Category: Film in Lingua Originale


Regia di Sergej Parajanov. Un film con Ivan Mykolajčuk, Larysa Kadotšnykova, Tetjana Bestajeva, Mykola Hrynko, Leonid Jenhibarov. Titolo originale: Teni zabytykh predkov. Genere: Drammatico, Romantico, Folkloristico. Paese: URSS (Ucraina). Anno: 1965. Durata: 97 min. Consigliato a: Da 14 anni. Valutazione IMDb: 8.0.

Ambientato nei Carpazi ucraini all’inizio del XX secolo, il film racconta la storia di Ivan, un giovane Hutsul, e Marichka, la figlia della famiglia che ha ucciso il padre di Ivan. Nonostante la faida ancestrale, i due si innamorano profondamente e incondizionatamente. La loro idilliaca felicità è però destinata ad essere spezzata da una tragedia che spinge Ivan in un abisso di dolore e superstizione, portandolo a un matrimonio senza amore e a un’ossessiva lotta interiore contro i fantasmi del passato e un destino crudele.

Questo capolavoro di Sergej Parajanov trascende la semplice narrazione romantica per diventare un poema visivo di straordinaria intensità. Il film è una celebrazione ricca e sensuale della cultura Hutsul, permeata di riti pagani e tradizioni cristiane. I temi centrali sono l’amore impossibile, il lutto, l’ossessione e il potere ineluttabile del destino. La regia è audace e innovativa, caratterizzata da una fotografia lussureggiante e altamente stilizzata, che utilizza colori vividi e composizioni pittoriche per creare un’esperienza quasi onirica. L’uso di jump-cut, riprese aeree e simbolismo visivo netto ha rappresentato una rottura radicale con il realismo socialista dominante, influenzando generazioni di cineasti. Un film di fondamentale importanza storica e culturale che cattura l’essenza mistica e la bellezza selvaggia di un popolo, lodato per la sua potente originalità e il suo impatto estetico duraturo.

Regia di Tsui Hark. Un film con Kenny Bee, Sylvia Chang, Sally Yeh, Hsin-kuo Han, Mei-le Ku. Titolo originale: Shanghai zhi yue. Genere: Commedia, Romantico, Musicale, Drammatico. Paese: Hong Kong. Anno: 1984. Durata: 102 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.2/10.

Shanghai, 1937, subito dopo l’occupazione giapponese. Due giovani sconosciuti si incontrano brevemente e per caso, sotto un ponte bombardato, durante una notte di blackout: uno è Tung, un aspirante musicista di campagna, e l’altra è Siu-jeun, una corista affascinata dalla vita di città. I due fanno una promessa romantica: incontrarsi nuovamente sullo stesso ponte al chiaro di luna, ma a causa del caos della guerra e di un’incomprensione, la promessa non viene mantenuta e si perdono di vista. Dieci anni dopo, i tre protagonisti si ritrovano involontariamente a vivere nello stesso appartamento, senza sapere delle loro precedenti connessioni. Tung è ora un compositore di successo, Siu-jeun è una ballerina professionista e si unisce a loro Stinky, una donna eccentrica che vive in un sotterraneo, scatenando una serie di equivoci e triangolazioni sentimentali.

Questo film, diretto dal maestro Tsui Hark, è un’opera atipica e affascinante nel suo corpus filmico, essendo un omaggio nostalgico e stilizzato al musical classico e al romanticismo dell’epoca d’oro di Shanghai. La trama, costruita su coincidenze e malintesi, attinge direttamente alla tradizione della commedia sentimentale, ma viene eseguita con l’energia e la vivacità tipiche del cinema di Hong Kong. La regia è caratterizzata da un uso vivido dei colori e da movimenti di macchina frenetici, specialmente nelle sequenze musicali e nei passaggi di commedia slapstick. Le interpretazioni di Kenny Bee e Sylvia Chang catturano l’innocenza e la frustrazione del romanticismo perduto. Il film è tematicamente incentrato sulla malinconia del tempo che passa, sulla perdita di innocenza causata dalla guerra e sul potere curativo della musica. È considerato un piccolo classico nel suo genere, lodato per la sua abilità nel fondere efficacemente la leggerezza della commedia romantica con un sottotesto drammatico e storico, offrendo un ritratto agrodolce di un’epoca irrimediabilmente perduta.

