Parigi nel 1943, sotto l’occupazione nazista, un povero diavolo tira a campare facendo la borsa nera. Una notte deve trasportare quattro valigie in cui è nascosta della carne di maiale e, bisognoso di un compare, assolda un tizio conosciuto da poco. Costui è un pittore affermato che ha accettato solo per provare il brivido dell’avventura e molte volte durante il trasporto si ficca volutamente nei guai, con grande preoccupazione del poveraccio, cavandosela sempre grazie alla sua faccia tosta. Alla fine i due sono fermati dai tedeschi e, mentre il pittore verrà salvato da un ufficiale che ammira i suoi quadri, il borsaro nero finirà deportato. Alcuni anni dopo i due si rincontreranno.
Germain, ex poliziotto, e Gino, ex galeotto, sono amici. Un giorno alcuni vecchi compagni di Gino cercano di convincerlo ad unirsi a loro in una rapina, ma senza risultato. L’ispettore Gouatreau non crede alla sua innocenza e lo perseguita.
A guerra finita il reduce Diego incontra la bellissima Malou. Amore a prima vista. I due sono inseguiti dal marito e dal fratello di lei, un collaborazionista. Il Destino bussa alla porta. Ultimo film della coppia Prévert-Carné che ha la pretesa di far coesistere la mitologia di Prévert con un ambiente socialmente e storicamente ben definito come quello del dopoguerra e che – secondo sbaglio – affida a due giovani e inesperti interpreti come Montand e la Nattier i personaggi previsti per Jean Gabin e Marlene Dietrich. Alcune sequenze suggestive trasformano il film in un’antologia di splendidi frammenti costruiti su un errore. Magnifica galleria di “cattivi” (Brasseur, Fabre, Reggiani). Joseph Kosma compose per il film, su parole di Prévert, la canzone “Les feuilles mortes”.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Jean (Gabin) ha disertato e cerca abiti civili. Trova qualcuno disposto ad aiutarlo in una vecchia osteria. Siamo a Brest, nel nord della Francia. Lo aiutano due disperati come lui, un barbone e un pittore da quattro soldi. Jean incontra Nelly, triste e rassegnata a sua volta, in cerca di una qualche protezione, che trova nella casa di un vecchio che si rivela ben presto uno sporcaccione, addirittura un assassino. L’amore fra Jean e Nelly non è nemmemo un’oasi, è un momento casuale e già disperato. Si aggiunge un altro personaggio, malavitoso, che ce l’ha con Nelly. Per difenderla Jean umilia il malvivente che gliela giura. Alla fine niente va bene. Nelly torna dal vecchio, vittima di una strana, sordida attrazione, e Jean viene ucciso in strada dal malavitoso. Film di pura costruzione intellettuale studiato per simboli e con la più grande attenzione a evitare ogni minima tentazione realista. La nebbia che sovrasta tutto il film è il pericolo, è il destino, è l’avvertimento che tutto è travisato ed è ancora più difficile muoversi e decidere. Le case brutte, il caffè brutto, la gente brutta, è tutto un segnale di come sia impossibile persino la speranza. Gli uomini non determinano niente. È il destino a decidere tutto. Tutto questo nella poesia generale di un grande regista e un grande poeta che si integravano magnificamente. Carné e Prévert erano fra i padroni del cinema francese di quel momento. Perfettamente inseriti nella “moda” del Fronte Popolare, sofferenti come tutti gli intellettuali che erano stati sedotti dalle idee che venivano dall’Est e delusi dal non poterle effettivamente applicare. Dunque la miglior realizzazione di quel programma poteva stare nella solidarietà individuale e nell’amore. Ma tutto, in un momento così difficile, disperato, risultava impossibile: impossibile per Jean salvarsi fuggendo, impossibile l’amore con Nelly. In quegli anni film come Il porto rappresentavano quanto di meglio il cinema potesse offrire in Europa. Arte vera, contrapposta alla pratica americana del successo al botteghino. Un cinema di grande contenuto poetico legato, come già detto, alla cultura, ai simboli, ai significati di “quel” momento. Sono splendidi graffiti senza mercato, troppo incastrati nella cornice del loro tempo.
