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Un film di Luis Buñuel. Con Silvia Pinal, Enrique Rambal, Jacqueline Andere, José Baviera, Augusto Benedico. Titolo originale El angel exterminador. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 95′ min. – Messico 1962. MYMONETRO L’angelo sterminatore * * * * 1/2 valutazione media: 4,67 su 20 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Un gruppo dell’alta borghesia messicana si riunisce in un salone ma non può più uscirne, bloccato da una forza misteriosa. E nessuno può entrare. Quando l’incantesimo si rompe, si ritrovano in una chiesa. È una commedia nera ricca di acri succhi antiborghesi e anticlericali. In questa vicenda onirica, in questo mostruoso giro di atti mancati, il surrealismo di Buñuel si manifesta in tutta la sua ricchezza fantastica. Pur essendo assai precisa l’analisi di classe, si ha il sospetto che in questo verdetto d’impotenza Buñuel alluda a condanne più vaste e vi coinvolga il genere umano nel suo complesso. Scritto da L. Buñuel e Luis Alcoriza, rielaborazione del cinedramma Los naufragos de la calle Providencia, messo in scena da José Bergamín. Premio Fipresci a Cannes, Giano d’oro al Festival Latinoamericano di Sestri Levante, premio A. Bazin al Festival di Acapulco.

 L'angelo sterminatore
(1962) on IMDb
Fanny e Alexander: Amazon.it: Pernilla Allwin, Bertil Guve, Borje Ahlstedt,  Gunnar Bjornstrand, Erland Josephson, Ingmar Bergman, Pernilla Allwin,  Bertil Guve: Film e TV

Un film di Ingmar Bergman. Con Erland Josephson, Pernilla Allwin, Gertil Guve, Ewa Froeling, Harriet Andersson. Titolo originale Fanny och Alexander. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 312′ min. – Svezia 1982. MYMONETRO Fanny e Alexander * * * * 1/2 valutazione media: 4,67 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Divisa in 5 capitoli (1. il Natale; 2. il fantasma; 3. il commiato; 4. i fatti dell’estate; 5. i demoni), un breve prologo e un lungo epilogo, è la storia della famiglia Ekdahl di Uppsala tra il Natale del 1907 e la primavera del 1909 con una sessantina di personaggi, divisi in quattro gruppi, che passa per tre case e mette a fuoco tre temi centrali: l’arte (il teatro), la religione e la magia. Congedo e testamento di Bergman, uomo di cinema, è una dichiarazione d’amore alla vita e, come la vita, ha molte facce: commedia, dramma, pochade, tragedia, alternando riti familiari (lo splendido capitolo iniziale), strazianti liti coniugali alla Strindberg, cupi conflitti ditetraggine luterana che rimandano a Dreyer, colpi di scena da romanzo d’appendice, quadretti idillici, interm ezzi di allegra sensualità, impennate fantastiche, magie, trucchi, morti che ritornano. Un film “dove tutto può accadere”. Compendio di trent’anni di cinema all’insegna di un alto magistero narrativo. Ebbe 4 Oscar (miglior film straniero, fotografia di Sven Nykvist, scenografia, costumi): un primato per un film di lingua non inglese. Girato in doppia versione, per cinema e TV.

 Fanny & Alexander
(1982) on IMDb

Un film di Alfred Hitchcock. Con Janet Leigh, Anthony Perkins, Vera Miles, John Gavin, Martin Balsam. Titolo originale Psycho. Giallo, Ratings: Kids+16, b/n durata 109 min. – USA 1960. MYMONETRO Psyco * * * * 1/2 valutazione media: 4,66 su 62 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Una bella impiegata ruba quarantamila dollari e fugge. Cambia la macchina, si trova nel mezzo di un temporale e decide di passare la notte in un motel. Il proprietario è Norman, all’apparenza un ottimo ragazzo che manifesta soltanto qualche piccola stranezza, come quella di impagliare uccelli. Il motel non ospita nessun altro cliente. La donna decide di fare una doccia prima di dormire. Sotto l’acqua viene aggredita e uccisa da un’altra donna, che si intravvede appena. La mattina Norman scopre il corpo. Sconvolto fa pulizia, mette il cadavere nel bagagliaio e fa sparire la macchina nelle sabbie mobili. Sconvolto perché sa che l’assassina è sua madre, che è patologicamente gelosa del figlio e non sopporta neppure che parli con altre donne. Un investigatore privato, con l’aiuto del fidanzato della donna uccisa, riesce a risolvere la matassa, anche se ci rimette la vita. Norman e sua madre sono la stessa persona: il ragazzo è pazzo, dopo aver ucciso la madre per gelosia ne custodiva il corpo in soffitta e si identificava in lei non sopportando il rimorso del proprio delitto. Psycho non era certo il migliore dei film di Hitchcock ma a volte le vie del culto percorrono strade misteriose. Negli anni Sessanta la pratica dell’inconscio non era certamente una novità, lo scalpore c’era già stato nel 1944 con Io ti salverò (Gregory Peck, con l’aiuto della Bergman e di un “freudiano” risolve le proprie angosce risalendo analiticamente a un incidente infantile), ma Anthony Perkins aveva dato un’interpretazione di tale efficacia da divenire da quel momento il più famoso “pazzo” della storia del cinema, senza più una possibilità autentica di emanciparsi da quel ruolo. La critica non ha mai perdonato a Hitchcock l’eccesso di crudezza (e di effetto) di certe scene. Ricordiamo le più famose: il teschio della madre seduta sulla sedia girevole, la morte del detective privato (Martin Balsam), la sinistra casa Bates sempre inquadrata contro un cielo minaccioso. Soprattutto la sequenza dell’uccisione di Janet Leigh sotto la doccia ha creato una vera psicosi collettiva.

