Due commesse, un commesso viaggiatore, un autista, una comparsa trascorrono un giorno di vacanza nei boschi intorno a Berlino. Interpretato da attori non professionisti in un ambiente naturale, questo semi-documentario realizzato con poco costo fu l’ultimo film tedesco muto di qualche valore. Anche se Béla Balazs gli rimproverò il suo “fanatismo dei fatti “, quest’opera, ispirata indirettamente a Flaherty e Vertov, era uno studio sociale che fece epoca, e i suoi autori ebbero in seguito carriere assai diverse, nel cinema americano.
Stella Dallas è una giovane ragazza di provincia che subisce un forte colpo alla morte del padre. Per risollevarsi dalla sua disperazione sposa, forse troppo in fretta, l’altolocato Stephen, con il quale non ha nulla in comune. Dopo la nascita della figlia, Laurel, i due coniugi si separano e prendono strade diverse. Stephen fa ritorno a New York ma presto Stella si rende conto che sua figlia non avrà mai buone possibilità di crescere in maniera sana se resterà con una madre sola e incapace a badare a lei.
Una figlia del popolo sposa un giovane aristocratico, ma presto lo disgusta con i suoi modi rozzi. Anche la vita della figlia forse sarebbe rovinata da quella madre sboccata e volgare, se questa, comprendendo i problemi della ragazza, volontariamente non si escludesse dalla sua vita, pur di farla felice.
Nel 2028, i sopravvissuti all’ultima devastante guerra non sono più capaci di esprimersi in un linguaggio comprensibile. Uno scienziato proveniente da un altro pianeta scende sulla Terra ed incontra una donna. Fallito qualsiasi tentativo di comunicare, l’uomo scopre che può farsi intendere da lei mediante la danza. Si tratta del quarto lavoro firmato da Jean Renoir, che faceva forse parte del progetto per un film di più ampio respiro. Ad interpretarlo sono la moglie stessa del regista e Johnny Higgins, un ballerino americano che stava riscuotendo sui palcoscenici di Parigi un buon successo. Fantasia, semplicità e gestualità si integrano armoniosamente in questo interessante cortometraggio. Pochi minuti di cinema per proporre un discorso compiuto ed intelligente che vale il messaggio di pace e speranza proposto da tanti film (del passato e recenti) con maggiore dispiego di mezzi e trame più o meno cervellotiche.
Il racconto di Andersen permette a Renoir di concentrarsi sul dramma della piccola fiammiferaia, sul suo volto, sulla sua agonia. L’uso di trasparenze e sovrimpressioni consente la realizzazione di un clima coinvolgente.
New England, 1600 circa. Hester si lascia sedurre dal reverendo del villaggio, restando incinta. Quando torna suo marito, che lei credeva morto, viene accusata di adulterio e marchiata a fuoco con la A di adultera. Ciò nonostante, si rifiuta di denunciare il reverendo che è tra i suoi accusatori più intransigenti.
1° film di L. Buñuel, da lui prodotto (con il denaro della madre), sceneggiato (con S. Dalí) e diretto. Vi appare all’inizio come l’uomo xche affila il rasoio con cui recide trasversalmente l’occhio sinistro di una donna, una delle più celebri immagini-choc del cinema, collegata con quella della luna piena. Non c’è una “trama”, ma soltanto insinuazioni, associazioni mentali, allusioni; non c’è una logica, tranne quella dell’incubo; non c’è una realtà, tranne quella dell’inconscio, del sogno e del desiderio. Nato nell’ambiente parigino del surrealismo, è probabilmente il più celebre film d’avanguardia del mondo, anche se non il più significativo e importante. Molti gli preferiscono il successivo L’Âge d’or (1930). È il corrispettivo filmico del Primo Manifesto del Surrealismo (1924, ristampato da André Breton nel 1929) di cui condivide l’estetica di Lautréamont, l’influsso di Freud, la volontà rivoluzionaria di ispirazione marxiana con spunti presi da Buster Keaton e René Magritte. Il titolo incongruo deriva da Un perro andaluz , raccolta di poesie e prose di Buñuel, pubblicata nel 1927 sulla Gaceta Literaria di Madrid. Non è da escludere che abbia una connotazione polemica contro Federico García Lorca che nel 1928 aveva pubblicato Primer romancero gitano , accolto da molti con entusiastici elogi, ma non dall’amico Buñuel che gli rimproverava il “terribile estetismo”. Proiettato dal giugno 1929 allo Studio des Ursulines di Parigi, tenne il cartellone per molte settimane. Nel 1960 il regista-produttore ne cedette i diritti e fu sonorizzato con musiche ( Morte di Isotta di Wagner, tanghi argentini) scelte da Buñuel. L’attore protagonista, P. Batcheff, si suicidò pochi mesi dopo la fine delle riprese.
