto tra due giovani infelici e apparentemente nullafacenti che vivono di notte e dormono di giorno. Lei è bella, irrequieta, dedita a Bacco e al tabacco, e mantiene lui che in più si droga e la tormenta con una gelosia sadica. A questo ingrato rapporto alla “né con te né senza di te” assiste in disparte il maturo e savio gestore di un night-club losco che la protegge e forse l’ama come un padre. Accompagnato da una voce over, l’azione è raccontata nel 2010 il che aggiunge un tanto di enigmatico a un film già criptico per sé stesso, ellittico eppur affascinante. Il cinese Hsiao-hsien fa un cinema in cui la vocazione figurativa prevale su quella narrativa. L’intreccio e persino i personaggi interessano poco: conta il modo in cui sono raccontati. Contano le immagini – e i suoni, la musica – attraverso le quali avviene una sconsolata ricognizione del dolore e del malessere del tempo. Brevi, innevate, bellissime sequenze girate a Hokkaido, la più nordica isola del Giappone, dove la luce si oppone agli acidi e notturni colori metropolitani e all’atonia claustrofobica del resto. Premiate a Cannes 2001 le musiche (techno) di Lim Giong e Yoshihiro Hanno.
Finita la scuola, Ah-Ching e i suoi amici passano il loro tempo a bere e a combattere nell’isoletta di pescatori in cui vivono. Stanchi di quella routine, tre di loro decidono di recarsi nella città portuale di Kaohsiung per cercare lavoro. Grazie ad alcuni parenti trovano un appartamento. Ma non appena si insediano, Ah-Ching si innamora della fidanzata di un vicino di casa. Da quel momento, i tre si trovano ad affrontare la dura realtà della grande città.
Uno sguardo crudo ed essenziale sulle classi meno abbienti di Taiwan, fatte di gente senza morale, senza speranza né punti di riferimento.E’ un film complesso sul piano linguistico . Racconta una non storia che obbliga lo spettatore a creare dei percorsi personali all’interno dei piani sequenza che il maestro taiwanese costruisce con la consueta abilità.
Nella Shanghai di fine ‘800 i bordelli più rinomati erano chiamati le Case dei Fiori. Per ogni Casa una diversa tenutaria e una diversa “insegnante”. Ognuna con i suoi segreti, ognuna con le sue ambizioni, intenta a tessere trame pur di arrivare a soddisfare i propri desideri. Con Flowers of Shanghai Hou Hsiao-hsien porta il suo linguaggio e la sua idea di cinema a un livello di splendore difficilmente eguagliabile persino da se stesso. Non esiste montaggio e la macchina da presa resta più o meno immota, attendendo che i personaggi entrino ed escano dal suo campo visivo; ma se questa è la cifra stilistica di Hou Hsiao-hsien anche in Città dolente e Il maestro burattinaio, in Flowers la narrazione si piega ulteriormente alle esigenze dell’inquadratura. Le sequenze si susseguono con una somiglianza straniante, aperte e chiuse da dissolvenze in nero che paiono nuvole di fumo, come fossero emanazioni dirette dell’oppio che le cortigiane e i loro clienti fumano in continuazione, mentre si scambiano promesse d’amore o menzogne delittuose. Ancor più radicale la scelta di Hou sulla luce, con gli interni kubrickianamente illuminati solo dalla luce delle lampade a olio: si diffonde così un’aura giallastra che esalta i lineamenti delle splendide cortigiane e le immerge in un’atmosfera onirica che ben si può sussumere nelle note dei solenni archi di Yoshihiro Hanno. E nonostante si susseguano drammi e tragedie interiori ed esteriori, risoluzioni di quesiti a metà strada tra Eros e Thanatos, Hou sceglie la solennità e il non detto, mantenendo violenze, punizioni e sesso fuori schermo, quasi a non voler rovinare la reiterazione potenzialmente infinita del ménage delle Case dei Fiori. Tony Leung al solito strepitoso, a suo agio tanto nell’action adrenalinico che nella lentezza del cinema d’essai, ma non sono da meno le cortigiane, interpretate da volti più o meno noti del cinema cinese e di Hong Kong, come la star Carina Lau (Ashes of Time, 2046) e la bellissima Michelle Reis (Angeli perduti), ambedue muse predilette – spesso in compagnia di Leung – da Wong Kar-wai.