Psycho (1960) on IMDb
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Locandina italiana C'era una volta in AmericaUn film di Sergio Leone. Con Elizabeth McGovern, James Woods, Robert De Niro, Treat Williams, Joe Pesci. Titolo originale Once upon a Time in America. Drammatico, durata 227 min. – USA 1984. MYMONETRO C’era una volta in America * * * * 1/2 valutazione media: 4,64 su 248 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Momenti nelle vite dei componenti di un piccolo gruppo di gangster di New York distribuiti su circa 40 anni. La storia, narrata con frequente uso di flashback e flash forward, è incentrata su David “Noodles” Aronson e i suoi compagni di sempre (sono cresciuti insieme nel Lower East Side): Cockeye, Patsy e Max. Si va dagli Anni Venti al tramonto del Proibizionismo per finire agli Anni Sessanta quando Noodles, ormai anziano, torna a New York. Tutto ciò non necessariamente in quest’ordine.
C’era una volta in America non è un film sui gangster. È un film sulla nostalgia di un determinato periodo, di un determinato tipo di cinema, di una determinata letteratura. Sono certo di aver fatto “C’era una volta il mio cinema” più che C’era una volta in America“. Così Sergio Leone su uno dei capolavori più maltrattati della storia del cinema. Il regista non aveva il diritto di final cut e la distribuzione americana rimaneggiò il film in più modi fino allo scempio di risistemare la narrazione in ordine cronologico. Se c’è un film in cui il flusso temporale legato ai ricordi, ma al contempo annebbiato da un presente che si disperde nelle volute di fumo dell’oppio, è fondamentale, quel film è C’era una volta in America . Il capolavoro di Leone ha trovato una versione definitiva in cui vengono reinseriti ben 26 minuti reintegrandoli nella giusta collocazione e portando così il film alla sua vera durata. La violenza che il film non ci risparmia si conferma come elemento costitutivo di Noodles, un uomo ‘inadatto’ al presente dal quale vorrebbe sottrarsi per restare ancorato a dei ‘valori’ che ha visto scomparire un po’ alla volta. Ispirato all’autobiografia “Mano armata” di David Aaronson pubblicata da Longanesi nel 1966, il film (e di, va ricordato, sceneggiatori come Leo Benevenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco “Kim” Arcalli, Franco Ferrini e lo stesso Leone) scardina ogni linearità narrativa per entrare nello sguardo e nella memoria di un uomo a cui il ricordo porta al contempo sollievo e sofferenza. È un film proustiano nel senso più pieno del termine C’era una volta in America. Proustiano nel suo ‘farsi’ ma anche nel suo riproporsi. Offrendoci un’opportunità per ripensare, a 28 anni di distanza, non solo al cinema che, secondo Leone, non c’era più ma anche al ‘suo’ cinema. Che non c’è più. Senza facili nostalgie ma con un po’ di rimpianto.

Once Upon a Time in America (1984) on IMDb
All'ovest niente di nuovo, attori, regista e riassunto del film

Un film di Lewis Milestone. Con Louis Wolheim, Lew Ayres, John Wray, Arnold Lucy, Ben Alexander. Titolo originale All Quiet on the Western Front. Guerra, Ratings: Kids+13, b/n durata 105′ min. – USA 1930. MYMONETRO All’Ovest niente di nuovo * * * * 1/2 valutazione media: 4,67 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Dal romanzo (1929) di Erich Maria Remarque: nel 1914, istigati da un loro insegnante, alcuni studenti tedeschi si arruolano volontari, ma presto al fronte scoprono che la guerra ha poco da spartire col coraggio, il dovere o l’etica. Un classico del cinema pacifista, distribuito in Italia soltanto nel 1956. Fu uno dei primi “colossi” del cinema sonoro. La sua forza e soprattutto la sua fama derivano da una sagace fusione delle sue componenti: il realismo della regia, la spettacolarità delle scene di battaglia, il lirismo dei dialoghi. 2 Oscar: miglior film e migliore regia. Ebbe un seguito (The Road Back, 1937, di James Whale) e un rifacimento nel 1979 con la regia di Delbert Mann, Niente di nuovo sul fronte occidentale.