Ambientato a Parigi negli anni del Secondo Impero, il film narra di Nana Coupeau, attrice di poco talento che sogna una vita migliore, lontana dai quartieri malfamati della città. Questa possibilità le viene data dall’incontro con il Conte Muffat, il quale, caduto vittima del fascino di Nanà sul palcoscenico durante la rappresentazione di La Blonde Venus al teatro del varietà, grazie alla sua influenza (egli è il Ciambellano dell’Imperatrice) riesce a farle ottenere il ruolo da protagonista nella successiva pièce.
Mefistofele tenta il vecchio mago Faust prima con la possibilità per un giorno di compiere miracoli, poi con i piaceri della giovinezza. Faust seduce Margherita che, quando il suo bambino muore, è condannata al rogo per infanticidio. Maledetta la giovinezza e ritrasformato in vecchio, Faust sale sul rogo. Nell’epilogo in cielo l’arcangelo Gabriele annuncia che l’amore ha reso nullo il patto e ha salvato l’anima di Faust. Prodotto dall’UFA con grandi mezzi, le scenografie di Robert Herlth e Walter Röhrig e i testi di Gerhart Hauptmann (che poi Murnau non utilizzò), il film è – anche grazie alla fotografia di Carl Hoffman, l’operatore di I Nibelunghi – un grande risultato plastico anche se il suo coté medievale non è da prendere molto sul serio. L’interprete di Valentino è il futuro regista William Dieterle. “La segreta autenticità del Faust va cercata a livello figurativo, là dove Murnau rilancia – e trascende – le tensioni retoriche di Lang” (F. Savio). VEDI FAUST – Scheda monografica
Nella traccia audio ci sono diverse colonne sonore da abbinare al video.
Un goffo cameraman non riesce a combinare niente di buono: potrebbe riprendere fatti importanti se non dimenticasse di inserire la pellicola in macchina e se non sovrapponesse due filmati. Sta per abbandonare il lavoro quando una scimmietta, che ha ripreso involontariamente due scene interessantissime, gli porta il successo e l’amore di una bella ragazza.
Diviso in due parti: La morte di Sigfrido e La vendetta di Crimilde. Un grande film con lo stile classico di Fritz Lang, teso verso la poesia e la grandiosità degli spazi e delle forme che divengono un’espressione di architettura visiva. Narra delle gesta di Sigfrido, che uccide un drago e bagnandosi nel suo sangue diventa invincibile. Uccide poi il sovrano dei Nibelunghi e prende il loro tesoro. Innamoratosi di Crimilde, fa un patto con re Gunther: se Sigfrido permetterà al sovrano di sposare la regina d’Islanda Brunilde, Gunther gli concederà la mano dell’amata. Ci saranno i matrimoni, ma Sigfrido verrà mortalmente ferito alla spalla da un servo di Gunther, infatti l’eroe non si era bagnato col sangue del drago quella parte del corpo a causa di una foglia. Brunilde si suicida e Crimilde si vendicherà dopo essersi risposata con Attila.
