Un bandito, Wes McQueen, evaso dal carcere si ricongiunge alla vecchia banda. C’è da assaltare un treno carico di dollari. Ma Wes fiuta l’inganno degli amici di un tempo e prepara le sue contromosse con l’aiuto dell’intrepida Colorado. Remake di Una pallottola per Roy.
Non ho trovato subita in rete. gsubita sta per subita tradotti dai subeng con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Un gruppo di italiani è a Palma in cerca d’avventure sentimentali. Due giovanotti della compagnia finiscono però nelle reti tese da alcune mamme desiderose di accasare le figlie. C’è anche un maturo industriale che si fa spillar quattrini dall’amichetta; c’è l’astuto zoppetto italiano Pandolfini, e tanta altra “fauna” eterogenea.
12 episodi con ambientazione fissa compongono un progetto iniziato nel 1986 e che attraverso gli anni giunge infine a compimento. Come in tutti i film ad episodi, sta allo spettatore eleggere i suoi favoriti, e in C&C c’è di che scegliere. Tanti grossi nomi prestano il loro volto all’amico Jarmusch, in un carosello di personaggi che hanno in comune tre cose: fumano, bevono caffè e parlano di cose assolutamente prive di senso. La palma d’oro per il dialogo più improbabile a Tom Waits e Iggy Pop, due tra gli individui più “storti” e indispensabili del nostro tempo. Per quanti condividono e vivono l’idea che caffè+sigarette sia il matrimonio più riuscito di sempre, potrebbe diventare un vero manifesto.
Ritorno di Alberto Sordi dietro alla macchina da presa dopo alcuni anni. La sua interpretazione riesce in alcuni momenti a ritrovare i fasti di un tempo ma la regia lascia sempre a desiderare sul piano del ritmo narrativo. Questa volta si fa della satira sulle beghe televisive dei grossi gruppi italiani. Il successo non è arrivato neanche da parte del pubblico cinematografico. Segno che solo televisivamente il “nostro” Albertone raccoglie buoni esiti.
Nel ragazzetto Gigetto si scopre un’eccezionale voce di baritono. Rimasto solo per l’arresto del padre, è affidato a un maestrino disoccupato che sfrutta l’occasione. Arriva la celebrità, seguita da parenti avidi. Film d’esordio del nipote di Silvio D’Amico, su sceneggiatura scritta con Age e Scarpelli. Commedia piacevole, in bilico tra umorismo e sentimento, ricca di delicate annotazioni d’ambiente con risvolti di un grottesco graffiante. Sordi ci dà dentro senz’argini come il Po in piena, in una affiatata compagnia di caratteristi. Azzeccata colonna sonora di A.F. Lavagnino, elaborata da A. Trovajoli.
Un telegramma dal Sud Africa riunisce e movimenta la vita di cinque fratelli: un vecchio zio è morto e la sua vedova è in arrivo. Tutti, ad eccezione di uno, cercano di evitare la zia che suppongono vecchia. Sorpresa: arriva una giovane in Cadillac accompagnata da un’altra giovane. Anche il testamento dello zio prende in contropiede i fratelli.
Macabro (Macabre) è un film del 1958, diretto dal regista William Castle.
Il dottor Barrett vive con la figlia Marge di tre anni e la sua tata Miss Kushins. La città ha perso fiducia in lui e solo la sua assistente gli rimane fedele, l’infermiera Polly Baron, la quale cerca di convincerlo a lasciare la città, ma Barrett non vede l’ora di sposare Sylvia. A un certo punto, Marge scompare da casa, dove è stata vista l’ultima volta mentre giocava con il suo orsacchiotto. Il dottore riceve una misteriosa telefonata in cui l’interlocutore afferma di aver rapito Marge e di averla sepolta viva aggiungendo che si trova in compagnia dei morti e che gli restano soltanto 4-5 ore per ritrovarla. Così il dottor Barrett, insieme a Polly, inizia la ricerca della piccola partendo dal cimitero locale.
Giovane signora di New Orleans, madre di una ragazzina e di un bimbo, a distanza di poche ore perde il figlioletto, annegato in una vasca, e l’amante. Un vicino di casa cieco e innamorato vuole “vederci chiaro”. Con l’apporto di Pupi e Antonio Avati, produttori e sceneggiatori, l’esordiente figlio (1944) di Mario Bava ha fatto un film inquietante che punta sull’atmosfera più che sugli effetti. Notevole la trovata del frigorifero.