All Quiet on the Western Front (1930) on IMDb

Edit 28/12/23: sostituita versione 480p con 1080p, sempre Collectors Edition

Un film di John Ford. Con Henry Fonda, John Carradine, Jane Darwell, Charley Grapewin, Doris Dowdon, Mae Marsh. Titolo originale The Grapes of Wrath. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 129′ min. – USA 1940. MYMONETRO Furore * * * * 1/2 valutazione media: 4,64 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Nei primi anni ’30, ridotta in miseria dalle tempeste di sabbia e da rapaci proprietari terrieri, una famiglia di agricoltori dell’Oklahoma si mette in viaggio con un camion verso la fertile California.Un classico del cinema sociale, tratto da un romanzo (1939) di John Steinbeck. Un poema di solenne pietà, un gran capolavoro dei film su strada. Considerato politicamente un conservatore, Ford diresse uno dei film più progressisti mai fatti a Hollywood anche perché riuscì a far coincidere il tema della famiglia, a lui caro, con quello della gente: alla fine i Joad entrano a far parte della famiglia dell’uomo. Lo sceneggiatore Nunnally Johnson modificò, su indicazione del produttore D. Zanuck (che girò personalmente il monologo di mamma Joad), il finale senza speranza di Steinbeck, in linea con l’ottimismo del New Deal. Straordinario bianconero di Gregg Toland (che, come disse Ford, non aveva nulla di bello da fotografare). Oscar per la regia e la Darwell. Sdoganato in Italia solo nel 1951. Vergognosamente classificato dal Centro Cattolico “adulti con riserva” perché pessimista.

 Furore
(1940) on IMDb

Un film di Akira Kurosawa. Con Tatsuya Nakadai, Akira Terao, Takeshi Kato, Jinpachi Nezu, Hisashi Igawa. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 163′ min. – Giappone 1985. MYMONETRO Ran * * * * 1/2 valutazione media: 4,60 su 19 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Tragico viaggio verso la follia e la morte di Hidetora, signore e tiranno giapponese della guerra, che divide il suo principato tra i tre figli ingrati. Prima di spegnersi pronuncia una condanna senza rimedio dell’intera umanità. Ridotta all’osso la trama di Re Lear, con Ran (caos, follia) Kurosawa ha fatto un grande film sul disfacimento e il crollo del mondo. Dopo una 1ª parte espositiva nella 2ª i momenti di canto alto sono parecchi. Oscar per i costumi (Emi Wada); tre candidature: regia, fotografia (Takao Saito), scenografie (Yoshiro Muraki). Almeno 2 componenti di indiscutibile potenza in questo film del 75enne Kurosawa che diresse il suo ultimo film nel 1993: le sequenze di battaglia e l’interpretazione di Lady Kaede (Harada). È un Re Lear per il nostro tempo, e per ogni tempo.

Ran (1985) on IMDb
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Regia di Federico Fellini. Un film Da vedere 1960 con Marcello MastroianniAnita EkbergAnouk AiméeYvonne FurneauxAlain CunyAnnibale NinchiCast completo Genere Commedia – ItaliaFrancia1960durata 173 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro4,65 su 94 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