Un film di Charles Chaplin. Con Charles Chaplin, Virginia Cherril, Harry Myers, Florence Lee, Al Ernest Garcia, Hank Mann Titolo originale City Lights. Commedia, b/n durata 86 min. – USA 1931. MYMONETRO Luci della città valutazione media: 4,88 su 29 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Uno dei capolavori immortali del grande Charlie Chaplin, che girò ben centomila metri di pellicola nell’arco di tre anni, ripetendo all’infinito intere sequenze e scegliendo di lasciare il film muto (con accompagnamento musicale) proprio nel periodo in cui si cominciava ad affermare il sonoro. Charlot, povero vagabondo dall’animo sensibile e pieno di generose aspirazioni, acquista una rosa da una giovane fioraia cieca che per un equivoco lo scambia per un milionario. Vagabondando per la città, Charlot arriva sul molo dove salva dal suicidio un vero milionario, in vena di generosità solo quando è ubriaco. Deciso ad aiutare la fioraia di cui si è innamorato, bisognosa di una costosa operazione chirurgica che le potrebbe restituire la vista, Charlot fa mille mestieri tra i quali lo spazzino e il pugile, prima di reincontrare il milionario da cui riceve finalmente il denaro sufficiente per l’operazione… ma il finale ha un sapore malinconico. Charlot infatti è finito per un equivoco in prigione e dopo un anno ritrova la ragazza guarita e ora proprietaria di un negozio di fiori, che lo riconosce solo nel momento in cui gli prende la mano per fargli l’elemosina. Il film, con il suo magistrale intreccio tipicamente chapliniano di tragico e comico, ebbe un enorme successo tra un pubblico già minacciato dalla recessione economica sia in Europa che in America.
Way Down East si situa nella duplice linea di tendenza delle opere griffithiane dei tardi anni Dieci. Come True Heart Susie e A Romance of Happy Valley, è una nostalgica storia di vita rurale pre-conflitto mondiale, “una storia semplice di gente comune”. Anche Tol’able David ha pressappoco la stessa matrice; Griffith comprò i diritti della storia di Joseph Hergesheimer durante le riprese di Way Down East, rivendendoli in seguito al protagonista di Way Down East, Richard Barthelmess, per un film che verrà realizzato da Henry King nel 1921. Way Down East è il primo dei due estremamente popolari, e pertanto molto costosi, lavori teatrali di cui Griffith si assicurò i diritti cinematografici nel 1920. Romance, un dramma dell’americano Edward Sheldon, era andato in scena per la prima volta nel 1913, ma aveva riscosso un grande successo solo in Inghilterra, con Doris Keane e Basil Sydney nei ruoli principali. Il contratto Griffith/Keane, che Richard Schickel ha definito “senza precedenti per l’epoca”, stabiliva un pagamento anticipato di 150.000 dollari più una partecipazione agli utili. Way Down East si rivelò perfino più costoso, giacché Griffith dovette sborsare 175.000 dollari al produttore William Brady, oltre a dover pagare i diritti d’autore della storia originale alla scrittrice Lottie Blair Parker e a Joseph Grismer, il quale aveva riadattato per Brady il copione di Parker e scritto un romanzo ispirato alla stessa pièce. Il film tratto da Romance, e diretto dall’assistente di Griffith Chet Withey, si rivelò un fiasco, mentre Way Down East ebbe un successo enorme, tanto da ispirare a Griffith un terzo adattamento da un testo teatrale nel 1921, ovvero Orphans of the Storm, basato sul dramma The Two Orphans di Adolphe d’Ennery e Eugène Cormon (1874).
