Il film è la storia di una giovane, realmente esistita, accusata di aver tentato di uccidere la madre e d’aver eliminato il patrigno. Al processo i pareri sull’accaduto (la giovane aveva un viso d’angelo ma un animo perverso e corrotto) furono discordi, tuttavia la ragazza venne condannata a morte. In seguito, tre presidenti francesi si interessarono del suo caso: Leburn commutò la pena in ergastolo, Petain in dodici anni di carcere e De Gaulle le rese la libertà. Violette si sposò ed ebbe cinque figli. Poco prima di morire, ottenne piena riabilitazione.
La storia di Marie Latour che nel 1943 venne condannata a morte e ghigliottinata. Marie procurava aborti (la chiamarono la “fabbricante di angeli”). Perché lo faceva? Per mantenere agiata la famiglia (il marito era tornato dalla guerra invalido). Uno Chabrol d’annata con la Isabelle Huppert più brava che si sia mai vista, in una parte che trent’anni fa sarebbe andata a Jeanne Moreau
Un bambino muore dopo essere stato investito da un pirata della strada: il padre, da quel momento, vive solo per rintracciare il colpevole. Ci riesce e scopre di avere dei potenziali ottimi complici. Il colpevole muore, infatti, avvelenato, ma nessuno saprà mai chi veramente ha messo il veleno nel bicchiere.
Charles, agiato assicuratore, scopre che la moglie Hélène (nell’originale), madre del piccolo Michel, lo tradisce con un giornalista. Va a trovarlo, lo uccide, cancella le tracce del suo passaggio e si sbarazza del suo cadavere. Tace con la moglie che, però, scopre da sola la verità e interpreta come un grande atto d’amore il delitto del marito che viene arrestato. È uno dei migliori film di Chabrol che prosegue sulla via narrativa e stilistica di Les Biches (1967) all’insegna della lezione di Hitchcock: “La complessità del suo cinema non sta in ciò che racconta, ma nel modo con cui viene messa in scena anche la situazione più quotidiana e banale” (A. Viganò). Un borghese viola con un omicidio la legge per riaffermare i diritti sui propri beni patrimoniali che comprendono anche gli affetti, l’armonia di una normalità coniugale. E la moglie, nonostante l’infedeltà, gli è solidale, come mostra la sequenza finale con il suo contraddittorio movimento di carrello indietro e zoom in avanti. Rifatto nel 2002 con Unfaithful.
Regia di Claude Chabrol. Un film con Isabelle Huppert, Michel Serrault, François Cluzet, Jean-François Balmer, Jackie Berroyer. Titolo originale: Rien ne va plus. Genere: Commedia, Crimine, Drammatico. Paese: Francia, Svizzera. Anno: 1997. Durata: 105 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.1/10.
Betty e Victor sono una coppia di truffatori di mezza età che si spostano da una città all’altra, specializzati nell’organizzazione di piccole truffe ai danni di uomini d’affari ignari. Mentre Victor, il più esperto dei due, è un maestro della manipolazione, Betty è più impulsiva e incline al rischio. Durante una delle loro operazioni, si imbattono in un’opportunità che sembra troppo ghiotta per essere vera: un riciclaggio di denaro su larga scala legato a una complessa operazione criminale in Svizzera. La coppia si trova così coinvolta in un gioco molto più grande e pericoloso di quanto avessero immaginato, dove il confine tra truffatore e truffato si fa sempre più labile.