A Roma, in pieno giorno, compare nel cielo una statua di Gesù Cristo trasportata da un elicottero. La visione suscita l’interesse di gran parte della popolazione, dai ragazzi delle periferie alle ricche signore degli attici del centro storico, e un cronista, Marcello Rubini, ne approfitta per far immortalare le scene dai suoi amici fotografi e dal fedele fotoreporter d’assalto Paparazzo.
Marcello è un aspirante scrittore che lavora per un giornale scandalistico, stazionando ogni sera di fronte ai locali di via Vittorio Veneto in cerca di qualche pettegolezzo o foto sensazionale sulle frequentazioni di personaggi del mondo dello spettacolo, di ricchi borghesi o di nobili in cerca di eccessi. Nonostante conviva con una donna molto gelosa e depressa, Emma, Marcello ha frequentazioni con donne di ogni tipo e di ogni ambiente. Nel giorno in cui arriva a Roma un’importante attrice svedese, Marcello accompagna la delegazione in un locale all’aperto tra le rovine romane e poi scappa con la donna per le vie del centro di Roma.
Nel 1960 in Francia nasce la Nouvelle Vague e in Italia muore il Neorealismo. I fondamenti di quel cinema dell’indecidibilità del quotidiano, su cui molti giovani turchi dei Cahiers hanno concepito un’etica rigorosa e un’estetica radicale, vengono completamente riformulati da un’opera che allo sguardo stretto e ravvicinato delle “piccole voci” del Dopoguerra sostituisce la visione allargata del boom economico, soppiantando l’attenzione per miserie e indigenza con una panoramica che attraversa trasversalmente più classi sociali. La dolce vita impone un nuovo modo di guardare alla realtà: traccia un quadro più ampio e trasfigurato, capace di trattenere il respiro di un’intera epoca, al punto da diventare il paradigma non solo poetico ma soprattutto storico del suo immaginario.
In una Roma rifigurata attraverso le pagine dei rotocalchi, la frenesia del divismo e il razionalismo dell’urbanizzazione, Fellini – con Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano (e Pasolini non accreditato) – fanno muovere in lungo e in largo il personaggio di Marcello Rubini, giornalista bello e amato quanto invisibile e inetto. Mastroianni crea la figura di un viveur tragico e insoddisfatto: un intellettuale meschino che vive nella mondanità e sulle spalle di essa, tanto frustrato dall’imbastardimento delle proprie aspirazioni letterarie quanto indolentemente appagato dall’incapacità a opporvi resistenza. Fellini si serve di Marcello per stabilire una continuità fra una serie di episodi senza un preciso legame narrativo, se non quello, più stretto, che racconta l’involuzione del personaggio e quello, più ampio, che cerca di dipingere un affresco delle varie realtà socio-economiche di Roma.
In questa serie di sequenze temporalmente sconnesse, indefinite, sospese, Marcello attraversa varie forme e ambienti sociali (dai frequentatori e le ballerine dei night club alle prostitute della periferia dell’Appia Nuova, dai salotti intellettuali ai ricevimenti dei nobili nel viterbese) per narrare il grande spettacolo della decadenza contemporanea. Fellini concepisce ogni singolo episodio attorno a un’idea costante di apparizione-rappresentazione, all’interno di un paesaggio che si presenta vuoto e disabitato oppure caotico e sovraffollato. Continuamente sospese fra vitalità e senso di morte, sacro e profano, moralismo e trasgressione, le varie sequenze si costituiscono come altrettanti numeri di una messa in scena tenuta da manichini e faccendieri. Una rappresentazione metafisica e “neodecadente” allestita tanto negli orizzonti degli scenari quanto negli occhi dei personaggi (non ultimi, quelli della creatura marina del finale), nella quale possiamo scorgere non solo la patina dei rotocalchi di quegli anni, ma anche, come sosteneva Serge Daney, «una sorta di anticipazione ironica, perfino cinica, di quella che sarà la programmazione televisiva».

La Dolce Vita (1960) on IMDb

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Regia di Mario Monicelli. Un film Da vedere 1959 con Vittorio GassmanAlberto SordiBernard BlierFolco LulliSilvana ManganoNicola AriglianoCast completo Genere Guerra – Italia1959durata 129 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro 4,67 su 5 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

1916: Oreste Jacovacci, romano, e Giovanni Busacca, milanese, sono due scansafatiche furbastri e vigliacchetti. Dopo aver cercato invano di imboscarsi si trovano arruolati e al fronte. Da quel momento vivono tutte le disgrazie di una guerra: il cibo pessimo, le marce forzate, il freddo, la paura, qualche piccola distrazione militare, persino un’avventura con una prostituta (la vive il “milanese” Gassman). In una cosa i due sono sempre in prima fila: nell’evitare le grane, piccole o grandi che siano. Riescono a farla franca tutte le volte, ma una notte si trovano per caso in una cascina che viene presa dai nemici. Cercano di scappare travestendosi da austriaci, vengono catturati e proprio in virtù del travestimento potrebbero essere fucilati. Il colonnello nemico promette che li salverà se riveleranno l’ubicazione di un certo ponte di barche sul Piave. I due conoscono l’informazione delicatissima e decidono, per salvarsi, di parlare. Ma il colonnello dice la frase sbagliata e provoca nei due un incredibile rigurgito di orgoglio. È Gassman il primo a reagire, con la famosa battuta, al colonnello: “… visto che parli così, mì a tì te disi propri un bel nient, faccia di merda…”. E muoiono da eroi, fucilati. Film importante ed esclusivo, irresistibile per quasi tutti gli aspetti: l’interpretazione di tutti gli attori, la ricerca iconografica, la verità degli episodi e l’attendibilità storica. La sceneggiatura di Age, Scarpelli e dello stesso Monicelli presenta spesso toni comici – Gassman assomiglia molto a quello dei Soliti ignoti – e privilegia la bravura di tutti i caratteristi, anche non attori, come il pugile Tiberio Mitri e il cantante Nicola Arigliano. L’artificio, certamente commerciale, di contrapporre a una situazione divertente una drammatica, si è tradotto, alla resa dei conti, in un arricchimento, anche rispetto ai toni dei grandi film italiani della stagione del neorealismo, capolavori sì, ma spesso cupi e monocordi. Gli anni de La Grande guerra erano davvero quelli d’oro. Il nostro cinema non sarebbe mai più stato a quell’altezza. 