Edit 10/7: sostituita versione dvdrip fra subita con 1080p
Un barone, rovinato dal gioco e dalle donne, una notte sorprende nel suo appartamento un ladro, Pepel. I due fanno amicizia e, il mattino successivo, il barone, per sfuggire agli ufficiali giudiziari venuti ad arrestarlo, segue Pepel, che lo porta nel dormitorio dove vive con altri disperati. L’albergo è gestito da un vecchio avaro, Kostilev, che sfrutta i suoi inquilini. Pepel è l’amante della giovane moglie del vecchio, Vassilissa, ma difende la giovane sorella di lei, Natasha, dalle pesanti pressioni che i due le impongono per farle sposare l’ispettore degli affitti.
Sostituita versione 1080p h265 solo fra con ottima versione 720p h264 ita/fra che il mulo ci ha gentilmente donato dopo un mese a 3kb/s
Un ricercato francese raggiunge l’Italia e scambia, senza saperlo, i suoi franchi con lire false. Deciso a costituirsi, entra in una trattoria per rifocillarsi e difende dall’ira dell’ex marito una delle inservienti.
Dal romanzo (1890) di É. Zola. Il macchinista delle ferrovie Lantier, vittima di una pesante ereditarietà etilica, diventa l’amante di Sévérine che vorrebbe indurlo a uccidere il marito, autore impunito di un omicidio per gelosia, ma, in un accesso della malattia, Lantier la strangola e si dà la morte gettandosi dal treno. La dolorosa consapevolezza del proprio destino segna l’interpretazione che dell’onesto Lantier dà Gabin, qui esplicitamente legata all’inevitabilità fisiologica del delitto e della morte. Il determinismo positivista di Zola è la riprova del profondo romanticismo che contraddistingue il romanzo e il film che pure Renoir fa sfociare in un sobrio lirismo tragico. Celeberrima la sequenza ferroviaria d’apertura, capolavoro di montaggio, ma sono diverse le scene memorabili, messe in risalto dall’affascinante bianconero di Curt Courant. Dallo stesso romanzo fu tratto La bestia umana di Fritz Lang.
Una donna tradisce il marito e ne provoca il suicidio. Lo sviluppo della tragedia è osservato e sofferto dal loro figlio, il piccolo Pricò. È uno dei primi esempi, assieme a Ossessione, del nuovo cinema italiano che avrebbe dato vita al neorealismo. L’attore Emilio Cigoli, qui nella parte del marito, avrebbe dato la voce a tantissimi attori (Gary Cooper, Gregory Peck, John Wayne, Jean Gabin). Il soggetto è tratto dal romanzo Pricò di Cesare Giulio Viola.
Ucciso un rivale in amore, l’operaio François si barrica nella propria stanza, assediato dalla polizia e rivive la sua storia. Una delle vette del realismo poetico francese prebellico. Determinante l’apporto dei dialoghi di J. Prévert alla sceneggiatura di Jacques Viot in questo film assai concreto, eppur ricco di echi simbolici che non contraddicono l’impianto realistico dell’azione.” ci ha sorpreso come una voce amica nel deserto” (E. Flaiano, 1940). Tutto concorre alla felicità creativa del risultato complessivo: il bianconero di Curt Courant, le scenografie di A. Trauner, la recitazione. Ma è straordinario l’uso del materiale plastico: le sigarette, l’orsacchiotto, la rivoltella, la sveglia, fotografie, cappelli, cartoline, mobili, fiori, ecc. Influenzò il cinema “nero” americano degli anni ’40. Rifatto a Hollywood nel 1947: La disperata notte.
Sostituita versione dvdrip con bdrip 720p.
