Category: 4.10/4.19


Amazon.com: Accadde Una Notte : clark gable, claudette colbert, frank  capra: Movies & TVUn film di Frank Capra. Con Clark Gable, Claudette Colbert, Walter Connolly, Roscoe Karns, Alan Hale. Titolo originale It Happened One Night. Commedia, b/n durata 105′ min. – USA 1934. MYMONETRO Accadde una notte * * * * - valutazione media: 4,17 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
 

Per raggiungere il playboy che il padre le impedisce di sposare, ricca ereditiera scappa di casa. Tutti la cercano. Sul pullman New York-Miami fa amicizia con un giornalista che, pur di assicurarsi lo scoop finale, s’impegna a non tradirla. Proseguono il viaggio, litigando, ma s’innamorano. Una storia semplice per gente semplice. Fu il primo film a vincere 5 Oscar maggiori (miglior film, regia, attore e attrice protagonisti, sceneggiatura: di Robert Riskin dal racconto Night Bus di Samuel Hopkins Adams) e il primo a usare autobus e motel come sfondo. Una perfetta miscela di umorismo e sentimento, condita di molti particolari gustosi e di piccole gag tra cui, famosa, quella dell’autostop dove lei insegna a lui quanto sia più efficace una bella gamba che un pollice. Rifatto in chiave musicale con Eve Knew Apples (1945) e con Autostop (1956)

 Accadde una notte
(1934) on IMDb
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Frankenstein-Junior.jpg

Regia di Mel Brooks. Un film Da vedere 1974 con Gene WilderPeter BoyleMarty FeldmanTeri GarrCloris LeachmanGene HackmanCast completo Titolo originale: Young Frankenstein. Genere Comico, – USA1974durata 106 minuti. Uscita cinema martedì 26 novembre 2013 distribuito da Nexo Digital. – MYmonetro 4,14 su 2 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Il nipote del famigerato barone Frankenstein, neurochirurgo americano, va in Transilvania e decide di ripetere l’esperimento dell’avo. Crea un mostro di incommensurabile bontà. Più che una parodia è una reinvenzione critica della nota storia (1818) di Mary Shelley, carica di comicità che diventa qua e là poesia. Un bianconero di alta suggestione. Attori bravissimi. Scritto dal regista con Wilder.

Young Frankenstein (1974) on IMDb
Frankenstein - Film (1931) - MYmovies.it

Un film di James Whale. Con Colin Clive, Mae Clarke, John Boles, Boris Karloff, Edward Van Sloan. Horror, b/n durata 71 min. – USA 1931. MYMONETRO Frankenstein * * * * - valutazione media: 4,14 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Dal romanzo Frankenstein o il Prometeo moderno (1818), di Mary Wollstonecraft Shelley e da un adattamento teatrale (1927) di Peggy Webling. Nel suo laboratorio tra le montagne svizzere, all’inizio dell’Ottocento, il medico barone Henry Frankenstein riesce a creare un essere vivente mettendo insieme pezzi di cadaveri umani, ma la “creatura”, sobillata da un servo, si ribella e compie involontariamente alcuni crimini. Braccato dagli abitanti del villaggio, si rifugia in un mulino al quale la folla dà fuoco. Prodotto da Carl Laemmle Jr. per la Universal, il film cancella quasi completamente le tracce della mediazione teatrale grazie alla sceneggiatura e soprattutto alla regia inventiva e figurativamente raffinata dell’inglese Whale. Oltre a lasciare il suo segno sul copione (è sua l’idea del mulino), scelse il compatriota Karloff per la parte del mostro e ne affidò il trucco a Jack Pierce. Il suo modo fluido di far muovere la cinepresa (fotografia di Arthur Edeson), insolito nel 1931, che valorizza le scenografie e i comportamenti dei personaggi e crea un’atmosfera di morbosa suggestione, impressionò il pubblico e sottrasse il film all’usura del tempo. Numerose le sequenze da citare: i funerali d’apertura; la nascita della “creatura” con il suo motivo ascensionale; l’incontro con la bambina; la folla dei contadini con le fiaccole; l’incendio conclusivo. Come nel romanzo della Shelley, la colpa (il peccato) di Frankenstein non è di aver sfidato Dio nel creare la vita, ma nell’emularlo e nel competere con lui come padrone assoluto della “creatura”. Lo dimostra la delicata sequenza in cui nella camera dove il suo creatore l’ha rinchiuso penetra un raggio di sole, accolto dal “mostro” con un mezzo sorriso. Immediatamente Frankenstein gli toglie la luce ossia, simbolicamente, ogni conoscenza che non venga da lui. Il vero crimine di Frankenstein è contro la società. Karloff apparve in altri 4 film del ciclo, il primo dei quali (e il migliore) è La moglie di Frankenstein (1935) diretto da Whale, mentre in House of Frankenstein (1944) e in Frankenstein 70 (1958) fa la parte del barone. Nel 1987 fu restaurato in un’edizione di qualche minuto più lunga che fu distribuito negli USA in home video.

 Frankenstein
(1931) on IMDb
AntonioGenna.net presenta: IL MONDO DEI DOPPIATORI - ZONA CINEMA: "Alien"

Regia di Ridley Scott. Un film Da vedere 1979 con Sigourney WeaverTom SkerrittVeronica CartwrightHarry Dean StantonJohn HurtCast completo Genere Fantascienza, – USAGran Bretagna1979durata 117 minuti. Uscita cinema giovedì 25 ottobre 1979 distribuito da 20th Century Fox Italia. – MYmonetro 4,16 su 8 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Capostipite di una fortunata serie di pellicole, nonché di librifumetti e videogiochi, è considerato uno dei capolavori del regista Ridley Scott, la pellicola che ha lanciato la carriera dell’attrice Sigourney Weaver, e in generale uno dei migliori film di fantascienza della storia del cinema. Le vicende ruotano attorno a una specie aliena che nella storia viene identificata con la generica definizione xenomorfa, costituita da feroci predatori dotati di intelligenza ma incapaci di provare emozioni, che si riproducono come parassiti annidandosi nei corpi di altri esseri viventi provocandone la morte. Alien ha avuto tre sequel, tutti con Sigourney Weaver come protagonista: Aliens – Scontro finaleAlien³ e Alien – La clonazione