All’epoca della realizzazione di Way Down East Griffith era pesantemente indebitato, sia per la costruzione del nuovo studio di Mamaroneck, situato in una tenuta di campagna affacciata sul Long Island Sound, sia per i soldi che gli erano stati anticipati dalla United Artists per acquistare i diritti di Romance e per coprirne i costi di produzione. In aggiunta, Way Down East, che pure non prevedeva set molto elaborati o folle di comparse, si rivelò molto più costoso del previsto. Richard Schickel sostiene che l’équipe e lo studio di Griffith rimasero impegnati nella lavorazione per sei mesi, un tempo molto più lungo rispetto ai suoi standard abituali, con la troupe ferma ad aspettare le condizioni atmosferiche indispensabili per poter girare la tempesta di neve e le scene sul ghiaccio. I grandi debiti contratti da Griffith crearono una notevole tensione con la United Artists al momento della distribuzione di Way Down East. Griffith voleva garantirsi la parte del leone sui proventi del film distribuendolo per proprio conto, in sale selezionate e a prezzo maggiorato, prima di farlo uscire nei normali circuiti sotto l’egida della United Artists. Ma la nuova società, che aveva anch’essa un enorme bisogno di denaro liquido e di nuovo prodotto (Chaplin non aveva ancora distribuito un solo film) fece pressione su Griffith per avere il film, e a un dato momento della discussione sui diritti di distribuzione, Griffith, Pickford, Fairbanks e Chaplin sembrarono molto vicini a una rottura. La frattura venne ricomposta, anche se, come fa osservare Richard Schenkel, né la società di produzione di Griffith, la D.W. Griffith Corporation, né la United Artists risolsero mai in modo definitivo il problema del finanziamento dei suoi film. Griffith era costretto a ipotecare gran parte dei potenziali introiti di un film semplicemente per poterlo realizzare, pertanto non era mai nelle condizioni di usare i proventi di una produzione per finanziarne un’altra. I favolosi incassi di Way Down East lo sollevarono temporaneamente dai debiti, ma i modesti incassi dei film successivi, a partire da Orphans of the Storm, per non parlare delle imprese ancor meno fortunate, misero in seria crisi la sua società già a partire dal 1924. Way Down East ottenne un enorme successo popolare e raccolse quasi dappertutto una inusuale messe di critiche lusinghiere, ma, dalla stampa metropolitana in particolare, venne accolto con una certa condiscendenza per via del suo materiale originale. Questa attitudine è esemplificata nella lettera di congratulazioni scritta a Griffith dal commediografo e regista Winchell Smith (5 settembre 1920; nei Griffith Papers): “Uno di questi giorni la gente di teatro aprirà gli occhi su ciò che lei è riuscito a fare: trarre un grande spettacolo cinematografico dalla consunta trama di Way Down East – presentarlo in una normale sala teatrale – e uscirne vittorioso! Non è assolutamente fantastico?!”. Quasi tutti i principali giornali newyorchesi seguirono la stessa falsariga, ma forse, ancor prima di questi, è interessante citare l’editoriale apparso su un giornale dell’hinterland rurale, l’Evening World-Herald di Omaha, Nebraska (9 febbraio 1921; nei Griffith-Papers) che, senza tergiversare, arriva subito al punto: “David Wark Griffith non è semplicemente un abile uomo d’affari col pallino del cinema. È anche un raffinato uomo di cultura dagli alti ideali – un vero grande artista… E in questa “storia semplice di gente comune”, grazie al suo elevato magistero d’arte, ci ha mostrato come il cinema possa essere usato non solo per divertire ma anche ponendosi al servizio del pubblico. Griffith ha saputo combinare verità e bellezza, restituendo all’arte il suo positivo e nobile ruolo di ancella della semplice