Un sicario (Hopper) deve eliminare un’artista concettuale (Foster), testimone scomoda di un delitto mafioso, ma se ne innamora. Peripezie mirabolanti li portano in Nuova Zelanda. A causa di dissensi nella postproduzione, il film fu distribuito col nome di Alan Smithee, regista inesistente che però ha firmato una ventina di film americani, tutti contrassegnati da forti contrasti produttivi. Col piede sull’acceleratore dell’eccesso, Hopper pratica la contaminazione parodica dei generi. Sconsigliabile agli spettatori che amano la logica narrativa, interessante per chi ha qualche dimestichezza con le ultime correnti delle arti figurative made in USA. Nel 1991, ripristinata col nome di Hopper l’edizione originale di 116 minuti, il film fu rititolato (Catchfire) e ridistribuito negli USA sulla TV cavo e in home video.
In una Los Angeles, una volta tanto non da copertina, si combatte la lotta senza esclusioni di colpi tra un falsario assassino (Dafoe) e due poliziotti decisi a eliminarlo a ogni costo.Ma il confine tra il bene e il male appare sempre più sfumato. Ancora una volta Friedkin confeziona un film di grande successo e di azione travolgente, avvincente e violento quanto basta.
È un evento, anzi, l’evento. Infatti attribuisco a questo film cinque stelle, la massima valutazione. Non lo facevo da ventun anni, da Apocalypse Now. Non ci credevo più. “Fratello” contiene tutto ciò che fa il capolavoro: storia, regia importante e non visibile, attori, discrezione e leggerezza, il supporto, anche furbo, della musica (country), e finalmente non violenza, ottimismo ragionevole, e il sospetto che si possa ancora star bene. E poi la scrittura, l’intelligenza e l’ironia, e la misura migliore di tutto, e tutto esposto semplicemente, così come i grandi temi, desunti da piccole storie. E dunque si esce dalla sala e si ha la sensazione che in giro ci sia del buono e puoi trovarlo se cerchi e ti comporti bene. Nei titoli viene spiegato che l’ispirazione è l’ Odissea. Tre galeotti (ma erano dentro per piccole cose) evadono.Sono Ulisse Everett (Clooney), Delmar (Nelson) e Pete (Turturro), incontrano un vecchio cieco che prevede che la loro ricerca (un bottino nascosto) finirà quando vedranno una mucca su un tetto. Incontrano un gruppo di fedeli che si battezzano in un fiume; un nero che ha venduto l’anima al diavolo per suonare la chitarra; poi incidono una canzone – cantano benissimo – su un disco rudimentale. Partecipano a una rapina col gangster pazzo Faccia d’angelo, si fanno derubare da un venditore di bibbie. Sconvolgono una manifestazione del Ku Klux Klan. Cedono alla seduzione di tre sirene canterine. Sono coinvolti nella campagna elettorale del solito disonesto politicante. Alla fine Ulisse ritrova l’ex moglie, Penelope (e le sei figlie), che si stava sposando con un altro… uno dei Proci. Vengono ripresi dalle guardie che li hanno sempre inseguiti, stanno per essere impiccati, ma si salvano perchè la valle viene sommersa dal fiume, per via di una centrale elettrica che tutto trasformerà. Ed ecco la famosa mucca sul tetto. Nel frattempo erano all’oscuro dell’enorme successo del loro disco: I’m A Man of Constant Sorrow. Sì, va tutto a posto. E così il chiacchierone Ulisse-Clooney ha spiegato l’America della depressione, la vita, la speranza, la stupidità, e anche l’essenza, che forse è semplicemente una bella famiglia, magari con qualche amico sincero. Metafore precise, chiare e pulite, legate al passato e anche al presente di quel Paese. E mille citazioni: da Furore a Nick Manofredda a Gangster’s story a Nascita di una nazione. I tre protagonisti sono di una bravura impressionante, e dunque i Coen sono anche direttori d’attori. Ribadisco: le cinque stelle risalgono al 1979. Da tanto tempo davvero non si faceva un film così.