Amante dell’Inghilterra, modesto antiquario perugino approfitta di un’asta a Londra per cercare di anglicizzarsi. Esordio nella regia di Sordi che, dopo aver fatto l’americano, cerca di far l’inglese. Taccuino di viaggio ora spiritoso, ora evanescente. “E non è facile adattarsi alla convenzione di un’Inghilterra in cui tutti gli inglesi… parlano un italiano alla Stanlio e Ollio” (T. Kezich).
Timido, goffo e petulante, Alberto cerca in ogni modo di fare colpo su Margherita. Con la speranza di vincere il primo premio, partecipa a una corsa. Da un soggetto di Sordi sceneggiato dall’attore con Cesare Zavattini e Vittorio De Sica (che si dice abbia diretto gran parte del film), un filmetto un po’ melenso ma interessante come specchio della Roma postbellica. Nel suo primo film da protagonista Sordi ha voluto portare sullo schermo i temi, i modi e l’umorismo di un suo popolare programma radiofonico.
Judd (Neville Brand), gestore di un motel, è completamente pazzo e alleva un coccodrillo nella palude acquitrinosa accanto all’edificio. Quando arrivano clienti, per un motivo o per l’altro, tenta di farli fuori tutti. Ma il suo coccodrillo non fa sconti nemmeno a lui. Stranissimo secondo film di Hooper dopo il successo di #Vedi#Non aprite quela porta. All’apparenza è un cupo horror di serie B, con grandi parentele con #Vedi#Psyco e #Vedi#Uomini coccodrilo e molti altri film degli anni ’50 e ’60, con una trama banale e lineare. In realtà è qualcosa di più, visto il clima davvero malsano creato dai comportamenti perversi di alcuni ospiti e dai monologhi allucinati del protagonista, un grandissimo ed esagerato Neville Brand che borbotta in continuazione frasi sconnesse e ragionamenti paranoici. Il film è immerso in colori irreali che richiamano, assieme alla trama e ai personaggi schematici ma singolari, i fumetti dell’orrore americani di Gaines (molto più dei due #Vedi#Creepshow e de #Vedi#I racconti dala tomba che a essi direttamente si rifanno). Il cast è curioso, con William Finley (#Vedi#Il fantasma del palcoscenico) in grande evidenza e una gustosa partecipazione di Robert “Freddy Krueger” Englund.
Per colpa di un cliente ubriaco, il tassista Lao Shi investe un motociclista. Il malcapitato sembra in condizioni gravi, quindi l’autista, anziché aspettare la polizia, lo porta in ospedale; nel frattempo il cliente è fuggito. Il motociclista vivrà, ma le costose cure per tenerlo in vita sono addebitate a Lao Shi, che prova a rintracciare il cliente senza alcun successo. Dopo Travis Bickle, ancora una volta è un tassista a superare il limite di sopportazione e affrontare la società di petto. Lo spunto di partenza è fornito da un tema di stretta attualità e di sconcertante gravità. In Cina si sono infatti verificati diversi casi di incidenti automobilistici in cui il responsabile ha infierito sulla vittima, uccidendola, per evitare di doverne coprire le spese mediche. In sostanza, in Cina è assai più conveniente l’omicidio colposo a seguito di un incidente mortale che la copertura dei danni procurati, interamente a carico di chi ha la responsabilità dell’incidente. Un grado zero della giustizia che agevola il grado zero della solidarietà umana.
Una banconota da centomila lire falsa, rifilata a un tenente dei carabinieri da una bella ragazza; un famoso falsario che ricompare dal nulla e altrettanto misteriosamente viene trovato morto ammazzato; un attentato che fa saltare in aria la villetta del tenente, precipitando nella più cupa disperazione la prosperosa signora di lui. Questi gli elementi di una commediola all’italiana con un buon cast ma senza idee.
Il giovane Prescott, americano, vive un periodo della sua vita in una grande casa fuori Parigi, insieme alla madre, una donna inquieta che sfoga l’insoddisfazione nella devozione religiosa, e alle altre donne che si occupano di mandare avanti la casa. Il padre, invece, consigliere del presidente americano Wilson, va e viene da Parigi, dove sta lavorando al trattato di pace che porrà fine alla Prima Guerra Mondiale. Un bambino dal volto gentilmente perfetto, dolce come quello di una femmina, che recita senza errore la sua parte nella funzione ecclesiastica, salvo poi uscire in preda alla collera e mettersi a scagliare pietre sui fedeli, ancora agghindato con l’abito candido dell’angelo. È in questa condizione ossimorica che facciamo la conoscenza di Prescott, nell’ottimo esordio dietro la macchina da presa (35 mm) dell’attore Brady Corbet.
Due bambine, a distanza di quattro anni l’una dall’altra, vengono uccise nel medesimo luogo. Il padre dell’ultima vittima riesce a scoprire l’assassino dopo che molti degli indiziati sono periti di morte violenta.