The Great War (1959) on IMDb
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Un film di Francis Ford Coppola. Con Marlon Brando, James Caan, Al Pacino, Robert Duvall, Diane Keaton. Titolo originale The Godfather. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 175′ min. – USA 1972. MYMONETRO Il padrino * * * * 1/2 valutazione media: 4,63 su 129 recensioni di critica, pubblico e dizionari.


Quando nel 1945, dopo aver dominato per due generazioni un clan di mafia italoamericana, Don Vito Corleone muore, suo figlio Michael accetta con riluttanza di occuparsi degli affari di famiglia. Imparerà presto. Da un romanzo (1969) di Mario Puzo che l’ha sceneggiato con il regista, è la storia di un sistema familiare e di clan con sottofondo nostalgico per la forza di quei legami che nell’America di oggi sembrano svalutati (come fu letto dalla maggioranza del pubblico), ma possiede anche una profonda e fertile ambiguità. C’è il parallelismo mafia-politica che diventa equivalenza nel Padrino-Parte II; c’è la magistrale ricostruzione di un’epoca e di una morale del crimine, di una struttura patriarcale più italiana che americana. Coppola sa di cosa parla e ne sa le ragioni anche se non le condivide: il suo sguardo è più distaccato che affascinato. Spaccò la critica in due ed ebbe ovunque un grande successo. 7 nomine e 3 Oscar: film, sceneggiatura e M. Brando.

The Godfather (1972) on IMDb
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Locandina Roma città aperta

Un film di Roberto Rossellini. Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Maria Michi, Marcello Pagliero, Nando Bruno. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 103′ min. – Italia 1945. MYMONETRO Roma città aperta * * * * 1/2 valutazione media: 4,66 su 21 recensioni di critica, pubblico e dizionari.


Nella Roma del 1943-44, occupata dai nazifascisti, la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontati attraverso le vicende di una popolana, di un sacerdote e di un ingegnere comunista: la prima è abbattuta da una raffica di mitra; il terzo muore sotto le torture; il secondo viene fucilato all’alba alla periferia di Roma, salutato dai ragazzini della sua parrocchia. Girato tra difficoltà economiche e organizzative di ogni genere, il film impose in tutto il mondo una visione e rappresentazione delle cose vera e nuova, cui la critica avrebbe dato poco più tardi il nome di neorealismo. Specchio di una realtà come colta nel suo farsi, appare oggi come un’opera ibrida in cui il nuovo convive col vecchio, i grandi lampi di verità con momenti di maniera romanzesca, in bilico tra lirismo epico e retorica populista. La stessa lotta antifascista è raccontata ponendo l’accento sul piano morale più che su quello politico, il che non gli impedì di essere il film giusto al momento giusto e di indicare attraverso le figure del comunista e del prete di borgata il tema politico centrale dell’Italia nel dopoguerra. Nastri d’argento per il miglior film e A. Magnani. Grande successo internazionale, molti premi all’estero e una nomination all’Oscar della sceneggiatura firmata da R. Rossellini, Sergio Amidei e Federico Fellini. Titolo inglese: Open City.

Rome, Open City (1945) on IMDb
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Un film di John Ford. Con Victor McLaglen, Maureen O’Hara, John Wayne, Barry Fitzgerald, Ward Bond. Titolo originale The Quiet Man. Commedia, durata 129′ min. – USA 1952. MYMONETRO Un uomo tranquillo * * * * 1/2 valutazione media: 4,61 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari.


Ex pugile statunitense con un avversario morto sulla coscienza torna nella natia Irlanda per trovare la pace e una moglie. Deve affrontare un omerico pugilato per conquistare sul campo la donna amata. Da un racconto di Maurice Walsh, sceneggiato da Frank S. Nugent su un tema non lontano da La bisbetica domata, Ford ha fatto il suo 1° film in cui la storia d’amore è centrale con una struttura a flashback e voce narrante. Smargiassa e nostalgica, è una commedia armoniosa ricca di passaggi umoristici e di vigore nelle cadenze di un canto d’amore per la nativa Irlanda. Affiatata compagnia d’attori e 2 Oscar: regia e fotografia (W.C. Hoch, A. Stout.