Durante una sosta in un pianeta sconosciuto un essere s’introduce nella Nostromo , gigantesca astronave da carico, e semina terrore e morte tra i sette membri dell’equipaggio. Sopravvive soltanto la coraggiosa Ripley. È un thriller fantascientifico con componenti di horror e suspense che conta poco per quel che dice, ma che lo dice benissimo, grazie a un apparato scenografico di grande suggestione e a un ritmo narrativo infallibile. La sua chiave tematica è la paura dell’ignoto, perciò pesca nel profondo. Oscar per gli effetti visivi a Carlo Rambaldi, H.R. Giger, Brian Johnson e Nick Allder. Da novembre 2003 è in circolazione una nuova edizione rimasterizzata in digitale curata da R. Scott. Colonna musicale di J. Goldsmith.

Alien (1979) on IMDb
Risultati immagini per Le Vite degli altri

Un film di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme. Titolo originale Das Leben der Anderen. Drammatico, durata 137 min. – Germania 2006. – 01 Distribution uscita venerdì 6 aprile 2007. MYMONETRO Le vite degli altri * * * * - valutazione media: 4,15 su 229 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente scrupolo. Dopo aver assistito alla pièce teatrale di Georg Dreyman, un noto drammaturgo dell’Est che si attiene alle linee del partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di Dreyman, l’attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare prove a carico dell’artista per avere campo libero. Ma l’intercettazione sortirà l’esito opposto, Wiesler entrerà nelle loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede incompatibile con l’amore, l’umanità e la compassione.
All’epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, il regista Florian Henckel von Donnersmarck era poco più che un bambino. Per questa ragione ha riempito il suo film dei dettagli che colpirono il fanciullo che era allora. L’incoscienza e la paura diffuse nella sua preziosa opera prima sono quelle di un’infanzia dotata di un eccellente spirito di osservazione. La riflessione e l’interesse per il comportamento della popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono invece a uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema che finirà per implodere e abbattere il Muro.
La stretta sorveglianza, le perquisizioni, gli interrogatori, la prigionia, la limitazione di ogni forma di espressione e l’impossibilità di essere o pensarsi felici sono problemi troppo grandi per un bambino. Le vite degli altri ha così il filo conduttore ideale nel personaggio dell’agente della Stasi, nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall’appartamento della coppia protagonista. È lui, la spia, il singolare deus ex machina che non interviene dall’alto, come nella tragedia greca, ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell’ideologia abbattuta dalla bellezza dell’uomo e dalla sua arte. Personaggio dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore. Il “metodo” della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino in fondo con le loro idee. Gerd Wiesler contribuisce alla riuscita dello “spettacolo” con suggerimenti, correzioni (alle azioni della polizia), aggiustamenti (dei resoconti di polizia) e note di regia che se non avranno il plauso dei superiori avranno quello dei sorvegliati. “Attori” che recitano la vita ai microfoni della Stasi e nella cuffia stereo dei suoi funzionari. La vita quotidiana fatta di paure ed espedienti è restituita da una fotografia cupa e bruna, tinte monocromatiche che avvolgono i personaggi decisi a sopravvivere, a compromettersi e a resistere. La Stasi aveva un esercito di infiltrati, duecentomila collaboratori, Donnersmarck ne ha scelto uno e lo ha drammatizzato con la prova matura e sorprendente di Ulrich Mühe. Il drammaturgo “spiato” è invece Sebastian Koch, l’ufficiale riabilitato di Black Book, intellettuale “resistente” per salvare l’anima del teatro e della Germania.

The Lives of Others (2006) on IMDb

Scandalo Al Sole (1959): Amazon.it: Egan,Mcguire,Dee, Egan,Mcguire,Dee:  Film e TVUn film di Delmer Daves. Con Richard Egan, Sandra Dee, Dorothy McGuire, Troy Donahue, Arthur Kennedy. Titolo originale A Summer Place. Commedia, Ratings: Kids+16, durata 130′ min. – USA 1959. MYMONETRO Scandalo al sole * * * * - valutazione media: 4,10 su 19 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Un uomo d’affari ritorna alla villa dove trascorreva le vacanze estive e incontra una vecchia fiamma. Intanto nasce un idillio tra la figlia di lui e il figlio di lei. Ambo secco. Da un romanzo di Sloan Wilson sceneggiato dal regista per la Warner un melodramma peccaminoso in puro stile hollywoodiano anni ’50 scene di sesso che, almeno in Italia, diedero scandalo e con risvolti di ipocrisia puritana. Ma D. Daves sa dirigere gli attori e la fotografia di Stradling è superba. Musica di Max Steiner.

