New Mexico, 1873: un Apache uccide per legittima difesa un bianco. Gli danno la caccia ma, quando gli uccidono la moglie, cambia tattica e si vendica con ferocia. Palesemente influenzato dalla violenza dei western italiani, M. Winner non ha la mano leggera nelle scene crudeli, affondando nel sangue i temi antirazzisti della storia.
Danny, figlio di una pittrice anticonformista, viene inserito contro la volontà della madre nel collegio diretto dal pastore Hewitt. Il pastore conosce la madre di Danny e se ne innamora, ma essendo sposato e avvertendo i primi rimorsi, abbandona la relazione, lascia il collegio e comincia una nuova vita. Intanto Danny torna a casa e la madre si avvia ad una trasformazione.
In Canada negli anni Trenta, un cacciatore solitario è scambiato per un maniaco assassino che va in giro per le distese gelate, scannando tutti i malcapitati che incontra. Un sergente delle giubbe rosse è incaricato di catturarlo, ma il cacciatore riesce a sfuggirli. Nel frattempo viene svelata la vera identità dell’assassino.
Cinque personaggi si affrontano intorno a una sorgente: Morton (Ferzetti), magnate delle ferrovie, ha bisogno dell’acqua per le sue locomotive e fa eliminare i proprietari legittimi, i McBain, dal suo feroce sicario Frank (Fonda); Jill (Cardinale), ex prostituta, vedova di un McBain; il bandito Cheyenne (Robards), accusato della strage dei McBain; l’innominato dall’armonica (Bronson) che vuole vendicare il fratello (Wolff), assassinato da Frank e i suoi sgherri. Su un soggetto scritto dal regista con Dario Argento e Bernardo Bertolucci e sceneggiato con Sergio Donati, è una sorta di antologia del western in negativo in cui si ricorre ai suoi più scalcinati stereotipi. 3 attori americani di scuole diverse e il più famoso dei 3 (Fonda) scelto contro la parte. Il set non è più l’Andalusia, ma la Monument Valley di John Ford. In un film ricco di trasgressioni, Leone dilata madornalmente i tempi drammaturgici, contravvenendo alla dinamica del genere. Sotto il segno del titanismo si tende al teatro d’opera e alla sua liturgia. Dall’epica del treno, della prima ferrovia transcontinentale, si passa alla trenodia, al canto funebre sulla morte del West e dello spirito della Frontiera. Come in Sam Peckinpah.
Un coltivatore di cocomeri si scontra con la mafia che s’è assunta il controllo del reclutamento dei braccianti locali. Lo sbattono in galera sotto falsa accusa. Lui scappa, coinvolgendo nella fuga un famoso gangster. Finisce che deve vedersela con tutti in una volta: mafiosi e gangster. Ma lui è un duro, pluridecorato in Vietnam
Negli anni Venti e Trenta andava di moda in America una sorta di pugilato sulla strada. Questa è la storia di Shaney, un anziano pugile che vive grazie ai suoi pugni. Ha un impresario disonesto che gliene combina di tutti i colori. Alla fine Shaney si dimostra un vero uomo, generoso e forte, al di là della forza fisica.
Nick, avventuriero disposto a qualsiasi impresa, riceve da una ricchissima americana l’incarico di far uscire di prigione il marito ingiustamente detenuto in Messico. C’è di mezzo un nonno malefico. Un’ora e mezzo di azione senza pause: suspense, spettacolo (belle le riprese aeree del grande Carroll), risvolti umoristici, bravi attori.
Negli anni della depressione una ragazza del Sud fa la civetta con tutti, controllata dall’avida madre che vuole sposarla a un ricco. S’innamora di un agente delle ferrovie. Film alla Kazan, tratto da un atto unico (1941) di Tennessee Williams. Alla sceneggiatura misero mano in 14 tra cui F.F. Coppola. Abbastanza banale la storia, ma non lo stile, che è personale e rivelò in S. Pollack, al suo 2° film, un regista di merito. Magnifica fotografia di J. Wong Howe.