The Quiet Man (1952) on IMDb
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Un film di Frank Capra. Con Gloria Grahame, Thomas Mitchell, Lionel Barrymore, James Stewart, Henry Travers. Titolo originale It’s a Wonderful Life. Fantastico, b/n durata 129′ min. – USA 1946. MYMONETRO La vita è meravigliosa * * * * 1/2 valutazione media: 4,65 su 54 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

A Bedford Fall il brav’uomo George Bailey, onesto e sfortunato, vuol togliersi la vita. Gli appare, nelle vesti di un simpatico vecchietto, il suo angelo custode e gli mostra come sarebbe stato il mondo se non fosse mai nato. È il film di Natale per eccellenza, uno dei capolavori del cinema sentimentale di tutti i tempi. L’americano R. Sklar scrisse che ha 2 registi: Frank Capra e Dio, realizzatore di miracoli nel film, ma anche autore di un film dentro il film. Stewart dà il meglio in un personaggio che passa dall’ottimismo al pessimismo più nero come la commedia passa dal comico all’incubo, dal documentario alla favola.

It's a Wonderful Life (1946) on IMDb
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Un film di Howard Hawks. Con John Wayne, Walter Brennan, Montgomery Clift, John Ireland. Titolo originale Red River. Western, b/n durata 125 min. – USA 1948. MYMONETRO Il fiume rosso * * * * 1/2 valutazione media: 4,67 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.


Un cowboy, Tom Dunson, lascia una carovana e assieme a un vecchio amico decide di diventare allevatore. Un giovane orfano, Matthew Garth, diventerà il suo figlioccio. Passano quindici anni e Dunson è diventato un ricco allevatore. Tra lui e il giovane Matthew c’è grande accordo. Ma Dunson si è trasformato. È duro e spietato con chi osa contrastarlo. Matthew lo affronta, lo disarma e lo abbandona al suo destino. Sarà il giovane a condurre una mandria di 8000 capi, ma senza l’intenzione di privare Dunson della sua proprietà. Dopo una lunga marcia Matthew giunge ad Abilene e vende la mandria a un ottimo prezzo. Nel frattempo giunge Dunson, che lo ha seguito con l’intenzione di vendicarsi. Ingaggiano un violento corpo a corpo, interrotto dall’intervento di Tess, la ragazza di Matthew. Sarà lei a far comprendere ai due uomini che l’affetto che li lega è ancora forte. Ora l’azienda di Dunson recherà anche il marchio di Matthew. Chi volesse porre Il fiume rosso in cima alle sue preferenze non sbaglierebbe. Il film, che da molti anni circola in Italia in un’edizione mutilata di circa mezz’ora, è epico senza sconfinare nella convenzione hollywoodiana.

È rivoluzionario nello svolgimento del racconto, specie quando rappresenta la spietatezza di Dunson. La stessa ferocia che Wayne sfodera in Sentieri selvaggi. Tutto il racconto è il paradigma della letteratura western, Ford compreso. Due maestri di tale grandezza sono accumunati dal tema e dal suo svolgimento. Gli attori non a caso sono gli stessi. Naturalmente lo stile Hawks si evidenzia nei tempi del racconto, che sono più larghi rispetto a Ford, più incline al sentimentalismo di stampo irlandese. Hawks è americano nel tratto epico e nella raffinatezza dei dialoghi. Le sequenze da ricordare sono numerose e hanno ispirato buona parte dei western. La partenza notturna della mandria è stata rifatta da Dick Richards in Fango, sudore e polvere da sparo, con un ostentato omaggio al maestro. Sorprendente la presenza del ventottenne Montgomery Clift, nel suo primo e unico western. Il suo modo di guardare l’interlocutore e la sua intensità erano merce rara a quei tempi. Ma la sinergia che sprigiona la coppia Wayne-Clift è frutto proprio della loro diversità e dimostra come il bistrattato John Wayne fosse un notevole attore. I critici del tempo si erano sbizzarriti nel cercare elementi di giudizio che conducessero i personaggi nei dintorni di una tragedia greca. Una presunta e malcelata omosessualità dei due protagonisti è il tema ossessivo, che come una maledizione si era abbattuto sui compilatori dei “Cahier” e sui loro malridotti epigoni. Impossibile raccontare un’amicizia virile senza dovere fare i conti con la psicanalisi, di cui hanno tanto bisogno numerosi cinefili, che ammorbano le limpide acque delle avventure en plein air.