I subita li ho tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni
Un film di Henri Verneuil. Con Jean Gabin, Alain Delon, Amedeo Nazzari, Lino Ventura Titolo originale Le clan des sicilians. Drammatico, durata 113′ min. – Francia 1969. MYMONETRO Il clan dei siciliani valutazione media: 3,94 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Dopo aver messo a segno un grosso colpo, vecchio patriarca del crimine uccide un complice per motivi d’onore e finisce in carcere con i figli. Gangster-film ad altissimo costo con 3 star del cinema francese in prima fila. Sono 3 film in uno che non ne fanno nessuno. La confezione è di lusso, ma la scatola è vuota. Da un romanzo di Auguste Le Breton.
Un ufficiale della Legione straniera a riposo ha una schiena preziosa, visto che reca un tatuaggio firmato nientemeno che da Modigliani. Un antiquario, che a tutti i costi vuole l’insolito dipinto, fa con lui un contratto: in cambio del Modigliani si impegna a restaurare la sua casa-castello. Dopo continue difficoltà per rispettare l’accordo, l’antiquario si decide a trasferirsi nel maniero dell’ufficiale
Braccato dalla polizia a causa di numerosi furti e rapine, il bandito Pepé le Moko (Jean Gabin, qui all’apice della sua carriera) si rifugia nella casbah di Algeri, dove gode di appoggi e protezioni, sempre tenuto d’occhio a distanza dall’ispettore Slimane.La travolgente passione per Gaby, una sensuale ragazza parigina, porterà Pépé a lasciare la casbah per tentare inutilmente di imbarcarsi alla volta della Francia (così come ne Il porto delle nebbie Jean non riuscirà a partire per il Sudamerica), ma quando vedrà il suo piano fallire, Pepè decide di uccidersi prima di cadere nelle mani della polizia. Uno dei più famosi cult-movie del cinema francese, che consacra la stagione del ‘realismo poetico’, debitore in parte ai gangster movie americani (Scarface di Hawks), ma con un sottofondo di romanticismo e di esotismo esaltato da complessi movimenti di macchina e da ricchi contrappunti sonori. Un’autentica “romantica tragedia moderna” segnata da una pesante sconfitta umana e dall’impossibilità di una qualunque forma di riscatto sociale.
Nel 1916 due aviatori francesi, il proletario tenente Maréchal e l’aristocratico capitano de Boïeldieu vengono abbattuti dall’asso tedesco barone von Rauffenstein il quale prova un’immediata simpatia per De Boïeldieu. Trasferiti in un campo di concentramento militare i due sono sul punto di fuggire quando vengono trasferiti. Finiranno con il raggiungere un’antica fortezza comandata proprio da Von Rauffenstein. Renoir con questa sua opera raggiunge un enorme successo di pubblico e di critica anche se la sua presentazione alla Mostra di Venezia (nata nel 1932) suscitò un forte disappunto nel regime fascista che intervenne sulla giuria affinché non ricevesse il Leone d’oro (che andò a un altro film francese considerato innocuo: Carnet di ballo di Julien Duvivier). Ciò che dava fastidio era il suo dichiarato pacifismo universale in tempi in cui la seconda guerra mondiale non era ancora imminente ma il nazismo non nascondeva più le sue mire. In La grande illusione però è presente molto più di questo. Certamente il riconoscimento dell’altro al di là della razza e della nazionalità è il fil rouge che attraversa il film. Il legame sentimentale che avvicina Maréchal e la vedova di guerra tedesca Elsa ci parla di esseri umani e non di ‘nemici’. Così come non sono ‘nemici’ ma uomini dotati di un’etica le guardie che non spareranno ai due protagonisti ormai giunti in salvo ma ancora allo scoperto. Va al di là delle all’epoca ormai prossime leggi razziali la solidarietà che si instaura tra Maréchal e il compagno di fuga ebreo Rosenthal (il che gli procurò