bontà”. Al contrario, la stampa di categoria newyorchese sembrava quasi dispiaciuta di non poter separare il film dal testo teatrale d’origine, che spesso definiva un puro e semplice “melodramma”. Variety (10 settembre 1920) sommamente entusiasta del film (“sarebbe un sacrilegio tagliarne un solo fotogramma”), riconobbe a Griffith il merito di aver saputo trasformare un vecchio cavallo di battaglia: “‘D.W.’ ha preso un semplice, elementare, antiquato melodramma bucolico “distillandone” 12 rulli di avvincente spettacolo”. Wid’s Daily (12 settembre 1920), che definì il film “il più grande successo di cassetta di tutti i tempi”, fu più rispettoso nei confronti del dramma originale, ritenuto un ottimo prodotto commerciale e un probabile richiamo per il pubblico, ma non poté esimersi dal notare che l’originale “non aveva mai raggiunto la forma possente e compiutamente artistica del film di Griffith”. Frederik James Smith (“The Celluloid Critic”, in Motion Picture Classic, novembre 1920) prediceva anche lui un buon successo commerciale al film, definendolo “il più grande di Griffith dai tempi dell’epico The Birh of a Nation”. Ma, pur approvando la morale del testo originale, aggiungeva: “Naturalmente, ciò non implica che ‘Way Down East’ sia da ritenere un’opera di pregevole valore letterario o drammaturgico. Era infatti un melodramma dai dialoghi terribili e di ancor più malaccorta costruzione. Però il messaggio e l’ambientazione erano validi”. I critici accademici, pur riservando lodi pressoché unanimi alla sua versione cinematografica, furono perfino più veementi nel ricusare il dramma originale. Nel 1918, George Jean Nathan aveva compilato una lista di drammi popolari che considerava “spregevoli banalità”. La lista di Nathan, oltre a Tosca, East Lynne, Camille e The Old Homestead, includeva anche The Two Orphans e Way Down East.Per molti critici, la storia che Griffith aveva scelto di raccontare inficiava tout-court anche il suo adattamento per il cinema. Riconoscevano al film un certo fascino, in particolare alla scena del salvataggio in extremis sul ghiaccio, ma non riuscivano comunque a prenderlo sul serio. In un articolo apparso senza firma sul New York Times (“The Screen”, 4 settembre 1920), Alexander Woolcott motteggiava: “Anna Moore, la maltrattata eroina di ‘Way Down East’, è stata nuovamente gettata in balia della bufera di neve la notte scorsa, anche se la poverina non era mai stata scaraventata in una tempesta simile a partire da quel primo fatidico giorno di quasi 25 anni fa in cui Lottie Blair Parker aveva decretato la sua maledizione. Si trattava infatti della versione cinematografica del vecchio dramma romantico ambientato nel New England, e gli spettatori che sedevano rapiti nella sala del Forty-fourth Street Theater seguendone i primi sviluppi finalmente capivano perché D.W. Griffith l’aveva scelto per un film. Non per la sua notorietà, né per la sua eroina. E neanche per i maltrattamenti che questa subisce. Solo per la tempesta di neve”. – Lea Jacobs [D.W. Griffith Project # 598]
Uno dei migliori film interpretati da Rodolfo Valentino. Diretto da Brown in maniera esemplare e con una sceneggiatura di tutto rispetto. La zarina si invaghisce di un luogotenente dei cosacchi e lo vuole generale. L’uomo è molto imbarazzato e trova difficoltà nel trattenere le avances della sovrana.
Novelli Giulietta e Romeo, Marion e Willie si amano anche se i rispettivi padri si detestano per motivi di lavoro. Dopo fratture, riconciliazioni e colpi di scena gli innamorati potranno coronare il loro sogno alla fine di un ciclone durante il quale Willie avrà modo di dimostrare il suo eroismo. Uno dei capolavori assoluti di Buster Keaton, pieno di scene pericolosissime girate senza l’uso di stuntmen.