Red River (1948) on IMDb
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Il Grido - 500 Film da vedere prima di morire - Recensione

Regia di Michelangelo Antonioni. Un film Da vedere 1957 con Steve CochranAlida ValliBetsy BlairGabriella PallottaDorian GrayGaetano MatteucciCast completo Genere Drammatico – Italia1957durata 116 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro 4,64 su 11 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Dopo un litigio con una donna sposata con la quale conviveva da sette anni, un operaio si allontana da casa con la figlioletta, compiendo un doloroso vagabondaggio, apparentemente senza meta, in Padania. Gli incontri che fa non lo aiutano. “Il passato preme e chiude e il futuro non esiste: esiste soltanto il presente con l’impossibilità di dare coerenza ai sentimenti, di conciliarsi col tempo e col luogo” (G. Tinazzi). È, forse, il capolavoro del primo Antonioni, un’odissea straziante che racconta l’impossibilità di ricondurre nel pubblico e nel collettivo la crisi profonda del privato. Il paesaggio diventa il riflesso dell’anima. Gran Premio della critica al Festival di Locarno. Scritto con Elio Bartolini e Ennio De Concini. Nastro d’argento alla fotografia di Gianni De Venanzo. D. Gray con la voce di Monica Vitti.

Il Grido (1957) on IMDb
Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) - Poster — The Movie Database  (TMDB)Un film di Milos Forman. Con Jack Nicholson, Louise Fletcher, William Redfield, Will Sampson, Brad Dourif. Titolo originale One Flew over the Cuckoo’s Nest. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 133′ min. – USA 1975. MYMONETRO Qualcuno volò sul nido del cuculo * * * * 1/2 valutazione media: 4,63 su 108 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
 
Da un romanzo (1962) di Ken Kesey: pregiudicato, trasferito in clinica psichiatrica, smaschera il carattere repressivo e carcerario dell’istituzione. La rivolta dura poco, ma lascia qualche segno. Premiato con 5 Oscar (film, regia, Nicholson e Fletcher, sceneggiatura di Bo Goldman e Laurence Hauben) _ come non succedeva da Accadde una notte (1934) _ è un film efficacemente e astutamente polemico sul potere che emargina i diversi e sul fondo razzistico della psichiatria. La sostanza del romanzo onirico di Kesey, scritto in prima persona, è depurata e trasformata in allegoria nell’adattamento scenico che ne fece Dale Wasserman e che forma la base della sceneggiatura. (Fu portato in scena nel 1963 da Kirk Douglas che spinse il figlio Michael a produrre il film.) Ottima squadra di attori che comprende anche il pellerossa W. Sampson.
 Qualcuno volò sul nido del cuculo
(1975) on IMDb

Un film di Charles Chaplin. Con Sydney Chaplin, Claire Bloom, Buster Keaton, Charles Chaplin, Nigel Bruce.Titolo originale Limelight. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 145 min. – USA1952. MYMONETRO Luci della ribalta * * * * 1/2 valutazione media: 4,62 su 30 recensioni di critica, pubblico e dizionari.


Con Luci della ribalta Chaplin intese narrare una storia individuale, la storia di un declino e di una morte, e forse prefigurava se stesso, o voleva esorcizzare. Aveva sessantatré anni, pensava alla poesia e al sentimento e aveva finalmente accettato la parola nei film. Aveva capito che la parola non sarebbe servita, come nel Grande dittatore, a enunciare i grandi temi: il cinema non aveva necessariamente quel dovere e Chaplin non aveva quella capacità.

 Luci della ribalta
(1952) on IMDb
BLADE RUNNER THE FINAL CUT POSTER RIDLEY SCOTT HARRISON FORD RUTGER HAUER |  eBay

Un film di Ridley Scott. Con Harrison Ford, Rutger Hauer, Sean Young, Edward James Olmos, M. Emmett Walsh. Fantascienza, durata 118 min. – USA 2007. uscita venerdì 30 novembre 2007. MYMONETRO Blade Runner: The Final Cut * * * * - valutazione media: 4,18 su 29 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