In vacanza dal nonno[1] (冬冬的假期S, Dōng dōng de jiàqīP) è un film del 1984 diretto dal regista Hou Hsiao-Hsien.
Mentre la mamma è in ospedale, la giovane Dongdong e il fratellino passano un’estate dal nonno, osservando l’incomprensibile mondo degli adulti e le malefatte di un cugino che mette incinta una ragazza ed è amico di due rapinatori. Dopo I ragazzi di Feng Kuei, Hou prosegue il suo scavo nella memoria, affidandosi a un romanzo della sceneggiatrice Chu Tien-wen.
A time to live, a time to die (童年往事S, Tóngnián wǎngshìP) è un film del 1985 diretto dal regista Hou Hsiao-Hsien.
Taiwan, anni ’50 e ’60 del Novecento; Ah Hsiao, detto Ah Ha, cresce con i tre fratelli e la sorella nell’isola dove il padre (Tien) si è trasferito dalla Cina. La nonna sogna sempre di tornare in patria, il padre muore presto, poi toccherà anche alla madre e alla stessa nonna. Attingendo dichiaratamente all’autobiografia (il regista firma la sceneggiatura con Chu Tien-wen), Hou racconta un’infanzia e un’adolescenza come tante altre, in cui la storia di Taiwan scorre in modo solo apparentemente indolore. Una giovinezza punteggiata da bravate, lotte tra bande, innamoramenti platonici e momenti di tenerezza, segnata irrimediabilmente da tre morti che appaiono man mano più inaspettate, ma anche accettate sempre più fatalisticamente.
The Terrorizers (恐怖分子S, Kǒngbù fènzǐP) è un film taiwanese del 1986 diretto da Edward Yang.
Un mistero metafisico sulla vita di tre coppie a Taipei che continuamente si intersecano in un arco di diverse settimane.Il film mette in scena una Taiwan emergente, manipolata dalle forze del denaro e dalla globalizzazione. Apre la scena nel 1986, quando il Giappone era ad un soffio dalla bolla economica e gli affari andavano bene a Taipei. Ma in entrambe le città, Tokyo e Taipei, molti giovani erano disillusi nei confronti di un futuro che sembrava grossolanamente materialista. Yang in questo film raccoglie tali situazioni sociali e le inserisce in una misteriosa narrazione poetica.
That Day, on the Beach è un film di genere drammatico del 1983, diretto da Edward Yang, con Sylvia Chang e Terry Hu. Durata 108 minuti.
Tutto è incluso nel potere del tempo che, come dice il fratello sul letto di morte, si lascia ogni cosa alle spalle, e poi nel movimento della vita, confuso, impercettibile, avvolgente e alienante.
A partire dall’omicidio di una ragazza da parte di un adolescente, Edward Yang costruisce un film corale, ricco di storie e personaggi, ambientato nel passato taiwanese.
Le vicende sentimentali di tre adolescenti di Taiwan. Due amiche sono innamorate dello stesso ragazzo che è il bello della scuola. Storia stravista che però è vista con uno sguardo leggero e vitale dalla regia che riesce a ottenere dai suoi interpreti diciottenni il profumo della verità.
Dopo il gradevole Il banchetto di nozze torna il regista taiwanese Ang Lee con un buon film. Un cuoco ormai anziano e pensionato vuole riconquistare le sue tre figlie. Così cucina di giorno in giorno molti cibi stuzzicanti. Le figlie, una piena di problemi, una testarda e disobbediente, una con una vita intensa, non gli danno soddisfazione. Successo negli Stati Uniti.