A Summer Place (1959) on IMDb

Locandina Zero Dark ThirtyUn film di Kathryn Bigelow. Con Jessica Chastain, Jason Clarke, Joel Edgerton, Jennifer Ehle, Mark Strong. Thriller, durata 157 min. – USA 2012. – Universal Pictures uscita giovedì 7 febbraio 2013. MYMONETRO Zero Dark Thirty * * * * - valutazione media: 4,10 su 79 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
La caccia ad Osama Bin Laden è stata la missione che più ha impegnato l’America contemporanea, nel corso di un decennio abbondante e di due mandati presidenziali, e che più l’ha esposta, in termini di promesse e vendette, all’interno dei suoi confini e al cospetto del mondo intero. Questa è la storia di Maya, giovane ufficiale della CIA, armata d’intuito e di una determinazione dura a morire, che non si è lasciata fermare dai giochi di potere né dalle indecisioni o dallo scetticismo dei superiori ed è riuscita nell’impresa storica di trovare l’ago che pareva svanito nel nulla all’interno di uno dei pagliai più fitti, complessi e lontani dagli uffici di Washington che si potessero immaginare.
Al di là del successo nel raccontare una storia nota con una tensione che non dà tregua, e oltre una regia di massima precisione, come un’arma intelligente guidata però da una mano umana scaldata dalla passione, c’è una considerazione banale nella sua evidenza che fa di Zero Dark Thirty un film raro e imperdibile: tanto nella ricostruzione quasi documentaristica dei metodi di lavoro dell’Intelligence, delle dinamiche maschili al suo interno, della solitudine al femminile, dell’impegno visivo, strategico e linguistico che ne sono parte integrante e che occupano per intero la prima parte del film, quanto nella grande sequenza dell’azione e nella difficile chiusura, non c’è nulla che manchi al film né nulla che sia di troppo. Non è una questione di realismo, ma una misura tutta interna all’opera, ottenuta con gli strumenti della scrittura e della messa in scena e i tempi del montaggio, che lo rende magnificamente esauriente e mai esondante.
Non si dia dunque troppo credito a chi si lascia scandalizzare dalla sequenza della tortura in apertura, perché vorrebbe dire guardare il dito là dove la Bigelow indica la luna (tanto più che la realtà delle cose, in questi casi, è plausibilmente più cruenta). Eppure la sequenza ha la sua importanza, perché posiziona il personaggio di Jessica Chastain in un punto cruciale. La Chastain è il film, proprio in virtù del suo collocamento su un fronte duro, inscalfibile, totalmente dentro il proprio lavoro (come la regista dentro il suo) ma anche profondamente femminile, efficace là dove usa altre modalità per la caccia all’uomo, che non sono la forza bruta né l’intimidazione. Sta tutto lì, nel portarci a credere al cento per cento che dietro quella piccola donna dalla carnagione chiara e dal fisico inesistente c’è un killer che arriverà al bersaglio che nessun altro ha saputo avvicinare, il successo di Kathrin Bigelow e del suo cinema solo apparentemente “maschile”.
Ciò non toglie che la regista riservi le uniche scene di palpabile umanità alla comunione maschile dei soldati prima dell’attacco, nelle bellissime sequenze dei giochi al campo o del silenzio tragicamente poetico in elicottero, ma il punto non cambia, perché Zero Dark Thirty non è una missione di pace, bensì la storia di una (magnifica) ossessione.
Che Maya – personaggio solo vagamente ispirato alla realtà ma più che altro creato ad hoc – sia il film, e non solo la sua protagonista, lo testimonia anche la sua trasformazione fisica nella scena in cui indossa il chador sopra le All Star, che ad un certo punto sposta lo scopo dell’impresa dall’esterno verso l’interno del personaggio. Non è più, allora, la sicurezza della terra madre, né lo sventare nuovi devastanti attacchi, la priorità assoluta che la muove, bensì la fedeltà cieca a un obiettivo folle, come nella miglior letteratura cinematografica. Perché trovare Osama, per Maya, vuol dire prima di tutto trovare se stessa.

Zero Dark Thirty (2012) on IMDb

Risultati immagini per RififiUn film di Jules Dassin. Con Robert Manuel, Jean Servais, Carl Möhner, Claude Sylvain Titolo originale Du Rififi chex les hommes. Giallo, Ratings: Kids+16, b/n durata 116 min. – Francia 1954. MYMONETRO Rififi * * * * - valutazione media: 4,10 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un gruppo di gangster, a Parigi, compie un colpo favoloso, praticando un buco nel tetto di una gioielleria e impadronendosi di un bottino enorme. Ma uno della banda, Cesare, regala un anello a una cantante, il cui amico, un gangster rivale, capisce la verità e scatena una caccia all’uomo per impossessarsi della refurtiva.
Tra le due bande scoppia una guerra senza esclusione di colpi. Gli autori del furto, Tony il Laureato, Jo lo Svedese e gli altri finiranno tutti uccisi, non prima di aver creato larghi vuoti nella gang avversaria. Tratto da un famoso romanzo di August Le Breton, il film è divenuto celebre a sua volta, dopo essere stato premiato a Cannes, come uno dei migliori esempi di film poliziesco.

Rififi (1955) on IMDb

Paisà di Roberto Rossellini, sei racconti nell'Italia del dopoguerra -  Tv2000 DocFilmUn film di Roberto Rossellini. Con William Tubbs, Harriet White, Gar Moore, Carmela Sazio, Dots M. Johnson. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 125 min. – Italia 1946. MYMONETRO Paisà * * * * - valutazione media: 4,15 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Il film si suddivide in 6 episodi. 1) Sicilia. Carmela, una ragazza di paese, fa da guida a una pattuglia americana per indicare un percorso in cui non si incontrino i tedeschi; 2) Uno sciuscià ruba le scarpe a un MP americano ubriaco. Questi lo ritroverà ma avrà un’amara sorpresa; 3) Roma. Francesca, giovane prostituta per necessità, incontra un soldato americano che aveva conosciuto il giorno della liberazione; 4) Harriett è alla ricerca di Lupo, artista e ora capo partigiano in una città ancora in parte sotto il controllo dei tedeschi; 5) Appennino emiliano. Tre cappellani militari (uno cattolico, uno protestante ed uno ebreo) trovano accoglienza in un convento di frati isolati dal mondo; 6) Delta del Po, Porto Tolle. Un gruppo di partigiani e di soldati americani combatte contro i tedeschi che esercitano un’ultima disperata resistenza.
Un anno dopo Roma città aperta Rossellini sente il bisogno di tornare a riflettere sulle ferite ancora drammaticamente aperte nelle coscienze degli italiani e lo fa con uno spirito di assoluta libertà creativa. La scelta di suddividere in sei episodi il film gli offre l’occasione per delineare una sorta di polittico che, grazie alla mano del Maestro, non si frammenta ma riconduce alla fine il tutto ad unità. Proprio perché può sperimentare stili e ritmi narrativi diversi utilizzando il trait d’union della risalita delle truppe angloamericane dalla Sicilia fino al Nord, Rossellini fa di Paisà una sorta di laboratorio per il suo cinema a venire. Non si tratta però (e non potrebbe essere altrimenti con una personalità come la sua) di una sterile ricerca estetico-formale.
In ogni episodio si sente come lo sguardo del regista si nutra di una profonda umanità con cui guarda a coloro che, in varie forme, sono vittime del conflitto. Sceglie quindi di utilizzare la parola così come sgorga dai pensieri dei singoli e cioè di far parlare spesso gli angloamericani nel loro idioma (con gli inusuali, per il nostro pubblico, sottotitoli) e i vari personaggi italiani con i loro propri accenti e dialetti. In questo modo rende forse più difficile la comprensione ma fa percepire in modo diretto una verosimiglianza che il doppiaggio teatralmente corretto aveva spesso tolto al cinema nazionale. In tutti gli episodi poi viene sottolineata la riconoscenza del popolo nei confronti dei liberatori ma anche la difficoltà di un incontro tra culture diverse (come contrasta, solo, per fare un esempio, quel cibo in scatola con le poche ma naturali risorse alimentari dei frati …).
Rossellini poi ha l’ardire di non di dedicarsi a trionfalismi d’occasione. L’eroismo sta negli sguardi, nella capacità di continuare a vivere, a cercare un senso alla vita, a non arrendersi. Anche a costo della vita stessa messa a repentaglio in una strada della storica Firenze così come tra le acque della foce del Po.