Fuori concorso a Venezia 2010, Premio “Città di Roma-Arcobaleno Latino”, ideato da Gillo Pontecorvo. Documentario con cui Turturro, di origini siciliane, aggiunge un altro tassello al suo dialogo con le diverse anime della cultura italiana, esplorando la composita tradizione musicale di Napoli. È “un racconto di verità che combina un contagioso entusiasmo per… un patrimonio musicale prezioso e vitale con uno sguardo che sa soffermarsi impercettibilmente sulle ferite di una città da raccontare”. Il regista ha dichiarato di aver trascorso più di 18 mesi ad ascoltare musica, cercando di capire un po’ dell’anima di Napoli senza i cliché che la riguardano. Parlato in italiano, inglese e napoletano.
Harry Cain è un agente di sicurezza in un centro commerciale. Un giorno la sua vita è sconvolta dalla morte della moglie, uccisa da un killer sotto i suoi occhi. Harry, disperato, cerca di scoprire l’identità dell’uomo.
Premiato al Festival di Cannes come miglior esordio. Tratto da una commedia teatrale dedicata dal regista al padre muratore. John Turturro dirige con mano sicura e senza strafare questa interessante storia italo-americana. Dopo la morte del padre, tre fratelli continuano l’attività del genitore. Mettono in piedi un’impresa edile, finché cominciano a incrinarsi i rapporti. Bravi tutti gli attori.
1929, in una città americana dell’Est: un potente e corrotto pezzo da 90 si scontra, a causa di una donna, con il suo amico e consigliere, mentre è in corso una lotta acerrima con un boss della malavita italoamericana. Film violento ma raffreddato, con risvolti di grottesco umorismo, dove l’intreccio tra politica, affari e criminalità organizzata è un dato di fatto quasi scontato, organico e non patologico. Non c’è un solo personaggio positivo, e ciascuno ha il suo lato debole. Il crocevia di Miller nel titolo rimanda al bosco che è il luogo della messa a morte, ma anche al fascino tortuoso di una messa in scena dove tutto – dalla fotografia di Barry Sonnenfeld, futuro regista, alle musiche irlandesi di Carter Burwell – concorre a un esito di alta coerenza stilistica. Se non il migliore, è il più armonioso e compatto dei fratelli Joel e Ethan Coen. Apparizione di Sam Raimi – abbattuto a colpi di mitra – e comparsa non accreditata – una segretaria – di Frances McDormand, futuro Oscar per Fargo .
Edit 10 Giugno 2023: Sostituita versione difettosa
Non si tratta di un film sul jazz, se così fosse sarebbe un fallimento. Sul piano del sesso sarebbe inferiore a Lola Darlin’, sempre diretto da questo piccolo genio. Volendo parlare di un jazzista senza percorrere le strade classiche, il regista cade però in altri tranelli come i personaggi cattivi impersonati da due strozzini ebrei. Bleek Gilliam divide il suo amore tra due donne, Indigo e Clarke. Presuntuoso ed egoista, le perde entrambe e subisce un incidente al labbro che ridimensiona le sue possibilità di suonare la tromba. Dopo essersi pentito avrà un figlio da Indigo che chiamerà Miles in onore del musicista Miles Davis
Vincitore a Cannes, unico nella storia del Festival, di tre premi: miglior film, migliore regia e migliore attore. John Turturro, qui nella sua più significativa interpretazione, è un commediografo piuttosto presuntuoso che vive a New York. Se ne infischia delle critiche benevole e si sente rappresentante dei bassi ceti sociali. Viene scritturato ad Hollywood per scrivere un film sulla lotta libera interpretato da Wallace Beery (siamo negli anni Trenta). Dapprima è restio, ma poi accetta e viene alloggiato in un albergo, un tempo rinomato, ormai in disfacimento. Conosce così il vicino di stanza che dice di essere un rappresentante e poi uno scrittore che ammira. Quest’ultimo però deve molto alla sua assistente che passerà una notte con il commediografo. Con molto sarcasmo e bravura formale i fratelli Coen firmano il loro miglior lavoro assieme al precedente Crocevia della morte. Grande anche l’interpretazione di John Goodman ( True Stories e Arizona Junior), dall’enorme mole.