un duro attacco da parte di Céline in “Bagatelle per un massacro”). In questo film (che Renoir co-scrive e dirige sulla base di conversazioni con il maresciallo Pinsard che, nel corso del conflitto mondiale, gli aveva salvato la vita) il soggetto di base erano inizialmente i tentativi di evasione che avrebbero potuto dar luogo a un succedersi di elementi avventurosi. Non a caso una delle scene visivamente più riuscite è proprio quella di un’ evasione ma quello che rimane come elemento ancor più dirompente (anche se meno appariscente) è la lettura della guerra come rafforzamento delle differenze di classe. L’immediata sintonia che si instaura tra De Boïeldieu e Von Rauffenstein (e che travalica le loro opposte militanze) è dettata dall’appartenenza all’aristocrazia. Maréchal appartiene a un’altra condizione sociale e anche se il senso dell’onore del capitano lo spingerà al sacrificio in suo favore la distanza resterà intatta. Nessuna concessione quindi alla facile retorica da parte di Renoir ma una lucida, anche se emotivamente partecipe, analisi delle dinamiche soci-economiche che che continuano a far sentire il loro peso in ambito bellico. Ciò accade anche grazie alla partecipazione di Erich von Stoheim caduto in disgrazia ad Hollywood e qui perfetto nei rigidi panni del barone (un ruolo minore nella sceneggiatura originale e progressivamente ampliato proprio in seguito alla sua presenza).
Ex pugile fallito sogna di trasformare un giovanotto in un campione, ma una donna “di lusso” gli guasta i piani. L’aria di Parigi non c’è. Opera minore di Carné, logora e stanca, che sostituisce un sentimentalismo rosa al pessimismo nero. I duetti tra Gabin e Arletty sono, comunque, deliziosi.
Tre racconti di Guy de Maupassant ridotti dal raffinato regista tedesco con l’apporto di un cast eccellente. In La maschera, un medico che assiste un ballerino svenuto durante la rappresentazione fa una sconvolgente scoperta. In Casa Tellier, la tenutaria di una casa di tolleranza porta le sue ragazze in campagna perché assistano a una commovente cerimonia. In La modella, infine, vengono narrati i patetici amori di un pittore e della sua collaboratrice.
Dal romanzo Pouce di Jean Laborde: dopo la morte dell’ispettore Gauvion, il commissario Joss prende in mano un’inchiesta che il collega aveva avviato e scopre del marcio. Un altro polar sui temi dell’amicizia virile e la stanchezza di professionisti che ormai non credono più in quel che fanno. Impietoso, stringato, appoggiato ai dialoghi secchi di Michel Audiard, e forse il miglior film di Lautner. Musiche di Serge Gainsbourg che appare mentre registra la bella canzone dei titoli di testa.
Un funzionario di polizia, incaricato di far luce sull’assassinio del gestore di un locale notturno, incontra, in quell’ambiente equivoco, una ragazza tedesca dedita alla droga, che gli mostra subito simpatia. Il poliziotto, benché molto più anziano di lei, se ne innamora. I suoi superiori gli impongono di troncare la relazione. Ma lui continua a star vicino alla ragazza anche perché è convinto che potrà aiutarlo a risalire all’assassino. Così infatti avviene. Terminate le indagini, l’uomo darà le dimissioni e aiuterà la fanciulla a liberarsi dal vizio della droga.
Un film di Pierre Granier-Deferre. Con Jean Gabin, Marc Porel, Daniele Ajoret Titolo originale La horse. Drammatico, durata 100 min. – Francia 1970. Un vecchio e ricco contadino fa sparire un grosso quantitativo di stupefacenti che suo nipote avrebbe dovuto smerciare. Ne consegue una guerra tra la famiglia del contadino e i gangster, che finiscono per avere la peggio. Anche al nipote passa la voglia di dedicarsi al pericoloso commercio.
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