“Rien ne va plus” è un’elegante commedia noir di Claude Chabrol, un maestro nell’esplorare le ipocrisie e le sfumature morali della borghesia francese. Qui, Chabrol si avventura nel mondo della truffa con un tocco leggero ma sempre pungente, offrendo una storia di inganni e doppi giochi che si snoda con intelligenza e precisione. La chimica tra i due protagonisti, l’intramontabile Michel Serrault e un’irresistibile Isabelle Huppert, è magnetica: Serrault è perfetto nel ruolo del truffatore navigato e rassicurante, mentre Huppert dona al suo personaggio un misto di innocenza e astuzia che la rende affascinante e imprevedibile. Il film è un gioco sofisticato in cui la vera natura dei personaggi e le loro intenzioni sono costantemente messe in discussione, culminando in un finale beffardo e tipicamente chabroliano. Un’opera che, pur senza la cupezza di altri suoi lavori, mantiene intatta la sua acuta osservazione delle debolezze umane e del fascino del crimine.
Regia di Claude Chabrol. Un film con Isabelle Huppert, Jacques Dutronc, Anna Mouglalis, Rodolphe Pauly. Titolo originale: Merci pour le chocolat. Genere: Drammatico, Thriller. Paese: Francia, Svizzera. Anno: 2000. Durata: 99 min. Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 6.9.
Jeanne Pollet, una giovane e talentuosa pianista, scopre con sconcerto di essere stata scambiata in culla con Guillaume Pollet, figlio del celebre pianista André Pollet, ora sposato con la ricca e misteriosa Marie-Claire “Mika” Muller. Jeanne inizia a frequentare la casa di Pollet, dove l’atmosfera è densa di segreti e non detti, soprattutto riguardo a un misterioso incidente stradale che ha quasi ucciso Guillaume anni prima e al rapporto ambiguo tra Mika e André.
Claude Chabrol, maestro del cinema francese, firma con “Grazie per la cioccolata” un thriller psicologico raffinato e glaciale, intriso della sua tipica indagine sulla borghesia e sui suoi scheletri nell’armadio. Il film brilla per l’interpretazione magistrale di Isabelle Huppert, la cui Mika è un ritratto inquietante di fredda ambiguità. La regia è impeccabile nel costruire una tensione sottile ma costante, rivelando gradualmente le oscure motivazioni dei personaggi senza mai cadere nel sensazionalismo. Un’opera che conferma la statura di Chabrol nel saper dissezionare le dinamiche umane più complesse e perverse.
Dopo il film TV del 1974 con la regia di Pierre Cardinal, è la 4ª versione del capolavoro di Gustave Flaubert, contraddistinta da una scrupolosa fedeltà illustrativa, realizzata con una esposizione spiccia, agile, ellittica che raramente si dispiega in sequenze larghe. Una volta accettata l’impostazione, non si può non ammirarne i modi espressivi, la coerenza, la fluidità e l’intensa interpretazione della Huppert. L’equilibrio tra la lucidità di sguardo di Chabrol (e di Flaubert) e l’affetto per il personaggio (del regista e della sua interprete) sembra impeccabile.
Tra la giovane Why, che sbarca il lunario dipingendo cerbiatte sui marciapiedi di Parigi, e la ricca Frédérique nasce un’amicizia “particolare”. Ospite di Frédérique a Saint-Tropez, Why si innamora di un architetto, Paul. Frédérique fa allora in modo che Paul volga subito le proprie attenzioni da Why a lei. In un primo tempo Why soffre, poi è felice di vivere insieme ai due amanti ai quali sente di voler molto bene, senza rancore. Però per Frédérique la presenza di Why diventa un peso e quindi se ne torna a Parigi col suo uomo. Why, contrariata, la raggiunge e la uccide.
Edit 8 Settembre 2024: sostituita copia precedente perchè difettosa a 0:45:23 e 1:08:19. Questa nuova non dovrebbe avere problemi. Fatemi sapere.