Margot ha un figlio, Claude, e un marito, Jim. È una scrittrice famosa e ha un amante, Dick , che ha una figlia adolescente, Maisy. Margot decide di raggiungere con Claude la sorella Pauline che sta per sposarsi con Malcolm riprendendo fiducia nella coppia dopo un matrimonio fallito che le ha lasciato una figlia, Ingrid. Le due sorelle non hanno mai avuto un buon rapporto e le cose non migliorano dopo che Margot ha conosciuto Malcolm che ritiene del tutto inadatto alla sorella. Per di più è la prima a cui Pauline confida di essere incinta. Margot non terrà per sé il segreto.
La vita dello studente universitario Nasir ‘Naz’ Khan, di origine pakistana, precipita nel caos quando una sera esce da casa sua nel Queens di New York e ruba il taxi del padre per raggiungere una festa a Manhattan. Naz finisce per perdersi e per dare un passaggio a una ragazza con cui trascorre la serata a base di sesso e droga. Quando nel cuore della notte si risveglia confuso nella cucina di Andrea, sale in camera per salutarla ed andarsene ma la trova morta sul letto in un bagno di sangue.Incastrato dall’arma del delitto e diverse testimonianze, Nasir si affida all’aiuto di un avvocato caduto in disgrazia, John Stone, per dimostrare la sua innocenza al processo.
Estate 1977 a New York: la più torrida del secolo. Mentre nel Bronx un assassino periodico (lo psicotico David Berkowitz che si firma “il figlio di Sam”) fa le sue vittime con una calibro 44 tra donne sole o coppiette appartate, scatenando la paranoia del sospetto e della caccia all’uomo, la calura provoca un blackout che sferra un’ondata di saccheggi per mano di neri e portoricani poveri. È l’estate in cui nel baseball gli Yankees vinsero il campionato ed esplose la disco music. Su questa tela di fondo nella chiusa comunità italoamericana si svolgono le vicende di due giovani coppie, Vinny (il colombiano Leguizamo) e Dionna (Sorvino), Ritchie (Brody) e Ruby (Esposito). Scritto da Victor Colicchio e Michael Imperioli con il regista-produttore, è – come Fa’ la cosa giusta (1989) – un complesso e convulso film corale che ha per temi principali l’intolleranza, la paura aggressiva per i “diversi”, il ruolo dei media nel far lievitare panico e paranoia collettiva (con lo stesso S. Lee che si ritaglia ironicamente una piccola parte di telecronista), la mentalità cattolico-machista degli immigrati italiani. Gronda di sangue, vomito, lacrime, sesso, violenza. E di musica: Talking Heads, Who e quella originale di Terence Blanchard che condiziona il montaggio sincopato e contratto (di Barry Alexander Brown). Nella fotografia di Ellen Kuras s’impastano bene frequenti ricorsi al video. Qualche noia con la censura USA, con la distribuzione che ha chiesto la riduzione e con la comunità italoamericana di New York.
