Nel 1932 anarchico della Bassa lombarda, deciso a far fuori il Duce, trova ospitalità in una casa chiusa di lusso dove s’innamora della bella Tripolina. Il mattino dell’attentato si sveglia in ritardo. Ghignante quadro di costume, è un’opera ideologicamente equivoca perché il suo contenuto evidente (l’antifascismo) è in contraddizione con il suo contenuto latente (una mescolanza di sentimentalismo e volgarità). Come la bricconata conclusiva mostra, la sua mancanza di rigore rasenta l’isterismo. Attori ineccepibili. Premiato Giannini a Cannes.
Un marinaio siciliano comunista deve sottostare ai capricci della padrona, la viziata moglie di un industriale milanese, ma quando lo yacht naufraga in un’isola deserta lui si prende la sua rivincita.
Il giornalino di Gian Burrasca è uno sceneggiato televisivo trasmesso dalla RAI, in otto puntate, il sabato, in prima serata (dalle 21,05 alle 22,00 circa), dal 19 dicembre 1964 al 6 febbraio 1965[1] e replicato nel 1973, nel 1982 e nel 2012 (Rai 5).Destinato ad un pubblico giovanile, ma trasmesso in prima serata per guadagnare anche una audience più matura, era liberamente ispirato[2] all’omonimo romanzo scritto da Vamba nel 1907 e pubblicato inizialmente a puntate sul Giornalino della Domenica.Interprete nel ruolo maschile dello scatenato protagonista Giannino Stoppani era Rita Pavone, all’epoca da poco tempo affermata cantante di musica leggera. La regia era di Lina Wertmüller – responsabile anche dell’adattamento televisivo – mentre le scenografie e i costumi erano rispettivamente di Tommaso Passalacqua e Piero Tosi. Autore delle musiche – dirette da Luis Bacalov – era Nino Rota. Tra i motivi musicali lanciati dalla trasmissione ha avuto successo molto particolare la canzone Viva la pappa col pomodoro.
Un siciliano, licenziato a causa delle sue idee politiche, grazie all’intervento della mafia trova lavoro come metallurgico in una fabbrica di Torino. Qui diventa amante di una ragazza che gli dà un figlio; al suo ritorno a casa, scoprendo che la consorte è incinta di un brigadiere, ne seduce la moglie per vendetta.
Regia di Luigi Magni. Un film con Nino Manfredi, Serena Grandi, Alberto Sordi, Massimo Wertmüller, Luca Barbareschi, Elena Sofia Ricci.Cast completo Genere Storico – Italia, 1990, durata 110 minuti. – MYmonetro 3,73 su 15 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. Siamo nel 1849, nel momento in cui la Repubblica romana dovette arrendersi alle truppe dell’esercito francese capitanate dal generale Oudinot. La cronaca dell’avvenimento in questione e gli altri accadimenti a Roma e nel resto dell’Italia sono la materia del film di Luigi Magni. Molti sono i personaggi che sfilano: il prete barnabita Ugo Bassi, papa Pio IX, Luciano Manara, celebre esponente monarchico, i patrioti Daverio, Messina, Narducci, Dandolo, il poeta Belli e Goffredo Mameli, autore dell’inno italiano. Affresco condotto con mano sicura da Magni anche se le interpretazioni non sono mai folgoranti.
Ritratto di una vittima che finisce per diventare un mostro. Nella Napoli del 1936 un giovane proletario uccide il seduttore di una delle 7 (brutte) sorelle, è rinchiuso in un manicomio criminale da cui esce come volontario di guerra, finisce in un lager tedesco e diventa kapò. Rientrato a Napoli, trova madre e sorelle che si sono rimpannucciate con la prostituzione. 8° film di Wertmüller e uno dei suoi migliori, è un’analisi feroce della filosofia della sopravvivenza a ogni costo: la vitalità di Pasqualino è mortuaria. In misura minore, gli eccessi e i difetti della regista sono presenti anche qui, ma compensati dall’aggressiva felicità del linguaggio, dalla ricchezza delle invenzioni (cui contribuiscono le scene di Enrico Job, suo marito, e la fotografia di Tonino Delli Colli), dall’ottima direzione degli attori. Molti premi internazionali tra cui 4 candidature agli Oscar (regia, sceneggiatura, G. Giannini attore protagonista, miglior film straniero) negli USA dove fu distribuito come Seven Beauties . Giannini maiuscolo. Musiche di E. Jannacci. Circola anche in copie di 93 minuti.
È un bozzetto della vita in un paese del Meridione disegnato attraverso la figura di due ragazzi, uno studente svogliato e un ragioniere. I due trascorrono le giornate negli stessi luoghi, facendo i medesimi discorsi, preferendo la monotonia quotidiana a qualunque altro possibile sbocco. Primo lungometraggio della brava regista televisiva che dimostra mano sicura e approfondisce l’indagine psicologica e sociale della realtà meridionale. La Wertmüller era partita bene, piena di rigore e di propensione alla verità. Non ha poi mantenuto le promesse, anche lei catturata dalla tentazione del cinema dai grandissimi mezzi.