Regia di Harald Zwart, Petter Holmsen. Una serie con Kathrine Thorborg Johansen, Elias Holmen Sørensen, André Sørum, Kim Fairchild, Sara Khorami. Titolo originale: Post Mortem: No One Dies in Skarnes. Genere: Horror, Commedia Nera, Drammatico, Thriller. Paese: Norvegia. Anno: 2021 – in produzione. Durata: 40-45 min (episodio). Consigliato a: da 16 anni. Valutazione IMDb: 6.3/10.

Nella tranquilla e apparentemente sonnolenta cittadina norvegese di Skarnes, nota ironicamente per il suo basso tasso di mortalità, Live Hallangen, un’infermiera sulla trentina, viene trovata morta in un campo. Durante l’autopsia, la donna si risveglia miracolosamente e senza un apparente motivo, ma la sua resurrezione è accompagnata da una serie di cambiamenti fisici, tra cui un’insaziabile e sconosciuta sete di sangue. Nel frattempo, suo fratello Odd lotta disperatamente per mantenere a galla l’impresa di pompe funebri di famiglia, ormai sull’orlo del fallimento proprio a causa della carenza di decessi. La “nuova” condizione di Live, che le conferisce forza e una necessità inaspettata, potrebbe rappresentare la soluzione ai problemi finanziari dell’azienda, forzando Live e Odd a confrontarsi con dilemmi morali ed esistenziali.

Questa serie norvegese, distribuita da Netflix, si colloca nel filone della dark comedy scandinava, mescolando l’horror sovrannaturale con un umorismo nero e grottesco. La narrazione è incentrata sul paradosso della cittadina in cui “nessuno muore”, e sulla figura del becchino che si ritrova a desiderare più morti. La regia e la sceneggiatura sfruttano con efficacia l’ambientazione nordica e l’estetica fredda, creando un tono che oscilla costantemente tra il macabro e l’assurdo. Kathrine Thorborg Johansen fornisce una performance misurata e convincente nei panni di Live, gestendo bene la transizione del personaggio tra l’essere umano comune e l’essere redivivo. Sebbene l’introduzione sia intrigante, il procedere della trama talvolta si concentra eccessivamente sugli aspetti procedurali e sulle sottotrame minori, perdendo leggermente la tensione iniziale. Nonostante ciò, la serie è un divertissement valido per la sua originalità concettuale e l’interpretazione non convenzionale del mito dei vampiri, analizzando in modo acuto e satirico i temi della crisi economica e dei legami familiari disfunzionali in un contesto di provincia.

Locandina Post Mortem

Regia di Pablo Larraín. Un film con Alfredo Castro, Antonia Zegers, Jaime Vadell, Amparo Noguera, Marcelo Alonso. Titolo originale: Post Mortem. Genere: Drammatico, Storico, Thriller, Noir. Paese: Cile, Messico, Germania. Anno: 2010. Durata: 98 min. Consigliato a: da 16 anni. Valutazione IMDb: 6.5/10.

Santiago del Cile, 1973. Mario Cornejo è un dattilografo di mezza età che lavora presso l’Istituto di Medicina Legale, un uomo anonimo e metodico la cui vita è segnata da una profonda solitudine e da un’ossessiva e non corrisposta infatuazione per la sua vicina di casa, Nancy Puelmas, una soubrette di un locale notturno. Mentre le tensioni politiche sfociano nel violento colpo di stato militare guidato da Pinochet contro il governo di Salvador Allende, l’esistenza grigia di Mario viene travolta dagli eventi storici. L’obitorio si riempie in modo drammatico di corpi anonimi e vittime della repressione, e parallelamente Nancy scompare misteriosamente, spingendo Mario in una ricerca disperata che si intreccia con l’orrore politico che dilania il paese.

Il film è la seconda parte della trilogia cilena di Pablo Larraín sulla dittatura, e si distingue per un approccio stilistico glaciale e potentissimo. Larraín adotta un tono quasi clinico e distaccato per raccontare l’indicibile orrore, utilizzando lo sguardo apatico e mediocre di Mario come filtro attraverso cui si manifesta la “banalità del male”. La regia è caratterizzata da una fotografia spenta e granulosa e da inquadrature claustrofobiche in formato panoramico (2.66:1), che accentuano il senso di isolamento e il clima opprimente e paranoico. Alfredo Castro offre un’interpretazione magistrale del protagonista, incarnando un individuo privo di iniziativa morale e di coscienza civica, che assiste passivamente alla catastrofe. Il film non è una narrazione sulla politica in sé, ma un’analisi cruda e disturbante della paura, della collusione silenziosa e di come l’amore e l’ossessione possano corrompersi e deformarsi in un contesto di violenza di Stato. È un’opera audace, lodata per la sua forza d’impatto e il suo ritratto psicologico di un uomo che è un vero e proprio “morto vivente” in un paese che sta morendo.

