Un industriale milanese quarantenne, mentre sta recandosi a visitare il figlio in collegio, si imbatte in un gruppo di studenti diretti al mare. L’industriale accetta di accompagnarli e di trascorrere con loro il week-end. Messo alla berlina con una serie di scherzi, si invaghisce di una ragazzina che per qualche momento lo fa illudere di essere di nuovo ventenne. Ma, terminata la giornata festiva, la ragazzina se ne va coi suoi compagni e l’industriale deve rendersi conto che indietro non si torna.
Il suo primo libro da protagonista (1971) ha venduto oltre un milione di copie[1] mentre il primo film della serie cinematografica (1975) fu campione d’incassi del biennio 1974-75, successo bissato l’anno successivo dal secondo capitolo (1976);[2] per i quarant’anni dall’esordio del personaggio al cinema, nel 2015, i primi due film sono stati restaurati e nuovamente riproposti nelle sale.[3][4] Il personaggio, nato come raffigurazione dell’uomo inetto e sfortunato vittima della prepotenza, è entrato nell’immaginario collettivo per la sua grottesca attitudine alla sudditanza psicologica verso il potere e come esempio di uomo medio vessato dalla società e alla continua ricerca di un riscatto, «Il prototipo del tapino, ovvero la quintessenza della nullità, il massimo della mediocrità eccezionale», come lo definì lo stesso Villaggio.
Roma. Gianni e Maretta da tre anni conducono una relazione che li vede incontrarsi spesso senza però convivere. Quando decidono di fare il grande passo del matrimonio le cose cambiano. L’amore si trasforma in abitudine e la quotidianità della vita coniugale non procura emozioni. Le tentazioni del ‘fuori casa’ per lui restano forti mentre lei vorrebbe avere un figlio. Come conciliare le reciproche esigenze? Luciano Salce , acuto osservatore e feroce critico della società italiana realizza quello che è uno dei suoi migliori film (in cui fa anche una fugace apparizione) avendo a disposizione una Emmanuelle Riva ormai consacrata musa del cinema d’autore (Resnais, Pontecorvo, Pietrangeli, Melville) e un Tognazzi in assoluta ascesa. È con loro due al centro della vicenda che elabora la sua amara lettura della vita di coppia. Gianni e Maretta non sono in grado di resistere alla ruvida lima della vita di ogni giorno dalla quale emergono imperfezioni e difetti dell’uno e dell’altra che prima potevano essere rispediti ai reciproci domicili senza curarsene troppo. Intorno a loro si agita una società che si illude di essere felice passando da una festa all’altra oppure simulando amicizie che non sono altro che rapporti superficiali in cui si indossa la maschera dell’ipocrisia per conservare comunque un ruolo. Salce va però oltre alla vita di coppia e lancia le sue frecce avvelenate contro una Rai già inquinata e guarda, con rispetto ma anche con un tocco di satira, al cinema del Maestro Fellini al quale ‘ruba’, per un ruolo recitato tutto sopra le righe, la Gloria (Barbara Steele) di 8 e ½.
Edit 18/1/2024: sostituita versione perchè corrotta
Una ragazza si allontana dalla famiglia che l’opprime. Gli impieghi che trova non fanno che peggiorare la sua situazione; ben che vada il suo titolare vuol portarsela a letto. La conoscenza di un ragazzo tetro e insoddisfatto le crea altri problemi. I due predispongono addirittura un suicidio, che poi non realizzano perché tutto sommato è meglio restar vivi e volersi bene.
Due suorine se ne vanno a Roma a protestare presso i dirigenti di una linea aerea per il rumore dei loro jet quando passano sopra il convento. Dopo parecchie peripezie ottengono quanto vogliono.
Pietro è un giovane avvocato, Giuliana la sua giovane moglie, un po’ svitata ma simpatica. Se non fosse per il bizzarro temperamento di lei, per la sua allegria, la loro unione sarebbe destinata a naufragare. Tratto da una bella commedia (1965) di Natalia Ginzburg che la scrisse su misura per Adriana Asti, il film s’involgarisce nel passaggio allo schermo. I flashback aggiunti fanno cattivo cinema. Da citare almeno la scena del pranzo con la suocera, grazie anche all’apporto dell’ottima caratterista I. Marchesini. Qua e là M. Vitti strafà.
Giunto a Roma per fare il giornalista, incontra una prostituta e decide di redimerla. Frammentaria nella costruzione e impostata su personaggi e situazioni poco credibili, è una commedia affidata a sporadiche trovate ora satiriche ora buffonesche.
Il medico Tersilli, libero docente e accanito intrallazzatore, bada più ai soldi che ai doveri della professione. E quando i clienti fuggono dalla clinica del suocero, si dedica al ringiovanimento di vecchie pazze velleitarie. I criteri di conduzione di certe cliniche private offrono a L. Salce lo spunto per una farsa satirica di sciatta confezione, ma di torva efficacia, sulla scia di Il medico della mutua dell’anno precedente di cui ripeté il successo.
Abruzzo, 1944. Fascistello diventa gerarca proprio quando il fascismo sta per cadere e fa un viaggio in sidecar con professore antifascista, da lui arrestato, che cerca di educarlo alla libertà. Per la prima volta dopo 43 film, Tognazzi lascia le macchiette per un personaggio a tutto tondo. Film di ottimo brio satirico, scritto da Castellano & Pipolo in vena e diretto con garbo da Salce.
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