Tunin e Zvanin, operai metalmeccanici, anche se ora litigano perché il primo è rimasto con il partito di Rifondazione e il secondo ha aderito al partito dell’Ulivo, sono vecchi amici con la passione per le automobili d’epoca. Eccitati politicamente, piombano in piena celebrazione del partito della Lega Nord: assaliti dai leghisti, Tunin s’innamora di una di loro, la parrucchiera Rossella, che accetta di cedergli, purché egli firmi l’adesione alla Lega…
Assalito da incubi e allucinazioni, tormentato dai fantasmi delle sue numerose vittime che vengono a visitarlo, il vecchio re Ferdinando, soprannominato il “re nasone”, ma anche il “re mascalzone”, cerca di cancellare quelle spiacevoli presenze evocando i suoi ricordi più belli, quelli legati alla giovinezza. Cresciuto come uno scugnizzo, in nome della ragion di Stato Ferdinando si ritrova sposato alla bella Maria Carolina d’Austria dopo due matrimoni combinati e mancati con le figlie di Maria … [continua a leggere]Teresa d’Austria, morte entrambe di vaiolo.
Uscito di prigione dopo sette anni di isolamento Jake Green è deciso a vendicarsi di Dorothy Macha, l’uomo che ha ucciso la moglie del fratello. Umiliato e battuto al tavolo da gioco dal giovane rivale, Dorothy manda i suoi scagnozzi a ucciderlo ma Jake viene salvato da Zach e Avi, due squali del prestito che gli offrono protezione in cambio di denaro e risposte. Dopo la parentesi greca ambientata nell’azzurro mare d’agosto, che lo ha visto rimettere le mani sulla commedia firmata da Lina Wertmüller e guadagnare un Razzie Award come peggior regista dell’anno, Guy Ritchie torna al cinema che sa fare meglio, quello gangsteristico e vagamente pulp. Assistito nell’adattamento (di un suo soggetto) da Luc Besson, confeziona un film scenograficamente perfetto e narrativamente difficile. L’imminente morte di Mr. Green (Jason Statham) è solo un pretesto per azionare un gioco – che non rivela nell’immediato chi sia la vittima e chi l’avversario – e dare inizio a una partita avvincente, specie quando si sposta sul piano psicologico. Attraverso gli scacchi, che il protagonista ha imparato a conoscere in isolamento grazie agli studi di meccanica quantistica e alle indicazioni di due misteriosi vicini di cella, si snocciola la formula che sta alla base di Revolver: “l’unico modo per diventare più furbi è di giocare con un avversario più furbo”. È solo la prima di una serie di citazioni – sovraimpresse sullo schermo – che infittisce la trama ricca di codici da decifrare. Che Ritchie sia rimasto affascinato dalla cabala è evidente dall’uso che fa di simboli e di riferimenti numerologici, a partire dalla trinità formata da Zach, Jake e Avi e dal numero 32 che torna sovente. I segni occulti disseminati lungo il film sono tutti elementi di una struttura espressiva che replica l’equivoco della realtà, ovvero l’ingannevolezza delle apparenze. A essere importante non è tanto il quadro generale ma i singoli dettagli, gli stessi che appaiono sulla bacheca dell’agente Dave Kujan di Chazz Palminteri e che alla luce dei fatti sono capaci di mostrare una realtà altra e un nemico – o avversario – altro. Sebbene Guy Ritchie non trovi nella narrazione la stessa brillante soluzione de I soliti sospetti, il suo Mr. Gold sembra replicare quel potente criminale di nome Kayser Söze che nessuno ha mai visto. Tuttavia, il male sul quale posa lo sguardo il regista inglese ha tutt’altre sembianze. Incorniciato da un numero di brani classici – tra i quali la sonata “Al chiaro di luna” di Ludovico Van – che accompagnano dolcemente sanguinose sparatorie e i momenti più introspettivi dell’attore feticcio di Ritchie, Revolver rappresenta il primo passo verso la “guarigione” di un autore di culto con il blocco del regista.
Un quinquennio nella vita di Francesco d’Assisi (1182-1226) e di Chiara (1193 circa-1253) dalla guerra con Perugia (1204) sino all’approvazione della regola francescana da parte di papa Innocenzo III. Fantasia paramusicale al glucosio su Francesco, visto come precursore dei “figli dei fiori” e messo in immagini da cartolina in tricromia per il pubblico americano. Persino Guinness è un papa moscio. Musiche di Ritz Ortolani e Claudio Baglioni. “Se fossi Papa, lo brucerei” (Stanley Kauffmann). Scritto da S. Cecchi D’Amico, L. Wertmüller e K. Ross con il regista.
Un film di Lina Wertmüller. Con Paolo Villaggio, Isa Danieli, Luigi Mollo, Ester Carloni, Paolo Bonacelli.Commedia, durata 100 min. – Italia 1992. MYMONETRO Io speriamo che me la cavo valutazione media: 3,29 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Tratto dal libro campione di vendite di Marcello D’Orta. Buona l’interpretazione di Villaggio, più misurato del solito, che finalmente nei primi anni Novanta ha ripreso a essere valorizzato e ha vinto il Leone d’Oro alla carriera. È la storia di un maestro che esercita ad Arzano, vicino a Napoli. Vicino a Cuore di De Amicis, il film è legato dai temi scritti dagli allievi del maestro. Si sorride spesso, forse una maggiore sobrietà avrebbe aiutato ad apprezzarlo di più. Grande successo di pubblico. View full article »
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