Da Parigi, François torna nel villaggio della sua infanzia per curare i postumi della tubercolosi. Appena arrivato, incontra un vecchio amico diventato panettiere e intravede Serge, minato dall’alcolismo forse per via dell’infelice matrimonio con Yvonne, che gli ha dato un figlio nato morto, ed è di nuovo incinta. Mentre stringe una relazione con la diciassettenne Marie, François cercherà di prendersi cura di Serge, mettendolo davanti alle sue responsabilità. Considerato il primo film della Nouvelle Vague, La beau Serge coniuga una sceneggiatura improntata al dramma sociale con i ricordi personali di Claude Chabrol che, dopo la militanza critica nei Cahiers du cinéma, poté esordire grazie ad un’eredità inaspettata avuta dalla moglie. È lo stesso regista a tornare, così come vediamo fare al protagonista, nel paese di Sardent (Creuse) in cui aveva trascorso l’infanzia durante i quattro anni dell’Occupazione, imparando a conoscere una realtà fatta di giovani amori e alcolismo sociale. L’attaccamento squisitamente affettivo, eppure svegliato dalla distanza critica di chi ha conosciuto anche la vita in città, è uno dei motivi di maggior interesse di un lavoro capace di dare veridicità ai luoghi mostrati, licenziando una topografia filmica del tutto affidabile in cui lo spettatore è, da subito, immerso. Nulla sembra essere cambiato nel villaggio, non il dottore incapace, non l’affittacamere impicciona, non i giochi in piazza dei bambini, eppure la mancanza di realizzazione ha segnato la vita dell’amico Serge, uno che “soffre più di tutti gli altri”, e una diffusa assenza di speranza non porta più fedeli a partecipare alle messe di un sacerdote comprensivo e disilluso: François, interno ed esterno al luogo, tenta nel miglior modo di rendersi utile, di attivarsi in favore del bene anche a rischio di minare la propria integrità emotiva e fisica, si pensi soltanto a quella sequenza finale che riecheggia Bresson. Vagamente ispirato all’amico Paul Gégauff, il personaggio di Serge rappresenta per Chabrol il simbolo del tempo perduto, in un’impressionante continuità tra diario personale e riscrittura drammatica che è cuore pulsante di un’opera imperfetta, ma sempre coinvolgente, illuminata da momenti magici, la nevicata, e argute notazioni antropologiche, la festa da ballo. Con un budget iniziale irrisorio, poi rimpolpato da un salvifico premio di qualità, La beau Serge venne presentato al Festival di Cannes fuori concorso, riscuotendo consenso di pubblico anche nella successiva distribuzione in sala: il successo inaspettato, spinse Chabrol a lanciarsi in fretta nella produzione di I cugini con la stessa troupe. Interpreti di entrambe le pellicole, Jean-Claude Brialy e Gérard Blain diventano, in breve, il volto del nuovo movimento, prima di Jean-Pierre Léaud e Jean-Paul Belmondo. Un esordio dolente e sincero.
Paris vu par… vede dietro la macchina da presa Chabrol, Rohmer, Douchet, Pallet, Godard e Rouch. Chabrol dirige l’episodio La Muette. Quattro ragazze che lavorano in un negozio di elettrodomestici conducono un’esistenza senza ideali. Quella tra loro che ha una visione ottimistica del mondo e che quindi dà fiducia alla gente cade vittima di un maniaco che aveva creduto l’uomo da amare. Rohmer dirige l’episodio Place de l’Étoile . Tutte le mattine, alle nove e venticinque, Jean-Marc si reca al lavoro in Place de l’Étoile, la frenetica piazza parigina. Lungo il percorso sulla piazza un ubriaco lo infastidisce. Per liberarsene lo allontana con l’ombrello. L’uomo cade a terra inanimato. Spaventato, Jean-Marc raggiunge velocemente il negozio e sostituisce l’ombrello rimasto nelle mani della vittima. Nei giorni seguenti cerca notizia dell’accaduto sui giornali senza trovare riscontri. Per prudenza cambia però il proprio percorso. Scende quindi alla fermata Victor Hugo. Qualche mese pùi tardi Jean-Marc, mentre si trova sul metrò, incontra la sua “vittima”. L’episodio di Godard si svolge a Montparnasse e Levallois.