Fine Ottocento, Outback australiano: il capitano Stanley cattura Charlie e Mike, due dei quattro fratelli Burns, fuorilegge responsabili di stupri e omicidi, e fa un patto con Charlie: la testa di Arthur, il fratello maggiore, principale ideatore ed esecutore delle efferatezze, in cambio della grazia per lui e Mike. Charlie accetta ma la proposta di Stanley non è gradita ai superiori che vogliono, invece, eliminare tutta la banda. Il film, un western di atipica ambientazione australiana, è ben congegnato ed avvincente. Il suo merito più grande, però, è un altro: offrire uno spaccato di vita dei pionieri australiani. Mostra, infatti, la cocciutaggine e l’ottusità dei coloni inglesi, convinti di appartenere ad una civiltà superiore tanto da poter piegare ai propri ritmi una terra desolata ed inospitale, sottomettendo alle leggi di Sua Maestà la Natura e la popolazione aborigena. Allo stesso tempo, il film mette in luce la solitudine e il senso di sconfitta che provano questi uomini nei confronti di una Natura che, al contrario degli inermi aborigeni, non può essere domata. I pionieri sono costretti a vivere in mezzo al nulla, in squallide casupole di lamiera, esposti ad un caldo torrido e a replicare meccanicamente uno stile di vita assurdo a quelle latitudini. Emerge tra queste figure il capitano Stanley, unico, con la sua “proposta”, ad uscire da schemi predefiniti intuendo che, in un mondo primitivo, lealtà e rispetto della parola data stanno al di sopra di ogni legge.
Un poliziotto integerrimo smaschera il complotto di un uomo politico corrotto appostandosi con una telecamera nel luogo dove questi si riunisce con la sua banda. Naturalmente lo fanno fuori. Almeno ufficialmente. In realtà, portato d’urgenza all’ospedale, l’agente è vivo, ma resta in coma sette anni. Assistito dalla bella infermiera che si è innamorata di lui, tornato alla vita, avrà ragione dell’inesorabile politico e dei suoi killer.
A Los Anglese il criminale Verona inietta un siero mortale nel killer professionista Chev Chelios che ha le ore contate per trovare un antidoto e vendicarsi di Verona e dei suoi mandanti. Thriller adrenalinico sopra le righe, scritto dai 2 registi, infognato nella violenza con un convulso montaggio da spot pubblicitario, ma con una sotterranea dimensione autoironica, sottolineata dall’interpretazione acrobatica dello spericolato cascatore Statham.
Alexandre Schmidt è un architetto di fama internazionale, sfiduciato verso la sua professione e incapace di comunicare con la moglie e psicologa Aliénor. L’incontro a Stresa della coppia con i giovani Gerardo e Lavinia, fratello e sorella, porterà a un ripensamento delle loro vite e a una nuova iniezione di fiducia. C’è ancora qualcuno che crede al potere salvifico o terapeutico del cinema, c’è ancora qualcuno che crede nel ruolo prioritario e pedagogico del cinema. Qualcuno come Eugène Green, che appartiene alla schiatta dei Rossellini e dei de Oliveira, che professa un cinema che non si vergogna della sua antistoricità, palesandone invece l’assoluta contemporaneità attraverso insegnamenti e suggerimenti ispirati che non conoscono età. O per meglio dire illuminazioni, visto il ruolo che la luce riveste nell’ultimo lavoro di Green, in cui è centrale quanto lo è nel cinema stesso. La lezione può essere appresa dal maestro e insegnata dall’allievo, in un ribaltamento di ruoli degno di un dialogo socratico sulle mancanze del razionalismo esasperato e sull’imprevedibilità del talento, quando questo è guidato dalla spiritualità. Alexandre e Gerardo come Bernini e Borromini, depositari di stili architettonici antitetici come le loro interpretazioni dell’esistenza, protagonisti di un susseguirsi di opposti che genera la più insperata delle osmosi creative. Una lectio moralis che Eugène Green conduce ricorrendo alle tecniche care al suo cinema: piani fissi, gesti ieratici, primissimi piani con attori che parlano rivolgendosi alla camera, inquadrature pittoriche (tra cui spicca il trittico dei severi esaminatori del progetto di Alexandre). Per poi lasciarsi andare all’esame accurato delle architetture del Borromini, alla sua ascesa inarrestabile verso l’assoluto, in cui trascinare lo spettatore più attento e complice dell’operazione in atto. Un percorso verso la sapienza, inesorabilmente e inevitabilmente guidato dall’amore, che restituisce speranza in un’idea di cinema che non teme l’anacronismo e che rivendica la sua atemporalità.
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