Paisan (1946) on IMDb

Rapina a mano armata - vos - Circuito CinemaUn film di Stanley Kubrick. Con Sterling Hayden, Coleen Gray, Vince Edwards, Marie Windsor, Jay C. Flippen. Titolo originale The Killing. Poliziesco, Ratings: Kids+16, b/n durata 83′ min. – USA 1956. MYMONETRO Rapina a mano armata * * * * - valutazione media: 4,12 su 25 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Dal romanzo Clean Break di Lionel White, sceneggiato da Kubrick con lo scrittore Jim Thompson che con il regista collaborò anche in Orizzonti di gloria e gli scrisse il trattamento di Killer at Large che non fu mai realizzato. Uscito dal carcere, Johnny mette a punto un minuzioso piano per una rapina in un ippodromo che frutta due milioni di dollari. Il grosso bottino suscita avidità e ferocia tra i complici. È un film che rivelò Kubrick e indusse la critica americana a parlare di un secondo Welles. La sua cinepresa bracca i personaggi con l’occhio di un terrier che sorveglia un gruppo di topi. Fondato sulla rottura della continuità narrativa che permette allo spettatore di seguire lo svolgimento dell’azione secondo diverse prospettive, il film ha un ritmo incalzante e una suspense di tenuta infallibile. Fotografia di Lucien Ballard.

The Killing (1956) on IMDb

Poster PhilomenaUn film di Stephen Frears. Con Judi Dench, Steve Coogan, Sophie Kennedy Clark, Anna Maxwell Martin, Ruth McCabe. Titolo originale Philomena. Drammatico, durata 98 min. – Gran Bretagna, USA, Francia 2013. – Lucky Red uscita giovedì 19 dicembre 2013. MYMONETRO Philomena * * * * - valutazione media: 4,12 su 74 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Irlanda, 1952. Philomena resta incinta da adolescente. La famiglia la ripudia e la chiude in un convento di suore a Roscrea. La ragazza partorirà un bambino che, dopo pochi anni, le verrà sottratto e dato in adozione.
2002. Philomena non ha ancora rinunciato all’idea di ritrovare il figlio per sapere almeno che ne è stato di lui. Troverà aiuto in un giornalista che è stato silurato dall’establishment di Blair e che accetta, seppur inizialmente controvoglia, di aiutarla nella ricerca. Gli ostacoli frapposti dall’istituzione religiosa saranno tanto cortesi quanto depistanti ma i due non si perdono d’animo.
Stephen Frears racconta in questo suo riuscitissimo film la storia vera di una madre alla ricerca del figlio perduto che Martin Sixsmith ha reso nota con il libro “The lost Child of Philomena Lee” che, pubblicato nel 2009, ha consentito a molte donne di sentirsi sostenute nel raccontare il loro ‘vergognoso’ passato. Frears di lei dice: “Incontrando la vera Philomena Lee ero sorpreso dal fatto che volesse venire sul set, cosa che ha fatto il giorno in cui veniva girata la scena terribile della lavanderia. Philomena è una donna magnifica, priva di autocommiserazione, che continua ad avere fede nonostante le ingiustizie subite”. Sta proprio nella chiusura di questa dichiarazione il senso profondo di un film che sa commuovere, far pensare e anche divertire. Perché sul grande schermo ne abbiamo già viste molte di vicende di madri che cercano i figli loro sottratti nei più diversi modi e Peter Mullan con Magdalene aveva già denunciato nel 2002 l’atroce situazione di queste giovani vite affidate a religiose accecate da una presunta fede.
Frears però ci fa sapere che Philomena non ha perso la fede (quella vera) e costruisce il suo film (grazie a due formidabili interpreti come Judi Dench e Steve Coogan) proprio sul confronto tra due persone che partono da punti di vista in materia estremamente distanti. Martin giornalista e studioso della storia della Russia non crede in Dio ed ha scarsa fiducia anche negli esseri umani di cui ha assaggiato sulla propria pelle la feroce doppiezza. Philomena non è una donna colta (legge romanzetti d’amore di cui ricorda ogni dettaglio) e avrebbe mille ragioni per essere divenuta una delle atee più rigorose ma non è così. Perché è riuscita, anche nella sofferenza più profonda, a non confondere Dio con coloro che hanno talvolta la pretesa (trasformata in potere prevaricatore e assoluto) di rappresentarlo.
Philomena e Martin si confrontano e anche si scontrano in materia (anche perché il giornalista non le risparmia mai il proprio scetticismo) ma non si tratta qui di chi abbia ragione o abbia torto. Si tratta piuttosto di un incontro che è sempre possibile quando si è capaci di andare al di là delle barriere che il pregiudizio erige tra le persone. Frears riesce a raccontarlo grazie all’umanità che ha pervaso i suoi film migliori e alle doti di narratore di grande spessore.