Un film di Edward Yang. Con Elaine Jin, Nien-Jen Wu, Issei Ogata, Kelly Lee Titolo originale Yi yi. Drammatico, durata 172 min. – Taiwan, Giappone 2000.
Il film di Edward Yang è ritenuto da molti un Magnolia orientale. Vi si narrano le vicende di più famiglie con la scansione della quotidianità problematica. Il padre di famiglia, socio di una ditta di computer in crisi, scopre una possibilità meno arida di lavoro (grazie, fatto eccezionale, a un giapponese) e ritrova l’antico primo amore. La moglie ha la madre in coma e scopre di non avere nulla da dirle: entra quindi in crisi esistenziale. La figlia adolescente scopre che l’amore non è facile sin dal suo primo presentarsi. Il piccolo di casa, di 8 anni, dileggiato dalle compagne a scuola ma capace di osservare il mondo e di “fotografarlo” sia con i pensieri che con la pellicola. E tanti altri personaggi. Siamo a Taiwan ma potremmo essere a Roma, Firenze, Milano. Ovunque nel mondo a chiederci se sia possibile trovare nella vita quei legami che le diano un senso. Potrete anche trovarlo un film lento, ma si tratta di una lentezza carica di sensibilità.
A City of Sadness (Chinese: 悲情城市; pinyin: bēiqíng chéngshì) is a 1989 Taiwanese historical drama film directed by Hou Hsiao-hsien. It tells the story of a family embroiled in the tragic “White Terror” that was wrought on the Taiwanese people by the Kuomintang government (KMT) after their arrival from mainland China in the late 1940s, during which thousands of Taiwanese were rounded up, shot, and/or sent to prison.
The film was the first to deal openly with the KMT’s authoritarian misdeeds after its 1945 turnover of Taiwan from Japan, and the first to depict the 228 Incident of 1947, in which thousands of people were massacred. A City of Sadness was the first Chinese-language film to win the Golden Lion award at the Venice Film Festival.
Taiwan, 15 Agosto 1945: L’Imperatore nipponico Hirohito annuncia la resa incondizionata alle forze alleate, e i giapponesi lasciano l’isola di Formosa, sotto il loro dominio dal 1894.
Taiwan, 10 Dicembre 1949: Chiang Kai-shek e i vertici del Kuomintang si rifugiano a Taipei, fondando la Repubblica Cinese, di cui Chiang fu il primo presidente.
City of Sadness svolge il suo corso tra questi due estremi temporali, attraverso le vite della famiglia Lin, nella cittadina rurale di Chiu-fen.
Hou Hsiao Hsien dipinge con il suo stile elegante ed ellittico una saga familiare che condensa e dilata insieme l’eco di quel tumultuoso periodo della storia di Taiwan. View full article »
Un film di Doze Niu. Con Ching-Tien Juan, Mark Chao, Ju-Lung Ma, Rhydian VaughanDrammatico, durata 140 min. – Taiwan 2010. MYMONETRO Monga valutazione media: 2,00 su 1 recensione.
È con indubbio coraggio che Doze Niu affronta un tema come quello del racconto di formazione in ambito gangsteristico, così oberato di cliché da risultare un campo minato per chiunque. Troppi i paragoni ingombranti, costante la sensazione di déja vu dietro l’angolo. Dove Monga costituisce una novità è nella rappresentazione delle specificità taiwanesi del jiang hu e del suo codice d’onore: i boss Geta e Masa che brindano assieme mentre i relativi scagnozzi se le danno di santa ragione, lo stile popolare e casereccio – che ai nostri occhi suona molto familiare – nella conduzione del business mafioso, il rifiuto delle “vigliacche” armi da fuoco, l’unione dei diversi clan nell’odio verso i temuti “cugini” continentali. View full article »