Uscito dal carcere, uccide l’uomo che l’aveva tradito, perdona la sua donna che s’è sposata a un boss della malavita, è ricattato, reagisce. Sulla scia del cinema americano di azione violenta S. Sòllima non va al di là di un robusto mestiere, ma il sapore del surrogato è inconfondibile.
Dicembre 1944: in previsione di una nuova, dura ripresa delle ostilità da parte dell’esercito tedesco, gli americani si preparano nelle Ardenne ad affrontare i loro carri armati. Vicenda, ricostruzione storico-politica e indagine psicologica dei personaggi sono secondarie rispetto alla spettacolare grandiosità delle scene di battaglia, girate con grande abbondanza di mezzi.
Un uomo aggredisce una donna e la violenta. Lei lo uccide, butta il cadavere in mare e pensa di averla fatta franca. M. Jobert è brava, C. Bronson ha grinta, la regia di Clément è brillante, ma come giallo è macchinoso, come dramma psicologico non convince. L’atmosfera c’è, la suspense anche. Scritto da Sébastien Japrisot, da un suo romanzo.
I soldati a guardia di una miniera sono stati decimati da un’epidemia. Su un treno che dovrebbe contenere medicinali viaggiano invece le armi destinate agli indiani. Un agente del servizio segreto non può impedire alcune morti misteriose;
Paul Kersey è un architetto cui alcuni balordi, penetrati nella sua abitazione, uccidono la moglie e violentano la figlia. Nell’animo dell’uomo esploderà un furore vendicativo che si rivolgerà verso chiunque ai suoi occhi rappresenti un pericolo per la società. Prende l’abitudine di girare armato in luoghi pericolosi e nel cuore della notte. Non gli è difficile fare brutti incontri, che risolverà quasi sempre uccidendo chi tenta di rapinarlo o importunarlo. La polizia è sulle sue tracce, non per fini di giustizia, ma per una mal riposta inaccettabilità del sovvertimento dei ruoli. Ma Paul Kersey riuscirà a eludere il pericolo di essere arrestato e si trasferirà in un’altra località, dove potrà proseguire la sua discutibile opera di giustizia. Campione di incassi e di quella che viene definita la maggioranza silenziosa.
Un villaggio messicano assolda sette pistoleri americani disoccupati per proteggersi dall’avidità di una banda di fuorilegge. Rifacimento, scritto da William Roberts, di I sette samurai (1954) di Kurosawa cui è palesemente inferiore. Apprezzabili le scene d’azione – in cui Sturges mette in mostra il suo senso dello spazio – la coloritura dei personaggi, la bella colonna musicale di Elmer Bernstein, candidata all’Oscar. Ebbe tre seguiti, uno peggiore dell’altro.
Durante la seconda guerra mondiale un gruppo di prigionieri angloamericani, rinchiusi in un campo speciale, organizzano un’evasione di massa attraverso gallerie sotterranee scavate faticosamente. Un po’ prolisso nei suoi 168 minuti (durata dell’edizione originale), è però un eccitante film di guerra tratto da una storia vera. Toglie il respiro. Molto ben fotografato da Daniel Fapp in località della Germania. McQueen in moto sopra tutti. Musiche di Elmer Bernstein. Sceneggiato da James Clavell e W.R. Burnett da un libro di Paul Brickhill.
Èla storia vera del mafioso che percorse la sua carriera all’ombra dei grandi capi dell’organizzazione. Valachi diventa grande nemico di Vito Genovese, capo supremo.
Jack Murphy, poliziotto rude, è l’indiziato numero per l’uccisione della moglie e del suo amante. Ma qualcuno gli ha sottratto auto e pistola. Arrestato, fugge dalla polizia con una ladruncola, Arabella. La vera assassina è una psicopatica, mandata in galera un tempo da Murphy, che ha deciso di uccidere tutti coloro che riteneva responsabili della sua detenzione. Nello scontro finale muoiono tutti tranne i nostri due, ormai innamorati.