Philomena (2013) on IMDb

Un film di Billy Wilder. Con Tyrone Power, Charles Laughton, Marlene Dietrich, Elsa Lanchester, Norma Varden. Titolo originale Witness for the Prosecution. Poliziesco, Ratings: Kids+13, b/n durata 118 min. – USA 1957. MYMONETRO Testimone d’accusa * * * * - valutazione media: 4,11 su 20 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Leonard Vole è accusato dell’omicidio di una ricca vedova ma la moglie Christine rifiuta di testimoniare in sua difesa. Leonard si rivolge allora ad un celebre e anziano avvocato, Wilfrid Robarts, le cui intuizioni sembreranno poter scagionare l’uomo. Le schermaglie legali durante le udienze del processo condurranno lo spettatore a ritmo serrato fino a un clamoroso colpo di scena finale. Un film in cui la suspence la fa da padrona, un meccanismo a orologeria tratto da una pièce teatrale di Agatha Christie, insuperata regina del genere. Un legal thriller ante litteram, che abbina tensione e colpi di scena, inganni ed equivoci. Strepitosa la prova di tutti gli attori, da Charles Laughton, ansimante e graffiante avvocato inglese, alla misteriosa Marlene Dietrich, a Tyrone Power a suo agio pur in un ruolo ambiguo per lui inconsueto. Con questo film Billy Wilder lascia la commedia sofisticata ma non rinuncia alle tematiche da lui predilette, come l’inganno e la maschera.
Negli anni ’80 ne è stato realizzato un remake, diretto da Alan Gibson, decisamente non all’altezza dell’originale.

Witness for the Prosecution (1957) on IMDb

Poster PersonaUn film di Ingmar Bergman. Con Bibi Andersson, Liv Ullmann, Gunnar Björnstrand, Margaretha Krook, Jorgen Lindström Drammatico, b/n durata 85 min. – Svezia 1966. MYMONETRO Persona * * * * - valutazione media: 4,14 su 21 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Considerata la pellicola più matura di Bergman, l’economia intera del film gioca sulla trasversalità dei temi portanti della filmica bergmaniana. ll risultato è l’epifania di un’opera omnia, la proiezione di una lunga seduta di auto maieutica: il regista, nello scriverlo scelse persino di ritirarsi nella solitudine riflessiva di un isola deserta, scenografia della sceneggiatura di Persona.
Onnipresente è il tema della fede. Alma, nel parlare difatti di “grida della fede e del dubbio nell’oscurità e nel silenzio” sembra rimandare a quei primissimi fotogrammi del Vangelo recitato nella chiesa scandalosamente vuota di Luci d’Inverno o al rifiuto del silenzio di Dio urlato nel segreto del macabro confessionale de Il Settimo Sigillo. L’incipit di Persona, invece, è una sequela di fotogrammi apparentemente privi di senso, percepibili dal sonno o dall’inconscio. La pellicola ha il pregio di mantenere un’intensità perpetua per l’intero girato, mentre si ravvisa una contaminazione dapprima a latere ma sempre più insistentemente morbosa che porterà l’io delle due donne a decomporsi. Il dissolversi l’una nell’altra avviene come nell’eterno risucchio tra luci ed ombre, così magistralmente reso da Bergman in questa pellicola, dove, lo scambio delle confessioni finali delle protagoniste in un rapporto intimista con la macchina da presa, diviene metafora realistica dello stesso cinema, in cui l’interlocutore della presunta dialogicità filmica, si insinua sempre fuori campo, al di qua dello schermo, agevolando l’unico continuum della propria stessa carne, così come nella fusione stessa del volto delle due donne.
La stessa inquietante dissolvenza e coincidenza di due nuclei umani sarebbe stata tratteggiata diversi decenni dopo nell’indimendicato Mulholland Drive di David Lynch (in cui, non a caso, una delle due protagoniste è un attrice). Qui la dissolvenza è scambio sin dal principio e il dipanarsi successivo della sinossi disvela la schizofrenica commistione di Anna tra l’essere e il sembrare d’essere. Elizabeth, l’attrice di Persona, sceglie il silenzio così come sceglie di non amare il proprio bambino, arrivando, nell’intento registico, ad emulare il Dio muto di Bergman. L’assenza di certezze di contorno delle due donne incarna il naufragio del credo dell’autore e la promiscuità dei valori di cui è preda l’Io contemporaneo.