Regia di Alastair Fothergill. Una serie con David Attenborough (narratore). Titolo originale: Planet Earth. Genere: Documentario, Naturalistico. Paese: Regno Unito. Anno: 2006. Durata: 60 min (episodio). Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 9.4/10.

Questa serie documentaria in undici episodi, prodotta dalla BBC Natural History Unit, offre una prospettiva senza precedenti sulle meraviglie e sulla diversità degli habitat naturali del nostro pianeta. Ogni episodio è dedicato all’esplorazione di un differente bioma terrestre, spaziando dalle cime inaccessibili delle montagne alle distese gelate delle calotte polari, dalle fitte giungle tropicali alle profondità degli oceani. La narrazione, affidata all’autorevole voce di Sir David Attenborough, guida lo spettatore alla scoperta di alcune delle specie animali più rare e di fenomeni naturali eccezionali, mostrando la loro lotta per la sopravvivenza e l’adattamento in ambienti spesso estremi e mozzafiato.

Planet Earth non è soltanto un documentario, ma un vero e proprio spartiacque nella produzione naturalistica, acclamato per la sua innovazione tecnica e la sua epica portata visiva. La serie è stata la prima del suo genere ad essere filmata interamente in alta definizione, impiegando tecniche di ripresa rivoluzionarie, come le telecamere ad altissima velocità e le riprese aeree stabilizzate, per catturare immagini di fauna selvatica e paesaggi con un livello di dettaglio, chiarezza e intimità mai raggiunti prima. I temi affrontati sono l’interconnessione degli ecosistemi, la maestosità della natura incontaminata e, implicitamente, la vulnerabilità di questi mondi. L’opera è un trionfo della regia e della cinematografia naturalistica, capace di unire rigore scientifico e un impatto emozionale straordinario. Il suo successo e il suo impatto culturale sono stati enormi, stabilendo un nuovo standard qualitativo per il genere e risvegliando una maggiore consapevolezza globale sulla bellezza e l’importanza della conservazione ambientale.

Pachinko - Serie TV (2022)

Regia di Kogonada, Justin Chon. Una serie con Yuh-Jung Youn, Min-ha Kim, Lee Min-ho, Jin Ha, Soji Arai. Titolo originale: Pachinko. Genere: Drammatico, Storico, Romantico, Dramma familiare. Paese: USA, Corea del Sud, Canada. Anno: 2022 – in produzione. Durata: 55 min (episodio). Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 8.4/10.

La narrazione si snoda attraverso tre linee temporali, seguendo la storia della matriarca Kim Sunja e dei suoi discendenti. La trama inizia nella Corea rurale e povera dell’inizio del XX secolo, occupata dal Giappone, dove la giovane Sunja, figlia di un pescatore, si innamora di Koh Hansu, un facoltoso uomo d’affari dal passato misterioso. Quando una verità inattesa sulla sua relazione minaccia il suo onore, Sunja accetta di sposare Baek Isak, un missionario di passaggio, e lo segue in Giappone, dove la aspetta una vita di sacrifici e difficoltà come immigrata Zainichi. Parallelamente, nel 1989, la serie segue le vicende del nipote di Sunja, Solomon Baek, un ambizioso banchiere che torna a Tokyo dagli Stati Uniti per concludere un affare cruciale, confrontandosi con l’eredità storica e le sfide di una famiglia che ha lottato per l’identità e la sopravvivenza.

Adattamento dell’omonimo romanzo di Min Jin Lee, questa serie è un’opera di ambizione epica che esplora l’esperienza della diaspora coreana in Giappone, trattando temi cruciali come l’identità, il pregiudizio razziale, il sacrificio e la resilienza femminile attraverso le generazioni. La regia di Kogonada e Justin Chon è visivamente superba, caratterizzata da una fotografia lussuosa e una cura meticolosa nella ricostruzione storica delle diverse epoche, utilizzando transizioni temporali fluide che esaltano il legame indissolubile tra passato e presente. Le performance, in particolare quelle di Kim Min-ha nel ruolo della giovane Sunja e di Yuh-Jung Youn in quello della Sunja anziana, sono toccanti e misurate. La serie è importante per aver portato alla luce una storia poco conosciuta e per l’uso trilingue (coreano, giapponese e inglese), che sottolinea la complessità culturale dei personaggi. È un prodotto di altissima qualità, universalmente lodato dalla critica, che non solo onora il materiale di origine ma lo eleva, configurandosi come una delle serie più significative e potenti degli ultimi anni per la sua profondità emotiva e la sua magnifica realizzazione.

