Secondo film della trilogia di Fontainhas (il terzo è Juventude em marcha) e primo passo verso un cinema sempre meno estetizzante, che qui si immerge – camera e cuore – nelle pieghe dolorose della desolazione delle vite di Vanda e dei suoi vicini.
Il vecchio Ventura, operaio capoverdiano della periferia di Lisbona, è stato abbandonato dalla moglie Clotilde e vaga sperduto tra il quartiere degradato dove è vissuto tanti anni e il nuovo alloggio in un palazzone di recente costruzione. Trascorre la giornata visitando i tanti figli, reali e ideali, mentre scrive mentalmente una lettera d’amore alla moglie, aggiungendo ogni giorno una frase. Si costruisce così, nelle piccole variazioni di un presente immutabile, Juventude em Marcha, di Pedro Costa.
Ventura, manovale in pensione, è un immigrato capoverdiano alla periferia di Lisbona. In un eterno presente successivo al rovesciamento della dittatura di Salazar, il protagonista vaga in un ospedale che è anche prigione e fabbrica, solo o in dialogo con voci e presenze; come quella dell’amico Joaquim, ferito dallo stesso Ventura in un conflitto armato, e della moglie Vitalina, che ne piange la scomparsa. All’indomani della Rivoluzione dei Garofani, nella primavera del ’74, i trapiantati a Lisbona, molti dei quali erano uomini in fuga dalla povertà delle ex colonie portoghesi in Africa, videro presto deluse le loro speranze in un futuro migliore. Soltanto intorno alla metà degli anni novanta lo Stato iniziò a interessarsi alla causa, facendo edificare senza criterio nuovi alloggi a Casal da Boba, dove gli emigrati sono confinati tutt’oggi in condizioni disagiate. Prima di quel momento vivevano accampati a Fontainhas, la baraccopoli multietnica dove Pedro Costa ha girato Ossos (1997), No Quarto da Vanda (2000), e Juventude em marcha (2006), di cui quest’opera è in un certo senso la prosecuzione.