Persona (1966) on IMDb

Un film di Luis Buñuel. Con Adriana Asti, Julien Bertheau, Adolfo Celi, Jean-Claude Brialy, Michel Piccoli. Titolo originale Le fantôme de la liberté. Commedia, durata 103 min. – Francia 1974. MYMONETRO Il fantasma della libertà * * * * - valutazione media: 4,17 su 13 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Il film è un tributo al poeta surrealista Benjamin Péret le cui peripezie formali ispirarono Buñuel nella scommessa di una trasposizione cinematografica. La pellicola è infatti strutturata in quattordici episodi apparentemente slegati e fortuiti, dove il protagonista di ognuno fa da cerniera alla scena seguente, per poi dileguarsi. L’ordine delle cose e il linguaggio vengono sottoposti ad una sarcastica decostruzione e ad un rovesciamento di senso che possono disorientare o illuminare lo spettatore. Non è difficile rintracciare le influenze delle teorie di Freud, la frequentazione assidua di Jacques Lacan e il peso degli scritti di Marx. Nel suo memoriale Dei miei sospiri estremi Buñuel dichiarerà che il film è un omaggio a quest’ultimo e allo spettro del comunismo che imperversava in Europa. Non a caso la pellicola si apre sul celeberrimo Tres de Mayo di Goya, seguito dalla fucilazione dei patrioti da un plotone di soldati napoleonici, mostrando da subito il volto cruento della libertà politica. Dagli albori della sua carriera, da quel cortometraggio di diciassette minuti firmato insieme a Salvador Dalì, il regista issava lo stendardo della libertà come principio, direzione e fine della sua esistenza e del suo stile. Libertà formale, artistica, individuale, politica e religiosa. Emancipazione dall’autorità, idiosincrasia per il feticismo, aggressività e commiserazione nei confronti dell’ordine razionale delle cose. La libertà è un fantasma da non perseguire (emblematico il grido dei manifestanti: Vivan las cadenas’) ma che persiste scuotendo dogmi e tabù. Ad iniziare dalla profanazione di una tomba, dalle cartoline dei monumenti visti come oscenità (omaggio al saggio di Michel Foucault ‘Questo non è una pipa’) , ai frati che improvvisano un nebbioso poker con santini e scapolari, fino ad un appuntamento in sala da pranzo per defecare in gruppo. La ricerca della verità è una caduta nel vuoto dove ogni appiglio si sgretola. Il significato della vita sfugge a tutti, l’esperienza va ad intrecciarsi con la dimensione inconscia. Il surrealismo, che per Buñuel non è mai stato un semplice movimento d’avanguardia ma una direzione morale e spirituale, continua ad aprire cassetti remoti e immaginari nelle infinite stanze psicologiche di questo film. Una forza primordiale e un istinto ingestibile si celano sotto le apparenze formali e l’ossequio all’autorità. Anche Buñuel, come il signor Foucault che si rifugia nella contemplazione di un ragno, è indolente alla simmetria e invade la pellicola di presenze irrazionali come galline e struzzi, toccando il culmine in un inverosimile carro armato dell’esercito a caccia di una volpe. Il marchese de Sade, molto caro al regista aragonese, proclamava che la libertà umana includeva quella di non porre limiti all’immaginazione Non esiste una verità oggettiva e anche i documenti da firmare, le carte burocratiche e le sentenze di un tribunale divengono lo specchio del relativismo. Il segno non è mai la cosa, c’è sempre un rovesciamento. Pensiamo all’episodio della bambina scomparsa che è sotto gli occhi di tutti o al killer che firma autografi come una star.
La via lattea, Il fascino discreto della borghesia e Il fantasma della libertà, nati da tre soggetti originali, vanno a formare una sorta di trilogia, per il tema comune della ricerca della libertà. Due secoli prima il popolo spagnolo aveva realmente gridato ‘Viva le catene’ (disposti a tornare sotto i Borboni, pur di non cedere a Napoleone). Adesso è un intero sistema a preferire le catene e Buñuel ne fotografa il suono grave, in un riflesso tanto bizzarro quanto amaro, grazie a cui è possibile destarsi.

The Phantom of Liberty (1974) on IMDb

Locandina italiana Parla con leiUn film di Pedro Almodóvar. Con Leonor Watling, Javier Cámara, Rosario Flores, Darío Grandinetti, Paz Vega. Titolo originale Habla con ella. Drammatico, durata 112 min. – Spagna 2002. MYMONETRO Parla con lei * * * * - valutazione media: 4,14 su 34 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Marco è un giornalista specialista in guide turistiche, Benigno un infermiere generoso, perfetto. Quest’ultimo da quattro anni si prende cura di Alicia, (ex) ballerina, in coma. Marco ha una relazione con Lidya, torera, che ben presto raggiunge Alicia nello stesso ospedale, ridotta a sua volta in coma. Benigno parla con la sua paziente come se fosse cosciente, le racconta tutto, vita quotidiana, pensieri, spettacoli. Marco, meno fantasioso, si limita a guardare piangendo. Benigno (mai avute donne, forse gay), gli insegna a “parlare con lei”, appunto. Il film prende sentieri imprevedibili, sconcertanti, allarmanti. Alicia (le cui funzioni vitali sono comunque integre) viene scoperta incinta. Il “colpevole” è naturalmente Benigno, che finisce in prigione. Marco, sempre più coinvolto, lo sostiene a oltranza. Miracolosamente Alicia, il cui bimbo è morto subito, esce dal coma, ma Benigno non dovrà mai saperlo, così l’infelice infermiere si suicida. Il caso (un balletto), vuole che Alicia e Marco si incontrino. Premesse e sguardi sono dolci e promettenti, ci saranno sviluppi. Gli aggettivi usati sopra “imprevedibile, sconcertante, allarmante” aderiscono benissimo ad Almodovar. Dopo lo straordinario Tutto su mia madre il regista si lascia andare in una storia umano-melò-grottesca a suo modo perfetta. Estremizzazioni che solo Pedro può farsi perdonare. Sviluppi che affosserebbero qualsiasi altro autore. Regia talmente complessa da essere semplice e subito decifrabile, ironia, insomma tutte le cifre che appartengono al più grande autore (con Wenders) di cinema europeo. Con inserti di fantasia superiore, come il “muto” ricostruito dove un uomo reso piccolissimo da una pozione entra in una vagina per non uscirne mai più: è la premessa, non fine a se stessa, ma “strumentale” per innescare la stranissima maternità che seguirà. Presente anche la solita forte umanità e l’amore per il vivere anche quando il vivere è disperato. Il film comincia e finisce con le immagini di teatrodanza di Pina Bausch.