Prima stagione h264, seconda stagione h265

Regia di Hannes Holm. Un film con Rolf Lassgård, Bahar Pars, Filip Berg, Ida Engvoll, Tobias Almborg. Titolo originale: En man som heter Ove. Genere: Commedia, Drammatico. Paese: Svezia. Anno: 2015. Durata: 116 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.7/10.

Ove, 59 anni, è il burbero e irascibile presidente della sua associazione di quartiere, un incarico che ricopre nonostante sia stato deposto con la forza anni prima, il che non gli impedisce di continuare a pattugliare le strade e sgridare chiunque non rispetti le regole del condominio. Dopo la perdita della moglie Sonja e il licenziamento, la sua vita è sprofondata in un lutto e una solitudine tali da portarlo a contemplare il suicidio, un tentativo dopo l’altro puntualmente interrotto da contrattempi comici o, più spesso, dalle esigenze dei suoi vicini. In particolare, la sua vita viene stravolta dall’arrivo di una rumorosa famiglia di nuovi vicini: Parvaneh, una donna iraniana incinta, suo marito Patrick e i loro due figli, che con la loro caotica e inaspettata amicizia irrompono nella sua esistenza rigida.

Tratto dal romanzo di Fredrik Backman, il film è una commedia agrodolce che esplora con delicatezza i temi della perdita, dell’isolamento e del potere curativo dell’altruismo e dell’inclusione. Hannes Holm dirige con un tocco sapiente, alternando il presente cinico di Ove con flashback commoventi che ne rivelano il passato romantico e le ragioni della sua scorza esterna, creando un contrasto efficace tra la misantropia apparente e la profonda umanità interiore del protagonista. L’interpretazione di Rolf Lassgård è magistrale, capace di infondere al personaggio un equilibrio perfetto tra comicità e dolore straziante. La pellicola non propone innovazioni stilistiche, ma è di grande impatto emotivo grazie a una narrazione onesta e un messaggio universale sulla vera natura della comunità. È un film lodevole per la sua capacità di celebrare la gentilezza inaspettata e il valore di una vita ben vissuta, lasciando lo spettatore con un senso di calore e speranza.

Regia di Genndy Tartakovsky. Un film con Adam Sandler, Selena Gomez, Andy Samberg, Kevin James, Steve Buscemi. Titolo originale: Hotel Transylvania. Genere: Animazione, Commedia, Famiglia, Fantasy. Paese: USA. Anno: 2012. Durata: 91 min. Consigliato a: Per tutti. Valutazione IMDb: 7.1/10.

Il Conte Dracula, dopo la morte della moglie, ha costruito e gestisce l’Hotel Transylvania, un lussuoso resort a cinque stelle isolato dal mondo degli umani e creato per permettere ai mostri di rilassarsi in pace e sicurezza. Per celebrare il 118° compleanno della sua amata figlia Mavis, il vampiro organizza una sontuosa festa a cui partecipano i suoi amici più celebri, tra cui Frankenstein, la Mummia, l’Uomo Invisibile e il Lupo Mannaro. I piani di Dracula, padre iperprotettivo che teme il contatto della figlia con gli umani, vengono però sconvolti dall’arrivo accidentale di Jonathan, un giovane e ingenuo escursionista umano, che si intrufola nell’albergo ignaro della sua vera natura e si innamora, ricambiato, di Mavis.

La pellicola si presenta come una gustosa e frenetica commedia d’animazione che capovolge i ruoli classici del genere horror: qui sono i mostri ad aver paura degli umani, in una rilettura del tema della diversità e dell’accettazione. Il regista Genndy Tartakovsky, noto per i suoi lavori televisivi come Samurai Jack, infonde nel film un ritmo incalzante e una comicità basata su gag visive e movimenti esagerati dei personaggi, con un tratto stilistico fumettistico che omaggia e demistifica i mostri classici. Nonostante la trama sia semplice e talvolta prevedibile, affrontando temi tipici dell’animazione per famiglie come l’emancipazione adolescenziale e il superamento dei pregiudizi paterni, la regia brillante e l’energia del cast vocale contribuiscono a renderlo un prodotto divertente e visivamente stimolante. È un divertissement leggero, ma ben orchestrato, che ha saputo conquistare il pubblico e avviare un franchise di successo grazie alla sua capacità di mescolare umorismo demenziale e sentimenti genuini, in particolare nel ritratto del goffo e amorevole Dracula.