“Io ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”: frase storica, storico film, giunto – a venticinque anni dalla sua prima uscita – alla terza edizione, dopo il director’s cut del 1992 e la versione, a quanto pare definitiva, del 2007. Torna dunque in servizio l’ex poliziotto fallito Rick Deckard, prestato all’unità speciale Blade Runner, per dare la caccia ai replicanti, uguali in tutto e per tutto agli esseri umani salvo per l’apparente incapacità di provare dei sentimenti e per la durata limitata delle loro esistenze: circa quattro anni. In una Los Angeles del futuro, anno 2019, cupa, nebbiosa e terribilmente affollata, il simulacro dell’esistenza nella pessimistica penna di Philip K. Dick ritrova vita nelle immagini girate nel capolavoro di Ridley Scott. Oltre al piacere di rivedere un classico del cinema – con tutti i costrutti filosofici che ne conseguono – questa nuova versione di Blade Runner sembra soddisfare più un ben determinato piano commerciale, piuttosto che una vera e propria rivisitazione operata dal regista rispetto alle scorse versioni.
A parte la rimasterizzazione dell’opera e lo zampino già noto dell’artista francese Moebius (Jean Giraud) chiamato a evocare alcuni scenari tratti da un suo fumetto a sfondo fantascientifico, nonché delle musiche a sfondo futuristico dei Vangelis, “Blade Runner” vanta dei cambiamenti quasi impercettibili (almeno rispetto al Director’s Cut del 1992) rimanendo quello che era: il cult movie che ha conquistato almeno tre generazioni di spettatori. La voce narrante, onnipresente nell’originale del 1982, è totalmente sparita, togliendo al film la sua caratterizzazione principale e indebolendo parzialmente la storia (passata) del personaggio interpretato da Harrison Ford. Più nitida, invece, la scena centrale del sogno, importante chiave di (non) lettura sulla vera natura di Rick Deckard, forse anch’egli un replicante.
Ed è il finale a confermare una tendenza pessimistica (rispetto all’happy end “ecologista” imposto dalla produzione nella prima stesura, portata a termine con le scene scartate da Kubrick in Shining), che si rifà sostanzialmente a quello della seconda versione. Insomma, il ritorno al cinema (e in un cofanetto con ben 5 dvd) di Blade Runner è un piacere per gli occhi e per la mente. Ma non aspettatevi grosse novità: dopotutto i replicanti vivono all’incirca quattro anni, mentre Blade Runner è già entrato nella storia.

Blade Runner (1982) on IMDb

Un film di Andrei Tarkovskij. Con Anatoli Solonitsyn, Ivan Lapikov, Nikolaj Grinko, Rolan Bykov, Jurij Nikulin.Titolo originale Andrej Roublëv. Biografico, Ratings: Kids+16, b/n durata 186′ min. – URSS 1966. MYMONETRO Andrej Rublëv * * * * 1/2 valutazione media: 4,63 su 14 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

In una Russia messa a ferro e fuoco dalle invasioni asiatiche e sconvolta dalle lotte di potere tra piccoli potentati, il monaco Rublëv (1360 ca.-1430), pittore di icone, passa attraverso 9 capitoli (Il volo, Il buffone, Teofane il Greco, La passione secondo Andrej, La festa, Il giudizio universale, La scorreria, Il silenzio, La campana) che compongono un vasto affresco del Medioevo russo. Nel 1° è assente, in altri fa da spettatore o “passeggero”, nell’ultimo _ una delle più alte pagine filmiche di epica del lavoro umano _ è in disparte, testimone silenzioso. È uno dei grandi film degli anni ’60 (completato nel 1967, presentato a Cannes nel 1969, distribuito in URSS nel 1972 e in Italia nel 1975) il capolavoro di Tarkovskij è il più maturo risultato, in campo cinematografico, della cultura del dissenso nell’URSS. Epilogo a colori, 10 minuti di documentario sulla pittura di Rublëv: l’autore scompare, rimane l’opera.

Andrei Rublev (1966) on IMDb
C'era una volta il West - Film (1968) - MYmovies.it

Un film di Sergio Leone. Con Charles Bronson, Henry Fonda, Claudia Cardinale, Jason Robards, Gabriele Ferzetti. Western, Ratings: Kids+13, durata 167′ min. – Italia 1968. MYMONETRO C’era una volta il West * * * * - valutazione media: 4,21 su 108 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Cinque personaggi si affrontano intorno a una sorgente: Morton (Ferzetti), magnate delle ferrovie, ha bisogno dell’acqua per le sue locomotive e fa eliminare i proprietari legittimi, i McBain, dal suo feroce sicario Frank (Fonda); Jill (Cardinale), ex prostituta, vedova di un McBain; il bandito Cheyenne (Robards), accusato della strage dei McBain; l’innominato dall’armonica (Bronson) che vuole vendicare il fratello (Wolff), assassinato da Frank e i suoi sgherri. Su un soggetto scritto dal regista con Dario Argento e Bernardo Bertolucci e sceneggiato con Sergio Donati, è una sorta di antologia del western in negativo in cui si ricorre ai suoi più scalcinati stereotipi. 3 attori americani di scuole diverse e il più famoso dei 3 (Fonda) scelto contro la parte. Il set non è più l’Andalusia, ma la Monument Valley di John Ford. In un film ricco di trasgressioni, Leone dilata madornalmente i tempi drammaturgici, contravvenendo alla dinamica del genere. Sotto il segno del titanismo si tende al teatro d’opera e alla sua liturgia. Dall’epica del treno, della prima ferrovia transcontinentale, si passa alla trenodia, al canto funebre sulla morte del West e dello spirito della Frontiera. Come in Sam Peckinpah.

Once Upon a Time in the West (1968) on IMDb