J.H. Jack Armstrong, giovane afroamericano, quadro medio-alto di una multinazionale farmaceutica, perde il posto (e ha il conto in banca congelato) dopo aver denunciato i loschi intrallazzi di un responsabile della ricerca, provocando il suo suicidio e uno scandalo in Borsa. Si fa viva la sua ex moglie, proponendogli un compenso di 10 000 dollari per mettere incinta lei e la sua nuova fidanzata. Accetta, le accontenta, la voce si diffonde, sono tante le danarose lesbiche avide di maternità che fanno la fila. Pur ben rimunerata, la vita di Armstrong si complica. Spike Lee non aveva mai fatto un film altrettanto scombinato, pessimista e virulento che tira al bersaglio contro due aspetti dell’America di Bush (che apre il racconto): gli scandali finanziari che hanno fatto collassare giganti produttivi come Enron, Worldcom, Tyco ecc. e l’ipocrisia sociale sui valori legati al sesso. Forsennato cocktail di un moralista che mescola commedia, farsa, satira, epica, grottesco (con intermezzo disegnato sulla carica degli spermatozoi). Scritto con Michael Genet. Girato in 28 giorni a New York da Matthew Libatique in 16 mm, trasferito in internegativo digitale. Musiche di Terence Blanchard.
Architetto nero di New York, con moglie e figlia, ha una relazione con la segretaria italoamericana, che ha il babbo e due fratelli a carico. Male accolta nei rispettivi ambienti, la loro storia li fa espellere dalle famiglie. Passata la febbre, vi rientrano. L’intrigo, semplice, del 5° film dell’afroamericano Lee serve per affrontare 2 temi principali: i rapporti interrazziali e quello della droga (da lui condannata con lucido furore). Concretezza, lucidità, energia e irridente umorismo sono le qualità del film, al servizio dell’efficacia del disegno dei personaggi. Superba compagnia di interpreti, colonna musicale curata da Stevie Wonder con le voci di Frank Sinatra e Mahalia Jackson. Premio a Cannes per S.L. Jackson.
Attrice nera, disoccupata a New York, accetta un lavoro come voce di una chat line erotica e diventa un numero: sei (six) come sesso (sex), in arte Lovely e, diventata la prima della classe, mette da parte una paccata di dollari per pagarsi il trasferimento a Hollywood. La parte telefonica è divertente, induce a pena (per i maschietti) o mette i brividi. Ben doppiata da Laura Boccanera, la Randle è simpatica, sexy, fin troppo brava. Ma il conflitto interiore che porta la protagonista a confondere finzione e realtà è raccontato in modi stentati. Che sia un’autobiografia camuffata, quella di Suzan-Lori Parks che l’ha scritta? Ghiotte imitazioni filmiche e brevi apparizioni di John Turturro, Madonna, Quentin Tarantino, Naomi Campbell, Ron Silver. Canzoni di Prince.
Dal romanzo omonimo di Richard Price. Della morte violenta del gestore notturno di un fast food a Brooklyn (New York) si accusa un nero, onesto padre di famiglia, ma l’anziano poliziotto bianco Rocco Klein concentra le indagini su un suo fratello sedicenne che spaccia droga pesante. Sul piano del racconto realistico corale sulla cultura della droga e della violenza nei ghetti neri, alimentata dai mass media, è ineccepibile, ma su quello dei risultati espressivi rivela uno S. Lee riconciliato e un po’ incerto. In un primo tempo doveva essere diretto da Martin Scorsese che ne è uno dei produttori.
Nel 1958 scoppia negli USA uno scandalo su scala nazionale quando si scopre che un popolare gioco a indovinelli – “Twenty-One”, simile al nostro “Lascia o raddoppia?”, che in quegli anni ogni lunedì sera chiamava cento milioni di telespettatori – era manipolato a favore dei concorrenti più telegenici che tenevano alti gli indici di ascolto. Tratto dal libro Remembering America: A Voice from the Sixties di Richard N. Goodwin, sapientemente sceneggiato da Paul Attanasio, assomiglia ai 3 film precedenti diretti da R. Redford: molto parlato, molto decoroso, molto impegnato (civilmente) e non molto eccitante. Ben recitato, comunque. Nonostante 4 candidature agli Oscar non ne vinse nemmeno uno.