Talk to Her (2002) on IMDb

Risultati immagini per La Storia del Generale CusterUn film di Raoul Walsh. Con Olivia De Havilland, Errol Flynn, Arthur Kennedy, Charley Grapewin. Titolo originale They Died with Their Boots on. Western, b/n durata 138 min. – USA 1941. MYMONETRO La storia del generale Custer * * * * - valutazione media: 4,13 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Il giovane George Armstrong Custer arriva all’accademia di West Point e si distingue immediatamente per coraggio, abilità nelle armi e pessimo profitto. Conosce la ragazza che diventerà sua moglie e scalpita quando scoppia la guerra. Finalmente parte e, per un disguido burocratico, si vede assegnare il grado di generale. Alla fine della guerra è un eroe. Diventa comandante del leggendario Settimo cavalleggeri, viene mandato nel Dakota a tener d’occhio gli indiani. Coinvolto in beghe politiche, per la sua irruenza si fa nemico lo Stato Maggiore. Perde il comando e grazie a una petizione al presidente Grant lo riottiene. Nel giugno del 1876 muore da eroe al Little Big Horn lasciando inconsolabile l’adorata moglie. Uno dei migliori western di sempre, perfetto in tutte le combinazioni: regia dal ritmo irresistibile, tempi perfetti del racconto, ricostruzione straordinaria delle sequenze corali e militari, supporto musicale travolgente (Steiner). Ma soprattutto vale l’interpretazione di Errol Flynn, enorme personaggio e stranamente misconosciuto nelle sue qualità di attore. Quando lavorò con Walsh, suo regista preferito, lasciò un profondo segno nella fantasia del pubblico. Fra le scene salienti del film ricordiamo le cariche di Flynn alla testa del Settimo, la famosa canzone di sapore scozzese Garry Owen, l’addio alla moglie e la sequenza della battaglia finale.

They Died with Their Boots On (1941) on IMDb

Regia di Alejandro Jodorowsky. Un film Da vedere 1989 con Guy StockwellAlejandro JodorowskyBlanca GuerraSabrina DennisonAdan JodorowskyCast completo Genere Horror – Italia1989durata 110 minuti. – MYmonetro 3,92 su 10 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

l piccolo Fenix vive con disagio la sua infanzia nello scalcinato circo guidato dal padre Orgo, dissoluto e ubriacone, nonché lanciatore di coltelli. Concha, la mamma di Fenix, acrobata trapezista, è a capo di una singolare setta religiose dedita al culto di una presunta (la Chiesa ufficiale non la riconosce) santa martire, cui vennero tagliate le braccia dai suoi stupratori perché con esse cercava di difendersi. Gelosa, Concha, dopo aver assistito alla demolizione della sua chiesa da parte delle ruspe del proprietario del terreno, scopre la tresca tra Orgo e la passionale Donna Tatuata. Questa, a sua volta, l’abbiamo vista bistrattare con gusto la figliastra Alma, una gentile sordomuta che con Fenix ha stretto un profondo legame di solidarietà tra disillusi. Furente, Concha getta dell’acido sugli amanti, ma Orgo, reso pazzo dal dolore, usa i suoi coltelli prima per staccare di netto le braccia alla moglie e poi per sgozzarsi. La Donna Tatuata fugge portando con sé Alma, davanti agli occhi disperati di Fenix che in un solo momento ha perso tutto. Diventato adulto, Fenix è rinchiuso in un manicomio dal quale evade quando la mamma sbuca dal nulla per riprenderselo. I due iniziano una nuova vita artistica simbiotica, nella quale Fenix funge da “braccia” della madre in curiosi spettacoli all’interno di un oscuro teatrino. Ma il fragile equilibrio si spezza: sanguinosi delitti cominciano a verificarsi nella città e ricompare anche Alma, alla ricerca del suo Fenix.
Ovvero, uno psycho-thriller alla maniera di Jodorowsky. Gli elementi tipici del genere ci sono tutti – e, a detta di Jodorowsky, infatti, proprio uno psycho-thriller in sostanza gli era stato chiesto di realizzare – a partire dal colpevole mentalmente disturbato con tanto di trauma infantile annesso per arrivare ai delitti truculenti con arma da taglio. Sorta di aggiornamento psicomagico della figura di Norman Bates, il protagonista vive il suo trauma quale tara ereditaria da una madre iperpossessiva ed egoista e da un padre scriteriato e affettivamente assente, tranne quando, anche lì comunque in modo possessivo, pretende di trasmettere al figlio i suoi valori (o disvalori) attraverso un sanguinoso tatuaggio. Ma se gli elementi dell’horror psicologico non mancano, a caratterizzare il film è la cifra autoriale sempre preponderante e originale di Jodorowsky, regista di pochi, ma generalmente indimenticabili, film.
Calato in una realtà messicana trasfigurata dal filtro immaginifico del regista, il film è anche e forse soprattutto un turgido melodramma criminale a tinte forti, ricco di umori e spunti che si affastellano e si accavallano perlopiù mirabilmente su una trama lineare e, nei suoi tratti essenziali, perfino banale, sempre riscattata comunque dalla forza della visione. Alcuni momenti sono di una bizzarria sublime: il funerale dell’elefante è un esempio brillante, con la solennità della commemorazione rotta all’improvviso dalla corsa della moltitudine a fare a pezzi il cadavere dell’animale per cibarsene. Ma anche la simbiosi perfetta delle braccia di Fenix a sostituire quelle mancanti della madre è folgorante per efficacia e significanza.
E c’è spazio anche per un divertito rimando al mondo del wrestling che tanto ha caratterizzato il cinema d’azione messicano: la figura della lottatrice Santa è un’irresistibile parodia di El Santo, eroe di innumerevoli film (molti dei quali diretti da René Cardona, il cui figlio René Cardona jr è qui produttore esecutivo). Ma le citazioni cinematografiche sono svariate, da L’uomo invisibile di James Whale al tema delle mani posseduti che richiamano le molteplici versioni di Le mani di Orlac.
Certe ridondanze e alcuni compiacimenti narcisistici dovuti proprio alla sontuosità iconografica del film rallentano la rappresentazione e la rendono talora meno efficace, ma sono dettagli di imperfezione che non minano la riuscita complessiva di una pellicola che riempie gli occhi raccontando in modo anche struggente la difficoltà per i sentimenti veri e “puri” di sopravvivere alla grettezza umana. I figli di Jodorowsky, Axel e Adan, forniscono una perfetta adesione al personaggio in età diverse e guidano un cast funzionale e a cui di certo non era stato chiesto di recitare sotto le righe.