Un film di Robert Aldrich. Con Lee Marvin, Ernest Borgnine, Charles Bronson, Jim Brown, John Cassavetes. Titolo originale The Dirty Dozen. Drammatico, durata 150 min. – USA 1967. MYMONETRO Quella sporca dozzina valutazione media: 3,63 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
A dodici militari condannati a morte per reati gravi viene offerta una possibilità di salvezza: partecipare ad una pericolosa missione nella Francia occupata dai tedeschi al comando del maggiore Reisman. Quest’ultimo riesce a fare di quel gruppo di delinquenti una pattuglia legata da un vero spirito di corpo, e la missione riesce: gli ufficiali tedeschi saltano in aria insieme al castello che li ospitava. Ma della pattuglia di disperati soltanto uno torna a casa. View full article »
Un film di Ted Kotcheff. Con Charles Bronson, Angela Featherstone, Sebastian Spence, Kate Trotter, Lesley-Anne DownAzione, durata 87 min. – Canada, USA 1995. MYMONETRO Sospetti in famiglia valutazione media: 2,00 su 1 recensione.
Il film si apre con dieci minuti di montaggio alternato con cui seguiamo più storie, ambientate in una città americana: la scoperta del cadavere di un sacerdote nel confessionale di una chiesa; una ragazza preoccupata perché la sorella non rientra a casa dopo una notte di svago; un ragazzino rinchiuso in galera. Iniziano le indagini sull’omicidio del parroco – capeggiate da un esperto ispettore (Charles Bronson, appesantito e in là con l’età) – e da due giovani detective, un uomo e una donna. Come per la maggior parte delle spy-stories, le sequenze si alternano fino a confluire per permettere allo spettatore di seguire gli indizi e di risolvere il caso, tenendo presente che l’ombra dell’eterno nemico degli Stati Uniti – la Russia o ex Unione sovietica – aleggia su tutte le vicende raccontate.
Molti personaggi sono ambigui: le figure femminili sono più dark-ladies che vittime del crimine; il ragazzino è un delinquente freddo e pieno di rabbia. L’ambientazione è metropolitana: la città non è ben definita e, quindi, potrebbe essere una qualsiasi città occidentale di oggi, permeata da una continua tensione e da un clima di paura (non c’è protezione dalla violenza nemmeno in un luogo sacro), paura che coinvolge tutti: adulti, bambini, giovani e meno giovani. La regia, televisiva, presenta pochi movimenti di macchina, inquadrature e montaggio che si ripetono in forme sempre uguali e, su ogni immagine, una colonna sonora cupa e angosciante.
Va bene non svelare tutto e subito agli spettatori per renderli partecipi della visione, ma la narrazione risulta troppo frammentata e il ritmo lento, nonostante qualche scena d’azione, come se si volesse dare importanza all’analisi psicologica dei personaggi oppure a una riflessione di tipo sociologico; ma un conto sono le intenzioni, un altro è risultato. View full article »
Un film di Robert Aldrich. Con Burt Lancaster, Jean Peters, John McIntire, Charles Bronson, John Dehner. Titolo originale Apache. Western, durata 91′ min. – USA 1954. MYMONETRO L’ultimo apache valutazione media: 3,63 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
1886: dopo la resa di Geronimo e dei suoi guerrieri, il giovane Massai continua da solo la lotta finché si rassegna a trasformarsi in contadino e a sposarsi. Il 1° dei 6 western di Aldrich e, forse, il più bello, certamente il più vigoroso, quello in cui il discorso filoindiano è più esplicito. Ricco di invenzioni, con un Lancaster solido come una roccia. Una delle più belle e significative carrellate del cinema hollywoodiano. Finale imposto dalla produzione, cioè da Lancaster: Aldrich lo voleva meno ottimista. Buchinsky è Bronson. View full article »