Regia di Mark Pellington. Un film con Richard Gere, Laura Linney, Will Patton, Debra Messing, Alan Bates. Titolo originale: The Mothman Prophecies. Genere: Thriller, Fantastico, Mistero, Drammatico. Paese: Stati Uniti d’America. Anno: 2002. Durata: 119 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 6.4.

John Klein, un rispettato giornalista del Washington Post, subisce un trauma profondo dopo la morte improvvisa della moglie, che poco prima dell’incidente aveva avuto una visione di una misteriosa creatura alata. Due anni dopo, John si ritrova inspiegabilmente a Point Pleasant, West Virginia, a centinaia di chilometri dalla sua destinazione, senza memoria di come ci sia arrivato. Qui, la popolazione è agitata da una serie di strane apparizioni e fenomeni inspiegabili, tutti collegati a una figura nota come l'”Uomo Falena” (Mothman), che sembra preannunciare catastrofi imminenti. Con l’aiuto della sceriffa locale, Connie Mills, John indaga sugli inquietanti presagi, cercando di trovare un nesso tra la leggenda, gli eventi attuali e le ultime, criptiche parole di sua moglie.

Il film, basato sull’omonimo saggio di John Keel, esplora in modo efficace i temi della preveggenza, del trauma irrisolto, della fragilità della realtà consensuale e del confine tra razionalità e paranormale. Mark Pellington dirige l’opera con uno stile visivo molto distintivo: l’atmosfera è costantemente cupa e inquietante, enfatizzata da una fotografia fredda e da un montaggio frammentato, pieno di flash visivi e sound design disturbante, che riflettono lo stato mentale confuso e ossessivo del protagonista. L’interpretazione di Richard Gere è misurata, sebbene a tratti distaccata, mentre Laura Linney offre una performance solida e umanizzante. L’opera è lodata per la sua capacità di generare tensione più per via atmosferica e psicologica che per l’azione o per la rappresentazione esplicita del mostro, lasciando l’entità Mothman un’ambigua e terrificante manifestazione di forze sconosciute. Nonostante alcune incongruenze narrative, il film è considerato un cult nel genere horror-mystery soprannaturale per la sua capacità di trasformare una leggenda metropolitana in un avvincente e malinconico dramma sul destino ineluttabile.

Regia di Claudia Llosa. Un film con Magaly Solier, Carlos J. de la Torre, Yiliana Chong, Juan Ubaldo Huamán. Genere: Drammatico. Paese: Perù, Spagna. Anno: 2006. Durata: 100 min. Consigliato a: da 14 anni. Valutazione IMDb: 7.1.

Il film è ambientato a Manayaycuna, un isolato villaggio incastonato tra le Ande peruviane, noto per una singolare e antica tradizione religiosa. Ogni anno, a partire dalle ore 15 del Venerdì Santo fino alla Domenica di Pasqua, il villaggio celebra il “Tempo Santo”, un periodo in cui la morte di Cristo sancisce l’assenza di Dio, consentendo agli abitanti di compiere qualsiasi azione senza peccato o rimorso. Madeinusa, una quattordicenne dalla bellezza indigena, vive sotto il tetto del padre e sindaco, Don Cayo, che la vuole per il ruolo di Maria Maddalena nella processione. L’arrivo inatteso di Salvador, un giovane geologo di Lima bloccato in paese, rompe il precario equilibrio e innesca una serie di eventi che mettono in discussione la vita e la fede della ragazza.

L’opera prima di Claudia Llosa si impone come un dramma crudo e profondamente radicato nella realtà culturale e geografica del Perù andino. I temi centrali sono la superstizione, l’innocenza violata, l’isolamento e la persistenza di usanze ancestrali in contrasto con la modernità. La regia di Llosa è stilisticamente matura, combinando una fotografia di impatto che esalta la bellezza aspra del paesaggio con una narrazione che bilancia la dimensione quasi onirica e allegorica del rito con la brutalità della realtà. L’interpretazione di Magaly Solier è di notevole intensità e vulnerabilità, portando in scena con credibilità il dramma interiore della protagonista. Il film ha avuto un notevole impatto nel circuito festivaliero, vincendo il Premio FIPRESCI al Festival di Rotterdam, e si distingue per la sua capacità di criticare le dinamiche di potere e abuso celate dietro il velo della tradizione, ponendo l’accento sulla condizione femminile e la complessità dei rapporti tra le diverse Perù, quello rurale e quello urbano. È un’opera audace e necessaria per comprendere le latitudini più nascoste e meno rappresentate del cinema sudamericano.

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