Santa Sangre (1989) on IMDb

Risultati immagini per Moby Dick, la Balena BiancaUn film di John Huston. Con Gregory Peck, Edric Connor, Leo Genn, Harry Andrews, Richard Basehart. Titolo originale Moby Dick. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 116 min. – USA 1956. MYMONETRO Moby Dick, la balena bianca * * * * - valutazione media: 4,15 su 14 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Straordinaria trasposizione cinematografica di uno dei più grandi romanzi della narrativa mondiale, scritto da Herman Melville nel 1851. Questo capolavoro della letteratura statunitense, viene riportato sul grande schermo da uno dei più illuminati registi di tutti i tempi:John Huston. Un viaggio allucinante attraverso tutti gli oceani della baleniera Pequod e del suo equipaggio, impegnato in una forsennata caccia alla terrificante balena bianca. La storia viene raccontata attraverso le riflessioni di Ismaele, giovane marinaio che si imbarca dall’isola di Nantucket sulla maestosa baleniera (Il Pequod), per provare nuove avventure… “Intorno al mondo! Intorno al mondo!” Il capitano Achab è il comandante del Pequod, è un uomo dal carattere scostante, è una figura austera che desta timore, è un vecchio cacciatore di balene, ed è perseguitato da un’ossessione: vendicarsi di Moby Dick.

Moby Dick (1956) on IMDb

Locandina LeiUn film di Spike Jonze. Con Joaquin PhoenixScarlett JohanssonAmy AdamsRooney MaraOlivia Wilde.  Titolo originale HerCommediadurata 126 min. – USA 2013. – Bim Distribuzione uscita giovedì 13 marzo 2014MYMONETRO Lei * * * * - valutazione media: 4,10 su 128 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Theodore è impiegato di una compagnia che attraverso internet scrive lettere personali per conto di altri, un lavoro grottesco che esegue con grande abilità e a tratti con passione. Da quando si è lasciato con la ragazza che aveva sposato però non riesce a rifarsi una vita, pensa sempre a lei e si rifiuta di firmare le carte del divorzio. Quando una nuova generazione di sistemi operativi, animati da un’intelligenza artificiale sorprendentemente “umana”, arriva sul mercato, Theodore comincia a sviluppare con essa, che si chiama Samantha, una relazione complessa oltre ogni immaginazione.
A Spike Jonze interessano le più banali e comuni tra le sensazioni umane ma per arrivare a dar voce e corpo in maniera personale e addirittura “nuova” ai più antichi tra i temi trattati dall’arte (e dunque dal cinema) necessita sempre di passare per un elemento fantastico, l’inserimento di una sola implausibile stranezza per attivare meccanismi e percorsi nuovi.
In passato lo ha fatto con lo sceneggiatore Charlie Kaufman (che di questo è stato maestro) ora ci è arrivato con un film scritto autonomamente (e si nota un po’ di fatica della sceneggiatura nel giungere alla conclusione), un’opera che attinge ai temi della fantascienza classica e li trasforma da obiettivo del film a suo mezzo. Il rapporto con le macchine non come spunto di riflessione ma come strumento per parlare d’altro.
Con il lusso di poter usare l’attrice più attraente del momento solo in audio, senza mai farla vedere (l’intelligenza artificiale parla per bocca di Scarlett Johansson), facendo in modo che sia il cervello dello spettatore a sollecitare il rinforzo positivo legato a quella voce, e appoggiandosi alla capacità superiore alla media di Joaquin Phoenix di “ascoltare”, cioè di essere l’unico inquadrato in ogni conversazione significativa, volto emittente e ricevente di tutte le battute, Spike Jonze riesce a girare una storia d’amore al singolare, senza puntare il dito contro la tecnologia. Anzi.
Attraverso la sua versione estrema della società in cui viviamo (sembra ambientato 10 anni da oggi) Her supera la dicotomia classica della fantascienza tra spirito e materia, ovvero la lotta che in ogni uomo l’umanità compie per emergere e trionfare sul dominio imposto con o dalla tecnologia. Rifiutandosi di mettere in scena il rapporto che avevamo fino a qualche decennio fa con l’avanzamento tecnologico, Jonze arriva invece dalle parti di Wall-E, cioè in quel reame di storie in cui la lotta dello spirito per emergere è aiutata dalla tecnologia e non ostacolata. Non cosa la tecnologia rischi di farci ma chi siamo noi mentre ci guardiamo nel suo specchio.
Ridotto ai minimi termini infatti Her mette in scena il lungo processo attraverso il quale viene elaborata la fine di un amore: venire a patti con l’esigenza di andare avanti, lasciare il passato dietro di sè e voltare pagina attraverso esperienze estreme e grottesche. Questo modo di procedere consente al regista di piegare i generi, fondendo fantascienza e melodramma (ma non c’è dubbio che sia il secondo a prevalere) e dipingendo uno stile di vita e un universo animato dalla più evidente contingenza con il tempo presente. Non c’è un briciolo di fobia nella sua visione ma anzi l’amichevole presa in giro da parte di chi con le novità del presente ha un rapporto di confidenza.
Il risultato è che vedendo Her si ha l’impressione che solo in questa maniera sia possibile operare quell’indagine sull’attualità, tipica delle forme d’arte non ancora morte, quella che consente di scovare quali siano le pieghe in cui poter trovare il sentimentalismo oggi.

Her (2013) on IMDb
Risultati immagini per Una Squillo per l'Ispettore Klute

Regia di Alan J. Pakula. Un film Da vedere 1970 con Jane FondaDonald SutherlandRoy ScheiderCharles CioffiSylvester StalloneMary Louise Wilson. Titolo originale: Klute. Genere Poliziesco – USA1970durata 114 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 – MYmonetro 4,10 su 7 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Minacciata da un maniaco sessuale, una prostituta conosce detective che, per conto di un industriale, indaga sulla scomparsa di un uomo. Una eccellente J. Fonda (premiata con l’Oscar) in un thriller con finale a sorpresa, trasfigurato dall’ammirevole tenuta stilistica della regia di A.J. Pakula. Sceneggiato da Andy K. Lewis e Dave Lewis.

Klute (1971) on IMDb