Un film di Rex Ingram. Con Rodolfo Valentino, Alice Terry, Pomeroy Cannon, Wallace Beery Titolo originale The Four Horsemen of the Apocalypse. Drammatico, durata 132′ min. – USA 1921. MYMONETRO I quattro cavalieri dell’apocalisse [1] valutazione media: 3,67 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dopo la morte del latifondista argentino Madariaga (Cannon), i suoi due generi portano le famiglie in Europa: i Desnoyers a Parigi, i von Hartrott a Berlino. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Julio Desnoyers (Valentino), pur pacifista e dedito alla dolce vita, si arruola e muore da coraggioso, colpito dal cugino (Holmes) al comando di un reparto tedesco. Tratto dal romanzo Los quatro jinetes del Apocalipsis (1916) di Vicente Blasco Ibáñez, prodotto con larghi mezzi dalla Metro Pictures Corp., non ancora Metro-Goldwyn-Mayer, sceneggiato da June Mathis (1892-1927) che si può considerare la vera autrice del film: fu lei ad averne l’idea, scegliere R. Ingram per la regia, imporre Valentino (che aveva 21 film alle spalle) come protagonista, seguire con puntiglio le riprese, curare il montaggio, scrivere le didascalie. È un melodramma di amore e di guerra la cui azione si sposta dall’Argentina (con Julio in divisa da gaucho che balla il tango) a Parigi, dai campi di battaglia della Marna a Lourdes (con Julio che incontra l’amata Marguerite in divisa da crocerossina col marito cieco). Citazione obbligatoria: la visione dei quattro cavalieri dell’Apocalisse (Guerra, Carestia, Conquista, Morte) virata in blu e rosso. Fu un grande successo internazionale, contribuì a promuovere la Metro tra le majors e a fare di Valentino un divo cui “vengono concessi momenti di Kitsch sublime che andranno a fondare, tra gli altri, l’immagine dell’amante immortale” (P. Cristalli). Giustamente elogiata la fotografia di John F. Seitz. Rifatto, controvoglia, da V. Minnelli nel 1962 per la M-G-M.
Un posto di pastore protestante si è reso vacante presso un villaggio, ed il giovane aspirante Söfren vi si reca, in compagnia della fidanzata Mari. Il posto gli è indispensabile: infatti il padre di Söfren gli ha proibito di sposare Mari prima di essere diventato pastore.Vi sono altri due aspiranti, e ciascuno deve tenere un sermone per i fedeli riuniti in chiesa: i sermoni degli altri due aspiranti suscitano solo sopore o risa di scherno
Desiderio del cuore (Michael o Mikaël) è un film muto del 1924 diretto da Carl Theodor Dreyer. Il titolo originale tedesco, Michael, lo si deve al titolo Mikaël (in danese) del romanzo di Herman Bang (1904) dal quale è tratto. Il romanzo era già stato adattato per lo schermo nel 1916 con il film Vingarne, diretto da Mauritz Stiller e interpretato da Nils Asther, un attore che, in seguito, avrebbe fatto una folgorante carriera hollywoodiana.
Il titolo originale tedesco, Michael, lo si deve al titolo Mikaël (in danese) del romanzo di Herman Bang (1904) dal quale è tratto. Il romanzo era già stato adattato per lo schermo nel 1916 con il film Vingarne, diretto da Mauritz Stiller e interpretato da Nils Asther, un attore che, in seguito, avrebbe fatto una folgorante carriera hollywoodiana.
Jimmie è socio di un’agenzia di Borsa e ha fatto un’errata operazione. Per non dichiarare il fallimento o finire in carcere è necessario trovare una forte somma. Jimmie scopre da un notaio che suo nonno gli lascia un’eredità. È necessario però che si sposi entro le sette di sera nel giorno del suo ventisettesimo compleanno. La caccia alla moglie ha inizio. Spassoso e abilmente orchestrato è un altro dei bei film di Keaton che sono poi stati saccheggiati da tutti i comici del sonoro
Parigi, anni ’20. Prendendoci per mano con la sua macchina da presa, André Sauvage ci fa conoscere la poesia di Parigi attraverso monumenti, insegne, pubblicità, vetrine di negozi, persone, dettagli di volti, corpi ed emozioni. Un poeta che, attraverso il suo sguardo visionario, ci fa dono del ritratto della sua città e della possibilità di saggiarne ed immaginarne il fermento negli anni folli che ne hanno suggellato la bellezza.
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