La calura è il tessuto connettivo di un’azione che si svolge dall’alba alla notte di una torrida giornata estiva sulla Bedford-Stuyvesant a Brooklyn, ha il suo epicentro in una pizzeria, il suo riferimento in una stazione radiofonica e si risolve in uno scoppio di violenza. È il 3° e il più maturo film di S. Lee: costruzione drammaturgica di ammirevole compattezza e ritmo, acuta analisi sociologica del calderone etnico nordamericano, un lucido discorso antirazzista che non indulge alla demagogia né ai buoni sentimenti, una colonna musicale (di Bill Lee, padre di Spike) di forte suggestione, affetto e rispetto per i personaggi.
Mentre sua madre Ada (una straordinaria Lazzarini) sta lentamente ma serenamente morendo, la regista Margherita è sempre più in affanno tra visite in ospedale, riprese di un film su una fabbrica occupata, rapporti problematici con la figlia adolescente. La distrae, con la sua esuberanza cialtrona, il divo americano Barry Huggins, la sostiene il fratello Giovanni che è un po’ il suo grillo parlante. Oltrepassando La stanza del figlio (2001), il 12° film di Moretti, sceneggiato con Francesco Piccolo e Valia Santella, racconta, in chiave tragicomica, la resistenza ad accettare la propria morte – di cui quella della propria madre è il simbolo – che è in realtà resistenza a rinunciare al proprio narcisismo, oltre il quale si intravede invece la possibilità di un’esistenza migliore. Film dolente e coraggioso, serio ma commovente ed emozionante, in cui Moretti – che si è tenuto ai margini come attore e come regista e ha scelto un registro stilistico prosaico, sotto le righe – si mette in gioco, si confessa e si autocritica, con grande ironia e autoironia, sdoppiandosi nei due fratelli, due facce di sé stesso. Suggestive invenzioni metaforiche – l’infinita fila di persone in coda al cinema, le scatole di libri nell’appartamento svuotato – e da sequenze di grande potenza emotiva, sia comica – la scena di Barry alla guida – sia tragica – sopra tutte quella in cui Margherita obbliga la madre a camminare. Difficile dire chi sia più bravo tra gli interpreti principali.
Chi è il Salvatore Giuliano di Cimino? Qualcuno per il quale sentirsi americano è un imperativo morale. Nel 1943, la Sicilia è stata occupata dagli Alleati, ma nel resto dell’Italia c’è la guerra civile. In uno scontro con i carabinieri Giuliano rischia di morire, ma guarisce presto. A un prete suo amico spiega la sua missione, disegnando cerchi sulla sabbia: “Tu dove stai? Non si può vivere in Sicilia senza entrare in uno di questi cerchi”. Giuliano lotta per essere un uomo libero in una terra dove ognuno è al proprio posto da secoli. I figli dei ricchi sono ricchi, quelli dei contadini continuano a essere contadini. Ha un progetto: la Sicilia non dovrà mai più appartenere a mafiosi, aristocratici, politici, ma entrare a far parte degli USA, diventando padrona di sé stessa. Tradito dal suo luogotenente e amico Pisciotta, fu ucciso a 27 anni. Da un romanzo di Mario Puzo, adattato da Steve Shagan con Gore Vidal, ha in Lambert un protagonista sciapo (molto meglio Turturro come Pisciotta). Una versione di 146′ approvata dal regista non fu mai distribuita. Incurante della verosimiglianza storica (ci sono perfino le strade di Palermo con le insegne inglesi), degna di Cimino è almeno la prima mezz’ora.
Tutti i link Easybytez sono andati persi, con calma cercherò di ricaricare più materiale possibile.
Le richieste di reupload di film deve essere fatto SOLO E ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.
Visto il poco spazio su Mega (2 terabyte) NON caricherò più serie tv e fumetti.
Se interessati a serie o fumetti contattatemi via email che vi spiego un metodo alternativo